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Le transizioni incompiute ( Matvejevic Predrag , 1999 )
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Nella maggior parte dei paesi dell ' Est non c ' è stato solo un crollo del sistema politico , la società stessa è esplosa . Il post - comunismo non è ancora riuscito a " raggiungere " i regimi che si dicevano comunisti ( livello di vita e di produzione , diversi tipi di scambi , economici e culturali , sicurezza sociale , ecc ) . Questa considerazione non ha lo scopo di riabilitare le pratiche del comunismo stalinista ( ovvero del " socialismo reale " ) e neppure di giustificare qualsiasi forma di ciò che viene chiamato , in modo poco preciso e troppo generico , il post - comunismo . Certi fenomeni che ci riproponiamo di evocare si riscontrano ben al di là dell ' " Altra Europa " . Quello che succede oggi nel Kosovo , che è accaduto ieri in Bosnia , può riprodursi in vari altri luoghi . Nell ' Est dell ' Europa - e analogamente in molti punti della costa mediterranea e del suo entroterra - le transizioni durano molto più a lungo del previsto . Riescono soltanto eccezionalmente a diventare vere trasformazioni , e , quando ci riescono , i risultati sembrano spesso desolanti , talvolta tragici . Abbiamo potuto constatarlo nei paesi che furono sottomessi all ' Urss e anche in ex - Jugoslavia , in Albania e altrove - nel Sud del Mediterraneo , non solo in Algeria . Il cattivo odore dell ' ancien régime ristagna ancora in molte aree del nostro continente e fuori di esso . Un ' atmosfera avariata si diffonde sul litorale mediterraneo , da Levante a Ponente . L ' Unione europea si preoccupa poco del suo proprio Sud e dello stesso Mediterraneo : dalle sue rive molti constatano , con amarezza , che si sta costruendo " un ' Europa senza la culla dell ' Europa " . Sugli spazi molto estesi di un " mondo ex " , ci si confronta con una realtà che sembra già compiuta pur senza concludersi . è una situazione difficile da sopportare e dalla quale non ci si riesce facilmente ad affrancare . " Paludismo morale e sociale nello stesso tempo " , sarebbe una diagnosi abbastanza approssimativa di questo stato d ' animo . Molti becchini si danno invano da fare , senza riuscire a sbarazzarsi delle spoglie . è un ruolo tutt ' altro che gradevole . Più di un regime proclama in modo ostentato la democrazia senza pervenire a fornirne un ' apparenza un poco credibile : tra passato e presente si determina uno iato , tra presente e avvenire l ' ibrido incontro tra un auspicio di emancipazione e un residuo di assoggettamento . Da più di sette anni , io chiamo questo non - luogo ambiguo con il nome di democratura . Non so quanto si attagli esattamente alla realtà che vorrei definire nell ' Altra Europa e altrove . Vi incontriamo molti eredi senza eredità . Si fanno spartizioni senza che rimanga granché da spartire . Si è creduto di conquistare il presente e non si riesce a dominare il passato . Vi nascono certe libertà senza che si sappia sempre cosa farne e rischiando di abusarne . In quei paesi è stato necessario difendere un patrimonio nazionale - ed oggi bisogna difendersi da quello stesso patrimonio . Altrettanto dicasi per la memoria : si doveva salvaguardarla - ed essa sembra adesso voler punire quelli che la volevano salvare . I regimi totalitari lasciano dietro di sé un ' ansia di totalitarismo . Le nazioni marginalizzate dalla storia , con l ' aspirazione di farsi avanti , coltivano uno storicismo retrogrado . Si possono comparare alcune tendenze più promettenti , e le speranze che esse portano con sé , a corsi d ' acqua che si prosciugano , spariscono nella sabbia o nelle crepe del suolo . Il suolo della storia è pieno di crepe e le sabbie sono spesso mobili . So bene che non si possono generalizzare queste constatazioni appositamente forzate : ciò che vale per l ' Albania o per l ' Algeria , e per certi paesi che facevano parte dell ' ex - Jugoslavia - in primo luogo il Kosovo o la Bosnia - non può essere applicato allo stesso titolo per la Bulgaria , la Romania o la Russia . La situazione bulgara , rumena o russa non è invece comparabile con quella dell ' Ungheria , della Polonia o , soprattutto , con quella della Repubblica Ceca . Quella della Croazia , della Slovenia e della Serbia sono differenti . Comunque sia , ci sono delle somiglianze che si ritrovano in diversi di quei paesi europei o balcanici e anche al di fuori di essi : mancanza di idee - forza e di riferimenti affidabili ; deficienza di valori stabiliti o di esempi probanti ; fallimento delle ideologie e diffidenza nei confronti della politica ; perdita o sviamento di fiducia e di fede . Incertezze e incongruità . Dispersione e disorientamento . Non si tratta più di una semplice crisi culturale , ma di ben altro : di una crisi di credito nella cultura . Il ritorno al passato è soltanto una chimera , il ritorno del passato è una vera sciagura . Riprendere le forme più primitive del capitalismo - che lo stesso capitalismo contemporaneo ha abbandonato - non può sostenere nessun tipo di ricostruzione né incoraggiare rinnovamenti di sorta . L ' idolatria dell ' economia di mercato dà scarsi risultati laddove manca lo stesso mercato , vuol dire la mercanzia ! I risultati della democrazia borghese , che quelle " democrature " cercano di fare propri , non possiedono , nemmeno essi , valori universali . Le conoscenze in materia dei riformatori occasionali sono spesso limitate . Tutte queste diagnosi in sequenza sembrano , bisogna pur ammetterlo , delle lamentazioni . Io stesso talvolta le definisco litanie . " L ' apocalisse c ' è già stata " , mi assicura un amico bosniaco , " bisogna viverla a ritroso , per continuare a vivere " . Nel cuore dell ' Europa , proprio vicino alla " culla " della sua civiltà , abbiamo potuto vedere - ciò vale per chi voleva guardare - più di duecentomila morti , oltre due milioni di esiliati ( profughi , rifugiati , sfollati , deportati , fuggiaschi , espatriati , respinti , espulsi , clandestini ecc - mi rendo conto che la lingua italiana ha tantissime parole per dirlo ) . Si tratta di una vera profusione terminologica o semplicemente di una confusione ? Tanti paesi e città in rovina , ponti ed edifici , scuole e ospedali bombardati e distrutti , templi e monumenti rasi al suolo o profanati , violenze e torture , stupri e umiliazioni , " etnocidi " , " genocidi " , " culturocidi " , " urbicidi " , " memoricidi " : è diventato necessario forgiare tanti nuovi termini dopo Vukovar , Sarajevo , Srebrenica , Mostar e il Kosovo stesso . C ' è da stupirsi se qualche volta i nostri discorsi sono così pessimistici ? Sono probabilmente piuttosto disillusi che disperati .
Sotto le bombe di Radio Guerra ( Arbasino Alberto , 1999 )
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Le guerre postmoderne appaiono cambiatissime , perché si combattono tra le funzioni avanzate nelle tecnologie delle armi contro quelle dei media . Però la gente in gran parte cambia poco , e dunque i danni psicologici e spirituali rimangono più o meno gli stessi . Come ai tempi delle baionette del Duce e dei cinegiornali Luce . Mentre la Storia si rivela una maestra sempre più inutile , per chi non ha memoria . Malgrado quei fantasmi che poi ritornano intatti , come nella psicoanalisi da film di Hitchcock . Basta un po ' di povere rimembranze infantili . Come si vive , cosa si prova e si pensa , sotto le bombe in testa ? Chi ci ha passato mesi e anni , piccolo pseudo - vincitore e poi disgraziato sconfitto , improvvisamente ricorda tutto . Poveri bambini in cantina , fra le esplosioni , ridacchiando come coglioncini su " Re Giorgetto d ' Inghilterra / per paura della guerra / chiede aiuto e protezione / al ministro Ciurcillone " . MENTRE gli studenti più grandi e alla moda saltavano le lezioni e sfilavano in corteo applauditi dalle ragazze più moderne quando scandivano : " Nizza , Savoia , Corsica fatal , Malta baluardo di romanità ! " . E poi gli " eia , eia , alalà ! " in aggregazione e coinvolgimento , con gli inni dei sommergibili rapidi ed invincibili ( o forse invisibili ) , e tutte le Canzoni del Tempo di guerra trasmesse ogni sera dopo il Giornale Radio . Un immenso successo tra i giovani : ci si passavano i fascicoli con parole tipo " colpir , e seppellir , ogni nemico che si incontra sul cammino " . Mentre i più " sophisticated " mondani , sotto le bombe di Roosevelt , invocavano la " Blue Moon " e le stelle d ' America , in italiano : " Ma tu , pallida luna perché ... In questa polvere di stelle vedo te " ... ( Ma solo i più ammirati gagà sussurravano che quella star dust era cocaina : " un leggendario lusso per nababbi ! " ) . Tutte le casalinghe si ripetevano , nelle portinerie : " Siamo nelle mani di una manica di ... Bocca mia taci ! Chissà se quelli ci pensano , a quello che fanno . Qui ci vanno di mezzo i bambini . E i figli sono figli . E chi muore giace . Signora mia , se tutti i grandi della terra si potessero riunire una volta nel mio tinello , gustando il mio famoso sformato si metterebbero d ' accordo in quattro e quattr ' otto " . ( E le nonne : brave , arrivano loro ) . La radio lodava sempre la buona tenuta del Fronte Interno , attentissima nell ' assegnazione di aggettivi - chiave come glorioso , fraterno , miserabile , immancabile , immutabile , immarcescibile ; e si abbandonava a continue mazurche , popolari e autarchiche , e a ritornelli sulla fortuna di vincere al Lotto . Dicevano gli spiritosi da caffè : " Ottimo , disse il presentatore assaggiando il surrogato . Indi vomitò e svenne " . Gli intellettuali si dividevano da sé in caratteristiche categorie d ' epoca : strateghi da tavolino , mormoratori disfattisti , fautori del regime , panciafichisti , pericolosi estremisti , pseudo - idealisti , ascoltatori di radio nemiche ( cioè alleate ) . I giornali erano pieni di " calorose adesioni " . Quanto si aderiva . Soprattutto a " radiose giornate " con sfilate di camerati , legionari , squadristi , militi , massaie rurali , cappellani militari , vedove di guerra , ciechi di guerra , squadre di " baldi giovani " desiderosi di " menare le mani " sotto i labari e i fasci e i gagliardetti e le aquile dei prodi battaglioni universitari e dei brillanti ingegni littoriali . E giù bombe , intanto . Le discussioni nel " fronte interno " erano accanitissime . Ben vengano le bombe alleate perfino su Montecassino e sulla Scala ( perdite rimediabili ) pur di liberare la Patria dall ' infausto regime e consegnarla ai sei partiti democratici . Gli italiani sono remissivi e buoni , bisogna aiutarli a liberarsi di quel buffone , anche a costo di distruggere il Paese . I tedeschi no , sono tutti complici di Hitler , dunque si meritano la distruzione totale . Frattanto , andando e tornando da scuola in bicicletta , si incappava sempre nei rastrellamenti e mitragliamenti tedeschi lungo le strade , nelle sparatorie alleate dai caccia in picchiata ( col tipico sibilo , seguito dal ta - ta - ta e dal rimbalzo dei bossoli ) e nelle vendette porta a porta dei fascisti locali . Dunque si andava a lezione d ' inglese , ci si chiedeva se i cugini irlandesi ( che avevano sempre mandato gli auguri di Natale ) abitassero ancora a Londra dopo il blitz , e se per i prossimi corsi d ' inglese sul posto le pensioni più convenienti sarebbero ancora a Notting Hill Gate ; e per non portarsi dietro i soldi , se non sarebbe stato il caso di combinare dei cambi " au pair " con i primi conoscenti inglesi in arrivo dopo la guerra . Scarse le differenze con l ' oggi . Hitler lo si vedeva nei cinegiornali , anche più spesso di Mao negli anni sessanta , ogni volta che si andava a un film con Alida Valli o Amedeo Nazzari o Totò ; e non veniva in mente di paragonarlo a nessun altro . L ' Eiar faceva in pratica da sé un blob fra guerra e varietà e canzoncine pubblicitarie , come in ogni zapping attuale . Mancavano i complessini musicali che invocano la pace sotto sigle tipo " Attack " o " Kombat " . E gli intellettuali dell ' ancorché e del benché non facevano la fila per sottoscrivere i loro sebbene e quantunque . Anzi , la cacciata del Duce da parte del Gran Consiglio ( allora liquidata dalle brave nonne con " finalmente un briciolo di buon senso , santa Madonna " ) diventerà un gesto fra i più coraggiosi del Novecento italiano , fra giganti della disobbedienza civile come Eduardo ( " nun me piace o ' presepe " ) e Montale ( " ciò che non siamo , ciò che non vogliamo " ) .
