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Nella storia di tutti i tempi e di tutti i popoli vi è la narrazione di fughe e di liberazioni drammatiche , romantiche , talora rocambolesche : ma quella di Mussolini appare anche oggi , a distanza di tempo , come la più audace , la più romantica e al tempo stesso la più " moderna " , dal punto di vista dei mezzi e dello stile . Veramente , essa è già leggendaria . Mussolini non aveva mai nutrito speranze di liberazione da parte degli Italiani , anche fascisti . Che qualcuno ci pensasse è sicuro ; che qua e là si siano anche imbastiti piani nei gruppi di fascisti tra i più animosi è fuori di dubbio ; ma niente andò oltre la semplice fase del progetto : d ' altra parte , i gruppi o gli individui capaci di tentare la realizzazione di un piano erano strettamente sorvegliati e non avevano i mezzi necessari per effettuarlo . Sin dal principio Mussolini sentiva che il Führer avrebbe tutto tentato pur di liberarlo . L ' ambasciatore Von Mackensen quasi subito andò dal re per avere il permesso , secondo il desiderio del Führer , di visitare Mussolini , ma la richiesta fu respinta con questa nota : « S . M . il re ha fatto presente al Maresciallo Badoglio il desiderio del Führer . Nel riconfermare l ' ottimo stato di salute di S . E . Mussolini e il suo pieno gradimento per il trattamento usatogli , il Maresciallo Badoglio è spiacente di non poter aderire alla richiesta visita , e ciò nello stesso personale interesse di S . E . Mussolini . È però pronto a fargli subito pervenire quella lettera che S . E . l ' Ambasciatore ritenesse di inviargli e di riportarne risposta , 29 luglio 1943 » . Il Capo di Gabinetto del Ministero degli Esteri si recò dall ' Ambasciatore tedesco e ne riferì poi al Maresciallo Badoglio . Data la situazione di un Governo italiano che " fingeva " di essere alleato e di voler " continuare " la guerra , il Governo di Berlino non poteva con " passi " formali , quale poteva essere la richiesta di una immediata liberazione , compromettere i rapporti fra i due Governi , provocare in anticipo una crisi nei rapporti medesimi . È chiaro che Berlino dubitava degli sviluppi e degli obiettivi della politica di Badoglio . Ma le relazioni diplomatiche impedivano di rendere il dubbio operante , prima che una determinata situazione si verificasse . Il 29 luglio nessuno si ricordò di Mussolini . Ci fu una eccezione : il Maresciallo del Reich Ermanno Göring telegrafava al Duce nei seguenti termini ( il telegramma fu portato a Ponza da un ufficiale dei carabinieri ) : « Duce , mia moglie e io vi mandiamo in questo giorno i nostri più fervidi auguri . Se le circostanze mi hanno impedito di venire a Roma come mi proponevo , per offrirvi , insieme coi miei voti augurali , un busto di Federico il Grande , più cordiali ancora sono i sentimenti della mia piena solidarietà e fraterna amicizia che vi esprimo in questo giorno . La vostra opera di uomo di Stato rimane nella storia dei nostri due popoli , i quali sono destinati a marciare verso un comune destino . Desidero dirvi che i nostri pensieri vi seguono costantemente . Voglio ringraziarvi per l ' ospitalità gentile che mi offriste altra volta e mi proclamo ancora una volta , con incrollabile fede , vostro Göring » . Anche alla Maddalena Mussolini notò qualche movimento di Germanici : essi avevano una base sul lato opposto del tratto di mare , a Palau . Effettivamente i Tedeschi avevano ideato un piano , che consisteva nell ' approdare con un sottomarino finto inglese , con equipaggi dotati di uniformi inglesi che avrebbero prelevato e liberato Mussolini . Il piano stava per essere tentato , quando Mussolini fu traslocato al Gran Sasso . Il sabato sera , 11 settembre , una strana atmosfera di incertezza e di attesa regnava al Gran Sasso . Oramai era noto che il Governo era fuggito , insieme col re , del quale veniva annunciata l ' abdicazione . I capi che avevano la sorveglianza di Mussolini sembravano imbarazzati , come davanti all ' obbligo di dare esecuzione a un compito particolarmente ingrato . Nella notte dall'11 al 12 , verso le 2 , Mussolini si alzò e scrisse una lettera al tenente , nella quale lo avvertiva che gli Inglesi non lo avrebbero mai preso vivo . Il tenente Faiola , dopo avere portato via dalla stanza del Duce tutto ciò che rimaneva di metallico e di tagliente e in particolar modo le lame dei rasoi , gli ripeté : « Fatto prigioniero a Tobruk , dove fui gravemente ferito , testimone delle crudeltà britanniche sugli Italiani , io non consegnerò mai un Italiano agli Inglesi » . E tornò a piangere . Il resto della notte trascorse tranquillamente . Nelle prime ore del mastino del 12 una fitta nuvolaglia biancastra copriva le cime del Gran Sasso , ma fu tuttavia possibile avvertire il passaggio di alcuni velivoli . Mussolini sentiva che la giornata sarebbe stata decisiva per la sua sorte . Verso mezzogiorno il sole stracciò le nubi e tutto il cielo apparve luminoso nella chiarità settembrina . Erano esattamente le 14 , e Mussolini stava con le braccia incrociate seduto davanti alla finestra aperta , quando un aliante si posò a cento metri di distanza dall ' edificio . Ne uscirono quattro o cinque uomini in kaki i quali postarono rapidamente due mitragliatrici e poi avanzarono . Dopo pochi secondi altri alianti atterrarono nelle immediate vicinanze e gli uomini ripeterono la stessa manovra . Altri uomini scesero da altri alianti . Mussolini non pensò minimamente che si trattasse di Inglesi . Per prelevarlo e condurlo a Salerno non avevano bisogno di ricorrere a così rischiosa impresa . Fu dato l ' allarme . Tutti i carabinieri , gli agenti si precipitarono con le armi in pugno fuori dal portone del rifugio , schierandosi contro gli assalitori . Nel frattempo il ten . Faiola irruppe nella stanza del Duce intimandogli : Chiudete la finestra e non muovetevi ! Mussolini rimase invece alla finestra e vide che un altro più folto gruppo di Tedeschi occupata la funivia . era salito e dal piazzale di arrivo marciava compatto e deciso verso l ' albergo . Alla testa di questo gruppo era Skorzeni . I carabinieri avevano già le armi in posizione di sparo , quando Mussolini scorse nel gruppo Skorzeni un ufficiale italiano , che poi giunto più vicino riconobbe per il generale Soleti del corpo dei metropolitani . Allora Mussolini gridò , nel silenzio che stava per precedere di pochi secondi il fuoco : Che fate ? Non vedete ? C ' è un generale italiano . Non sparate ! Tutto è in ordine ! Alla vista del generale italiano che veniva avanti col gruppo tedesco le armi si abbassarono . Le cose erano andate così . Il generale Soleti fu prelevato al mattino dal reparto Skorzeni , e non gli fu detto nulla circa il motivo e gli scopi . Gli fu tolta la pistola e partì per l ' ignota destinazione . Quando nel momento dell ' irruzione intuì di che si trattava ne fu lieto . Si dichiarò felice di avere contribuito alla liberazione di Mussolini e di avere , forse , con la sua presenza , evitato un sanguinoso conflitto . Disse a Mussolini che non era consigliabile tornare immediatamente a Roma , dove c ' era una " atmosfera di guerra civile " , diede qualche notizia sulla fuga del Governo e del re ; venne ringraziato dal capitano Skorzeni e poiché il Soleti chiese che gli fosse riconsegnata la pistola , il suo desiderio fu accolto , così come l ' altro di seguire Mussolini , dovunque fosse andato . In tutta questa rapidissima successione di fatti , il Gueli non ebbe alcuna parte . Si fece vedere solo all ' epilogo . Gli uomini di Skorzeni , dopo essersi impadroniti delle mitragliatrici che erano state posate ai lati della porta d ' ingresso del rifugio , salirono in gruppo nella stanza del Duce . Skorzeni , sudante e commosso , si mise sull ' attenti e disse : « Il Führer , che dopo la vostra cattura ha pensato per notti e notti al modo di liberarvi , mi ha dato questo incarico . Io ho seguito con infinite difficoltà giorno per giorno le vostre vicende e le vostre peregrinazioni . Oggi ho la grande gioia , liberandovi , di aver assolto nel modo migliore il compito che mi fu assegnato » . Il Duce rispose : « Ero convinto sin dal principio che il Führer mi avrebbe dato questa prova della sua amicizia . Lo ringrazio e con lui ringrazio voi , capitano Skorzeni , e i vostri camerati che hanno con voi osato » . Il colloquio si portò quindi su altri argomenti , mentre si raccoglievano le carte e le cose di Mussolini . Al pianterreno carabinieri e agenti fraternizzavano coi Germanici , alcuni dei quali erano rimasti non gravemente feriti