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Caro Terracini ( Montanelli Indro , 1979 )
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Caro Terracini , era un pezzo che non la sentivo , e cominciavo a sentirmi un po ' vedovo della sua linguaccia . Ora la domanda che mi pone è - come sempre - maligna , ma - come sempre - pertinente . Sì , è vero : un bello scandalo di natura galante ci manca . Per questo ho sempre invidiato i francesi che nello spazio di pochi anni ebbero due presidenti della Repubblica uccisi da donne : uno a pistolettate , l ' altro con un ' arma più dolce , ma non meno micidiale . Ma era la Belle époque , che era bella anche perché vi succedevano di queste cose . Oggi non possono succedere per due motivi . Primo , perché questo tipo di scandalo non fa più scandalo in nessun ambiente , neanche in convento . Secondo , perché la nostra classe politica vi è assolutamente refrattaria : e lo dico , badi bene , con profonda costernazione . Dio volesse che i nostri ministri , senatori , deputati e partitanti fossero capaci d ' innamorarsi . Sarebbe un segno di umanità , di sensibilità emotiva , di una certa capacità di slancio , di entusiasmo , di abbandono . Ma io li conosco . Sono troppo occupati ad ammazzarsi tra loro per ammazzare una donna ( che è il modo più totale di amarla ) o per farsene ammazzare . Non ne hanno nemmeno il tempo , che dell ' amore è un elemento essenziale , e ce ne vuole tantissimo per farlo bene . I più galanti fra loro lo sono nello stile dei commessi viaggiatori : fugaci e furtive avventure in camere ammobiliate , con donnette d ' accatto o piccole Bovary di provincia . Che scandalo potrebbe derivarne , anche se lo si venisse a sapere ? Da quanto ne ho sentito dire , e con tutto il rispetto che si deve ai morti , l ' unico che rischiò di provocarne fu Gronchi . Che però , anche lui , aveva più la stoffa del femminiere ( la parola sarebbe un ' altra , ma non la dico per rispetto dei lettori e più ancora delle lettrici ) che non dell ' amatore . La galanteria - quella vera , che può condurre al dramma - esige una certa classe . Il grande seduttore può essere un grande mascalzone , anzi quasi sempre lo è ; così come la grande seduttrice può essere una grande avventuriera , anzi quasi sempre lo è . Ma grandi , e con stile . Ora , caro Terracini , è proprio lo stile che manca ai nostri uomini politici . In tutto . E quindi anche nella galanteria , per la quale non sono attrezzati nemmeno fisicamente . Li guardi , se l ' immagini in pigiama , e poi mi dica che scandali possono fare .
Libertà e morale ( Jemolo Arturo Carlo , 1960 )
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Sospetto di quanti non si dicono fautori della libertà , semplicemente , ma della « ben regolata libertà » o della « libertà di fare il bene o di asserire il vero » . Libertà è quella di asserire ciò che per altri , fosse pure per la maggioranza , è il male , è l ' errore . Detto questo , bisogna pur distinguere tra libertà di far propaganda di idee , libertà di operare , libertà di eccitare impulsi irrazionali . È la prima che va difesa , contrastando ad ogni limite che si tenti di imporle ; perché è quella veramente feconda , che tutte le tirannie temono , assai più che le bombe ed i pugnali . E sempre il buon senso delle masse ha saputo distinguere tesi ardite e follie ; le stravaganze , finché sono state sostenute come dottrine , non hanno mai trovato seguaci . Una completa libertà di operare è impensabile ; non c ' è popolo né regime che non abbia un codice penale . Potrà essere liberale , considerare reato solo ciò ch ' è nella coscienza di tutta una civiltà , od illiberale , e punire colpe che son tali solo per chi segue una certa dottrina politica od una fede religiosa ; ma un codice penale non può mancare . I pericoli maggiori vengono non dalle idee , ma dagl ' impulsi irrazionali ; un paese è esposto ad ogni pericolo quando i suoi cittadini non operano più mossi da idee , ma al suono di fanfare . Le ubriacature delle masse che marciano scandendo certi ritornelli , sillabando certe parole , per vie pavesate di giorno , trasformate da bengala accesi la notte , le ricordiamo . I fanatismi politici e religiosi non nascono dalle dottrine , ma sono esplosioni dell ' irrazionale . Non si può sostenere una libertà di coltivarli . Tutto il regno del sesso appartiene all ' irrazionale ; la morale sessuale , i precetti religiosi in materia , sono tentativi d ' imbrigliare questo ambito dell ' irrazionale , insopprimibile nell ' uomo , elemento di conservazione della specie . Sulla necessità di tale imbrigliamento tutti d ' accordo ; è anzi il lato dove atteggiamenti in ogni altro campo antitetici coincidono ( non è strano che critici cattolici abbiano detto che negli ultimi festival del cinema i loro sguardi avevano riposato sui film sovietici , castissimi ) . Se sul finire del secolo scorso anarchici e socialisti parlavano di libero amore , intendevano con ciò combattere istituti che sembravano loro supporti della società borghese , ma non pensavano davvero ad uno scatenamento dei sensi . Bacchelli nel Diavolo al Pontelungo descrive la purezza della unione tra Bakunin e la sua Antonia ; Martin du Gard ne L ' été 1914 , un socialista rivoluzionario , Meynestrel , che convive senza rapporti con la donna che ama . Esagerazioni letterarie , probabilmente ; ma quando rievochiamo Turati e la Kulisciof , pensiamo a Filemone e Bauci . Ed è su un terreno moralistico che tutti i detrattori di un regime o di una società , li hanno imputati di libertinaggio . L ' accusa di sregolatezza nella vita sessuale è consueta nella polemica politica . Ma non occorre molta finezza per distinguere l ' accusa , anche pesante e massiccia , e l ' erotismo che vorrebbe cercare una propria legittimazione asserendo di castigare mores ; per sapere qual è il linguaggio della sentenza istruttoria che manda a giudizio l ' imputato di certi reati , e quello del cronista che vuole turbare il lettore . Non occorre essere maestri della penna per dire tutto , anche Stato , diritto , costume le cose più scabrose , senza suscitare immagini impure ; né critici acuti per riconoscere il narratore che veramente sente schifo ed orrore per il mondo che narra , che lo considera come l ' inferno in cui è pauroso essere immersi , e quegli che lo mostra come il Venusberg , sicché s ' ignora ciò che di gioia può dare la vita se non vi si è almeno una volta penetrati . Volere che intorno a certi problemi si faccia il silenzio , è tartufismo : non giova ad alcuna struttura sociale . Ma chi li affronta , se pure debba penetrare in dati ambienti inquinati , non può lasciarsene assorbire . Non fariseo che passa turandosi il naso e sollevando il lembo della veste , farà sentire anche ai caduti , ai pervertiti , che sempre li considera fratelli ; ma non potrà adottarne il linguaggio , confondersi con loro . Se il suo è un apostolato , religioso o laico , deve muovere da un intento di sollevare , da una distinzione di alto e di basso , di caduta e di redenzione ; sarebbe contraddizione assumere l ' atteggiamento qualunquistico del " tutti eguali " , che esclude in partenza l ' idea di mutamento . E poi chi esce dall ' anonimo per affrontare problemi morali o sociali o politici , ha il dovere di testimoniare per la sua causa . Se il rigorista è nella vita un peccatore , si profila la figura di Tartufo ; ma se è peccatore che combatte certe leggi , pur in sé discutibili , che pongono limiti all ' uomo , ognuno penserà ch ' egli difenda non una regola di