Mai più la guerra. Mai più Auschwitz ( Sofri Adriano , 1999 )
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Con la " guerra " per il Kosovo viene al pettine il nodo irrisolto del 1945 : fra la lezione che suona " mai più la guerra " e quella che suona " mai più Auschwitz " . Quei due fili si ingarbugliarono e oggi , quando è diventato urgente ridipanarli , ce ne troviamo in mano uno solo alla volta . D ' altro canto , la " guerra " fa appello al " nuovo diritto internazionale " , mettendone alla prova insieme la concezione ispiratrice , e i modi di attuazione . La differenza fra i modi è offuscata , finché l ' attenzione continua a fissarsi su pretese linee di principio , pacifismo o interventismo : e invece è decisiva , come mostra giorno dopo giorno la strategia dei raid aerei . Quest ' ultima ha una storia e un carico simbolico , che non mi sembra meno importante di quello strettamente militare . Menzionando la promessa " Mai più Auschwitz " , non intendo né paragonare la deportazione e gli eccidi in Kosovo alla Shoah , né Milosevic a Hitler - che può essere solo un generico , e allora meritato , insulto . Inoltre , nel " Mai più Auschwitz " , è contenuto il " Mai più Gulag " , benché questa connessione abbia tardato molto a farsi riconoscere . I giudici di Norimberga , e le potenze vincitrici che li avevano insediati , affrontarono due questioni maggiori : la prima , la preservazione futura della pace , e dunque i " crimini contro la pace " ; e l ' altra , i " crimini contro l ' umanità " , incunabolo dell ' odierno diritto all ' ingerenza . Fu la prima a prevalere , al punto che buona parte dell ' accusa si improntò alla nozione ( giuridicamente dubbia ) di " cospirazione " per provocare e attuare la guerra d ' aggressione . I crimini contro l ' umanità , " l ' assassinio , lo sterminio , la schiavizzazione , la deportazione , e ogni atto inumano commesso contro tutte le popolazioni civili , o le persecuzioni per motivi politici , razziali o religiosi ... " furono largamente assorbiti dai " crimini di guerra " , i quali erano invece codificati nel diritto internazionale dall ' inizio del secolo . Lo stesso sterminio degli ebrei , cuore della nuova figura di crimine contro l ' umanità , venne inizialmente trattato come parte del piano per la guerra aggressiva , e della sua esecuzione . Il processo finì nell ' ottobre del 1946 , e tuttavia il peso cruciale di Auschwitz - almeno un milione e 100.000 uccisi , più del 90 per cento ebrei - non vi fu sentito . Quanto alla parola genocidio , coniata da Raphael Lemkin solo nel 1944 , non comparve agli atti del Tribunale militare di Norimberga , e dovette attendere il processo a Eichmann , 1960 , per occupare il centro dell ' accusa . L ' attenzione soverchiante al tema della guerra e della pace nei confronti di quello dei diritti umani , manifesta nell ' orientamento giuridico di Norimberga , ha una faccia civile drammatica e nota , benché mai abbastanza . Vi ricordate del sogno - l ' incubo - del superstite di Auschwitz , raccontato in " Se questo è un uomo " , di tornare e non essere creduto . Di non essere neanche ascoltato . ( Bisogna ricordarsene ora , ascoltando con cautela i racconti di Kukes ) . Comprensibile , no ? In fondo tutti sono usciti da una tragedia , come è stata la guerra , e non hanno orecchie per il racconto altrui , e oltretutto vogliono dimenticare e ricominciare a vivere . A un tale sentimento appartenne anche l ' amara difficoltà di " Se questo è un uomo " a farsi pubblicare , e riconoscere . Ma che spazio trovasse , alla lettera , la Shoah nell ' Europa liberata , lo mostrarono i campi cintati di filo spinato e vigilati con le armi in cui le migliaia di ebrei superstiti vennero rinchiusi , " displaced persons " , gente fuori luogo , dagli Alleati , col generale Patton in testa , prima che Eisenhower lo destituisse . " Fuori posto " , in Europa . Fra i due impegni - mai più guerra , mai più Auschwitz - l ' Europa delle autorità e quella della gente comune non ebbero dubbi , ammesso che intuissero il problema . All ' altro capo della sconfitta , in Giappone , si svolse una vicenda parallela , con due o tre differenze capitali . Intanto , i giapponesi avevano commesso atrocità enormi nel corso delle loro lunga guerra ( fin dalla Manciuria 1931 ) , ma senza un equivalente dell ' antisemitismo e della Shoah . Inoltre il Giappone non fu occupato da un gruppo di potenze vincitrici , come la Germania , bensì dai soli Stati Uniti e anzi da un plenipotenziario assoluto , fino al 1952 , Mac Arthur . Soprattutto , sul Giappone erano state sganciate le bombe atomiche . Hiroshima e Nagasaki furono sentite da ciascuno come un passaggio epocale , benché i bombardamenti convenzionali della Seconda Guerra , la " tempesta incendiaria " su Amburgo o Berlino , o Dresda ( luglio '43 , decine di migliaia di morti nel giro di 14 ore ) , o a Tokyo (84.000 morti in una notte ) avessero causato un numero maggiore di vittime . Il B29 su Hiroshima ne uccise 71.379 . Ma a Hiroshima l ' onnipotenza di una scienza che si rivaleva sulla creazione divina con la distruzione nel nulla , fece strage di persone e cose , ma più ancora rovesciò l ' orizzonte simbolico del mondo . Molti degli stessi giapponesi vollero sentirvi , più che il colpo schiacciante del nemico americano , una specie di vampata sacrificale , nella quale rimuovere le proprie colpe , ed espiare per l ' intero genere umano , tramutando la disfatta in una missione di testimonianza antimilitarista e pacifista . Nel Tribunale militare di Tokyo , gemello di quello di Norimberga , si condannò la cospirazione della cricca militarista e le atrocità ( gli eccidi , gli stupri di massa , le schiavizzazioni delle popolazioni asiatiche conquistate , le sevizie ai prigionieri ) : i " crimini contro l ' umanità " furono assimilati del tutto ai crimini di guerra . La posta dichiarata era la capacità di prevenire la guerra . A Norimberga era stato vietato alle difese dei gerarchi nazisti di rinfacciare i crimini alleati , e soprattutto i bombardamenti delle città ; così a Tokyo per Hiroshima . ( Benché il giudice indiano , Pal , considerasse l ' atomica come il vero crimine contro l ' umanità ) . Ma non influì solo il drastico divieto americano . È stupefacente , di quel Giappone , scoprire come da un giorno all ' altro - i giorni di Hiroshima e dell ' inaudito discorso di resa di Hirohito - un mondo di mentalità e abitudini che sembravano ferree crolli e si capovolga in un ' adesione al modo di vita del vincitore . Il quale portò , con l ' " arrogante idealismo " ( o , in un ' altra definizione , l ' " imperialismo sentimentale " ) che gli era ed è proprio , non solo la manifestazione della sua superpotenza economica a un paese agonizzante di fame , ma anche una radicale riforma democratica della vita associata ( diritti delle donne , liberazione dei prigionieri politici , essenzialmente di sinistra , regole elettorali ecc . ) . Questo complesso di innovazioni fu chiamato , e largamente applaudito , come " rivoluzione dall ' alto " . ( Ho appena letto John W . Dower , " Embracing Defeat . Japan in the Wake of World War II " , New York 1999 , cavandone scoperte forti quanto la mia ignoranza ) . Non è sconvolgente che nel paese di Hiroshima venga adottata l ' immagine di un " alto " da cui arriva il bene ? L ' esplosione riuscita ad Alamogordo è del luglio . Hiroshima del 6 agosto . Tempo a parte , avrebbero gli americani sganciato l ' atomica sulla Germania , in Europa ? I giudizi più affidabili riconoscono una vena di disprezzo razziale nella scelta del Giappone . Quel colpo ebbe comunque una serie di ripercussioni decisive su tutto il mondo . In primo luogo , associò definitivamente ( e , in larga misura , abusivamente ) gli americani all ' idea di un egoismo così cinico da far scegliere un olocausto atomico di civili , militarmente superfluo , per non mettere a repentaglio vite americane . Inoltre , eclissò ogni altro giuramento ( " mai più Auschwitz " ) figurando , da allora in poi , una distruttività totale della guerra , che ne esigeva la trasformazione in un tabù , e della pace in un imperativo senza alternativa . Il mondo si sarebbe spartito d ' ora in poi in un prima e un dopo la bomba . Qualcuno sentiva che il mondo si era diviso in un prima e un dopo Auschwitz . ( E le stesse parole si evocavano per Auschwitz e Hiroshima : impensabile , indicibile ... ) . Ma come arrestarsi davanti alla fine di un mondo , quando si annunciava la fine del mondo ? L ' atomica - tanto più nel colpo raddoppiato di Nagasaki - era stata impiegata anche per avvertire l ' Urss , la quale si gettò al recupero del ritardo , e in pubblico levava la bandiera della difesa della pace contro la potenza aggressiva dell ' America . Il pacifismo apparso universalmente come la lezione da tirare dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale , sarebbe stato segnato dall ' ipoteca sovietica . Più in generale , Hiroshima sarebbe diventata , per un grande e sincero