nell ' atterraggio . Alle 15 tutto era pronto per la partenza . All ' uscita , Mussolini salutò con effusione i camerati del gruppo Skorzeni e tutti insieme - Italiani compresi si recarono in un sottostante breve pianoro dove un apparecchio " Cicogna " attendeva . Il capitano che lo pilotava si presentò ; giovanissimo : Gerlach , un asso . Prima di salire sull ' apparecchio , Mussolini si voltò a salutare il gruppo dei suoi sorveglianti : sembravano attoniti . Molti sinceramente commossi . Taluni anche con le lacrime agli occhi . Lo spazio dal quale il " Cicogna " doveva partire era veramente esiguo . Allora fu arretrato per guadagnare qualche metro . Al termine del pianoro vi era un salto abbastanza profondo . Il pilota prese posto sull ' apparecchio ; dietro lui Skorzeni e quindi Mussolini . Erano le ore 15 . Il " Cicogna " si mise in moto . Rullò un poco . Percorse rapidamente lo spazio sassoso e giunto a un metro dal burrone , con uno strappo violento del timone , spiccò il volo . Ancora qualche grido . Braccia che si agitavano . E poi il silenzio dell ' alta atmosfera . Dopo pochi minuti sorvolammo L ' Aquila e , trascorsa un ' ora , il " Cicogna " planava tranquillamente all ' aeroporto di Pratica di Mare . Quivi un grande trimotore era già pronto , Mussolini vi salì . Il volo aveva per mèta Vienna , dove si giunse a notte avanzata . Qualcuno attendeva all ' aeroporto . Di lì al " Continentale " per una notte . All ' indomani , verso mezzogiorno , nuovo volo sino a Monaco di Baviera . Il mattino dopo al Quartier generale del Führer l ' accoglienza fu semplicemente fraterna . La liberazione di Mussolini ad opera di " arditi " tedeschi suscitò in Germania un ' ondata di grande entusiasmo . Si può dire che l ' evento fu festeggiato in ogni casa . La radio preparò , con ripetute emissioni , gli ascoltatori a una notizia straordinaria e non si ebbe delusione alcuna , quando la notizia , verso le 22 , fu conosciuta . Tutti la considerarono come un avvenimento eccezionale . Furono mandati a Mussolini centinaia di telegrammi , lettere , poesie , da ogni parte del Reich . Non ebbe l ' evento una ripercussione analoga in Italia . Erano quelli i giorni del caos , della distruzione , del saccheggio , della degradazione . La notizia fu quindi accolta come una ingrata sorpresa , con fastidio e con rancore . E si cominciò col negarla : si diffuse la voce che si trattava di una commedia , che Mussolini era già morto , consegnato agli Inglesi , che il discorso di Monaco era stato pronunciato da un sosia . Questa voce continuò a circolare anche molti mesi dopo , elemento indicativo di un desiderio . Sebbene centinaia di persone abbiano visto Mussolini , tale voce non è del tutto scomparsa . Bisogna spiegarsi la persistenza di questo fenomeno , che non è dovuto semplicemente alle notizie delle emittenti nemiche sulla salute sempre pericolante di Mussolini , sugli attentati in continuazione contro di lui , sulle fughe in Germania compiute o preannunciate . Bisogna spiegarsi altrimenti il fenomeno e riferirsi a certi dati della rudimentale psicologia di una parte del popolo italiano , più " talentosa " forse che " intelligente " . Mussolini è , da un certo punto di vista , un uomo " duro a morire " . Egli è stato infatti molte volte ai margini della vita . All ' ospedale di Ronchi , nel marzo del 1917 , col corpo crivellato di schegge , doveva morire , o nella migliore delle ipotesi , essere amputato della gamba destra . Non accadde niente di ciò . Dopo la guerra , al ritorno dal Congresso dei Fasci tenutosi a Firenze nel 1920 , un formidabile cozzo , che frantumò le sbarre di un passaggio a livello nei pressi di Faenza , non provocò che un leggero stordimento , poiché la " blindatura " cranica di Mussolini aveva brillantemente " neutralizzato " il colpo . La caduta dell ' aeroplano sul campo di Arcore fu una esperienza di estremo interesse . Mussolini constatò allora che la velocità della caduta dell ' apparecchio era stata uguale alla velocità di ideazione del pensiero pensato in queste parole : si cade ! Precipitare di piombo da un ' altezza di 50 metri , sia pure con un robusto scassone quale il non dimenticabile " Aviati " , non è uno scherzo . Il rombo dell ' urto contro il suolo fu sonoro assai , né meno stridulo lo scricchiolio delle ali e della carlinga . Fu un accorrere da ogni parte del campo . L ' istruttore pilota quell ' entusiasta e simpatico veterano del volo che è Cesare Redaelli era leggermente ferito ; quanto a Mussolini , si trattava di una semplice ammaccatura al ginocchio . Nella testa tipo " panzer " una leggera scalfittura fra naso e fronte . Abbastanza emozionante fu il volo da Ostia a Salerno , nel giorno del famoso , e per un certo tempo inedito , discorso di Eboli , nel giugno 1935 . Era un tempo ciclonico . Poco prima dell ' arrivo un fulmine scoppiò sull ' aeroplano bruciando gli aggeggi della radio . Non capita bisogna riconoscerlo ad ogni comune mortale di essere folgorato a 3000 metri sul livello del mare , rimanendo incolume . Non parliamo dei molti duelli i quali , anche quando l ' arma di combattimento era la spada triangolare , non uscivano dal tipo degli " scherzi innocenti " . Forse meno innocenti , ma incredibilmente noiosi , gli attentati degli anni 1925-1926 . Un paio di bombe e una serie di revolverate femminili e maschili , indigene e britanniche , oltre a qualche altro tentativo rimasto nell ' ombra dell ' incognito . Normale amministrazione . Passiamo ora dal regno , come dire ? " traumatico " a quello costituzionale , ovverosia organico . Da venti anni oramai , e precisamente dal 15 febbraio 1925 , Mussolini è " dotato " di una gentile ulcera duodenale , la cui storia minuziosa e dettagliata è insieme con altre ben 70 mila storie di malati negli archivi del prof . Frugoni . Vederla attraverso le lastre , effettuate la prima volta dall ' esperto e integerrimo ora scomparso Aristide Busi , preside della Facoltà di medicina di Roma , fu motivo di una spiegabilissima e molto intima soddisfazione . Da quanto esposto si può evincere che Mussolini può essere considerato , almeno sin qui , un uomo " duro a morire " . E come si spiega allora che la vaga indifferenziabile opinione pubblica lo ha considerato morto ? Ci sono , se così può dirsi , diverse incarnazioni di Mussolini . Anche dal punto di vista politico egli è un " duro a morire " . Nel 1914 , espulso dal partito socialista italiano nella memorabile assemblea del Teatro del " Popolo " , tutti o quasi i tesserati lo considerarono un uomo finito , schiacciato da un plebiscito provocato tra le file dell ' armento , cui si aggiunse al solito una " questione morale " . Dopo pochi mesi il socialismo neutralista veniva sbaragliato sulle pubbliche piazze . Conclusa la guerra , l ' Italia dovette subire l ' ondata bolscevica . Nelle elezioni del 1919 , nelle quali Mussolini ebbe l ' onore di avere a compagno di lista Arturo Toscanini , il quale perciò è un fascista della prima ora , egli riportò 4000 voti di fronte ai milioni di voti degli avversari . Il rosso imperversava trionfante e minaccioso . Nell ' ebbrezza della vittoria fu simulato un funerale di Mussolini , e una bara che lo conteneva in effigie passò , con il relativo corteo vociante , davanti alla sua abitazione di Foro Buonaparte 38 , ultimo piano . Da quella bara rispuntò il Mussolini degli anni 1921-1922 . Come nel novembre del 1919 qualche cosa del genere fu tentato nel luglio del 1943 . Questa doveva essere la volta buona , la definitiva . Poi la morte politica e quella fisica avrebbero proceduto di conserva con una ben calcolata simultaneità . Colui che nei domini dell ' imperscrutabile regge i destini mutevoli degli umani ha deciso altrimenti . Vi è un Mussolini che contiene , quello di ieri come quello di ieri conteneva quello di oggi , e questo Mussolini , pur avendo la sua dimora non più a Palazzo Venezia ma alla Villa delle Orsoline , si è messo sotto le stanghe , al lavoro , con la volontà di sempre , e quindi , o falange non tebana di Tommasi increduli , se lavora deve essere , per lo meno , vivo . Talete il filosofo greco ringraziava gli dei di averlo fatto nascere uomo e non bestia ; maschio e non femmina , greco e non barbaro . Mussolini ringrazia gli dei di avergli risparmiato la farsa di un assordante processo a Madison Square di Nuova York , al che avrebbe preferito di gran lunga una regolare impiccagione nella Torre di Londra , e di avergli consentito , insieme coi migliori Italiani , di vivere il quinto atto del terribile dramma che tormenta la Patria .