bene universale , ma la propria libertà di commettere quello che per i più è peccato . Gli uomini di lettere , gli artisti che abbiano mosso anche solo il primo passo sulla via della rinomanza , non sono più turba ; chi " vive in vetrina " ha obblighi peculiari di nettezza morale . Al di sotto ed al di fuori dei comportamenti immorali c ' è la scurrilità del linguaggio . Come la bestemmia è per me anzitutto una prova di maleducazione , così la scurrilità è una forma di sciatteria , di poca pulizia mentale . Dimostra che si ha un arsenale scarso di parole , che dietro ci sono solo immagini poco pulite , che non si dispone di altre cui attingere , volendo calcare la mano su un ' affermazione , colorire una frase . Il linguaggio scurrile spontaneo è proprio solo degli strati inferiori , intellettualmente e moralmente . Ma c ' è la scurrilità voluta od acquisita di certe cerchie di cosiddetti intellettuali . Che possa essere usata come pennellata in un quadro , non lo escluderei ; la moralità di un ' opera , in particolare di un film , sta in definitiva nell ' effetto che produce . Ho difeso La dolce vita , perché in ogni uomo normale lascia la nausea per la società dei gaudenti , desta il desiderio della ordinata vita operaia o piccolo borghese , della famiglia sana , del lavoro , della notte fatta pei dormire . Ma guai quando la scurrilità diviene regola , quando l ' artista abdica , e si rivolge solo alla parte più incolta e più rozza del pubblico per far ridere col lazzo plebeo : riso meccanico ; ogni umorismo è assente . Queste considerazioni non vogliono essere un elogio della censura . Resto avverso ad ogni censura . Da quell ' uomo privo di senso pratico , in particolare di senso politico ed economico , che sono , vorrei per il cinema un solo provvedimento : gli aiuti statali elargiti al termine di ciascun anno da una commissione di scrittori e critici ( esclusi i funzionari ed i politici ) che esaminasse la produzione di ogni casa attribuendo punti negativi ai film di cassetta , a quelli spettacolari , o privi di pensiero ed infarciti di lazzi plebei , punti positivi ai film d ' arte ed a quelli che inducono a riflettere sui problemi religiosi , politici , sociali . Non elogio della censura , ma eccitamento nello scrittore , nell ' artista , del suo senso di responsabilità ; invito al pubblico a non indulgere all ' uomo che sta sulla ribalta , come se fosse sciolto dai legami imposti all ' uomo comune , ma ad esigere da lui maggior rigore di vita .
Disobbedire allo Stato? ( Jemolo Arturo Carlo , 1963 )
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Ho sotto gli occhi la lunghissima sentenza con cui la Corte di Firenze , riformando la sentenza di quel tribunale , condanna il padre scolopio Ernesto Balducci ad otto mesi di reclusione , con la condizionale , per istigazione a delinquere , in relazione ad un articolo scritto a proposito della condanna da parte del tribunale militare del giovane cattolico Giuseppe Gozzini , obiettore di coscienza . Accorda le attenuanti generiche che non si negano ad alcuno che sia incensurato , ma rifiuta la diminuente dei motivi di particolare valore morale e sociale . Non è certo questo il luogo per discutere la sentenza . Ma tra le cose che in essa mi colpiscono sono certe affermazioni , come quelle : " secondo il diritto positivo italiano non è ammissibile la ribellione del cittadino contro le leggi o contro una dichiarazione di guerra , nemmeno in nome delle pretese leggi morali e della pretesa giustizia naturale che ne fossero offese " ; " inammissibile è il potere di sindacato sulla giustizia della guerra " . E quando leggo queste frasi , penso che dal processo di Socrate ad oggi siamo sempre - e saremo probabilmente domani , perché certe antitesi sono eterne e non eliminabili - al medesimo punto : come debba superarsi il contrasto che si delinei tra la legge dello Stato e la coscienza dell ' uomo , tra il rispetto agli dèi della patria e quello agli dèi universali , al Dio che ha tutti gli uomini per figli e tutti ama egualmente ed tutti impone di sentirsi fratelli . Eppure qualche direttiva ventiquattro secoli di meditazione , il cristianesimo , con la sua distinzione tra religione e consociazione civile , il liberalismo dovrebbero darla . La parte di Cesare è l ' esteriorità , tutto quello che è denaro , beni terreni , anche il tempo e l ' occupazione del cittadino quando siano tali da non destare problemi morali ; la parte di Dio , cioè della coscienza , è il pensiero , il giudizio , la libertà di parlare . Non sono due ambiti tra cui si possa tracciare una linea nettissima , il pensiero e la parola non sono senza effetti sull ' azione ; tuttavia ciascuno di noi sente che non è mortificante obbedire , anche interamente e fedelmente , il superiore , in quel che comanda , ma avvilente sarebbe dovere fingere di ammirarlo , dover subire la imposizione dei suoi giudizi e dei suoi pensieri . ( Una distinzione chiarissima sempre in me , questa tra l ' obbedienza nell ' agire e la difesa del proprio giudizio ; dovevo avere cinque anni , ed ero un bambino obbediente , ma m ' infuriavo se mi si voleva costringere a fingere di essere persuaso di ciò di cui non lo ero , se non mi si lasciava dire : obbedisco , ma so che voi avete torto ed io ho ragione ) . E sappiamo altresì che tutte le conquiste sono state fatte biasimando le leggi vigenti e chiedendo il loro mutamento , ma altresì criticando il modo con cui i giudici le applicavano , ritenendo errate od aberranti certe interpretazioni . E bene fare questo nel modo più cortese , perché la villania e l ' acredine non giovano mai , ma è doveroso farlo . E pure sapendo che si può compierlo in modo tale da non cadere sotto alcuna sanzione di legge , tutti i reati di vilipendio , di apologia di reato , restano invisi , perché possono essere rèmore all ' esercizio di questa libertà , essenziale e benefica per ogni corpo sociale , sia la Chiesa , sia lo Stato , sia il partito , che sarebbero isteriliti dal supino ossequio . E l ' uomo che affronta una pena certa perché la sua coscienza gli dice di fare così , perché agendo diversamente infrangerebbe la sua legge morale , non può essere considerato alla pari del delinquente , che non afferma nessuna legge universale , che non s ' ispira ad alcuna visione di un mondo migliore . I vecchi criminalisti distinguevano delitti infamanti e non infamanti , con distinte pene ; il codice Zanardelli conosceva la reclusione e la detenzione , quest ' ultima riservata sostanzialmente ai reati che nella coscienza comune non insudiciano l ' uomo . Fu il codice penale Rocco , sempre in vigore nel diciottesimo anno della Repubblica , che non volle più questa distinzione , che proclamò non esserci diversità tra il delitto politico e quello comune ( serbando anzi per il primo i massimi rigori ) . E questa confusione mi sembra proprio la colpa contro lo spirito , l ' offesa alla coscienza . Giacché mi rendo conto che lo Stato possa dover punire chi non vuole osservare la sua legge ; e so anche immaginare come austera , e tale da non ingenerare odio ma reciproco rispetto , la scena in cui il giudice dello Stato dice all ' imputato : - organo di una struttura nei cui principi io credo , che voglio conservata , privo della libertà te , che rifiuti di sottoporti alle sue leggi ; penso che mi comprendi , perché tu pure veglieresti alla conservazione di quel tuo Stato ideale , dai principi opposti a quelli del mio , e mi condanneresti se io ne fossi il cittadino ribelle - . Ma guai se il giudice non abbia la distinzione