numero di intellettuali e persone comuni in tutto il mondo , l ' argomento da opporre in pubblico all ' anticomunismo , e da mormorarsi in cuor proprio per giustificare le nefandezze dell ' Urss . * * * Nel momento dell ' amministrazione congiunta della vittoria , America e Urss preparavano il terreno della futura sfida . Nella quale un altro fattore era destinato a giocare una parte simbolica rilevante . Alla fine , la Seconda Guerra Mondiale era stata vinta soprattutto da due forze complementari ( così appariva ) : la superiorità economica e tecnologica degli Stati Uniti , e la resistenza umana del popolo russo . La seconda portava il nome glorioso di Stalingrado , la prima il nome terribile di Hiroshima . Una aveva l ' aspetto dell ' aviatore , potente di una potenza distante , che colpiva dall ' alto ; l ' altra le fattezze antiche del fante Ivan , del contadino russo attaccato alla terra , e inestirpabile fino alla morte . ( L ' armata degli Ivan nella sua controffensiva fino al centro di Berlino commise , incitata , un numero incomparabile di stupri : questo si seppe meno , o si " capì " ) . Un tocco peculiare si aggiunge alle immagini opposte , e dà loro il suggello che può dare un libro quando diventa lo schermo attraverso cui riconosciamo il mondo : è il Tolstoj di Guerra e Pace . Sulla sua filigrana si imprime l ' epopea di Stalingrado . ( E vi si ricalca " Vita e destino " , la grande opera di Vasilij Grossman su Stalingrado , gloria di un popolo e insieme del suo tiranno , e anche sugli inferni paralleli di Auschwitz e dei campi " di lavoro " russi ) . Sui suoi personaggi gli intellettuali e i lettori comuni di tanta parte del mondo leggono i nuovi personaggi : Napoleone e Hitler , Kutuzov e i marescialli di Stalin , il soldato contadino Platon Karatajev e le donne e gli uomini difensori del Volga . ( Anche il recente " Stalingrado " dello storico militare Antony Beevor , Rizzoli , viene pubblicizzato col richiamo a Guerra e Pace ) . Primo Levi , cui non sfuggiva la " vergogna del Gulag " , vive e racconta la propria storia attraverso quel filtro . " ... i buoni soldati dell ' Armata Rossa , gli uomini valenti della Russia vecchia e nuova , miti in pace e atroci in guerra ... " . E l ' incontro con il maresciallo Timosenko : " Semjon Konstantinovic Timosenko , l ' eroe della rivoluzione bolscevica , della Carelia e di Stalingrado ... Si intrattenne alla buona con noi italiani , simile al rozzo Kutuzov di Guerra e pace , sul prato , in mezzo alle pentole col pesce in cottura e alla biancheria stesa ... " ( È " La tregua " ) . Su questa idea non posso fermarmi qui : se non per concludere provvisoriamente che vi si trova un ' altra spiegazione dell ' ostinato e dannato attaccamento di tanti a Stalin stesso , e comunque all ' Urss - alla Russia - e alla resistenza invincibile del suo popolo contro l ' invasore . Non era stato Tolstoj , del resto , a " rendere poetica l ' idea della guerra del popolo " ( Grossman ) ? Nella Seconda Guerra , al tempo delle incursioni angloamericane ( la Raf tenne allora il primo posto ) sulle città tedesche , la propaganda nazista non aveva tardato a sfruttare l ' argomento . ( Che ora Bossi è andato a ripetere a memoria ad Aviano ) . Nel 1943 Goebbels aveva parlato del " terrorismo aereo ... prodotto dalle menti malate dei plutocratici distruttori del mondo " . Gli americani furono a lungo riluttanti . Il primo gennaio 1945 il generale Eaker disse : " Non dobbiamo permettere che la storia ci accusi di aver gettato il bombardiere strategico contro l ' uomo della strada " . Più tardi , quell ' anno , un deputato laburista inglese osservò polemicamente che i russi facevano bombardamenti " tattici " e non a " tappeto " , e che ciò li avrebbe autorizzati un giorno ad accusare l ' Occidente capitalistico di macchiarsi di quella viltà . Dal '45 in poi , questo stereotipo ( che è tale nonostante sia parzialmente fondato ) si è confermato , sul versante americano : sprofondato com ' è il versante opposto . Gli americani hanno combattuto altre guerre lontane : per tenere i confini dell ' impero , o per difendere una fede civile . La stessa distanza - malvista dagli altri come il privilegio di chi non subisce la guerra a casa propria , o ammirata come una generosità che li porta a morire lontano da casa - appare come una conferma della loro prepotenza : americani , quasi marziani . Arrivano dall ' alto , bombardano : come in Corea ( benché ne siano morti 35.000 ) , come in Vietnam (58.000), come , teatralmente , in Iraq , come , provvidenzialmente , in Bosnia . In Vietnam , erano i B52 del napalm e le falcidie degli elicotteri . ( Un giorno il generale Westmoreland , informato della presenza di Giap in una località nordvietnamita , le aveva fatto sganciare sopra mille tonnellate di bombe . Per un uomo piccolo come Giap ... Non è un caso che in questi giorni i vietnamiti abbiamo mandato ai serbi messaggi e auguri in cui si identificano con loro . Su questa immagine - la bomba in alto , il piccolo combattente in basso - si modellò il terzomondismo ) . L ' evoluzione della tecnologia ( gli aerei " invisibili " , culmine di questa simbolica sottrazione possente e codarda al corpo a corpo ) e dello spirito pubblico , non ha fatto che accentuare la distanza dal campo di battaglia . In Iraq la sproporzione è stata madornale : però , dove doveva valere a proteggere le vite stesse del nemico , approdò a una carneficina , benché a cifre differite . Ma le stesse ragioni che spingono in questo senso - il progresso scientifico , il valore assegnato alla vita dei singoli " nostri " - esigono anche di radicalizzare la differenza fra una guerra che si vuole " giusta " , o piuttosto inevitabile , e una ingiusta . Differenza che non può esaurirsi nel movente , né nel fine : ma sta altrettanto nel modo in cui viene condotta . Se no , la generazione " del Vietnam " nei governi rischia di ridursi alla novità di una sinistra che firma ora lei le cose di destra . Ogni scelta militare è contemporaneamente una comunicazione rivolta a chi la sostiene , e a maggior ragione a chi la subisce , cui dichiara per quale idea , per quale convivenza si sta combattendo . Non sono capace di valutare i termini militari di un problema . Al tempo stesso sento che non posso eluderlo : non si può restare alla convenzione per cui , una volta accettata la necessità della guerra , tutto passa nelle mani dei militari . Con tutta la timidezza , i termini militari della " guerra " iniziata il 24 marzo , sembrano anche a me , convinto della necessità dell ' impiego della forza per il Kosovo , amaramente insoddisfacenti . La guerra , una volta intrapresa , esige il prossimo passo con la ineluttabilità del fatto compiuto . Contati i morti e la devastazione nel campo " nostro " e " nemico " , e tanto più il disastro vergognoso dei deportati e fuggiaschi : chi di noi , il primo giorno , vi avrebbe acconsentito ? Non io : neanche , credo , il generale Clark . Ora il punto è questo , e duro , perché non si tratta di non perdere la faccia - fra i privilegi invidiabili della libertà e della democrazia c ' è la disponibilità a perdere la faccia , persino volentieri - ma di ratificare il deserto del Kosovo , le vittime di cui è seminato , i cacciati , e l ' impunità della gang di Belgrado . In termini nient ' affatto militari , io penso che né gli americani , né noi , possiamo sottovalutare il costo dello stereotipo della guerra asettica ( per chi la conduce ) , dei raid e dei bombardamenti aerei , senza faccia e senza nome , salvo qualche incidente sacrilego , come l ' abbattimento dello Stealth , e la danza tribale sulla sua carcassa della razza di chi rimane a terra . C ' è un solo punto in cui le due promesse ( " mai più guerra " , e " mai più Auschwitz " ) possono ricongiungersi : e sta nel modo in cui il mondo del " nuovo diritto " sceglie di battersi . Il mondo libero non seppe e non volle bombardare Oswiecim , e non potrà esserne perdonato . Quanto alla legittimità , " quando la casa brucia , non è il caso di chiedere la legittimità dei pompieri " ( Günther Anders ) . Ma non è detto che debba ora ridursi all ' intransigenza del bombardamento celeste . Ha scritto , ferocemente , Pierre Vidal - Naquet : " Fare la guerra senza prendersi i propri rischi , vuol dire aggravare il fossato fra il mondo dei ricchi e quello dei poveri ; non è combattere , è praticare una specie di tortura aerea : parla , o ti colpisco ... " . Joschka Fischer , sul quale pesa la prova più delicata della nuova classe dirigente europea , ha detto : " Noi siamo la generazione che si è promessa " Mai più guerra " e " Mai più Auschwitz " " . Così dovrebbe essere , ma è un po ' più complicato . Nelle mani dei pacifisti , sinceri o abusivi , rischia di restare solo il filo del NO alla guerra , a costo dell ' omissione di soccorso . Nelle nostre mani , l ' urgenza del soccorso rischia di delegare per intero il problema ai pompieri , che a volte , per deformazione professionale , sono incendiari .