Lo straniero concittadino ( Bocca Giorgio , 1963 )
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I 30 mila di Milano città più quelli della fascia industriale fanno mezzo milione di analfabeti . Numero grande e parola brutta . Allora si preferisce dire che sono « privi di cultura » , senonché Milano è in Europa e l ' Europa è tanto esigente : uno può saper firmare , mettendocela tutta , e per lei resta analfabeta . Dunque analfabeti , integrali o di ritorno , in gran parte giovani , meglio non pensare alle inutili menzogne statistiche e dire le cose come stanno , per esempio nelle pensioni . Le pensioni del Milanese ospitano , sette su dieci , gli immigrati da meno di un anno . Giratele , chiedete e troverete che il livello di istruzione è il seguente : tredici su cento privi del titolo elementare ; ottanta su cento fermi al titolo elementare ; quindici con qualche anno di scuola media ; quattro diplomati , un laureato . L ' ILSES giunge , nella sua accuratissima inchiesta , a risultati analoghi : privi di qualsiasi istruzione venti su cento ; con il titolo delle elementari sessanta ; di una scuola secondaria undici ; del liceo sei ; laureati poco più di uno . Idem nelle case popolari dello Stato , dove dovrebbero funzionare i Centri sociali di rieducazione . Il professor Leone Diena ne parla in diversi quartieri con diversi inquilini e scopre « che pochissimi ne hanno sentito parlare » . Mezzo milione di analfabeti nella provincia più ricca e progredita d ' Italia . Tagliati fuori dalla cultura tradizionale e spesso anche dalle sottoculture popolari , persino da quella sportiva che ha il merito indubbio di iniziare le moltitudini a un certo stile di vita , a una certa gerarchia dei valori . Su cinquanta inquilini di una pensione in via Moscova solo due hanno assistito a una partita di calcio a San Siro e molti ignorano l ' esistenza di squadre che si chiamano Inter o Milan . La scarsa istruzione scolastica di cui si è detto : e l ' improvviso inaridirsi di ogni vena della cultura popolare , sia favola , sia rito , sia folklore . Roberto Leydi , che compie da anni una preziosa ricerca di canzoni popolari , dice che gli immigrati nel Milanese ricordano quelli nelle Americhe , una voce che si spezza nel trauma della migrazione , lo stesso rifiuto e l ' oblio , la sordità per i temi e i motivi che legano al passato . Fine delle vecchie canzoni , dei vecchi racconti . E uomini stranieri alla cultura che li accoglie come a quella che si sono lasciata alle spalle . Imprevedibili , inspiegabili , casuali . A volte scatenati in manifestazioni di isterismo collettivo , migliaia di persone che assediano il bar di Cinisello dove si è rifugiato il cantante Dallara ; a volte freddi , assenti , poche persone ad ascoltare i cantastorie famosi ; sicché capita un tale che ha la mania di recitare poesie del Trecento , si pensa che la piazza resterà vuota , i carabinieri neppure si scomodano ed ecco migliaia di persone che ascoltano senza capire e applaudono . Gente letteralmente spaesata , che sembra incapace di rappresentarsi il nuovo mondo e di rappresentarsi , di guardarsi dentro e di comunicare . Se si tratta di bimbi , di ragazzini si può ancora rimediare . Anche se arrivano educati in quel modo piuttosto mediocre . Le maestre in qualsiasi centro della fascia , dicono che la quinta elementare degli immigrati dal Sud equivale alla terza di quassù e non esagerano , anche qui meglio non pensare a certe informazioni menzognere sulla pubblica istruzione . Poi si mettono di mezzo i genitori con i loro pregiudizi e l ' orgoglio familiare : « Vengo io dalla maestra , se ti tocca » . « Dicci che si provasse con il figlio di Antonio Cotronei » . E la maestra attenta a non correggere gli strafalcioni del padre in presenza del figlio potrebbero nascere chi sa quali reazioni psicologiche a catena . Ma può capitare che perda la pazienza . Una maestra di Poasco chiama il padre di un alunno per dirgli « Stia attento , ieri ha cercato di rubarmi questo temperino » e il padre « Lei non si permetta , quello ce lo detti io » al che la maestra esce dai gangheri e lo caccia fuori . Con tutto ciò i bambini e i ragazzini fanno presto a rimettersi in corsa , quasi sempre si rinnova il miracolo del fondo civile che riaffiora dopo secoli di ignoranza , la direttrice delle scuole della Certosa dice che i figli degli immigrati , qui da almeno tre anni , superano l ' ammissione alla media come i locali , meglio dei figli dei braccianti e dei mungitori locali . Per gli anziani la faccenda è diversa , spesso irrisolvibile . Non sono stupidi o tardi . Alle prove della civiltà industriale capiscono che l ' istruzione serve . Ma stretti dal bisogno , affamati « come lupi » di ciò che la vita può dare subito , non riescono a superare il criterio dell ' utilità immediata ed è in nome di questa utilità immediata che risultano o accettano l ' istruzione . « Se uno guadagna la paga con i libri i soldi bastano solo a lui » . « Allora è impossibilissimo quanto mai studiare perdendo un ' ora di lavoro perché sarebbero 300 lire » . « Se l ' aumento è sicuro magari studierei » . Così se studiano , studiano quel tanto che basta per poter fare quel tal lavoro che dà il tale aumento del salario e basta . E chi potrebbe chiedergli di più pensando al lungo cammino che hanno percorso , ai traumi che li hanno segnati e al lavoro che li logora ? Forse i loro figli o i nipoti capiranno che il progresso delle macchine impone un ' istruzione permanente , che nella società moderna si va a scuola dall ' asilo infantile alla pensione . A questo punto sembra piuttosto arduo sostenere che la migrazione significa un apporto culturale positivo . Ma qualcuno ci si prova : « Tutti noi abbiamo dovuto porci delle domande , chiederci chi eran costoro che arrivavano . Il nostro mondo si è allargato » . « L ' ansia di imparare è un ' ansia che si riceve ma che si dà . » « Passiamo dalle culture regionali a una cultura unica , le immigrate da Melissa spiegano alle operaie brianzole come si svolse l ' occupazione delle terre , se c ' è mancanza di zucchero le immigrate del Ferrarese , che conoscono l ' industria saccarifera , sanno trovare un perché » . E tutte le altre belle storie che avranno un valore episodico e un sapore letterario , ma poco o nessun riscontro con la situazione generale del Milanese . Sicché l ' unico apporto culturale , inevitabile più che positivo , resta quello della lingua , dei contributi che gli immigrati e gli altri danno al formarsi di una nuova lingua . « Gli immigrati » si legge in molte inchieste « si vergognano a tentare le inflessioni lombarde » . Certo tutti esitano a tentare una lingua nuova , ma non credo che la ragione sia questa , se a Torino gli stessi immigrati il dialetto lo adottano subito . Il fatto è che a Torino il dialetto è necessario , è il linguaggio ufficiale della grande fabbrica , lo parlano negli uffici e nei negozi ; mentre a Milano possono farne a meno , nella gran mescolanza che si è formata dal principio del secolo ci vuole la lingua per capirsi : « Noi stiamo qui a far chiacchiere che io non comprendo voi e voi non comprendete me . Allora diciamocela in italiano , se questo bicchiere è tondo deve essere tondo per tutti » . È la necessità che forma il nuovo italiano : la lingua del ceto egemonico , più qualcosa della lingua del mondo contadino , più le parole e le immagini del progresso tecnico . E ne diamo alcune note sparse che , naturalmente , non pretendono a studio filologico . Gli immigrati , nei primi mesi applicano le parole italiane , frettolosamente apprese , ai costrutti dialettali . E qualcosa resta , come una tendenza a mettere il verbo al fondo della frase , spesso al passato remoto , tipico di culture come quelle del Sud , volte al passato . Ma proprio per questo rimettono nel circuito parole di un italiano arcaico , che può sembrare puro per la diretta derivazione dal latino : locare per affittare , stipare per mettere assieme , conservare per tenere . Dalla civiltà arcaica e contadina , del Sud come del Nord , vengono anche i modi di dire e le immagini che hanno il fascino delle reliquie . Ripetuti per automatismo nella mancanza di altre immagini o sentenze , anche se non hanno più alcun rapporto con la realtà . Nei negozi di oggetti per la casa , si trova , in parecchi centri della fascia , una piastrella maiolicata su cui si legge : « Fare credito è un errore , si perde il denaro e l ' avventore » . E sono negozi che chiuderebbero immediatamente se non vendessero tutto a credito . Poi le sentenze della retorica contadina , suggerita dal paternalismo : « Bisogna dirci papà a chi ti dà