netta tra le due colpe , se non provi rispetto per chi affronta la pena per non venir meno a quel che la coscienza gli detta . E se il giudice è compenetrato in una struttura liberale sentirà che i reati di vilipendio , di apologia , d ' incitamento a comportamenti politici , sono storture nella sua legislazione , ed in tali materie darà sempre l ' applicazione più liberale alla legge . Temo che non si rifletta abbastanza a tutto il male che reca quella mancata netta distinzione tra infrazione politica ed infrazione alle norme che proteggono la integrità della persona , il buon costume , la proprietà ; tra le due lotte , quella che ogni struttura politica conduce contro chi vorrebbe mutarla ( e che ha in assonanza la lotta che sul terreno amministrativo ogni governo mena contro gli avversari , siano pure avversari che abbiano tutti i crismi della legalità e della costituzionalità ) e quella alla delinquenza . Da quando son nato sento parlare del rispetto che si ha in Inghilterra ed in altri Paesi per la polizia , lamentandosi che questa non goda di un corrispondente affetto in Italia . Ma le polizie che godono di prestigio sono quelle che non sono mai adoperate a scopi politici . Se si riuscisse a stabilire una grande convenzione per cui restassero sempre separati , senza commistioni mai , gli organi dello Stato che debbono asseverare e difendere le basi politiche fissate in una costituzione , e magari anche provocare consensi al governo , aiutarne i sostenitori ( posto che proprio si debba ammettere che ci siano uffici statali aventi tra i loro compiti di orientare i voti degli elettori , politici ed amministrativi ) , e gli altri organi che debbono combattere la delinquenza , quante maggiori simpatie e consensi fluirebbero verso questi ultimi . Il carattere comune delle dittature ( e di tutte le temperie che le anticipano ) è di vedere nell ' avversario il cattivo . In un regime liberale gli avversari saranno teste calde , teste matte , teste pericolose ; ci potranno essere i processi a Mazzini , le detenzioni di Garibaldi ; ed anche giudizi più energici , più sommari , che troviamo nelle corrispondenze e nelle cronache dei generali , degli aristocratici , anche degli uomini di destra ; ma non c ' è mai la confusione del repubblicano , del ribelle con il delinquente . Potrà avere vigore la più rigida obbedienza militaresca , ma c ' è sempre la libertà del giudizio ; cui si accompagna il disprezzo per l ' uomo che è costantemente dell ' avviso del superiore , chiunque questi sia . Certo , nello Stato , nella Chiesa ( persino nel partito ) è indispensabile l ' obbedienza ; certo , non può il cittadino né il credente disobbedire ad ogni regola che non approvi ; quando si tratta dell ' agire , del comportamento esteriore , l ' obbedienza è la norma , che trova solo quel limite di una legge morale in cui il cittadino crede ( e si ammette persino in dati casi un possibile contrasto tra il diritto canonico e la legge di Dio ) . Ma quando si profila quel contrasto di leggi morali , e se anche - come penso - il giudice sia tranquillo ritenendo che l ' etica su cui poggiano le leggi ch ' egli applica sia la vera , dovrà il rispetto ( ed anche quell ' ammirazione che non si nega mai all ' uomo che soffre per la sua fede ) all ' imputato che condanna . E meglio sarà non tocchi quei temi della giustizia naturale e delle leggi morali ; ché fuori del diritto positivo egli non ha autorità . La scelta l ' ha certo compiuta allorché ha indossato la toga e mentre continua ad indossarla , ché quell ' abito deve significare ch ' egli crede nella giustizia delle leggi che applica ; ma quella scelta che ha compiuto nel suo cuore non può imporla ad altri ; questi li potrà condannare , ma come uomo si augurerà di avere la stessa forza il giorno in cui dovesse soffrire per i principî in cui crede .
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L ' articolo comparso sulla rivista The Journal of Regenerative Medicine , che i ricercatori dell ' Advanced Cell Technology hanno pubblicato in data 26 novembre 2001 , mostra in tutta la sua drammaticità la gravità dell ' evento che è stato realizzato : la produzione di un embrione umano in vitro , anzi di diversi embrioni , che si sono sviluppati rispettivamente fino allo stadio di due , quattro , sei cellule . L ' evento è documentato da chiare immagini a colori al microscopio a scansione , che mettono in evidenza le prime fasi dello sviluppo di queste vite umane , a cui è stato dato inizio non attraverso la fecondazione di un ovocita con uno spermatozoo , ma attivando ovociti con nuclei di cellule somatiche . Gli autori hanno ribadito che la loro intenzione non è quella di dare origine ad un individuo umano . Ma quello che essi nel loro articolo chiamano , da scienziati , early embryo , embrione allo stadio iniziale , che cos ' è ? Ecco allora che ritorna in tutta la sua attualità l ' interrogativo bioetico , mai sopito per la verità , su quando considerare l ' inizio della vita umana . Al di là dell ' evento scientifico , infatti , rimane questo l ' oggetto del contendere , essendo fuor di dubbio - per indicazione stessa dei ricercatori - che qui ci troviamo di fronte ad embrioni umani e non a cellule , come qualcuno vorrebbe far credere . L ' evento ci riporta , dunque , prepotentemente , a ribadire con forza che l ' inizio della vita umana non può essere fissato per convenzione ad un certo stadio dello sviluppo dell ' embrione ; esso si situa , in realtà , già al primo istante di esistenza dell ' embrione stesso . Ciò si coglie più facilmente nella modalità " umana " della fecondazione fra ovocita e spermatozoo , ma dobbiamo imparare a riconoscerlo anche di fronte ad una modalità " disumana " , come è quella della riprogrammazione di un nucleo somatico in una cellula uovo : anche con questa modalità si può dare origine ad una nuova vita - come purtroppo l ' esperimento annunciato ha dimostrato - vita che conserva comunque la sua dignità come quella di ogni vita umana alla quale sia data l ' esistenza . Perciò , nonostante i dichiarati intenti " umanistici " di chi preannuncia guarigioni strepitose per questa strada , che passa attraverso l ' industria della clonazione , è necessaria una valutazione pacata ma ferma , che mostri la gravità morale di questo progetto e ne motivi la condanna inequivocabile . Il principio che di fatto viene introdotto , in nome della salute e del benessere , sancisce , infatti , una vera e propria discriminazione tra gli esseri umani in base alla misurazione dei tempi del loro sviluppo ( così un embrione vale meno di un feto , un feto meno di un bambino , un bambino meno di un adulto ) , capovolgendo l ' imperativo morale che impone , invece , la massima tutela e il massimo rispetto proprio di coloro che non sono nelle condizioni di difendere e manifestare la loro intrinseca dignità . D ' altra parte , le ricerche sulle cellule staminali indicano che altre strade sono percorribili , lecite moralmente e valide dal punto di vista scientifico , come l ' utilizzazione di cellule staminali prelevate , per esempio , dall ' individuo adulto ( ne esistono diverse in ciascuno di noi ) , dal sangue materno o da feti abortiti spontaneamente . È questa la strada che ogni scienziato onesto deve perseguire al fine di riservare il massimo rispetto all ' uomo , cioè a se stesso
La giusta via ( Jemolo Arturo Carlo , 1958 )