Non c'è risposta all'enigma della guerra ( Ceronetti Guido , 1999 )
StampaQuotidiana ,
Caro direttore , alla tua richiesta di un mio intervento sul vostro giornale rispondo con imbarazzo : l ' aggiunta di una mia opinione circa la guerra eurobalcanica può avere il solo effetto di non portare nessun chiarimento e trovo giusto che questa indigesta Cosa sia pensata col meno d ' influenze possibili . Influenzare è tradire . La sfinge pone enigmi su enigmi : davanti a lei siamo nudi e bisogna rispondere , senza suggeritori . Ma la mia invidia va tutta agli inviati , perché nulla vale quanto una testimonianza diretta o un ' immagine scattata sul posto , per ispirazione , da un Capa , da un UP di turno . Posso proporre qui di seguito alcuni argomenti , necessariamente accennati in fretta , come me li sgrana il cuore . Guerre del secolo - Forse un ' unica guerra escatologica percorre il secolo a partire dalla irrimediabile rottura della diga nel 1914 , anno demiurgico . Anche questa ne è un sussulto , una convulsione , un rigurgito . Finirà , dunque , senza finire . Dentro il frantoio , l ' oliva patisce . Responsabilità , cause - Essendomi quasi impossibile considerare come realmente libera , non determinata , la volontà umana , non c ' è catena di eventi che non mi appaia soggetta a Fatum , a Necessità , a un potere divino unico o a potenze extraumane intermedie , agli astri , al Karma , al Destino ... Il pensiero tradizionale dà quel che sa e può . Ecco : vedo un errore fondamentale nel credere errori gli errori . Non ci sono che errori , in questa faccenda sinistra , e questo rende dubbio che ce ne siano . Quando tengo in mano una marionetta ho in mano l ' uomo e il suo fato , se voglio buttarlo giù va giù : mi arrivano come segnali Quasar , attraverso il filo , i suoi messaggi incondizionabili , troppo deboli per contare . La marionetta può avere oggi tutti i nomi dei personaggi del giorno , dai più famosi ai più oscuri : tutti i suoi sbattimenti sono regolati dal filo . Anche le loro parole : un copione di autore ignoto ... Chi può dire falsi i loro passi falsi , giusti i loro passi giusti ? È amaro avere un ruolo : ma meglio di vittima che di boia ... La storia si ripete perché il Destino è una barba . Riporto questo pensiero , più taoista che cristiano , folle s ' intende , di Léon Bloy in piena tenebra 1916 : " Poiché il tempo in Dio non esiste , l ' inesplicabile vittoria della Marna potrebbe essere stata decisa dall ' umile preghiera di una bambina che non nascerà prima di due secoli " . Civili e militari - Dalle guerre che risparmiavano i civili e sacrificavano i militari siamo passati alla parità di sacrificio tra 1940 e 1945 , con forte sbilanciamento finale a danno dei civili . ( Tutti tornati a casa quelli dell ' Enola Gay , ma là sotto ... ) . Poi la marcia è andata così : via via più macellati i civili e sempre meno ( esclusi quelli di Giap ) i militari . Strano no ? Chi fa la guerra di professione non sarà più toccato , protetto come un semidio ; chi non la fa dovrà bersela tutta , il fronte è Ogni Luogo ... Da qui un sospetto , che mi è quasi certezza : che siano guerre alla specie in quanto tale ( anche se con nomi di tribù , popoli , religioni ) tutte quelle in atto , comprese le terroristiche , le teocratiche , le mafiose . La violenza alle donne è guerra alla specie . Nel lavoro delle multinazionali dell ' alimentazione e del farmaco è in corso da tempo una gigantesca manovra a tenaglia di guerra alla specie . Dove si spara l ' obiettivo vero è l ' inerme , la gambetta nuda , la casa coi ricordi . Talvolta la malvagità è evidente , ma c ' è spesso ( lo si vede anche in questa guerra ) capovolgimento di fini nel corso stesso delle azioni , e strumenti di sublime precisione conducono proprio nel punto dove c ' è da squarciare e spegnere carne indifesa . E chi può negoziarla una guerra alla specie , ora conscia ora inconsciente , quale diplomazia , quale Chiesa ? Le cosiddette " buone volontà " , quando non siano finzioni pure , non sono in grado di arginare e di contrapporsi perché non comprendono di quale natura sia il fuoco che ne irride le schiume . Tutti oltrepassa l ' Inconcepibile . Piloti di bombardieri - L ' immortalità quasi sfiorata ... L ' invulnerabilità e la sopravvivenza quasi garantite a un tempo . Il mezzo aereo che sfugge ai proiettili , lo sperma in banca . Carne , sì , certo : eppure non più del tutto : al di là del rischio mortale non c ' è che l ' ombra ... In queste figure mimetiche , esseri futuri , individualità smorte stanno sorgendo ... Se muoiono , la moglie resta incinta di un loro figlio , a Chicago , l ' anno dopo , o più tardi ancora . Può metterlo al mondo - menopausa rinviata - anche tra dieci , quindici anni . Avere dello sperma surgelato in luogo sicuro è macchina del tempo , corazza fatata ... Questa iperumanità sorgente , procreatrice oltre la propria morte , può causare , alla semplice umanità interamente mortale , che ha sperma in canalini poveri , molta sofferenza . Bambini - Ma quanti bambini ! Quanti kosovarini ! Fiumane ... E gli tocca un patimento simile ! E tenuti per mano o in braccio da madri in gravidanza ... Tende intere , vere infantopoli ... Ogni famiglia ne ha almeno sei , otto , una normalità di follia ... Sarà perché islamici ? Perché indifferenti ? Questo rivela una insensibilità maschile da urlo : non si può ridurre le donne a coniglie , non è lecito procreare a quel modo quando da dodici anni covava e serpeggiava la vendetta di Milosevic , ora esplosa in sterminio e deportazione . Prima del fucile , il preservativo ! In una macelleria li hanno messi al mondo , per agitare dai carri e dai vetri le braccine , per respirare il sangue del padre crivellato ! La pillola del giorno dopo arriva tardi , ma benedetta se risparmia altre dismisure di sofferenza . Chi gli porta pane e coperte , a quelle donne disperate , gli insegni a essere donne e non coniglie ... che limitare le nascite è un dovere civile e umano e kosovaro da anteporre ad ogni sottomissione ... Bruciati anche i registri , la malavita in agguato sulla linea di confine , quei bambini sono figli di Rudyard Kipling , affidati alle tigri ! E scaraventati nelle giungle d ' asfalto delle città d ' Occidente che cosa diventeranno ? Per non concludere - Domande tante ne posso fare , risposte non ne so dare . La " lucida analisi " non è il mio forte . Solo sento gravare , onnipresente , la sfinge . Sento la verità infallibile del verso di Miguel Hernández durante la Guerra Civil : " Quale abisso si svela - tra l ' ulivo e l ' uomo ! " - questa è una radura chiara . Immagini mute , pietose , gettano enigmi .
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L ' occhio del missile inquadra il manufatto a forma di ponte , il cerchio si restringe , diventa un punto e , vai John , il punto diventa una palla di fuoco finché nella scatola nera compare la scritta deleted . Nel videogioco della guerra dal cielo , la distruzione pare un atto grammaticale , la declinazione di un participio passato . Anche la distruzione dei ponti . Vengono giù uno dopo l ' altro , in queste settimane di raid . Sul Danubio , sulla Morava e altri fiumi che non avevamo mai sentito prima . Dopo l ' impatto restano lì , con i tronconi nel vuoto . Ma non sono materia inerte . Lanciano avvertimenti a qualcuno . In una terra che è di per sé un ponte tra i mondi , i ponti hanno ancora un significato speciale , che da noi si è perduto . Ogni ponte che cade è un confine in più e una possibilità di riconciliazione in meno . In otto anni di guerra i ponti più antichi sono stati distrutti più per sradicare i simboli dell ' appartenenza che per motivi militari . E d ' istinto i giovani di Belgrado hanno scelto , in questi giorni , di fare da scudi umani con i loro canti e balli non accanto alle chiese o ai monumenti , ma lungo i ponti sulla Sava . " Ovunque nel mondo , in qualsiasi posto il mio pensiero vada o si arresti - scrive Ivo Andric nel suo Ponte sulla Drina - trova fedeli e operosi ponti , come eterno e mai soddisfatto desiderio dell ' uomo di collegare , pacificare e unire tutto ciò che appare davanti al nostro spirito , ai nostri occhi , ai nostri piedi , affinché non ci siano divisioni , contrasti , distacchi " . I ponti , scrive ancora il Nobel jugoslavo , sono più importanti delle case , più sacri e più utili dei templi ; " appartengono a tutti e sono uguali per tutti , sempre sensatamente costruiti nel punto in cui si incrocia la maggior parte delle necessità umane " . Abbiamo dimenticato che i ponti sono condensati di simboli . Una volta , nel nostro mondo , chi li costruiva era definito con una parola di speciale rispetto , pontifex , quasi il sovrappasso dell ' acqua richiedesse un patto col Grande Spirito . La più alta carica della cristianità cattolica fu chiamata allo stesso modo : se il diavolo è " colui che divide " , il pontefice è " colui che unisce " . Allo stesso modo , se la costruzione del ponte è la più sublime delle ingegnerie , il suo abbattimento è la più impressionante delle distruzioni . " Sprofondano i ponti - commentava in questi giorni lo scrittore bosniaco Bozidar Stanisic - abbattuti dalla cultura della morte e della non speranza " . Un ponte che cade è come una bestia che si piega sulle ginocchia dopo il colpo alla cervice . Lancia un segnale cosmico , spezza qualcosa nell ' universo . Quando cadde il ponte di Mostar non fu un videogioco . Sprofondò nell ' abisso , per un attimo acquistò una pesantezza che non aveva mai avuto , poi si smaterializzò nella gola della Neretva . Rimase - e sarebbe rimasta a lungo - la parabola sospesa di un ponte che non c ' era , tesa fra i due tronconi che si chiamavano . Poi sorse un pianeta enorme , giallo - cartapesta , dai monti lunari dell ' Erzegovina . Solo allora si vide la data . Era il 9 novembre 1993 , quarto anniversario della caduta del muro di Berlino . Si vide che , con lo Stari Most , era franata l ' illusione che la fine del comunismo sarebbe stata , per i popoli , una festa di primavera . Solo allora tacquero i mortai e abbaiarono i cani . Tre estati prima fu proprio quel ponte a dire che la guerra arrivava . Era sera , la brezza mediterranea entrava nella gola . Il fiume era gonfio , la settimana prima era piovuto , e i ragazzini si arrampicavano per un sentierino dopo i tuffi . Già si sparava in Croazia , ma la Bosnia emanava una pace infinita . Un vecchio venditore di souvenir ci offrì un caffè sul belvedere . Sedemmo sulla panca in pietra alta sulla Neretva , mangiammo piccoli dolci a forma di mezzaluna , parlammo di cose leggere . Solo al momento di congedarci il vecchio ci disse quasi con noncuranza : questa è l ' ultima estate di pace . Il pittore di Mostar Affan Ramic era un uomo piccolo e scolpito di rughe . Lo incontrai a Sarajevo un giorno del '94 , durante l ' assedio . In un angolo in penombra , incideva su una tavola di legno il nome di suo figlio , morto al fronte pochi giorni prima . Parlò di come ne avrebbe preparato la tomba . Poi raccontò di Mostar , del ponte che non c ' era più : solo allora pianse , disperatamente . Capii che quel ponte non era un manufatto , come per noi e il soldato John . Era il luogo della memoria che