da mangiare » . « Poco ma in pace . » « Dove c ' è pace c ' è Dio . » « Casa mia , mamma mia , vita mia . » « Il denaro è la rovina dell 'umanità.» Che potrebbero essere un ' autocritica elegante e ironica se non fossero soltanto pigrizia e povertà mentale . Un regalo a Togliatti « Parleranno dieci dialetti diversi » diceva Giancarlo Pajetta , nel 1962 , « ma sanno dire tutti la parola sciopero » . E ora potrebbe aggiungere : « E votare comunista » . È la verità , l ' aumento dei voti comunisti nel Milanese è dovuto agli immigrati , ci si chiede solo che abbia fatto il partito per meritarselo . Il partito ha creato un ufficio che si occupa come può , con i pochi mezzi che ha del fenomeno migratorio ; ha favorito la formazione di alcuni gruppi regionali prestando sedi e dirigenti , ma sempre una goccia nel mare , intendiamoci ; e in alcune sezioni della fascia , da contare sulle dita di una mano , ha organizzato la custodia dei bimbi perché le madri possono partecipare , di sera alla vita del partito . Tutto qui ? Tutto qui a giudicare dalle critiche che gli stessi comunisti si rivolgevano alla vigilia delle elezioni : « Manca una politica , non abbiamo una piattaforma sicura rispetto gli immigrati » . « Per anni abbiamo ignorato il fenomeno . E mentre il partito si indeboliva al Sud abbiamo trascurato di rafforzarlo al Nord . » « I compagni che vengono al Nord dimenticano il partito e noi non facciamo niente per recuperarli . » Sicché a un convegno del 1962 l ' onorevole Pietro Amendola poteva dire , scandalizzato : « Visitavo una baracca di Magenta e mi sono sentito tirare per una manica . Mi volto e riconosco fra gli altri i migliori compagni di Eboli , quelli che avevano guidato le più dure lotte . Mescolati fra gli altri inutilizzati » . Eppure il voto di molti immigrati va al partito : forse il meno assente fra gli assenti , forse più favorito dai demeriti altrui che dai meriti propri . Si dice che il voto degli immigrati è stato un voto di protesta : i muratori di Milano che conoscono i guadagni di chi specula sui terreni , cioè in pochi mesi ciò che essi guadagneranno in tutta la vita ; quelli di Ispra che costruiscono la cittadella atomica dell ' avvenire abitando in baracche cadenti , quelli che si avventurano nella Milano cara scoprendo dimensioni e valutazioni a distanze astronomiche . « Solo un voto di protesta » si dice « questi scontenti si immaginano rivoluzionari , ma la tensione rivoluzionaria non c ' è , manca una chiara convinzione ideologica , sono altri voti in frigorifero » . Altri però pensano che questo frigorifero incomincia ad essere piuttosto ingombrante e non sono proprio sicuri della pretesa superiorità ideologica degli altri voti , pensano che il voto di certa borghesia agiata è stato altrettanto istintivo e protestatorio . Vedono piuttosto che la borghesia agiata , quella dell ' alternativa liberale , fa niente , assolutamente niente per avvicinare gli immigrati , per aiutarli , per consigliarli . Vedono che ancora una volta gli unici avversari validi del comunismo sono i cattolici che appartengono alle ACLI e non all ' alternativa liberale , essi ad aprire nella fascia i circoli , le cooperative , i doposcuola . I sindaci e la mafia La migrazione rompe gli atteggiamenti di « rispetto verso le autorità indifferenti del Sud ed esalta , al Nord , l ' autorità più impegnata e , apparentemente , più disinteressata , quella del sindaco . Nei villaggi città della fascia il sindaco è la persona più autorevole . Più dell ' onorevole , del parroco , del comandante dei carabinieri . Egli fa parte della triade onnipotente società immobiliare - municipio - ufficio tecnico e ne è spesso l ' arbitro . Raramente a favore suo , spesso a favore del suo partito . Ma queste operazioni di alta finanza comunale interessano relativamente gli immigrati , ad essi basta di aver trovato , per la prima volta dopo secoli , qualcuno che si occupa effettivamente dei loro bisogni e che ha un potere autonomo e sufficiente per soddisfarli . Gli si rivolgono dapprima per avere le carte necessarie alla residenza e al lavoro , poi per la casa e finisce che diventa il loro padre spirituale e magari il loro consigliere sentimentale : la immigrata cui il sindaco ha regolato una spinosa faccenda familiare che ogni volta gli sorride come se fosse « uno della congiura » ; le mogli che gli raccontano i tradimenti dei mariti ; quelli che lo vogliono arbitro di una loro lite . I sindaci quasi tutti settentrionali non riescono a rendersi conto , a volte , del potere acquisito , né a prevedere le conseguenze . Un giorno , a una riunione di immigrati , il sindaco di San Donato dice che effettivamente è vero , quel tale padrone di case si comporta da esoso . E poi deve fermare la corsa al linciaggio , quelli sentendosi approvati dal sindaco , dal signore « della Commune » muovono già alla spedizione punitiva , hanno scambiato un suo giudizio per una autorizzazione a procedere . Come arbitri tra le immobiliari e gli uffici tecnici i sindaci devono fare i conti con l ' organizzazione mafiosa che si è trasferita o ricostruita al Nord . Il « ragioniere » o « la napoletana » o « il barista » che intermediano fra i nuovi arrivano e i proprietari di terreni e di case devono per forza avere qualche « aggancio » nel municipio , sotto questo aspetto qui come nel Sud la mafia rappresenta una degenerazione dell ' amministrazione pubblica . Le organizzazioni mafiose si occupano di mediazioni commerciali e di reclutamento operaio . Per ora non sono arrivate a uccidere , ma usano le minacce , le percosse , la fame . Parecchi gruppi mafiosi spediscono i loro emissari nel Sud per offrire « casa e lavoro » . Chi accetta deve solo firmare un impegno e quasi sempre lo firma senza leggerlo . Poi scoprirà che è un impegno da strozzino , persa la casa alla prima rata non pagata . Il controllo è difficile , molti immigrati non conoscono altra mediazione che quella mafiosa . Alcuni arrivano al punto di rimpiangerla . Un giorno la polizia arresta un certo Fioramonte Panando . Ha ucciso un reclutatore di manodopera . Perché aveva deciso di chiuder bottega e non voleva più occuparsi di trovargli un lavoro . Si tratta di un caso limite , ma anche al limite è una triste faccenda . Ne abbiamo ancora di strada da fare , non vi sembra ?
L'abc della moralità politica ( Veca Salvatore , 2001 )
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Una campagna elettorale decente ? Ecco tre idee che ci possono aiutare . Nel confronto non ci sono nemici , solo avversari . Le regole vanno osservate , anche quando non ci piacciono . E ci vuole rispetto tra i competitori . Negli anni Trenta del secolo scorso Carlo Rosselli si chiede nel suo Socialismo liberale quale fosse la natura del conflitto politico in una democrazia . Si chiedeva anche perché fosse fondamentale l ' osservanza del " metodo liberale o democratico di lotta politica " . Vale la pena di riflettere sulle sue risposte . Il metodo di lotta politica è quel metodo chi " per la intima essenza , è tutto penetrato dal principio di libertà . E ancora : " Sul terreno politico si potrebbe definire come un complesso di regole di giuoco che tutte le parti in lotta si impegnano a rispettare . Prima ancora di essere un sistema di meccanica politica , esso vuol essere una sorta patto di civiltà che gli uomini di tutte le fedi stringono fra loro per salvare nella lotta gli attributi della loro umanità " . Ci sono almeno tre idee importanti in queste parole di Rosselli pensate e scritte al confino di Lipari negli anni terribili del collasso europeo delle democrazie , gli anni del consolidamento e della nascita dei regimi totalitari . Tre idee che possono forse aiutarci a fissare i minima moralia di una campagna elettorale decente . La prima riguarda la mutua compatibilità fra la condivisione di alcuni valori politici di base e la sacrosanta divisione fra idee di società e di agenda politica alternative fra loro . In parole povere , non c ' è alcuna contraddizione fra quanto ci unisce e quanto ci divide . Dividendoci nettamente , radicalmente e duramente su promesse distinte di governo , noi non revochiamo la nostra lealtà civile a quanto in ogni caso ci accomuna . E accettare questa prima idea è solo un atto dovuto per chiunque accetti e sostenga la priorità della libertà delle persone come valore che non è controverso . Come valore che è e deve essere sottratto alla controversia . Questo vuol dire che nel confronto non ci sono nemici : ci sono avversari . Ci sono competitori , punto e basta . Chi si confronti con gli avversari trattandoli come nemici viene meno alla prima regola aurea del