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Vorrei che il raduno della Resistenza non fosse soltanto una cerimonia ufficiale ed un corteo per le vie di Roma ; ma incitasse tutti gli italiani ad una giornata di meditazione . Man mano che gli anni passano , ci è sempre più chiaro che la Resistenza non fu un semplice fatto di lotta interna , la vittoria di una parte sull ' altra . Quando diciamo che la Resistenza è stata una prova positiva data dal popolo italiano , ed un momento saliente della sua storia ( non oso dire un momento felice , pensando ai lutti ed ai dolori senza fine che l ' hanno accompagnata ) , non pensiamo più con rancore a chi era dall ' altra parte , a quelli che sono stati i vinti della Resistenza . Tredici , quattordici anni sono passati , i rancori sono spenti . Pensiamo semplicemente alla prova che il popolo italiano diede di saper scegliere la giusta via , alle testimonianze di coraggio , di bontà , d ' intelligenza ch ' esso fornì . Il popolo italiano scelse una via . Non rende esattamente la storia il dire che si divise . Perché da una legalità , da un regime onnipotente , da strutture saldissime durate venti anni , non sorsero che le gracili impalcature della repubblica sociale e delle sue scarse milizie , fittizie strutture all ' ombra dell ' esercito tedesco ; non una banda , non un ' ombra di guerriglia dove i tedeschi avevano sgombrato . La resistenza contro un nemico ancora forte , a cui favore avrebbe ancora potuto volgersi la sorte delle armi , contro un nemico da cui non si poteva sperare clemenza né pietà , la guerriglia con mezzi rudimentali , con operazioni disperate , si ebbe da una parte sola . E dietro di essa c ' era tutto il popolo italiano , in una infinita gradazione , da quegli che non avrebbe mai ucciso , ma rischiava spargendo chiodi dove dovevano passare le camionette tedesche , a quegli che nulla sapeva se un tedesco od un fascista l ' interrogava , ed avrebbe negato il sole di mezzogiorno pur di non nuocere con una risposta alla resistenza armata , a quegli che nascondeva con un pericolo il ricercato , giù giù , fino a quegli che si limitava ad ascoltare la Radio Londra , o che , neppure rischiando questo , opponeva un viso inespressivo ed uno sconcertante silenzio all ' amico fascista che versava nel suo seno le proprie speranze . Chi rammenta quei giorni , ben sa che l ' anima dell ' Italia la si coglieva tutta nell ' ambito dell ' antifascismo . Vi confluirono movimenti disparatissimi , che mai prima si erano incontrati , e mai più si sarebbero ritrovati concordi . E qui pure vorrei cessasse la gara - oggi , non allora , accesasi - dei meriti reciproci . Riconoscendo lealmente che nelle azioni di guerra ebbero parte soverchiante gruppi e movimenti , di cui il partito oggi dominante non può certo considerarsi l ' erede ; ma soggiungendo subito che la Resistenza non può ridursi all ' azione armata ; e che in opere di bontà , nel nascondere i ricercati , gli ebrei , nello sfamare chi non aveva tessera , tutti concorsero ; ed il clero italiano , secolare e regolare , scrisse una sua pagina bellissima . Le azioni di bontà , ch ' erano anche di coraggio civile , di superamento d ' inibizioni legalitarie , di scoperta d ' un imperativo morale che era diverso da quello di tutte le formule insegnateci e talora ad esse opposto ( penso al giudice , al prete , al vecchio ufficiale , che concorrevano a formare l ' atto notorio falso per dare un documento di riconoscimento od una tessera alimentare al perseguitato ) : meritano di venire ricordate accanto alle gesta di guerra . Ma la Resistenza non era cominciata nel '43; si protraeva dal '22 , qui pure con vari gradi . E se dobbiamo chinare la fronte rispettosi dinanzi a quelli che affrontarono il carcere o la povertà nell ' esilio , ai protagonisti della fuga di Turati e della evasione di Rosselli ; se dobbiamo ricordare con ammirazione i pochissimi che rifiutarono il giuramento di fedeltà al regime ( Martinetti , Raffini padre e figlio , De Sanctis , Levi della Vida , Volterra , Nigrosoli , Buonaiuti , Venturi , De Viti de Marco , Carrara , G . Errera , che lasciavano la cattedra che tanto avevano onorata ) , gli operai che rischiavano tutte le vessazioni per non prendere una tessera , per continuare a festeggiare clandestinamente il 1 . Maggio : dobbiamo anche avere presente che il regime si sentiva debole ed in pericolo perché sapeva che dietro quest ' animosa resistenza ce n ' era un ' altra che portava il suo distintivo , che non voleva rischiare , ma che gli negava la propria anima . Non si possono certo paragonare gli uni agli altri , quelli che generosi osarono e quelli che non vollero cimentarsi . Ma lo storico deve pur cogliere che se il fascismo restò con una intrinseca debolezza , fu perché sempre seppe che tra gli italiani che vestivano i giorni di comando l ' orbace e facevano il saluto romano , moltissimi non erano illusi . Non credevano nell ' impero , non nell ' autarchia , non nella volontà di potenza che spezza le leggi economiche ; e quando sorse l ' Asse , ebbero chiarissima la visione che la sua vittoria sarebbe stata la peggiore delle sventure per l ' Italia e per il mondo . Prova d ' intelligenza , questa di aver saputo resistere ad una propaganda di ogni giorno e di ogni ora , cui purtroppo recavano il loro contributo scrittori ed accademici illustri ( non tutti , ma alcuni sì ) , che aveva a sua disposizione tutta l ' editoria , tutta la stampa , tutti i mezzi di diffusione . Prova di un certo coraggio , morale ed intellettuale , quella di compiere lo strappo rispetto ad un abito mentale , è non augurarsi la vittoria del paese sceso in guerra , intravedendo un ' Italia che ha una storia millenaria e che avrà ancora secoli e secoli di vita , e sapendo distinguerne le sorti da quelle dello Stato uscito da tutta la sua tradizione per contrarre un ' alleanza errata . Ma anche segno di un profondo senso morale , conferma che Manzoni e Mazzini sono carne della nostra carne , la ripugnanza ai sistemi del nazismo ; il dire " no " all ' apoteosi della violenza , alla conquista , ad un sogno di dominazione su riluttanti ; il diniego deciso che la quasi totalità degli italiani ( meno pochissimi , che qui si resero davvero estranei al loro popolo ) opposero alla persecuzione razziale . In questo giorno penso anche ai vinti della Resistenza : con pietà per quelli che furono i loro caduti . Ogni uomo di coraggio , chiunque cade per la sua idea , chiunque accetta rinunce pur di non mutare bandiera , merita un riconoscimento . E distinguiamo moralmente i fascisti che sono rimasti fermi nelle loro posizioni , da quelli che hanno accettato ogni camuffamento , pur di restare a galla . Non possiamo andare più in là ; non cadere in un agnosticismo . Che tutte le cause possano avere dei martiri , non permette di conchiudere che tutte siano eguali . Non si può credere nella fraternità degli uomini , accarezzare l ' ideale di popoli pacifici , che abbiano deposto per sempre le armi della guerra , ritenere superiori ad ogni altro gli ordinamenti liberi , e giudicare fecondo il sacrificio di chi cadde combattendo contro questi ideali . Quanto a quelli che furono uniti tra il 1943 ed il 1945 ed oggi si ritrovano , sarebbe contro la storia e contro le leggi della vita augurarsi che possano promettere di non combattersi . Gli anni sono passati ; le aspirazioni che gli uni e gli altri hanno oggi , sono inconciliabili . Vorrei solo si guardassero come i commilitoni che sono pur stati ; e promettessero di combattersi da soldati : dichiarandosi i propri obiettivi , dando il bando alle reciproche calunnie , non risparmiandosi anche colpi rudi , ma rispettandosi ed ignorando l ' odio .