dava senso alla sua vita e persino alla morte di suo figlio . Allora tutto si illuminò di senso : dai fascisti croati lo Stari Most era stato abbattuto per questo . Per negare ai bosniaci il diritto alla memoria . I Balcani non hanno dimenticato i simboli . L ' Oriente ci dice che nella nostra cultura c ' è una finta razionalità , che nessuna bomba è intelligente , che le guerre scatenano nei popoli tempeste identitarie che nessun computer può prevedere . La nostra logica nei Balcani non funziona . Un giorno chiesi allo scrittore bosniaco Miljenko Jergovic se scrivere , di fronte a una guerra , non fosse abbaiare alla luna . Rispose che abbaiare alla luna serviva eccome : se i cani non protestassero , la luna resterebbe sempre piena . E se non ci fosse il vento , le ragnatele avrebbero già riempito il cielo intero . Poi parlò dello Stari Most , disse di Harjudin , l ' architetto turco che lo fece . Quando la gente vide quella sfida all ' abisso , disse : non reggerà . E invece durò tre secoli . Anche per raggiungere l ' Aldilà , secondo la mitologia d ' Oriente , l ' uomo deve attraversare un ponte sottile come un capello e affilato come una spada . Quel ponte celeste si chiamava " Sirat Cuprija " , e per poterlo passare l ' uomo doveva essere puro di cuore . Jergovic disse che quel mondo desertificato dalla guerra , dove le colline e i tumuli si confondevano , ancora emanava la voce delle cose perdute . I ponti , specialmente . Tutta la guerra in Jugoslavia sembra concentrarsi sui ponti . Nel videotape della memoria ricompare quello della Maslenica , tra Fiume e Zara , in un surreale silenzio , all ' ombra del monte Velebit che da duemila metri precipita su un mare cobalto . L ' esercito serbo l ' aveva preso a cannonate , spezzando in due la Dalmazia , e tutto il traffico croato era affidato alla spola di un traghetto tra la terraferma e l ' isola di Pago . Un ingorgo impressionante di uomini , armi , merci e animali . Il ponte di Visegrad , quello raccontato da Andric , lo vidi da lontano nell ' estate '92 , intatto , indifferente all ' inferno che era diventata la gola della Drina e ai cadaveri che scendevano lungo il fiume . A Bajna Basta , poco a valle , gruppi di banditi organizzavano i weekend di guerra . Partivano cantando sul ponte , e sul ponte tornavano carichi di masserizie rubate . Bastava star lì per capire cos ' era davvero quella sporca guerra . Una rapina su scala industriale . Stranamente , i montanari serbi agli ordini di Karadzic non abbatterono ponti a Sarajevo . Bombardarono moschee , biblioteche , persino i cimiteri , ma non i ponti . Eppure ce n ' erano tantissimi : Sarajevo è una città costruita sui due lati di una valle , e il fiume è la sua colonna vertebrale . Spezzarla sarebbe stato facilissimo . Non lo fecero , forse per superstizione , forse per non distruggere l ' oggetto misterioso e oscuro del loro desiderio . Con lo scrittore Marko Vesovic camminai lungo il fiume verso le gole che portavano al nemico . Disse : da Oriente ci arriva l ' acqua , la fede ( Costantinopoli ) , ma anche tutte le tragedie . Eravamo accanto al ponte dove 80 anni prima un serbo di nome Princip colpì un principe austriaco , dando inizio alla Grande Guerra . E poi i ponti sul Danubio . Da quando sulla Jugoslavia sono stati cancellati i voli , a Belgrado si arriva via terra , attraverso i campi infiniti della Pannonia . Prima che tirassero giù il ponte di Novi Sad , il passaggio del grande fiume , poco oltre la fortezza mitica di Petrovaradin , era come un decollo , una lunga rincorsa tra i ciliegi , un volo sulle acque e il miracolo della loro continuità in mezzo a tante guerre . E ancora , l ' ultimo ponte sulla Sava prima della confluenza col Grande Fiume , sotto la fortezza bianca del Kalemegdan , solitaria nella pianura . è la primavera del '91 , e il Brankov Most trema , invaso da un fiume di studenti in marcia contro un potere che li porta verso la guerra . Per due giorni a Belgrado è la fantasia al potere , esplode la speranza di una rivoluzione di velluto che fiorisce in ritardo , ma con forza balcanica , fantastica e travolgente . Poi i manganelli , i lacrimogeni , i panzer per le strade . E allora , di nuovo su quel ponte , si vide che a Belgrado tutto cominciava e a Belgrado tutto doveva finire . Si comprese che lì , su quella confluenza di acque e di popoli , c ' era il nero e il bianco , tutto il peggio e tutto il meglio di un mondo già alla deriva , un ' isola nella corrente come nell ' epilogo danubiano del film Underground .
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Come si vive ai confini della guerra ? A poche miglia dal conflitto che distrugge terre vicine ? O che priva della loro terra quelli che la storia e la geografia hanno assegnato come nostri vicini ? è questo un genere di domande , come si vede un po ' contorte , che rivelano il disagio della nostra coscienza . Un disagio che un po ' proviamo e un po ' sfruttiamo per mascherare quella che ciascuno di noi , più o meno consapevolmente , avverte come doppia coscienza . E questo perché da una parte siamo ai confini della guerra , e dall ' altra siamo a tutti gli effetti in guerra . SE è vero infatti che gli aerei carichi di missili che piovono su terra serba partono dalle nostre basi , noi siamo " oggettivamente " in guerra con la Serbia . Lo saremo per " ragioni umanitarie " , lo saremo per " fedeltà ai patti atlantici " , ma , qualunque sia la motivazione , noi non siamo ai confini della guerra , ma siamo in guerra . Una strana guerra . Perché " oggettivamente " siamo schierati dalla parte di chi sta distruggendo la Serbia , e " soggettivamente " non abbiamo nulla contro il popolo serbo che consideriamo vittima , non meno della popolazione di etnia albanese cacciata dalla terra del Kosovo . Questa contraddizione tra i nostri comportamenti oggettivi e i nostri sentimenti soggettivi si traduce nel disagio della " doppia coscienza " che attraversa sia quelli che sono favorevoli alla guerra sia quelli che sono contrari , perché gli uni e gli altri vivono la dissociazione tra i loro atti oggettivi ( la distruzione della Serbia ) e i loro sentimenti soggettivi che non riescono a percepire nel popolo serbo il nemico . A questo primo disagio se ne aggiunge un secondo che turba non meno del primo le nostre coscienze . Nelle guerre che abbiamo conosciuto , morti , feriti e distruzioni si distribuivano da entrambe le parti , almeno fino alla fase finale dove una parte aveva il sopravvento sull ' altra . In questa guerra no . Per la prima volta noi siamo in guerra , per ora , senza morti , senza feriti , senza distruzioni . Tutte queste terribili cose stanno dall ' altra parte . Dalla parte dei serbi il cui territorio è stato praticamente distrutto e dalla parte dell ' etnia albanese privata della terra che abitava . Noi , che non siamo solo ai confini della guerra , ma in guerra , possiamo concorrere all ' opera di distruzione della terra di un popolo a noi vicino senza temerne per ora la ritorsione . Questa incolumità , già scontata all ' inizio dei bombardamenti , non lascia intatta la nostra innocenza , come non è mai intatta l ' innocenza del più forte quando entra in conflitto con il più debole . Ma c ' è un terzo disagio avvertito da chi è in guerra e per giunta ai confini della guerra : il disagio dell ' informazione . Giustamente ricca di notizie , di immagini e di sollecitazioni emotive per le sorti della popolazione di etnia albanese cacciata dalle terre che abitava , e ingiustamente povera di notizie e opaca di immagini e sollecitazioni emotive per le sorti della popolazione serba a cui le forze Nato stanno distruggendo la terra . Questa disparità di informazioni porta , tutti noi , anche se non ce lo proponiamo , a identificare senza riserve il popolo serbo con il suo feroce dittatore , con conseguente immediata assoluzione della nostra coscienza che , per effetto di questa identificazione , si trova immediatamente nel giusto , dalla parte cioè del perseguitato ( la popolazione albanese ) contro il persecutore ( la popolazione serba ) . E così con un po ' di semplificazioni , a cui sempre siamo disposti quando il disagio in cui ci troviamo diventa insopportabile , ci assolviamo dal primo conflitto che la nostra coscienza avverte nel trovarsi oggettivamente in guerra col popolo serbo senza essere nei suoi confronti ostile , e dal secondo conflitto che ci vede in guerra nella condizione di incolumi . QUESTA condizione di " coscienza lacerata " , in cui il conflitto jugoslavo da un lato e la nostra Alleanza atlantica dall ' altro ci hanno collocato , genera un ' ultima sensazione di disagio , forse la più grave che non si concluderà con la fine della guerra . Abbiamo rinunciato a considerare noi stessi ( i popoli , le classi , le nazioni ) come soggetti della storia , e al loro posto abbiamo collocato altri soggetti della storia . Si tratta di soggetti un po ' astratti , poco percepibili dagli individui e dai popoli come le regole di Maastricht per fare l ' Europa , la potenza militare atlantica per mantenere l ' ordine del mondo , l ' Onu per decidere a seconda delle convenienze economico - politiche dove , a parità di tragedie , è opportuno o non opportuno intervenire , per cui individui e popoli sentono ogni giorno di meno di appartenere alla storia ( che di loro dovrebbe essere , se no di chi ? ) , e venendo meno questo senso di appartenenza avvertono ogni giorno di più di essere co - storici , quando non addirittura a - storici . Tale penso si senta il popolo di etnia albanese cacciato dalle terre kosovare che abitava , il popolo serbo che forse non ha granché da spartire con il dittatore che lo governa ( ma come in Iraq il popolo paga duramente , e il dittatore continua a essere un interlocutore ) , e infine anche il popolo d ' Occidente che entra ed esce incolume da una guerra " oggettiva " , " soggettivamente " non percepita . Questa condizione co - storica o a - storica , a cui la politica in epoca di globalizzazione sta conducendo individui e popoli , genera in Occidente quel qualunquismo generalizzato che nasce dall ' impotenza che ogni individuo e ogni popolo constata di fronte a quelle entità un po ' astratte e scarsamente percepibili , perché di natura tecnica , economica e politica , divenute , sopra la testa degli individui e dei popoli , i veri soggetti storici , rispetto ai quali individui e popoli sono ricacciati nella grettezza del loro egoismo e particolarismo , senza più capacità o voglia di reazione . Il diffondersi di questa cultura dell ' impotenza ( dove la libertà si riduce a quella di ubbidire o disubbidire , e la democrazia alla manipolazione mediatica del consenso per via emotiva ) è un fatto molto pericoloso che proietta la sua ombra al di là di questa guerra , in uno scenario caratterizzato dall ' indifferenza politica dei popoli ben nutriti e nella sofferenza politica dei popoli mal nutriti . Ed è questo il maggior disagio che la coscienza di noi in guerra , ai confini della guerra , avverte come condizione mortificante e avvilente , perché questo sembra il nuovo corso della storia e decisamente insufficienti sembrano i mezzi a disposizione degli individui e dei popoli per modificarlo .