metodo e non prende sul serio nei fatti la priorità della libertà delle persone , per quanto liberale si dichiari a parole . Veniamo alla seconda idea : essa chiarisce la natura propriamente controversiale della democrazia che proprio nella fase elettorale assume un carattere di spicco . Non c ' è democrazia senza conflitto . Il patto di civiltà , di cui parlava Carlo Rosselli nei terribili anni Trenta di un secolo in cui , come si dice , chiunque desiderasse una vita tranquilla ha fatto male a nascere , regola il conflitto . A che cosa servono le regole per la competizione , le famose regole del gioco ? Esse stabiliscono quali mosse siano ammesse e quali no . E se i partecipanti vogliono giocare a quel gioco , vogliono vincere quella partita , vogliono prevalere sugli avversari con un punteggio superiore che , fino a prova contraria , consiste nell ' ammontare di fiducia che ottengono dai votanti . Chiunque sgarri rispetto alle regole , le violi o le usi opportunisticamente si tira fuori , defeziona dalla controversia democratica . Contravviene ai fondamentali della moralità politica ed è semplicemente degno di biasimo . L ' insofferenza per le regole è un brutto segnale . E non vale l ' argomento per cui non ci piacciono le regole e , quindi , non siamo tenuti a osservarle . Al critico delle regole si dovrà replicare che c ' è un solo modo nella controversia democratica , per ottenere il cambiamento delle regole o la loro abolizione , se è il caso . E ' quello di far crescere il consenso e la fiducia a favore della propria posizione che deve misurarsi lealmente con quella degli avversari . Osservo di sfuggita che per misurarsi con gli avversari è sfortunatamente necessario che ci si confronti , davanti a un uditorio , con gli avversari . Se no , di che diavolo di confronto democratico parliamo ? E perché tirare in ballo la solenne natura controversiale della democrazia ? Che Berlusconi insista nel rífiutarsi a un confronto con Rutelli è intrinsecamente sbagliato . Uno potrebbe obiettare : perché è sbagliato ? Che male c ' è ? Non è forse libero di scegliere il leader della Casa delle libertà ? Per replicare , ci viene in soccorso la terza idea sui minima moralia di una campagna elettorale decente . La terza idea è quella del mutuo riconoscimento o dell ' eguale rispetto dovuto a chiunque sia un partecipante alla competizione . L ' espressione " eguale rispetto " è terribilmente vaga . E ' curioso che noi sappiamo benissimo spiegare in quali circostanze proviamo l ' esperienza del deficit o della mancanza del rispetto da parte di altri e facciamo più fatica a chiarire le cose in positivo . Rispettare una persona non vuol dire esprimere stima nei confronti di quella persona . La stima è variabile , dipende dal merito o dal valore di mercato di una persona per le sue capacità , le sue competenze o le sue abilità in un qualche campo . L ' egualitarismo con la stima fa dei brutti scherzi . Ma il rispetto deve essere invece distribuito ugualmente : perché , almeno in democrazia , ciascuno vale almeno quanto ciascun altro . Mancare di rispetto allora vuol dire o ritenere che le persone abbiano solo un valore di mercato o ritenere di valere , per qualche misteriosa ragione , più o molto più degli altri . Queste credenze sono del tutto legittime in molti campi della nostra vita individuale e collettiva , in amore , in affari , in cucina e nello sport . Ma non hanno diritto di cittadinanza nella sfera pubblica della controversia democratica . E questo ce lo suggeriscono le nostre tre idee a proposito dell ' abc della moralità politica .
PRECISAZIONI ( - , 1934 )
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Accade ancora oggi , in pieno anno XIII , aprendo dei giornali stranieri di trovare usata troppo spesso e svisata nei modi più bestiali la parola « Fascismo » . Tale abuso deve finire . È l ' ultima offensiva della socialdemocrazia che , dopo aver combattuto inutilmente l ' affermazione della dottrina mussoliniana in Italia , cerca oggi di arginarne l ' espansione spontanea nel mondo , spostando la lotta dal campo teorico : al campo pratico del suo divenire fra i diversi popoli . Un colpo di Stato , una repressione sanguinosa , l ' affermarsi brutale di una dittatura , tutto è buono per venire raccolto e buttato di peso nelle colonne della stampa internazionale socialdemocratica , goffamente standardizzato sotto la dicitura « Fascismo » . La demagogia proletaria , secondo il suo costume , crede ancora alla potenza del famoso detto creato da un poeta e finito da un re : vulgus vult decipi ergo decipiatur . Ma il trucco è troppo grossolano per sfuggire anche ad una superficiale osservazione . La Rivoluzione delle Camicie Nere , che continua e che rappresenta l ' espressione unica e viva del vastissimo movimento sociale che ha caratterizzato il sec . xx , ed altri secoli caratterizzerà , trae la sua quotidiana e normale affermazione universale non dalle profezie utopistiche di divinità improvvisate , ma dal profondo spirito di umanità che l ' anima e ne dirige il cammino storico . È pur sempre essa che , sfuggendo alle strettoie dei modelli convenzionali delle rivoluzioni , si è affermata senza bisogno di una Enciclopedia , e con il retaggio di una guerra vittoriosa . È il Fascismo che si trova sempre presente dove il popolo lavoratore si crea meraviglioso artefice dei suoi destini , dove la menzogna tortuosa della diplomazia vecchio stile viene smascherata in tutta la sua ipocrita meschinità , dove senza tregua si afferma la lotta intransigente contro la mistificazione classista . Cercare quindi di costringere il Fascismo in un fenomeno di natura inferiore , in un accidente sorto dalla sfrenata ambizione di un sogno imperialistico , in una contingenza voluta dalla versatile malvagità di subdoli affaristi sarebbe come pretendere di chiudere in un pugno una folgore .
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Ci vuole una tragedia come quella della miniera di Marcinelle ; ci vuole il cordoglio , lo sgomento del paese , la partenza dei ministri per Charleroi ; ci vogliono i titoli sulla prima pagina dei quotidiani , le fotografie della vedova e degli orfani perché l ' Italia si domandi dov ' è Manoppello e perché la gente di questo paese è così povera e che cosa si può fare per sollevarla dalla miseria senza mandarla a morire in Belgio . Diciamo subito che non si può fare niente , perché il tessuto sociale di Manoppello , il connettivo che tiene insieme le 200 case del paese intorno alla parrocchia è qui , come in migliaia di altri comuni dell ' Abruzzo , della Campania , della Calabria , della Basilicata , della Sicilia , proprio la miseria . La miseria , a Manoppello , è quello che è a Ivrea la Olivetti , la Fiat a Torino , il porto a Genova , i commerci e le industrie a Milano , la burocrazia a Roma . Se non ci fosse la miseria , una delle miserie più compatte del Mezzogiorno , gli abitanti di questo cocuzzolo nudo , circondato da valli desolate , smetterebbero di levarsi alle quattro di mattina per andare a carezzare con l ' aratro e i buoi la terra arida , gialla e avara dei campi . Se quelli di Manoppello avessero i quattrini per andare in Argentina , in Brasile , in Canada , in Australia , per impiantare in qualunque parte d ' Italia , che non sia questo sciocco villaggio , dimenticato dalla storia fuori delle strade , un commercio o una bottega artigiana , Manoppello potrebbe essere cancellato dall ' elenco dei comuni d ' Italia . La scoperta di Charleroi Il primo che , dopo la guerra , si rifiutò di morire di fame e prese la strada del Belgio fu Raffaele Mazzaferro . Voleva andare anche lui nel Sud America , in Australia e in Canadà , come avevano fatto centinaia di altre famiglie dei paesi , ma non aveva i soldi per il viaggio , né l ' atto di richiamo , né il visto . Così scoprì Charleroi , dove si potevano guadagnare sottoterra tremila lire al giorno scavando carbone . Mazzaferro partì nel 1946 e di anno in anno aumentò il numero di quelli che lo seguirono o dei fortunati che s ' imbarcarono per i paesi d ' oltre oceano . Manoppello , che aveva 7500 abitanti nel 1946 , ne ha oggi meno di 7 mila . Quelli che sono rimasti hanno continuato a sperare nell ' industria , quell ' industria astratta e possibilmente meccanica di cui si sogna nel Sud , a sperare nella Cassa del Mezzogiorno , nella bonifica . Non già che credano nella Cassa o nella bonifica , ma sperano di avere un impiego al Consorzio di Bonifica : perché nei paesi poveri succede questo , che i poveri restano poveri ma la burocrazia che si occupa dei poveri diventa ricca . Il sindaco di Manoppello , che si