Caro Modula ( Montanelli Indro , 1979 )
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Caro Modula , io la capisco ; è lei che non capisce me . Vediamo di spiegarci . Non ho nulla contro i giovani del '68 . Mescolati con parecchia marmaglia ( ce n ' è sempre in questi fenomeni ) vogliosa solo di saccheggio , c ' erano certamente dei ragazzi che volevano qualcosa di serio e la cui protesta era mossa da seri motivi . Lei evidentemente era di questi , e merita tutto il mio rispetto . Una delle ragioni per cui odiai e disprezzai gl ' ispiratori e strateghi di quella battaglia era proprio questo : che mandavano allo sbaraglio e bruciavano una generazione che meritava di meglio . Lei ha ragione quando dice che furono i miei coetanei , non i suoi , a compiere questo misfatto . Ed è appunto con loro che ce l ' ho : coi chierici traditori di una intellighenzia progressista che a vostre spese cercava nella demagogia una rivalsa ai propri fallimenti , e col loro contorno mondano di figli e figlie di papà che facevano nei salotti milanesi gli snob della barricata . Mi domando che cosa aspettate a farli a pezzi ( moralmente , s ' intende ) questi cialtroncelli che si sono serviti di voi per appagare i propri pruriti e mettersi al sicuro dalla vostra rivolta di cui proprio loro - che rappresentano la fascia più turpe della società borghese - avrebbero dovuto essere il bersaglio . Con voi , il discorso è un altro . E sia chiaro che non lo faccio da maestro a scolaro per il semplice motivo che io ho fatto i vostri stessi errori . In un contesto , si capisce , del tutto diverso , sul quale la prego di non ironizzare perché non è degno di lei : se lei si fosse trovato a nascere nell ' anno in cui nacqui io , avrebbe sulla fronte lo stesso tatuaggio . Voi e noi abbiamo voluto , in tempi e temperie completamente differenti , la stessa cosa . Voi volevate ( e immagino che vogliate ancora ) una « società » seria ; noi volevamo ( e vorremmo ancora ) una « Italia » seria . Non fa molta differenza . La differenza sta solo nell ' anagrafe . E qui lei deve consentirmi di guardare le cose con un occhio diverso dal suo . Quando voi scendeste in piazza , noi già sapevamo dove sareste finiti perché c ' eravamo già finiti noi . Ve lo dicemmo , e voi c ' insultaste : se vi fossimo caduti in mano , ci avreste sbranato . Nulla di male : in battaglia , si sa , ci si sbrana . Ma oggi , a cose fatte , o per meglio dire abortite , non potete rimproverarci di aver visto le cose con un occhio diverso dal vostro . Capisco che il fatto di doverci dare ragione v ' infastidisca . Lo capisco perché anche questa è un ' esperienza che ho fatto io stesso . Gliela racconto subito . Appartenevo a una famiglia di antifascisti . E forse fu anche questo che aizzò i miei entusiasmi di adolescente per Mussolini . Quando una decina di anni dopo mi accorsi come li avevo male investiti , il ritorno a casa fu una tortura . E anch ' io dissi ciò che lei ora dice a me : « E grazie a questo errore che io sono ora più maturo di voi » . Il che era anche vero , come lo è quando lo dice lei . Come vede caro Modula , da parte nostra , o almeno da parte mia , non c ' è nessun atteggiamento pedagogico o punitivo . C ' è solo un po ' di pena , anzi molta , per la bruciatura che avete subito . E vorrei anche prevenire un altro equivoco . Nemmeno io sono per il travoltismo e le altre scempiaggini con cui si manifesta la rivolta del « privato » . Ciò che m ' interessa è il ripristino di certi valori morali che mi sembrano insostituibili . Quanto alla società borghese che dovrebbe incarnarli , e di cui forse lei mi considera il cocciuto ( e ottuso ) campione , be ' , cambiamo discorso , oppure , caro Modula , venga a farlo in confidenza con me : vedrà che siamo d ' accordo su molte cose .
Unità e Regioni ( Jemolo Arturo Carlo , 1966 )
StampaQuotidiana ,
In quella che Einaudi chiamò " la grande speranza " , la speranza formatasi negli anni della Resistenza , di una Italia rinnovata , dove tutti i cittadini partecipassero alla vita collettiva , si sentissero organi dello Stato , desiderassero un paese pulito , retto da una legge severa , che non lasciasse adito ad arbitrii , le Regioni avevano posto non secondario . Basta con il centralismo , basta con le striminzite strutture provinciali che dalla unificazione non hanno potuto pesare sugl ' indirizzi generali dello Stato ; vengano avanti le Regioni , unità naturali , poste in luce anche da quel dialetto , combattuto dal fascismo , ma che ha dato vita ad opere d ' arte di primo piano - Porta e Belli , un gradino più sotto Pascarella , - che attraverso Trilussa ha aiutato la resistenza al regime , con la cui voce si è espresso il teatro più popolare . Nella prima seduta della commissione per la riforma dello Stato che aveva insediato il presidente Bonomi , con l ' on. Bogianchino ci chiedevamo se non si potesse definire l ' Italia come Stato federale . Non che pensassimo a scindere l ' unità ; non volevamo neppure qualcosa come i Cantoni svizzeri , che hanno magistrature a sé ; meno che mai pensavamo agli ardimenti che furono poi dello statuto siciliano , la polizia alle dipendenze del presidente regionale , una corte paritaria a dirimere i conflitti con lo Stato ; guardavamo piuttosto ai vecchi Laender austriaci , con piccoli Parlamenti , che dettassero leggi in materia agraria , mineraria , di opere pubbliche , d ' igiene e sanità , d ' istruzione primaria e magari anche secondaria . Vedevamo chiaro come si sarebbero formate le Regioni . Una legge avrebbe stabilito quali potessero essere le loro incombenze , lasciando ad ognuna di assumersele tutte od alcune soltanto . E naturalmente la prima attuazione sarebbe stata nelle Regioni settentrionali , che avrebbero costruito il modello . Qui c ' era già l ' embrione con i Comitati di Liberazione Nazionale disposti scalarmente in cerchie di territorio sempre più larghe , ed al vertice quel Comitato Liberazione Nazionale Alta Italia , così ricco di competenze . Qui c ' era ah antiquo l ' avversione a Roma ed alla burocrazia romana ed il desiderio di fare da sé ; qui c ' erano le migliori tradizioni , bilanci in pareggio , fiducia dei cittadini nell ' amministrazione , non pletora d ' impiegati . Queste regioni - Piemonte , Lombardia , Liguria - dovevano essere la guida . Pensavamo anche che attraverso le Regioni i giovani dell ' Italia settentrionale avrebbero ripreso ad entrare nell ' amministrazione , che da tempo disertavano , e si sarebbe così ripristinata una sana tradizione . Immaginavamo che essere maestro in una di queste Regioni sarebbe stato titolo di cui ci si sarebbe fregiati più assai di quello di " statale " . La prima delusione venne proprio da queste Regioni , nessuna delle quali mostrò di aspirare affatto a formare il nuovo organismo . Le aspirazioni regionali , Valle d ' Aosta e Trentino a parte , furono delle zone dove la tradizione amministrativa era meno brillante , dov ' era ad attendersi che subito si sarebbe formata la pletora degli impiegati . Un duro colpo le speranze ricevettero alla Costituente , quando si decretò il mantenimento delle Province . Nella nostra visione non c ' era l ' idea di un accentramento , che i vecchi capoluoghi di provincia Storia d ' Italia non avessero più uffici a disposizione del pubblico ( se pure tutti noi , regionalisti del 1945 , ricordassimo che le comunicazioni erano alquanto mutate dalla unificazione ) ; ma avremmo voluto la Regione unica persona giuridica con unico patrimonio e bilancio , unica , poco numerosa , burocrazia : decentrata magari anche nei vecchi capoluoghi di circondario , quando fosse opportuno . La Provincia con quelle poche