Dio, patria e Rock'N'Roll ( Serra Michele , 1999 )
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Tra un ragazzo praghese che offriva fiori ai carristi russi e un ragazzo occidentale che manifestava contro la guerra nel Vietnam non era facile , a partire dai blue - jeans e dai capelli lunghi , marcare le differenze . C ' è stato un tempo , tutto sommato lungo ( diciamo , grosso modo , da Easy Rider ai rave -party...), nel quale ci è parso che il cosmopolitismo fosse , per i giovani del mondo quasi intero , un destino inevitabile e soprattutto condiviso . Oggi gli studenti di Belgrado cresciuti a rock ' n ' roll rivoltano il loro stesso ritmo contro i sorvoli Nato . Ed è come assistere al disastro finale di un tacito , lunghissimo Piano Marshall infine vomitato dai suoi destinatari in faccia al mittente . I loro omologhi montenegrini disertano per non obbedire a Milosevic , preferendo onorare remote pulsioni micronazionali , memorie di re antichissimi , Lari e Penati i cui frantumi vengono ricomposti con devozione certosina , e furore quasi medianico , davanti ai focolari domestici . Ovunque rivegetano radici profonde e dimenticate , e sbucano dal suolo superficialmente mondializzato i fantasmi delle identità ancestrali : ossari di battaglie vecchie di secoli , santi vendicatori della fede , martiri della Nazione , decrepite date che ricominciano a sanguinare . I satelliti , che vagamente e forse presuntuosamente identificano in un campo smosso di fresco le tracce di una fossa comune , non riescono a sorvegliare e neppure a indovinare questo sinistro e rigoglioso risorgimento , che pure muta il territorio , e la sua percezione , ben più di quanto vogliano o possano gli eserciti e i bombardamenti . Se sono i vecchi pope maledicenti , gli anziani governanti , i consumati generali a predicare la guerra , sono poi i giovani , gli studenti , gli adolescenti ad accettarla , a farla e a sostenerne , sempre , ovunque , il maggior peso emotivo . Sono giovani i volontari russi che scalpitano per andare a battersi in Serbia , giovani i manifestanti di Belgrado , giovani i top - gun americani , tedeschi , francesi , italiani . Per la prima volta nella storia ascoltano la stessa musica , vedono gli stessi film , bevono la stessa birra , bivaccano in caffè e pubs identici , vestono gli stessi panni . Non è bastato , questo , a preservarli dalla guerra più di quanto sia accaduto , cinquant ' anni fa , a un nero americano o a un cosacco o a un siciliano , lontani l ' uno dagli altri quanto le loro diversissime culture , psicologie , antropologie , allora ancora separate , non comunicanti . Solo la guerra , allora , li fece incontrare . Oggi la guerra divide ciò che la pace era riuscita miracolosamente - ma quanto fragilmente - a unire . Quanti hanno creduto e sperato ( io pure ) che il cosmpolitismo delle gioventù mondiali , lanciato in groppa allo sfrenato galoppo di consumi culturali assai simili , favorito dai viaggi , dagli incontri , dalla condivisione di un ' identità e addirittura di un pathos giovanile comune , potesse favorire una convivenza meno bellicosa tra i popoli e le culture , devono ricredersi , e costringersi a ri - ragionare su moltissime cose . è come se una foresta dalla chioma uniforme ricominciasse a manifestare l ' irrimediabile differenza delle sue radici . Che gli umori rimessi in circolo da queste radici siano spesso velenosi e altrettanto spesso pretestuosi , posticci come può esserlo il culto di identità etniche ormai cancellate dalle migrazioni e dalla storia , è cosa che rende ancora più grave il fallimento della precedente , supposta uniformità delle speranze e delle buone volontà . Ben superficiale doveva essere la patina del cosmopolitismo , se a bucarla ovunque sono le minute ma acute pulsioni etniche : evidentemente , e purtroppo , per molti è più desiderabile ed efficace un ' identità locale , per quanto imparaticcia , piuttosto di un molto generico passaporto di cittadino del mondo , di quelli che sognavano i beatnik e gli studenti " alla pari " valicando decine di frontiere in autostop . Toccherà interrogarsi , di qui in poi , sulla precarietà e forse sulla stessa legittimità di un ' idea di concittadinanza , di amicizia , di somiglianza che ha viaggiato , per decenni e per due generazioni almeno , solo a cavallo dei consumi , culturali e non . Che molti di noi , per due generazioni almeno , abbiano saputo aggiungere a un disco , a un paio di jeans , a un ostello promiscuo anche il serio e maturo sogno di sentirsi a casa anche in casa altrui , non toglie evidenza , e drammaticità , allo spaesamento che questa promiscuità , al contrario , produce in tanti altri , e oggi specialmente in tanti giovani . Un mostruoso , ricchissimo catalogo di risposte false ( ma percepite come utili , e risolutive ) sforna in mezzo mondo quantità industriali di nuove identità . Escono dai bauli vecchie uniformi , vecchie icone , vecchi " Dio è con noi " che propongono il confortante calore della tribù . L ' illusione che a mondializzare il mondo bastasse il mercato non pare , in questi giorni , meno patetica dell ' illusione internazionalista , al cui ritirarsi , come quando la marea arretra , sono tornati alla luce tutti i rottami del nazionalismo , e neanche troppo arrugginiti . L ' identità delle persone e dei popoli è , evidentemente , una faccenda ben più complessa e ambigua di quanto risulti dai gloriosi grafici che illustrano la penetrazione delle merci , la rapidità di circolazione delle notizie , l ' incremento esponenziale del turismo , i matrimoni misti tra capitali finanziari e azioni . In mezzo a questa spaventosa crisi c ' è di buono , almeno , che i concetti di reazione e progresso , pur ridisegnandosi , riacquistano senso , e un senso bene intelligibile e spendibile . Tipicamente reazionario è ripudiare lo spaesamento della mondializzazione riaprendo i vecchi bauli della razza e della nazione . Tipicamente ( e disperatamente , oggi ) progressista è ricominciare a chiedersi quali strade sminare , quali frontiere dismettere perché nuovamente si possano incontrare e parlare , domani , coloro che la guerra divide : i giovani soldati e i giovani profughi , prima di tutto , perché toccherà a loro , per forza , riprendere il cammino di una vita che per i capi di oggi , che sono i giovani di ieri , è meno promettente , e molto più breve . Internet , musica e cinema , viaggi geografici e quelli virtuali , chissà . Purché si possa ripartire proprio da quel poco di utile , e di generoso , che la breve era cosmopolita ha lasciato sul campo , disperso e malinconico come le lattine dopo un concerto rock . C ' è , in mezzo alle macerie , un disco rotto da raccattare . Il vantaggio è che ognuno dei reduci , l ' americano , il serbo , il kosovaro , può riconoscere dalle prime note qual è la canzone . È quasi nulla , come vantaggio , ma è forse il solo che ci lascia il nostro secolo lungo .
Le due anime dell'America ( Valli Bernardo , 1999 )
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Henry Kissinger è un classico . Zbigniew Brzezinski è , al contrario , un romantico . Il primo , un americano nato in Baviera da una famiglia ebrea tedesca sfuggita al nazismo , è fedele alla tradizione europea basata sull ' equilibrio delle potenze . Il secondo , un americano di origine cattolica polacca , è vincolato all ' ideologia ed è più brutale , al tempo stesso più innovatore . Da queste posizioni , i due grandi intellettuali , tanto utili per capire i rapporti degli Stati Uniti con il resto del mondo , esprimono ovviamente giudizi assai diversi sulla crisi balcanica . KISSINGER critica le democrazie occidentali ( vale a dire Clinton ) per avere proposto a Rambouillet una soluzione inaccettabile per i serbi e paventa il vuoto che aprirebbe la scomparsa della Serbia dallo scacchiere dei Balcani . All ' opposto Brzezinski è interventista : anche perché ( con slancio polacco ) al di là di Milosevic impegnato a reprimere i kosovari vede il russo Eltsin che ha fatto altrettanto in Cecenia , ed altresì il regime bielorusso " ammiratore di Hitler " , e perciò tanto solidale con quello jugoslavo di Belgrado . Entrambi , Kissinger e Brzezinski , prevedono l ' impiego delle truppe di terra . Kissinger lo considera una conseguenza ineluttabile della campagna in corso : la quale , una volta cominciata , non può più essere sospesa e ancor meno chiusa prima di avere raggiunto l ' obiettivo . La posta in gioco è ormai troppo alta : è in ballo la sopravvivenza della Nato , spina dorsale dell ' impero in un ' area essenziale quale è l ' Europa : quindi irrinunciabile . Anche Brzezinski vede in un eventuale cedimento di fronte a Milosevic il funerale della Nato , ma per lui la discesa degli occidentali al suolo non è la fatale conseguenza dell ' intervento , è un atto dovuto : è il passaggio da una strategia cauta e graduale , insomma insufficiente sul piano militare , a una strategia intensiva e massiccia , la sola risposta appropriata " al genocidio e alla pulizia etnica cui stiamo assistendo " . Mi pare implicita in Brzezinski la condanna definitiva di Milosevic . Come si può trattare con il responsabile di un genocidio ? Egli va del resto oltre suggerendo la confisca dei beni jugoslavi in Occidente al fine di risarcire gli abitanti del Kosovo . Traspare invece in Kissinger la preoccupazione del vuoto che si può creare in Serbia . Il suo vocabolario è comunque più castigato . Dietro questi giudizi sul primo conflitto " caldo " in Europa dal 1945 , si intravedono due visioni del ruolo degli Stati Uniti nel mondo postcomunista , in cui sono rimasti la sola superpotenza in esercizio . Due visioni basate su esperienze dirette circa le possibilità e i limiti dell ' azione americana , essendo sia Kissinger sia Brzezinski due professori universitari , due analisti , due politologi , che hanno lavorato nei meccanismi del potere : il primo come segretario di Stato con Nixon ; il secondo come consigliere per la sicurezza con Carter , e poi consigliere di Reagan durante la crisi polacca , che ha preceduto il crollo dell ' Unione Sovietica ( e , in quello stesso periodo , alleato - complice di Papa Wojtyla : il quale , adesso , nella crisi balcanica , si trova invece sull ' opposto fronte pacifista ) . Potrei certo ricorrere ad altri intellettuali americani con un ' esperienza del genere alle spalle . Penso a James Schlesinger , ex segretario alla Difesa ed ex capo della Cia , autore di Fragmentation and Hubris . A Shaky Basis for American Leadership : in cui si descrive un ' America più dedita agli interessi particolari che agli interessi nazionali , e indifferente alle sorti del mondo , nonostante il potere , la Casa Bianca , gli dedichi appassionati discorsi . Penso anche a Richard Haass , ex collaboratore del National Security Council , autore di Reluctant Sheriff . The United States after the Cold War " : in cui è analizzata proprio la ripugnanza americana a intervenire militarmente con il rischio di perdite umane . Ripugnanza , secondo Haass , che limita e rende effimera l ' egemonia americana . Kissinger e Brzezinski hanno espresso tuttavia con maggior chiarezza , per noi europei , la loro visione in due opere recenti : il primo in Diplomacy , il secondo in The Grand Chessboard : e il fatto che nel suo libro Kissinger abbia soprattutto analizzato con fredda intelligenza il passato e Brzezinski abbia affrontato con geniale passione il futuro , rende ancora più interessanti i loro discorsi . I quali , alla fine , guidati entrambi dalla Storia , sostanzialmente convergono . Kissinger ci presenta il carattere ambivalente degli Stati Uniti : da un lato il paese isolazionista , la cui vocazione si limita ad essere un esempio per il resto dell ' umanità ; dall ' altro il paese interventista , la cui vocazione non si riduce all ' esempio e vuole salvare attraverso l ' azione il resto dell ' umanità diffondendo la democrazia e dunque la pace . Le due anime hanno un ' aspirazione comune : quella di vedere il pianeta adottare i valori universali incarnati dall ' America ; ed entrambe sono riluttanti , anzi rifiutano di confondere gli Stati Uniti con altri paesi , di metterli sullo stesso piano , fosse anche in una posizione da primus inter