chiama Giuseppe Di Martino ed è democristiano e maestro elementare , ci ha raccontato a questo riguardo molte cose interessanti che ripetiamo come le abbiamo udite , lasciando a lui la responsabilità di quello che ha detto . Il capo dell ' ufficio tecnico del Consorzio di bonifica per la riva sinistra del Pescara s ' è attribuito uno stipendio di 4 milioni all ' anno , più assicurazione di 10 milioni . Ma non si vede mai . E si vedono poco anche i 18 geometri che formano l ' organico dell ' ufficio tecnico . Per eseguire certe livellazioni , che non so bene come siano , questo bel gruppo di tecnici , che è forse troppo occupato a curare gli affari propri , si rivolse a una ditta specializzata di Parma , che livellò , sbagliò , ricominciò daccapo , sbagliò di nuovo , ma alla fine si fece pagare . Le livellazioni furono poi fatte dai geometri dell ' ufficio statale del catasto e si dovette , naturalmente , pagare anche questo , aggiustando i conti delle altre spese per trovare i fondi . Il presidente del Consorzio è il ragioniere Tenaglia , il quale per compensare un ' impresa del mancato appalto di un canale d ' irrigazione le ha affidato , a trattativa privata , la costruzione di una strada di bonifica da Capagatti a Rosciano : opera , dicono , di scarsissima utilità . Le ville di un certo barone Zambra , che vanta parentele altolocate , è stata riparata a cura e spese della Sovraintendenza ai monumenti , perché alla villa è annessa una chiesa monumentale , ma tuttavia privata . E , sempre per via della parentela altolocata , nell ' imminenza delle elezioni del 1953 si annunciò alla gente di Manoppello la posa della prima pietra del villaggio « Dino Zambra » per le case dei poveri . Il nome era sempre quello del barone ma i soldi erano quelli della legge Aldisio , cioè dello Stato . La cosa , poi , come tante altre , finì in nulla perché la seconda pietra non si è mai messa . La gestione elettoralistica delle opere pubbliche , la confusione delle iniziative , la sproporzione fra le promesse e i fatti hanno tolto alla gente di qui ogni fiducia nello Stato . « La Cassa del Mezzogiorno » esagera il sindaco di Manoppello « è un baraccone ; tutto quello che ha fatto per noi è stato di depolverizzare una strada . » Una strada superflua A Turrivalignani il collocatore comunale Antonio Squaserio dirige il cantiere di lavoro per l ' assorbimento della disoccupazione , e sta costruendo una strada da Turrivalignani a Lettomanoppello . Solo la mancanza d ' immaginazione e lo spirito di dissipazione della burocrazia può progettare un ' opera simile . Per capire come si sprecano i milioni dello Stato bisognerebbe mandare una delegazione di contribuenti a vedere che cos ' è Turrivalignani e che cos ' è Lettomanoppello e che bisogno c ' era di collegare i due paesi con una nuova via diretta , come se fra di essi fervesse chissà quale febbrile attività . Turrivalignani e Lettomanoppello , come Manoppello , sono espressioni geografiche per indicare alcuni gruppi di naufraghi delle società italiana che sono rimasti appollaiati intorno al loro cucuzzolo , con la solita creta gialla nei campi e le montagne pelate . Tutto ciò è inesplicabile . Si possono metter su cento cantieri di lavoro , aprire mille strade , dare la casa a tutti i paesani , fare le fontane sulle piazze , e tuttavia non succederà niente . Se lo Stato ha deciso che questa gente deve restare qui , gli conviene pensionarla . Nel 1948 , dopo le elezioni del 18 aprile , una delegazione di sindaci del basso Pescara andò da Fanfani , che era allora ministro del Lavoro , a dire che i campi si spopolavano , che la gente se ne andava in Sud America , in Australia , in Belgio . Gli domandarono se l ' industria , in Abruzzo , arrivava o no . Fanfani si strinse nelle spalle e allargò le braccia : « Avviateli in Belgio » disse « fateli entrare nell ' ordine di idee di emigrare . Non c ' è di meglio da fare » . Tutta l ' industria di Manoppello è la SAMA , Società anonima miniere di asfalto , che la carità di Parodi mantiene in attività con 675 operai , di cui 165 soltanto sono del paese . La fabbrica rende esattamente quello che costa . Quando il sindaco , Giuseppe Di Martino , domandò al principe D ' Orleans , genero di Parodi , perché non si faceva mai vedere fra loro , si sentì rispondere che era troppo occupato altrove . Ed è giusto . Fra una cava d ' asfalto , che è più beneficienza che industria , e il cementificio di Scafa , che è poco distante di lì ed è una cava d ' oro , è naturale che un uomo d ' affari si occupi del secondo e cerchi di ridurre più che può le spese del primo . Poi c ' è la questione del petrolio . Anche a Manoppello , come ad Alanno , le perforazioni hanno rilevato che i giacimenti sono abbondanti . Ma tutto si è fermato lì , le torri di Valvone sono scomparse , le speranze si sono dissolte fra risate amare e maldicenza . « Vuoi sapere perché non si pompa il petrolio ? » mi dice il sindaco . « Perché Luciano Tracanna vuol dare il petrolio alla Cassa del Mezzogiorno e preparano una legge per farlo » . Non so chi è Luciano Tracanna e che cosa c ' entri la Cassa col petrolio . E mi pare troppo lungo spiegare al sindaco la difficilissima questione della legge mineraria . E penso che non vale la pena di farlo , perché tutto sommato il sindaco ha ragione . Tracanna o non Tracanna , è ridicolo che , dopo aver scoperto sotto queste argille miserabili la prima speranza di benessere , si lasci tutto lì per mettere d ' accordo i troppi appetiti e si dica alla gente che , fino a nuovo ordine , deve tornare a graffiare la terra con l ' aratro . Le parole del sindaco Tutta la miseria di Manoppello viene dalla terra . I campi danno sei quintali di grano per ettaro e qualche po ' di formaggio di capra . Su questo reddito il fisco , che prende le alici e fa scappare i tonni , preleva 15 ed anche 20 mila lire . Lavoriamo per pagare le tasse , dicono i contadini . E hanno ragione , perché quello che resta non basta per mangiare . Sono gli ultimi servi della gleba . Faticano soltanto per sopravvivere . Sono esclusi interamente dal giro dell ' economia monetaria , perché non vendono niente e non comprano niente . Non c ' è nessuna ragazza del paese , ha detto il sindaco , che accetta di sposare un contadino . Preferiscono restare zitelle . Il numero dei fondi incolti aumenta , mentre ci sono 500 uomini inseriti all ' ufficio di collocamento . Questo è il panorama sociale di Manoppello , che può valere come tipo per innumerevoli altri comuni meridionali della provincia di Pescara , di Matera , di Cosenza , di Agrigento , di Siracusa , dell ' Italia in soprannumero . Esistono in Italia migliaia di Manoppello . Ma questo , dell ' Abruzzo , ha acquistato , con la sciagura di Marcinelle , il diritto alla celebrità . S ' è presentato , per così dire , alla televisione . Ha gridato più forte degli altri e adesso tutti si domandano perché la gente di Manoppello muore di fame o in miniera . « Far ballare i piatti » Che cosa rispondere ? Una cosa prima di tutto , per mettere fine al gioco delle finzioni che la Cassa del Mezzogiorno , i cantieri di lavoro , i cantieri - scuola , l 'I.N.A.-Casa, i corsi Inapli , i pacchi della Prefettura , e quelli della P.C.A. , non servono a nulla . La gente se ne deve andare da Manoppello perché la terra di Manoppello , come le rocce del Monte Bianco , non fa parte della superficie agricola . Se ne deve andare all ' estero , ma non a Charleroi . Può andare in Italia , per esempio . Anche l ' Italia , per i poveri , è estero : fino a quando non sarà pubblicata la più semplice legge della Repubblica , quella che permetterà agli italiani di andare in Italia , gli Izzo e i Mazzaferro abruzzesi non potranno avere il passaporto per cercare lavoro a Roma , a Milano , a Bologna , a Padova , a Biella , a Prato . E chi ci va clandestinamente e si fa pescare , viene rimpatriato d ' autorità . Quanto all ' estero vero e proprio , al di là del mare e delle Alpi , è ora di cominciare a far sul serio , di togliere gli affari della emigrazione dalle mani dei dilettanti , dell 'I.C.I.E., del C.I.M.E. , delle burocrazie . È ora di domandarsi che cosa significa la comunità internazionale e come si può pretendere da un contadino abruzzese la difesa dei valori occidentali . È ora che i nostri ministri non si vergognino della povertà dell ' Italia e dei suoi e , come disse l ' onorevole Merzagora , « facciano ballare i piatti » per il collocamento della manodopera disoccupata . Noi vorremmo che da oggi , alle spalle del ministro Martino , ogni volta che siede in una conferenza , ci fosse , come un « memorandum » , un contadino di Manoppello .