attribuzioni brefotrofi e manicomi , laboratori d ' igiene , strade provinciali , norme sulla caccia - non ci sembrava dovesse continuare , e soprattutto non vedevamo : Province più Regioni . Delusione ancora più grande : il constatare che gli italiani possono dire male della burocrazia statale , che gl ' impiegati dello Stato possono considerarsi vittime , ma che nessuno statale è disposto a divenire dipendente di un ente locale , fosse pure il più ricco , quello circondato dalla migliore fama , quello più generoso . Uomini politici di qualsiasi partito possono anche tenere discorsi a favore dell ' autonomia dei Comuni , del diritto che si debba loro riconoscere d ' imporre tributi fuori dei quadri delle leggi statali , di assumere iniziative in ogni campo ; ma occorre tacciano intorno alla grossissima menomazione che venne portata a quell ' autonomia nel periodo fascista , e che credo non abbia riscontro in alcun regime libero , di porre a capo dei loro uffici un funzionario statale ; debbono tacere , perché tutti i segretari comunali , come tutti i maestri , desiderano restare statali . Ed i giovani dell ' Alta Italia continuano a disertare la burocrazia ; senza spiegazioni economiche ; conosco moltissimi professionisti che guadagnano meno dei loro coetanei entrati nei ranghi governativi ; ma tant ' è , quella diserzione si dà . Ultima delusione . Immaginavamo che nei rami di attività che sarebbero stati affidati alle Regioni i Ministeri non sarebbero rimasti che come organi di coordinamento , che dessero direttive , risolvessero conflitti ; un piccolo stato maggiore . L ' attuale burocrazia passata alle Regioni ; dove c ' erano venti capidivisione , diciannove sarebbero passati alle Regioni , ed uno rimasto al Ministero . Ci rendemmo conto che la burocrazia romana non avrebbe accettato la riduzione di un sol posto , che nessun ministro avrebbe avuto la forza occorrente per allontanare da Roma un solo impiegato . Da quelle speranze sono passati oltre venti anni . Dobbiamo constatare varie cose . Dove si sono costituite le Regioni , malgrado gli inconvenienti che possono essersi verificati , nessuno vorrebbe tornare indietro e rinunciarvi . Il Trentino - Alto Adige , tormentato dalla questione tedesca , dà tuttavia le ottime istituzioni locali ( ad es. casse di malattia ) ch ' era ad attendersi . La Sicilia ha dato una grande prova di patriottismo italiano e di buon senso accettando un tacito adattamento del suo statuto , sì che fosse intatta la sovranità nazionale : con alcune rinunce ed alcuni compensi ( le azioni al portatore ) rispetto a quel ch ' era ivi previsto . Alcune Province , pure restando le loro competenze nel limitato vecchio quadro legislativo , danno , grazie ai loro amministratori , prova di attività , costituiscono coordinamento di energie , collegamento d ' iniziative ; penso a Torino ed a Cuneo , a Bologna ed in genere alle Province emiliane , che si tengono in costante rapporto tra loro per utili studi e progetti . Si costituiranno le Regioni previste dalla Costituzione ? Non lo sappiamo . Se sì , non saranno certo quelle che vagheggiavamo nel '45 , non rappresenteranno quel distacco da Roma , quella reazione al centralismo , quel vivo appello alle energie locali , quel chiamare il popolo a partecipare direttamente ad una politica che si vivificasse applicando ai problemi locali le direttive generali , che avevamo sperato nel '45 , allorché le Regioni sarebbero potute apparire le dirette eredi dei Comitati di Liberazione . Reagiamo come allora alla stolida accusa di chi pensa che le Regioni minerebbero l ' unità nazionale ; ma se non si creeranno , non saremo amareggiati per una nuova delusione . Certo , della " grande speranza " pochissimo si è realizzato ; però si è salvata la conquista essenziale , quella della libertà . E non si deve per le speranze che non si realizzarono , essere ingiusti . Le vecchiaie serene constatano le proprie sconfitte , ma non per questo disconoscono quel che possa esservi di positivo nel presente ; e non dimenticano che la storia la costruiscono , sì , gli uomini , ma la realizzazione dei loro piani è sempre approssimativa , quel che vien fuori non è solo il risultato di componenti diverse , ma avverte anche il tocco dell ' imprevedibile , diciamo pure del caso .
Lo spegnimento del roveto ( Jemolo Arturo Carlo , 1959 )
StampaQuotidiana ,
Sono uscite quasi contemporaneamente la versione italiana della Storia d ' Italia dal 1861 al 1958 di Denis Mack Smith e le memorie Dalla monarchia alla Repubblica di Giuseppe Romita , di cui ha dato ampia notizia Salvatorelli . Due libri quasi senza punti di contatto tra loro , se pur qualche pagina di Mack Smith tocchi il periodo di Romita . Ma scorrendoli sorgevano in me quasi identici pensieri . Com ' è noto , lo storico inglese ritiene che vizi costituzionali abbiano impedito all ' Italia di diventare una nazione liberale com ' era stato nelle intenzioni di alcuni tra i suoi fondatori ; e pure riconoscendo la genialità di Cavour , il suo antivedere , gl ' inestimabili servizi resi al Piemonte tra il 1850 ed il 1855 con le riforme interne , lo accusa di opportunismo e di machiavellismo ; " in teoria era pronto ad ammettere che i mazziniani fossero meno pericolosi dentro che fuori il Parlamento , ma in pratica costrinse gli estremisti al metodo della cospirazione clandestina , impedendo loro di manifestare liberamente le proprie opinioni " . Con diverse parole , qualcosa di ciò era già nell ' appellativo dato a Cavour di grande realizzatore , nel raffronto tra le figure di Cavour e di Ricasoli che tracciava quarant ' anni or sono Gentile nel suo Gino Capponi . È dato comune che Cavour , pur di profonda cultura , fu l ' antitesi del dottrinario ; mai dominato da preconcetti , da idee fisse . Ma meno si accentua il peso ch ' ebbe in tutta la sua politica l ' avversione intima a ciò che sapesse di giacobinismo e quanto nella fase decisiva , nel biennio miracoloso 1859-61 , pesassero sue preoccupazioni : quella delle gare di campanile atte a minare la unità , che lo portò a proclamare Roma capitale necessaria , ponendo i problemi che nascevano dalla riunione nella stessa città della sede pontificia e del centro della nazione , problemi che dopo un secolo appaiono più reali e complessi che mai ; ed ancora , per questo timore di vedere insidiata l ' unità a mala pena raggiunta , la diffidenza per Garibaldi , l ' affrettata unificazione legislativa ed amministrativa del Mezzogiorno : un ' altra eredità non ancora smaltita . E per quanto sappiamo che son domande che resteranno senza risposta , siamo tratti chiederci : vide sempre bene Cavour ? l ' unità avrebbe davvero pericolato se si fosse nutrita maggior fiducia in Garibaldi , non si fossero preferiti ufficiali e funzionari borbonici a garibaldini , si fosse concesso alle regioni un ragionevole ambito di attività amministrativa , non messa l ' ipoteca su Roma ? e , prima ancora , l ' unità non si sarebbe lo stesso compiuta se le azioni avessero sempre corrisposto ai programmi , se si fosse lasciata piena libertà di parola a mazziniani ed a clericali , non si fossero toccati magistrati e funzionari , che non potevano rassegnarsi a veder legiferare in materia ecclesiastica malgrado le censure pontificie ? Ebbene , analoghi pensieri vo rivolgendo nel rievocare , attraverso le memorie di Romita , il 1944-'47 . Soglio chiamarlo il periodo del roveto ardente ; perché , a parte quello ch ' esso fu per la parte migliore dei partigiani , per i capi della Resistenza , il finire della guerra segnò per i più degl ' italiani un breve stato di grazia ; qualcosa di simile al benessere della convalescenza