pares , nel quadro di un equilibrio multipolare . Kissinger resta fedele alla formula classica dell ' impero e dell ' equilibrio , alla quale non c ' è per lui alternativa . Per questo è stato paragonato , non senza ironia , al Metternich del Congresso di Vienna ( 1815 ) . Nel dopo guerra - fredda si è reso conto che il mondo non è diventato , come si pensava , unipolare e con una sola incontrastata superpotenza , e quindi che la geopolitica postcomunista non esentava dalla tradizionale ricerca di un equilibrio tra gli Stati che contano . Si è creata una situazione multipolare che impone come nel passato una serie di pazienti calcoli tendenti a una convivenza tra l ' impero e gli altri . Calcoli a cui l ' America è refrattaria . Kissinger riconosce ovviamente la sua supremazia , ma gli sembra più relativa di quel che appare . Più fragile di quel che si dice . Vede affiorare altri centri di potere , di cui non si conosce ancora il peso e l ' orientamento ( la Cina , il Giappone , l ' Europa , la Russia , forse l ' India ) : li vede delinearsi , con forme ancora incerte , da studiare col tempo . Il gran fracasso dei mass media è come una nebbia che cancella i dettagli e lascia vedere soltanto una sagoma rudimentale della realtà in mutazione . L ' idealismo americano è per sua natura contrario a una politica di puro equilibrio : eppure la diplomazia classica è indispensabile all ' impero che esercita la sua egemonia in un mondo multipolare . Il giudizio di Kissinger sulla crisi balcanica è coerente a questo principio . L ' Occidente ( in sostanza Clinton ) non ha applicato il metodo appropriato alla situazione . Ha trascurato la Russia ; l ' universo ortodosso che si sente solidale con la Serbia ; si pensi alla Grecia , paese della Nato in questa congiuntura ancor più contrapposto alla Turchia , altro pilastro dell ' alleanza ; e agli altri paesi dei Balcani . E le conseguenze per la Nato ? Il professor Kissinger può distribuire bacchettate . La visione di Brzezinski è più americana . è più dinamica , scavalca la nozione statica dell ' equilibrio tra le potenze ; è anche più ottimista , nel senso che contempla la trionfante egemonia degli Stati Uniti ; egemonia che , pur essendo insidiata dal mondo multipolare , sarà superata col tempo soltanto da un ordine cooperativo mondiale . In sostanza gli Usa sono l ' ultimo impero universale , grazie alla superiorità senza rivali in tutti i campi : economico , tecnologico , culturale e militare . è tuttavia un impero di tipo nuovo : simile al suo sistema interno . Vale a dire che implica una struttura complessa , articolata in modo da provocare il consenso e attenuare gli squilibri e i disaccordi . " Così la supremazia globale americana riposa su un sistema elaborato di alleanze e di coalizioni che copre , in concreto , l ' intero pianeta " . Ne risulta per Brzezinski la necessità di una doppia politica : una tesa a mantenere , per almeno un ' altra generazione , l ' egemonia degli Stati Uniti ; l ' altra tesa ad incoraggiare gli alleati e gli ex avversari ad entrare in un sistema che prepari appunto un governo mondiale , facendo in modo che i partner non diventino troppo indipendenti . L ' Europa costituisce la testa di ponte della democrazia , dunque dell ' America , sul continente euroasiatico . È bene favorire la sua unità , sulla base dell ' intesa franco - tedesca , evitando però che conquisti un ' autonomia eccessiva . Il capitolo dedicato alla Russia ha un titolo esplicito : " Il buco nero " : l ' americano polacco sottolinea il pericolo che costituisce l ' ex superpotenza : non si tratta di distruggerla o di escluderla ma di impedirle di ridiventare un impero minaccioso per i vicini . Per questo si devono curare i rapporti con i paesi limitrofi ( la Cina , ma anche la Turchia , l ' Iran , l ' Ucraina , l ' Azerbajdzhan e l ' Uzbekistan ) : e favorire gli investimenti americani nell ' Eldorado petrolifero sul Mar Caspio per evitare che la Russia ne approfitti . Sulla severità di Brzezinski nell ' analizzare la crisi balcanica pesa anche il sospetto che Mosca ne possa trarre prestigio e comunque vantaggi : sia come punto di riferimento per il mondo slavo ortodosso frustrato , sia come capitale intermediaria tra Milosevic e l ' Occidente . Un compromesso su quest ' ultima base sarebbe un ' umiliazione inaccettabile per la Nato . Siamo ben lontani dagli equilibri di Kissinger . Ma anche il " discepolo di Metternich " sostiene , in queste ore , che , se vuole sopravvivere , la Nato deve vincere in modo netto . Avverte tuttavia , nella sua ultima opera , che una delle profonde differenze tra l ' analista politico e l ' uomo di Stato risiede nel fatto che il primo è padrone del proprio tempo quando decide una conclusione ; mentre il secondo è sottoposto in permanenza a una corsa contro l ' orologio . Inoltre uno non rischia nulla , mentre l ' altro può rischiare tutto . Insomma , se partecipasse ancora al potere , Zbigniew Brzezisnki avrebbe altri impulsi , o modererebbe quelli che ha .
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Il nostro continente rischia dunque di riscoprirsi all ' improvviso spezzato dalle storiche nozioni di Oriente e Occidente . Là dove correva la cortina di ferro , torna minaccioso a proporsi il fantasma del primo grande Scisma della cristianità , se è vero che Stati neppure tutti confinanti tra loro come la Serbia , la Russia e la Bielorussia - grazie al potere suggestivo degli antichi simboli comuni , riesumati dalle ceneri del comunismo - addirittura meditano di fondersi in una federazione . Il nostro ecumenismo laico , erede di una tradizione giudaico - cristiana deprivata dei suoi riferimenti alla trascendenza , da noi rimodellati in forma di ideali civili , alla fine del millennio viene chiamato a fare i conti col fenomeno nuovo delle etno - religioni . Ha certo ragione da vendere chi , come Paolo Rumiz nei giorni scorsi , ci mette in guardia dagli abusi storici e dalle manipolazioni propagandistiche che contraddistinguono l ' irrompere minaccioso delle etno - religioni . Ma resta il fatto della loro proliferazione a Oriente , per mano consapevole dei Patriarcati delle Chiese ortodosse di Russia e di troppi leader politici rosso - bruni . Il mito ascetico dei " folli in Cristo " nuovamente s ' incontra col mito guerriero del principe Lazzaro evocato da preci irriducibili : " Con cuore virtuoso e per amor di pietà hai affrontato il serpente e il nemico delle chiese di Dio , giudicando che il tuo cuore non avrebbe tollerato la vista dei cristiani sottomessi agli Ismaeliti " . è evidente che preghiere altrettanto bellicose si possono rintracciare pure tra i crociati cattolici , i combattenti dell ' Islam e dell ' ebraismo . Anzi , bisogna pur dire che in altre zone del pianeta , dalla metà degli Anni Settanta in poi , l ' integralismo religioso ha scatenato purtroppo più di una guerra santa . Il richiamo al divino quale strumento di organizzazione dei conflitti sociali e di civiltà , è una modernissima conseguenza della globalizzazione . Ma intanto dobbiamo fare i conti con i Balcani e più in generale con un ' Europa nella quale le spinte unificanti a fatica contrastano quel processo di frantumazione da cui già sono nati numerosi nuovi Stati e staterelli , per lo più fondati su base etnica . Danièle Hervieu - Léger , nel primo volume della " Storia d ' Europa " ( Einaudi ) descrive le etno - religioni come una conseguenza dei " mutamenti storici che fanno vacillare le strutture mentali degli europei " . Proliferano le " domande identificanti " in risposta all ' " accentuata diffusione dell ' individualismo " . I loro inventori cercano di salvare " la finzione dell ' appartenenza comunitaria " e adoperano le religioni storiche " come una materia prima simbolica , estremamente malleabile , suscettibile di diversi trattamenti a seconda delle esigenze dei gruppi che vi attingono " . Così si elaborano le identità etniche , poco importa se fasulle . I simboli religiosi vengono mobilitati in funzione identificante , dalla Giovanna d ' Arco manipolata da Le Pen fino al beato Basilio moscovita . Come dimenticare , dieci anni dopo la promulgazione della " fatwa " contro Salman Rushdie , che furono i giovani indo - pakistani in scarpe da tennis , immigrati di seconda generazione , a imporla al Consiglio delle moschee di Bradford , ben prima del sigillo pervenuto da Teheran ? Lo spiega bene Gilles Kepel ( " A ovest di Allah " , Sellerio ) , dimostrando come anche il fondamentalismo islamico sia piuttosto il prodotto moderno di una crisi della laicità dentro i circoli universitari , approdato solo in un secondo tempo nei ghetti e nelle bidonvilles . Si tratta , in tutti questi esempi , di manipolazioni dei più antichi simboli religiosi . Quando tre anni fa , in casa nostra , Umberto Bossi cercò di ancorare una posticcia identità etnica dei Padani all ' improbabile invenzione del dio Eridanio sorgente dal Po , precipitò nel ridicolo . E non a caso oggi anche lui - abiurato in fretta e furia il neo - paganesimo - preferisce riconoscersi nello " scudo cristiano " minacciato dal ritorno dell ' " impero musulmano " con l ' aiuto dell ' Anticristo a stelle e a strisce . Le etno - religioni hanno bisogno di solidi riferimenti al sacro , come tali in grado di alimentarsi dalle tragedie storiche più recenti . Come dimenticare , ad esempio , che alle spalle del nuovo nazionalismo di Belgrado ci sono anche gli anni feroci della Seconda guerra mondiale , quando i serbi venivano massacrati a centinaia di migliaia nel lager croato di Jasenovac in cui agivano anche dei frati francescani come il famigerato Filipovic ? Nei tempi bui delle etno - religioni , anche i leader democratici dell ' Occidente laico sono tentati di ricorrere all ' immagine di Milosevic quale " nuovo Demonio " , com ' è scappato detto a Tony Blair . Perché la guerra europea torna ad assumere le vesti di guerra di religione . La trasformazione è impressionante , nel confronto con gli altri conflitti di questo secolo . è stato , indubbiamente , un secolo costellato di pulizie e trapianti etnici di intere popolazioni . Non possiamo dimenticare neppure che nella primavera di sessantuno anni fa la stessa nascita dello Stato di Israele fu favorita dall ' evacuazione forzata di centinaia di migliaia di palestinesi , benché non vi sia paragone possibile con la ferocia di quanto avvenuto in Bosnia e in Kosovo . Se cito questo esempio " imbarazzante " , è per rilevare le profonde differenze culturali rispetto all ' epoca delle etno - religioni . Le due correnti sioniste che combattevano in Palestina , quella socialista e quella revisionista , erano entrambe profondamente laiche . Zvi Kolitz , il militante dell ' Irgun che ci ha consegnato un meraviglioso apocrifo in cui raffigura l ' ultimo ebreo combattente del ghetto di Varsavia ( " Yossl Rakover si rivolge a Dio " , Adelphi ) , esibisce addirittura sfrontatezza nel rivendicare la propria emancipazione dal Signore : " Credo nel Dio d ' Israele , anche se ha fatto di tutto perché non credessi in lui ... Il mio rapporto con lui non è più quello di uno schiavo verso il suo padrone , ma di un discepolo verso il suo maestro . Chino la testa dinanzi alla sua grandezza ma non bacerò la verga con cui mi percuote " . Nel Novecento , fino a poco tempo fa , neppure in Terrasanta si osava combattere nel nome di Dio . Sono le etno - religioni , oggi , in Europa , a disseppellire il dio della guerra e a proporlo come supremo garante dei confini . Confini etnici , appunto , o ancor peggio confini tra mondi , tra il Bene e il Male , tra l ' Oriente e l ' Occidente . Speriamo di fermare in tempo questa nuova , surreale concezione della guerra . Facendo televisione , in questi giorni , si viene sommersi da lettere astruse di pseudo - esperti che sventolano vigorosamente le più varie ascendenze etniche , richiamando la nobile origine degli albanesi negli illiri , piuttosto che la slavità di molte popolazioni musulmane europee . Così incede la balcanizzazione dei nostri cervelli . Qualcuno un giorno o l ' altro si metterà in testa di riesumare dal Duomo di Otranto le ossa dei martiri cristiani trucidati dai saraceni , per dimostrare che gli albanesi sono nostri nemici .