I violenti non fanno storia ( Abbagnano Nicola , 1970 )
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La violenza avanza su tutti i fronti . Questo è il fatto più evidente del mondo contemporaneo . La violenza non è più ristretta agli spazi periferici o ai momenti critici della vita ; alla delinquenza , alla pazzia , all ' anormalità e alle crisi di ribellione e di liberazione o di conquista o di soggiogamento ; ma esplode , con manifestazioni imponenti , nella vita di ogni giorno , nella famiglia , nei rapporti sessuali , nelle competizioni sociali , nella politica e nello sport . Solo raramente suscita sdegno o riprovazione ; il più delle volte viene giustificata e talvolta esaltata come soluzione dei problemi , via d ' uscita dalle difficoltà , matrice del progresso . Ma essa esplode per i motivi più futili o senza motivo , come per quelli più seri ; e anche l ' arte , il cinema e i divertimenti sembrano insipidi e fuori del tempo se non se ne fanno lo specchio . Si tratta di un fenomeno passeggero dovuto alla crisi dei valori tradizionali , alle sperequazioni economiche , alle trasformazioni troppo rapide che la società sta subendo ? O si tratta invece di qualcosa che sta venendo ora alla luce in forme più vistose ma ha le sue radici nella stessa natura dell ' uomo ? Certo è che l ' uomo è per l ' uomo ( come diceva Pascal ) un mostro incomprensibile . Nonostante l ' enorme patrimonio di esperienze e dottrine che la psicologia , l ' antropologia , l ' etologia comparata hanno accumulato negli ultimi decenni , le motivazioni ultime , o almeno più costanti , dei comportamenti umani rimangono problematiche . C ' è chi vede nell ' uomo un essere essenzialmente buono , portato dal suo istinto alla contemplazione e alla pace gioiosa . La società , reprimendo questo istinto in misura superiore alle esigenze della sua conservazione , sarebbe allora responsabile della violenza che cerca di ripristinarlo . Questa è la tesi dei filosofi dell ' Eros che ritengono l ' uomo modellato sull ' ideale di Narciso e di Orfeo . Ma ci sono altri che ritengono l ' uomo dominato da un istinto di aggressione , da una tendenza innata alla lotta e al dominio . Costoro partono dall ' osservazione che i comportamenti che chiamiamo « brutali » non si riscontrano affatto nelle bestie , ma sono propri dell ' uomo : l ' uomo è la più crudele e violenta delle specie animali . Questo non è solo un suo aspetto negativo . Proprio perché è il più aggressivo degli animali , l ' uomo riesce a dominare l ' ambiente esterno e a superarne gli ostacoli . È l ' aggressione che consente all ' individuo e alla specie di sopravvivere , anche a costo del pericolo di guerra che le è immanente . Come Giano , l ' aggressione ha due facce , una positiva , l ' altra negativa . Anche quando gli uomini si stringono in una comunità di eguali nella quale si considerano come fratelli , hanno bisogno di opporsi aggressivamente ad altre comunità che si ispirano ad altri principi e contro le quali lottano solidalmente tra loro . In un modo o nell ' altro , l ' aggressione deve sfogarsi . Come animale « territoriale » geloso del proprio dominio , l ' uomo nutre un ' ostilità innata contro il suo vicino . Il bambino sviluppa la sua aggressività opponendosi all ' ordine e alla disciplina che l ' educazione cerca di imporgli . Il maschio sviluppa la sua aggressività nei confronti della femmina ; giacché la sua stessa struttura fisiologica lo porta a dominarla . La femmina sviluppa la sua aggressività contro il maschio non sufficientemente aggressivo che non riesce a dominarla . I vecchi clichés dell ' uomo scimmia con la clava , che suscita l ' ammirazione delle donne , e del piccolo uomo dominato dalla donna forte , che suscita riso e pietà in tutti , rappresentano bene la realtà delle cose . E così l ' aggressione è la condizione necessaria dell ' equilibrio e della vita . Ha scritto uno psichiatra ( Winnicott ) : « Se la società è in pericolo , non lo è per l ' aggressività dell ' uomo , ma per la repressione dell ' aggressività personale degli individui » . La mancanza di aggressività , determinando insuccesso e frustrazione , trasforma l ' istinto di aggressione in odio , abbassa le difese che l ' individuo erge intorno al proprio io contro l ' invadenza degli altri e gli fa odiare gli altri o se stesso , inducendolo talora al suicidio . Umiliazioni e frustrazioni sono anche alla base della schizofrenia e della paranoia , nelle quali l ' odio e l ' incapacità di considerare gli altri come persone dànno origine alle peggiori forme di crudeltà raffinata e gratuita . Tale è il quadro della natura umana che si trova descritto da molti etologi , psicologi e psichiatri contemporanei , e che è stato diffuso e reso popolare da Lorenz e Storr . Ma quali sono le vie d ' uscita ? La trasformazione dell ' aggressione nelle forme « rituali » delle competizioni civili , la ricerca di forme non distruttive da aggressione come gli sport , la diminuzione del numero degli individui umani perché l ' affollamento accresce l ' aggressività . Troppo poco per combattere e controllare un istinto che è la stessa natura dell ' uomo . L ' istinto è infatti un meccanismo innato , automatico , che può scatenarsi alla prima occasione . Anzi , non ha neppure bisogno di un ' occasione , cioè di uno stimolo , per scatenarsi : è come un ' arma che può sparare senza che ne sia toccato il grilletto . E come potrebbero le forme « rituali » della competizione civile , gli sport o altri espedienti controllarne il meccanismo ? Essi non forniscono che altre occasioni per scatenarlo . Inoltre , si può odiare , esser frustrati e portati alla violenza da una famiglia poco accorta , da un matrimonio sbagliato , da una ambizione non soddisfatta , da un risentimento o un ' invidia ingiustificati , dal fanatismo per un ideale non raggiunto o non raggiungibile , e da altri motivi più futili , evanescenti o fittizi . E se l ' aggressione domina ( come deve dominare , se è un istinto ) ogni rapporto umano , ci sarà sempre , in ogni rapporto , un vincitore e un vinto , un dominatore e una vittima : e l ' odio , il risentimento e la violenza saranno inevitabili . Sembra che oggi resti solo la scelta tra il mito del « buon selvaggio » che diventa violento perché viene represso il suo istinto d ' amore e il mito del « cattivo selvaggio » che diventa violento perché viene represso il suo istinto aggressivo . Quest ' ultimo mito non prospetta utopie , ma neppure rende possibili difese efficaci contro la violenza . Se l ' uomo è posseduto dall ' istinto , come da un demone che non può esorcizzare , si sentirà sempre represso , in qualsiasi forma di società , in qualsiasi rapporto anche superficiale con gli altri . Ma è l ' uomo veramente una creatura d ' istinto ? Ed esiste veramente l ' istinto come forza irreprensibile e sostanzialmente benefica , che adatta gli esseri viventi all ' ordine delle cose ? Se ne può dubitare , in base alle indagini della psicologia moderna . Ciò che chiamiamo « istinto » non è un meccanismo immutabile e infallibile ; può essere nocivo , adattarsi e mutare anche nelle specie animali in cui agisce da solo . E nell ' uomo ciò che chiamiamo « istinto » è il più delle volte la forma che certe funzioni biologiche hanno assunto sotto l ' influenza di un determinato ambiente sociale . Se l ' uomo non fosse che istinto ( nel senso proprio del termine ) non avrebbe avuto storia : sarebbe rimasto nella forma di vita ( buona o cattiva ) nella quale apparve per la prima volta sulla Terra . In realtà l ' uomo fa la storia ed è fatto ( cioè condizionato ) da essa . I modi di appagare i suoi bisogni , di trattare se stesso e i propri simili mutano col tempo e sono diversi da una società all ' altra . E di questo mutamento e di questa diversità l ' istinto non è responsabile . Ogni uomo , qualunque sia il suo talento e il suo grado sociale , incontra limiti e resistenze che sfidano la sua ragione e la sua volontà . Può cercare di conoscere tali limiti e trovare i mezzi per venirne a capo ; ma non può farlo da solo . Può anche credere che la violenza gli dia partita vinta e idealizzare nella violenza , o nell ' aggressione che ne è la causa , la fine di tutti i suoi mali . Oggi come ieri , nei momenti cruciali della sua storia , l ' uomo si trova a dovere scegliere . Il gioco della violenza non può prolungarsi all ' infinito perché nessun uomo e nessun gruppo umano può veder garantita dalla violenza la sua vittoria . Se la violenza continuasse ad apparire come la sola alternativa possibile , la scelta sarebbe decisa , il gioco sarebbe fatto . Non ci sarebbe un lungo avvenire per il genere umano .