dopo una lunga malattia , all ' empito di riconoscenza verso Dio di chi sa ora che vivrà mentre aveva visto aperta la tomba . In quel momento si sarebbe forse potuto pur ottenere dal Papa un ritocco del Concordato . Ma certo si potevano porre nuove leggi improntate ad una austerità mazziniana , operare radicali riforme del sistema fiscale , stabilire il giuramento dei redditi con le più gravi sanzioni , ribadire il principio che il funzionario è al servizio del pubblico , ritoccare in pochi giorni il codice penale , dire " basta " a certe pratiche carcerarie e di polizia , sopprimere una sequela di uffici inutili . Per questo non era necessario fare vittime , ma occorreva mutare un certo numero di capi . Nel 1849 si era creduto che per ristabilire il senso della disciplina militare occorresse fucilare il generale Ramorino ; grave errore politico , errore giudiziario , anche , pensano molti storici del Risorgimento . Nel 1945 nessuno voleva ancora sangue ; ma se qualche generale ch ' era passato nel campo opposto a quello del suo re fosse stato degradato nel cortile di una caserma , non si sarebbe ferito il senso militare come lo si ferì riammettendo tutti nei loro gradi , facendo valere per tutti la scusa della coartazione . Penso con rossore alla epurazione ; che non colpì che gli umilissimi , e salvò tutti i potenti . Bonomi aveva stabilito , facendone modesta applicazione , una dispensa per gli alti funzionari ; gli sembrava che un prefetto che aveva presieduto a tutte le manifestazioni del regime , un ambasciatore che aveva reso difficile la vita agli antifascisti esuli , non potessero continuare a coprire i loro uffici , voltando casacca . Questo era sembrato ovvio ad ogni mutamento di regime , anche seguito in circostanze meno tragiche della caduta del fascismo . Ma De Gasperi ammise una opposizione dei colpiti , attraverso cui tutti rientrarono , salvo due o tre che sdegnosi non vollero muovere un passo ( e fu brutto che non li si riammettesse d ' ufficio , ché erano i più stimabili ) . Restò così tutta la vecchia burocrazia , che aveva profondamente assimilato dal fascismo il paternalismo , il principio che non si deve mai abbandonare l ' inferiore quando pure abbia torto marcio , nonché una profonda sfiducia verso le iniziative , municipalizzazioni o cooperative , care ai socialisti del principio del secolo ; un irridere alle " anime belle " , ai moralizzatori , a chi non si rassegna al " si è sempre fatto così " . Non si ridussero università ma si creò una pletora di nuove facoltà ; non si costrinsero i professori ed i magistrati a stare in sede ; si conservò e si accrebbe lo sfarzo negli edifici pubblici , lo sperpero del danaro pubblico in rivoletti infiniti , che non irrorano né fecondano alcuna zolla . ( Creazione di nuove Corti , tribunali , preture e mancanza di ogni attrezzatura , carceri in condizioni penose ; nuove facoltà , e non fondi per le ricerche scientifiche né per stroncare l ' analfabetismo ) . Perché seguiva ciò ? per uno stato d ' animo analogo a quello con cui si conchiudeva il Risorgimento : la sfiducia , la paura . Cavour come De Gasperi pensavano che dei muri maestri sarebbero crollati se si fosse degradato un generale , o semplicemente sostituiti i prefetti ed i direttori generali con elementi non di carriera , posto un Calamandrei a capo della Cassazione ; se si fosse accordata autonomia alle regioni , se i ministri avessero preso a riconoscere pubblicamente le malefatte ( poche e rare , ammettiamolo pure ; ma qualcuna ce ne sarà sempre ) dei loro funzionari . Temevano il caos . Ebbero ragione ? ebbero torto ? inutile domanda . Alcuni di noi penseranno sempre che dove non c ' era occupazione russa il comunismo mai si sarebbe affermato , e sarebbe invece fiorita una sana democrazia . Altri penserà l ' opposto . Ma l ' epilogo dei due risorgimenti ha questo tratto in comune : la mancanza di " pazzi in Cristo " o nella fede nella libertà ; nell ' uno e nell ' altro , uomini che avevano ed avrebbero ancora rischiato la vita , dato quella dei propri figli ; ma che , sia pure pensan do non a sé bensì all ' Italia , non sapevano dire " ogni viltà convien che qui sia morta " .
Cara Luisa ( Montanelli Indro , 1979 )
StampaQuotidiana ,
Cara Luisa , la tua lettera è per me , come si dice a Firenze , « una chicca » . Non per la « passione » della tua famiglia nei miei confronti che naturalmente mi fa piacere ( sono anch ' io vanitoso la mia parte ) , ma per il finale . Hai ragione , Luisa , e ti sono grato di averlo detto : il pericolo , ora , è che il « privato » perda il senso del limite e cada negli stessi eccessi in cui è caduto il « sociale » , esaltando i peggiori istinti dell ' uomo : l ' egoismo , la sovrapposizione dell ' interesse personale a qualsiasi altro impegno e dovere , il facile e volgare edonismo . E ' vero che tutto questo ha , per ora , una sua logica e fisiologica ragione di essere : dopo trent ' anni di mortificazioni e di confische , è fatale che la reazione del « privato » sia violenta e disordinata . Ma guai se non si renderà subito conto che « privato » non significa licenza di arraffare , di sopraffare e di godere . Noi ( e in questo noi mi par di capire che posso includere anche te ) per « privato » intendiamo tutt ' altra cosa . Intendiamo anzitutto la restituzione all ' uomo ( e quindi anche alla donna , si capisce ) del suo diritto alle scelte con le responsabilità che ne derivano . A nessuno dev ' essere più concesso di attribuire i propri fallimenti o misfatti alle storture della società . Che questa società abbia molte storture , è vero . Ma chi vuole portare un contributo al loro raddrizzamento non può invocarle come alibi dell ' eversione o della diserzione . Secondo . Intendiamo per « privato » il diritto di ognuno a pensare con la propria testa , senza per questo essere considerato un reietto o un fascista ( i due termini sono ormai sinonimi ) solo perché si rifiuta di far parte di un gregge belante e di « conformarsi » ai suoi cori . Terzo . Intendiamo per « privato » il diritto dell ' uomo ad affinare le proprie capacità e a far valere i propri meriti . Vogliamo , sissignori , sia nella scuola che nel lavoro , il ritorno al criterio della selezione secondo i valori , intendendo per tali non soltanto quelli intellettuali e professionali , ma anche quelli morali . Rispettiamo l ' interesse privato in quanto stimolo ad eccellere . Ma vogliamo che a tutti siano date , al palo di partenza , le stesse opportunità di eccellere . Quarto . Intendiamo per « privato » il diritto a una propria vita personale , in cui ciascuno possa restare solo con se stesso , cioè con la propria coscienza , i propri sentimenti , e magari anche le proprie stravaganze , purché non offendano il vicino di casa . Ecco il punto . Noi italiani crediamo di essere individualisti perché al vicino di casa impediamo di dormire tenendo la radio accesa a tutto volume e non rispettiamo i regolamenti stradali . Ma questo non è individualismo ; è soltanto asocialità . Non confondiamo . Individualisti sono gl ' inglesi che difendono il loro giardino da qualsiasi intrusione , ma rispettano la legge e fanno la coda davanti al botteghino del teatro . Noi siamo soltanto delle pecore indisciplinate , che facciamo confusione nel gregge , ma lo seguiamo sempre in branco , sempre in massa . Ecco cosa vuol dire « privato » , non la moda del travoltismo e del « consumismo » Anni Cinquanta . Fai bene , cara Luisa , a restare « démodée » . Anche per ragioni estetiche . « Belle ci si fa - diceva Marie Régnier - , ricche si diventa , eleganti si nasce . » E una persona elegante non segue mai la moda . La lascia ai cafoni .