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C ' è un borbottio sommerso che sfugge a quest ' Europa delle sinistre , filoatlantica , chiusa nei suoi videogiochi , distratta e lontana dal territorio . Dice : il Diavolo parla americano , paga in dollari . Impone un ordine globale totalitario , svuota le identità locali , mina l ' euro e le nostre economie , costruisce una nuova Babele con raffiche di missili e ondate di immigrati : ieri i marocchini , oggi i kosovari albanesi . è un immaginario diffuso : infiamma i partigiani di un antiamericanismo nuovo , si salda ai regionalismi etnici , alle piccole patrie , a una xenofobia subdola , meno roboante e ben mascherata di buon senso e pietismo umanitario . La guerra dei Balcani fotografa alla perfezione schematismi e pregiudizi di un pensiero medio , di un immaginario diffuso e trasversale che offre a Milosevic sponde inattese . Il duce dei serbi , col suo mito del sangue e della terra , rientra in pieno nella mitologia di questo scontro epocale : simboleggia la resistenza al Moloch americano , l ' ultima trincea d ' Europa contro l ' espianto delle identità , la difesa della " Heimat " e dell ' autoctonia contro l ' orda degli erranti " sans papiers " e senza patria , contro il loro corteo di droga , mafia , prostitute e intellettuali cosmopoliti . Non è uno schema ideologico . Non nasce nei partiti . NON HA niente a che fare con i pacifismi in guerra con le basi Nato in Italia , con i bollori sovietici di Rifondazione , l ' odio neofascista per la cricca demo - pluto - giudaico - americana , e nemmeno con gli approcci che in piena guerra Gianfranco Fini tentò con i boss di Belgrado per riavere la Dalmazia . Non viene nemmeno dagli intellettuali franco - tedeschi in trincea contro l ' inquinamento della cultura dello zio Sam . Qui è altra musica . Questo mugugno nuovo cresce nel cuore più ricco e conservatore del Continente : nei capannoni e nei bar sport della Pedemontania lombardoveneta di Bossi , nelle birrerie e nelle valli " higt tech " della potente Baviera di Edmund Stoiber , nelle taverne e tra i contadini della Carinzia appena conquistata da Joerg Haider . Esplode in Provenza con l ' ondata anti - immigrati cavalcata da Jean - Marie Le Pen ; serpeggia tra gli indipendentisti savoiardi di Patrice Abeille e gli allevatori della Svizzera di lingua tedesca , arroccati nei loro microcosmi vallivi per paura della nuova competizione mondiale . Sfiora persino la quieta Slovenia , dove la febbre europea del dopo - Jugoslavia è già diventata diffidenza . Cresce nell ' ombra , si rivela solo in parte nei sondaggi . A Montebelluna come a Rosenheim in Baviera , a Lugano come ad Avignone , è il sismografo di un ' ansia nuova , di una nevrosi da appartenenza , da spaesamento e talvolta da superlavoro . è l ' affioramento della turbolenza identitaria di un mondo ricco ma culturalmente impoverito , economicamente forte ma insicuro , gonfio di autostima eppure indifeso di fronte alla complessità dei tempi . Un mondo chiuso che si autoreferenzia , rischia derive di tipo vittimistico e localista , ed è sensibile alle roboanti metafore e alle semplificazioni della demagogia . Esso indica una trasformazione culturale e antropologica di cui non si sono ancora fotografate le dimensioni . Il pensiero che coniuga il pregiudizio antiamericano a quello anti - immigrati non è maggioritario nelle nazioni di riferimento , ma è geograficamente compatto , delinea quello che Luc Rosenzweig definisce , su " Le Monde " , un fenomeno di " populismo alpino " . Rosenzweig ricorda che mentre il nazismo e il fascismo nacquero nelle metropoli industriali devastate dalla disoccupazione di massa , questo populismo cresce nel mondo dei ricchi , è un fenomeno di provincia , parte dalle valli e si sente minacciato dalle Capitali , dalle loro tasse e i loro politicanti corrotti . Gli stessi Cobas del latte , gli stessi operai della piccola industria che da sempre guardano a Bruxelles come al simbolo della " degenerazione burocratica dell ' Europa delle pianure " , oggi , con la guerra dei Balcani , guardano all ' America come alla grande destabilizzatrice . Ed ecco Bossi che in pieno parlamento si dichiara a favore di Milosevic e ricorda al mondo che gli albanesi sono " immigrati " per definizione . Tali , dovunque essi siano : in Italia , in Serbia dove stanno da secoli , persino in Albania che è casa loro . Come dire : sono razzialmente extracomunitari , biologicamente dei virus . Boutade ? Niente affatto . Come tutti i demagoghi , Bossi si limita ad amplificare un malumore diffuso . Percepisce come un sismografo il borbottìo di fondo , il pregiudizio anti - immigrati che oggi si focalizza attorno agli albanesi con immagini parassitologiche che non sentivamo dai tempi del dottore Mengele . Otto anni fa la Lega stava con i secessionisti sloveni : oggi avrebbe dovuto , per coerenza , stare con quelli albanesi del Kosovo . Invece no , sta con la Serbia : e il cambio fotografa meglio di ogni altro la sua deriva " voelkisch " , etnoculturale . è il nuovo razzismo che André Taguieff chiama " differenzialista " . La cacciata degli immigrati è nobilitata da un principio : quello del " ciascuno a casa sua " . Ed ecco che il Diavolo non è più chi divide ma chi unisce , dunque " uccide le razze , mescolandole " . è il razzismo che utilizza la sintassi dell ' antirazzismo ; è la destra che , per conquistare consensi , ricicla il Pantheon delle sue idee servendosi degli idiomi della sinistra . Così , la crisi balcanica è commentata su " La Padania " di Bossi nientemeno che da Alain de Benoist , il padre della nuova destra europea che oggi si ispira ad Antonio Gramsci , padre della sinistra italiana . Nei suoi editoriali in prima pagina , l ' antiamericanismo è la colonna portante . Gli yankee , scrive de Benoist sul quotidiano della Lega Nord , " questi specialisti della guerra di diritto , sono abituati a giustificare il massacro di migliaia di civili per considerazioni umanitarie e morali " . Del genocidio degli albanesi , nemmeno una parola . " Clinton Moerder " , Clinton assassino , sta scritto intanto sui muri di Klagenfurt in questi giorni che vedono , come sessant ' anni fa , nuovamente bombe su Belgrado e nuovamente uno xenofobo al potere in Austria , per ora nella piccola Carinzia . L ' autunno scorso , proprio su un lago carinziano , a Portschach , gli esordienti D ' Alema e Schroeder inauguravano il nuovo corso di sinistra dell ' Unione . Appena cinque mesi dopo quello stesso lago vedeva la riscossa della Destra etnica e il massimo risultato mai conseguito da un partito razzista nel dopoguerra in Europa . E la percentuale più alta - 55 per cento per Haider - era , incredibilmente , proprio quella del Comune di Poertschach . Vi sono segnali , nella storia : dicono che le masse si muovono rasoterra , indipendentemente dai voli pindarici della politica delle cancellerie . Haider è il simbolo perfetto di questa nuova destra presentabile dal forte sentire antiamericano . Il giornalista Bruno Luverà , autore su " Limes " di un saggio dal titolo " L ' internazionale regionalista tra maschera e volto " , fotografa bene il pensiero che , a cavallo delle Alpi , segna il nucleo ricco del Continente . Al federalismo solidale gestito dagli Stati nazionali si sostituisce in Baviera , Carinzia o in Padania , quello etnico - regionale basato sul sangue e sul suolo . Il concetto di razza è reso digeribile perché trasformato in etnopluralismo , inteso come diritto delle " Heimat " alle rispettive differenze . Da qui una visione " mixofobica " , ostile all ' America del melting pot e quindi potenzialmente alleata di chiunque resista all ' " etnocidio " . C ' è una sola guerra che conta , aveva scritto qualche tempo fa il nostro de Benoist . Quella a cui bisogna prepararsi opporrà l ' Europa agli Stati Uniti , la civiltà alla barbarie mercantile e degenerata . Pascal Bruckner ricorda che questo è esattamente il discorso della propaganda di Milosevic in queste ore cruciali . Clinton come Hitler , la svastica sulle stelle e strisce . E i serbi , non gli albanesi deportati , sono i nuovi ebrei , le nuove vittime della crociata americana contro l ' Europa . Su questa lunghezza d ' onda può scattare un ' attrazione fatale fra il populismo subalpino e quello , post - comunista , dei Balcani .