I valori della Resistenza ( Jemolo Arturo Carlo , 1960 )
StampaQuotidiana ,
Si parla troppo della Resistenza e troppo poco dei suoi valori . Duole di sentirla non tanto elogiare , quanto considerare inserita in un pantheon di divinità patrie , cui il cittadino deve bruciare un granello d ' incenso , da chi nutre in cuor suo avversione per quel periodo , e , anche se non ne serbi un ricordo perché troppo giovane , considera assetto ideale il fascismo : tutto regolato dall ' alto , non scioperi , non agitazioni , pene durissime per i rari ribelli , giornali tutti con gli stessi accenti , un buono , un vero , un bello decretati in un ministero e che ciascuno deve accettare . Si parla troppo della Resistenza e poco si riflette sui suoi valori . Nulla a stupire . In ogni religione è più facile genuflettersi e cantare inni che chinarsi al giogo delle leggi . Ma ammonirei a ricordare ciò che la storia di ogni paese insegna : quanto sia facile seppellire gl ' ideali innalzando marmi a coloro che li asseverarono . Quando ero bambino vivevano ancora i soldati del Risorgimento , quelli che avevano lasciato un braccio a S . Martino od a Custoza . Sotto la retorica ufficiale , non c ' era più un culto per loro ; il garibaldino , il reduce , nella narrativa di Pirandello , od anche nello sfondo di quella di Rovetta , quando non è un profittatore è un ingenuo , cui si guarda con compassione . Più tardi , abbiamo visto portare corone a Garibaldi ed a Mazzini degli uomini politici e sindaci che avevan succhiato col latte l ' avversione al Risorgimento , che detestavano tutti indistintamente i valori asseverati da Garibaldi e da Mazzini . " A egregie cose il forte animo accendono - l ' urne de ' forti " ; sì , ma solo il forte animo , e di chi abbia senso storico e viva in una tradizione . Ed il nostro tempo è poco incline ad inserirsi in tradizioni , ed ama guardare all ' avvenire , non volgersi al passato . Garibaldi , negli ultimi anni di sua vita , aveva avvertito questa necessità di guardare dinanzi . Nulla aveva mai chiesto per i suoi , ma neppure rievocava benemerenze passate ; bensì guardava agli sviluppi di un socialismo umanitario , ai problemi della emigrazione , proponeva leggi per la bonifica dell ' Agro romano . Bisogna asseverare i valori della Resistenza ; non parlandone in blocco , come di cosa nota , bensì discernendoli , mettendoli a fuoco , proiettandoli in ciò che si costruisce , in quanto si vuole realizzare domani . Ricorderemo allora che la Resistenza volle essere fenomeno europeo , avviamento ad una Europa unita nella libertà , dove ci fossero cordiali rapporti di popoli piuttosto che di governi . Conforme a questo ideale l ' Italia , dopo aver dovuto accettare col trattato di pace rinunce penosissime ( ho sempre in mente Capodistria ) , non si è attardata in rimpianti e deplorazioni . Ma era pure nello spirito della Resistenza parlare agli alleati più potenti con la sincerità che l ' amico povero , se vero amico , usa col ricco : non considerare , indifferentemente , Stati liberi e Stati autoritari ; preoccuparsi di un mondo tedesco che pare vada avviandosi a cancellare distinzioni di partiti , per trovarsi tutto unito nella méta di riavere le vecchie frontiere . La Resistenza fu collaborazione fra partiti diversi ; accantonamento di dissensi , guardare alle méte comuni . È tradita dove i contrasti si esasperano senza un perché , dove le maggioranze rifiutano Storia d ' Italia ogni collaborazione delle minoranze , non accettano i loro voti , fanno questione di prestigio nel respingere ogni loro proposta , ogni suggerimento . Fu unione di credenti e di atei ; questi ultimi rispettosi della fede dei primi , pronti a riconoscere l ' opera di bene , il gesto coraggioso del sacerdote o della suora . Sono contro il suo spirito gli ecclesiastici che vogliono imporre direttive ai partiti , come ogni resurrezione di vecchio anticlericalismo , che neghi i valori religiosi . Fu autogoverno locale ; e ne negano lo spirito i ministeri che mortificano la vita locale , che vorrebbero reggere in perpetuo i comuni con commissari , se non sia certa la vittoria del loro partito , che rifiutano la regione . ( Estranee invece a quello spirito le aspirazioni di autonomia proprie a gruppi di funzionari od a ceti di professionisti , cammino a ritroso di quello che portò alla formazione dello Stato moderno ) . La Resistenza fu sacrificio e rinuncia ; il suo spirito , la generosità , l ' accettazione conscia della povertà in omaggio alla solidarietà . Sarebbe stato consono ad esso contenere con l ' arma fiscale le grandi ricchezze od almeno gli alti redditi , i munifici stipendi ; adottare e magari imporre un tenore di vita semplice , di cui le amministrazioni pubbliche dessero l ' esempio con la modestia degli edifici , con i viaggi dei ministri in forma dimessa . Ma il suo spirito avrebbe voluto che pure i più umili volessero servire la cosa pubblica , che impiegati ed operai considerassero l ' azienda pubblica come loro , non già quale l ' avversario più debole cui più si può chiedere ; che accettassero la disciplina , sentissero il bene della collettività più forte della solidarietà di classe , fossero i primi a mostrarsi inesorabili contro i compagni disonesti ed infingardi . Questa era la premessa alle nazionalizzazioni . Si tradisce quello spirito quando si vuole che nel pubblico impiego , nella stessa magistratura , non si selezionino i più capaci , si dia il bando ad esami e concorsi , si leghi la carriera alla anzianità . Lo spirito della Resistenza era di un esercito pronto a tutti i sacrifici , ma espressione di una nazione pacifica , che non conoscesse corpi particolari , arditi o paracadutisti , cui la guerra apparisse bella . Di una magistratura che partisse sempre dalla presunzione dell ' innocenza ed anche della dignità del cittadino , e che non si ponesse come regola che la parola del cittadino non possa mai essere creduta contro quella di chi detiene una parte qualsiasi di potere . Se così si fissasse lo spirito della Resistenza , si vedrebbe quanti realmente lo onorano e quanti lo aborrono ; ed anche rispetto al comunismo sarebbe dato fissare in quali punti sia con esso incompatibile . Certo si assottiglierebbe molto il numero di coloro che oggi inneggiano alla Resistenza . Ma son certo che " se cosa di qua in ciel si cura " , quanti caddero per la Resistenza sarebbero ben lieti di vedere dimenticati i loro nomi , senza un fiore le loro lapidi , pur che restassero vivi ( fosse pure coltivati da una minoranza ) quei valori per cui essi s ' immolarono .