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La mattina del 25 luglio il conte Dino Grandi di Mordano si rese irreperibile . Invano fu cercato alla Camera , invano fu cercato nella sua villa pare abbastanza sontuosa di Frascati , anche vana fu la telefonata per rintracciarlo a Bologna presso il Resto del Carlino . Nessuno degli interpellati seppe dare qualche notizia : da Frascati si disse che era partito in auto diretto a Bologna . In realtà egli era rimasto a Roma , nascosto , nell ' attesa del colpo di Stato . Anche nei giorni successivi rimase a Roma . Non appena conobbe la composizione del Governo Badoglio , egli scrisse una lettera al Maresciallo , per dirgli che " si trattava di un Ministero solido e che la scelta degli uomini non avrebbe potuto essere migliore " . Dopo qualche altro giorno di inutile attesa , diventò l ' avvocato Domenico Galli , e filò verso la penisola iberica . Si trattenne poco in Spagna , dove trovò una ospitalità che si può chiamare singolare da parte del console di Siviglia , e non sentendosi sicuro , sotto il regime di Franco , si trasferì nel Portogallo , nelle vicinanze di Lisbona , e precisamente a Estoril . Il suo atteggiamento di prima , il suo discorso nella seduta del Gran Consiglio , la sua fuga in aereo dall ' Italia , con passaporti badoglieschi , tolgono anche l ' ombra del dubbio sulla parte sostenuta da lui nell ' effettuazione della congiura . Da lui , prima Sottogretario all ' Interno , quindi Sottosegretario agli Esteri , successivamente Ministro degli Esteri , poi ambasciatore a Londra , finalmente Ministro della Giustizia e nel contempo Presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni nonché coNte col predicato di Mordano . Poteva bastare ? No . Non bastava . Ai primi di marzo del 1943 , egli si presentò a Palazzo Venezia , munito dell ' annuario del Ministero degli Esteri e così parlò a Mussolini : Non è la prima volta che io sono imbarazzato davanti a te , ma in questa circostanza lo sono in modo particolare . Tu sai che dopo un certo periodo di tempo gli ambasciatori , specialmente se sono stati lunghi anni accreditati presso la Corte di San Giacomo a Londra , sono insigniti del Collare dell ' Annunziata . Io credo di trovarmi in queste condizioni . Vorresti parlarne al re ? Questi erano i discorsi che annoiavano terribilmente Mussolini . Già altra volta , a proposito del Collare , egli aveva rinunciato al suo , in favore di Tomaso Tittoni . Va bene rispose Mussolini ne parlerò al prossimo colloquio . Così avvenne . Ma di primo acchito il re non parve affatto entusiasta della cosa . Anzitutto , egli disse , non è vero che chi è stato ambasciatore a Londra sia per ciò decano degli ambasciatori e abbia diritto al Collare . Questo è un motivo che non va . L ' altro , ampliamento del territorio dello Stato , non esiste nel caso Grandi . Egli può essere insignito del Collare solo in quanto è Presidente della Camera . Però , conferendolo a lui , bisognerebbe darlo anche al conte Suardo , Presidente del Senato , e non è il caso dopo le chiacchiere fattesi , in questi ultimi tempi , a carico di senatori che avrebbero fornito notizie alla Polizia . Mussolini interruppe per dire che una inchiesta aveva a tal proposito concluso con la insussistenza del fatto . Nell ' udienza successiva , il re non fece più alcuna obiezione . Al contrario , riconobbe che anche come Guardasigilli dopo la ultimazione dei Codici il Grandi meritava l ' alta distinzione . Questo cambiamento alla distanza di quarantott ' ore sembrò strano . Quanto all ' epoca , fu scelta la festa dell ' Annunziata , e di lì a poco , il 25 marzo del 1943 , il conte Dino Grandi diventava cugino di Vittorio Emanuele Savoia . I giornali pubblicarono la notizia senza eccessivo rilievo . Il Grandi di lì a qualche giorno tornò a Palazzo Venezia e fece tali dichiarazioni di fedeltà , di devozione a Mussolini , da fare tremare i muri perimetrali dell ' edificio . Che il conferimento del Collare fosse un elemento della congiura ? Chi avrebbe infatti potuto dubitare della fede fascista di Grandi ? Qualcuno c ' era , ma non fu ascoltato . Nelle diverse migliaia di " fascicoli " che contengono vita , morte e miracoli di duecentomila personaggi fra i maggiori e minori d ' Italia , quello di Grandi è straordinariamente voluminoso . Per non essere costretti a scrivere centinaia di pagine , trascuriamo le manifestazioni pubbliche scritte e orali , dalle quali risulta che egli si gloriava di essere un " ortodosso " del Fascismo ; un fedelissimo di Mussolini , che aveva fatto di lui , oscuro cronista del Resto del Carlino , un uomo politico di rilievo prima nel Partito , quindi nella Nazione . Che cosa sarei stato io diceva Grandi - se non ti avessi incontrato ? Nella più propizia delle ipotesi un oscuro avvocato di provincia . Sfogliamo il fascicolo che contiene documenti non destinati alla pubblicità e quindi , si suppone , senza secondi fini . Dopo la Marcia su Roma e precisamente nel marzo del 1923 viene chiamato a Roma per riprendere l ' attività politica e in tale occasione così scrive al Duce : « Ti ringrazio per le tue parole che mi hanno ridato a un tratto tutta la mia vecchia forza di lottare e di lavorare . Rimprovero a me stesso questo tempo perduto a consumarmi in silenzio sterilmente . Nessuno più di me conosce e sa i miei difetti . Essi sono grandissimi e infiniti . Ma tu che sei il mio Capo mi vedrai alla prova . Vedrai di quale devozione e di quale lealtà sarà esempio il tuo Dino Grandi » . Nel maggio del 1925 , Mussolini chiamò Dino Grandi a coprire la carica di Sottosegretario al Ministero degli Esteri . Il Grandi aveva molto desiderato questa nomina e non lo nasconde . In questi termini egli ringrazia il Duce : « Senza perplessità e goffe modestie ti dico che la inaspettata nomina mi ha molto lusingato , anche perché l ' avermi tu prescelto ad una funzione tanto importante mi permetterà di esserti più vicino . Questa è la massima ambizione e il maggior premio che io possa desiderare . Tu sai d ' altra parte quanto illimitata e incondizionata sia la mia fedeltà e come mio unico desiderio sia quello di ubbidirti . Fai perciò di me quello che riterrai più opportuno e più rispondente alle esigenze del momento che tu soltanto sai e puoi valutare » . In data 14 dicembre 1927 , indirizzò un ' altra lettera al Duce nella quale sono contenute le seguenti parole : « Qualche mese fa tu mi ordinasti di riprendere il mio posto . L ' ho ripreso . E riprendendolo con tutta la mia passione non ti ripeto che una assicurazione che è un giuramento di fedeltà . Ti dico solo che la mia fedeltà è cieca , assoluta e indistruttibile . Essa è la conquista spirituale di un uomo di silenzio e di meditazione . Mi vedrai alla prova » . Dopo avere diretto per molti anni il Ministero degli Esteri , egli fu sostituito . Perché ? Frequentando assiduamente Ginevra , egli si era alquanto mimetizzato in quel perfido ambiente . La sua linea era oramai " societaria " . Non vi è dubbio che egli si era fatto un certo nome nel mondo internazionale . Aveva visitato quasi tutte le capitali europee , compresa Ankara . Lo si considerava un uomo di tendenze democratiche , un uomo di destra nella politica estera del Fascismo . La linea del Governo , dopo il fallimento del patto a quattro , divergeva . Un giorno , egli fu sostituito e mandato ambasciatore a Londra . Si può pensare che da quel giorno egli cominciasse a covare un risentimento che lo avrebbe portato lontano . Tuttavia lo tenne accuratamente celato . Quando già nell ' aria si sentiva che qualche cosa di nuovo maturava in terra d ' Africa , in data 20 febbraio 1935 , da Londra così scriveva : « Sono ritornato al mio posto di lavoro con una immagine dell ' Italia fascista quale non avevo visto mai ; la vera Italia del tuo tempo , che va incontro agli eventi misurandoli freddamente , senza preoccupazioni da una parte , senza manifestazioni di isterico entusiasmo dall ' altra . Le cose che sono . I Romani che se ne intendevano avrebbero chiamato questo il tempo della Fortuna virile . Credo che tu debba essere soddisfatto del come l ' Italia ha risposto al tuo ordine di marcia » . Di quando in quando , l ' ambasciatore a Londra scende a riprendere contatto con la vita della Nazione e del Regime . Nessuna riserva o critica nelle manifestazioni destinate alla pubblicità , nessuna riserva nelle manifestazioni epistolari riservate , ma apologia osannante di tutto . Nel febbraio del 1939 , visitando una caserma della Milizia così scrive : « L ' impressione che vi ho riportata è profonda . Guidonia è il più maschio generatore di potenza per la nostra guerra di domani , e , tra le tue creazioni , quella che dà forse con più plastica evidenza il senso del Genio e della Potenza » . È l ' anno in cui nell ' Esercito italiano si introduce , cominciando dalla Milizia , il " passo romano " di parata , sul quale tante oziose discussioni si fecero allora . Sta di fatto che l ' unico esercito al mondo che sfilasse senza uno " stile " di marcia , era l ' Esercito italiano . Che il passo di parata sia il coronamento indispensabile dell ' istruzione in ordine chiuso è di tutta evidenza e che tale passo sia di una importanza educativa grandissima è indiscutibile . È noto l ' episodio di Waterloo . A un certo momento della battaglia , sorpresi da un violento fuoco a massa dell ' artiglieria francese , alcuni reparti prussiani ebbero un momento di incertezza . Blücher li fece ritornare in linea al " passo dell ' oca " e ripresero intrepidamente il combattimento . Quando in una delle sue periodiche visite a Roma , l ' ambasciatore Grandi ha l ' occasione di assistere alle prime sfilate del " passo romano " , egli ne resta semplicemente elettrizzato . Lo spettatore si lascia trasportare dall ' entusiasmo e interpreta dal punto di vista fonico e da quello morale l ' importanza del " passo " con questo brano di una lettera apologetica indirizzata a Mussolini : « La terra tremava sotto la picchiata o meglio la martellata dei piedi dei legionari . Ho osservato da vicino queste Camicie Nere : quando essi marciano al passo romano , i loro occhi sfavillano , la bocca si fa dura e lineare e la faccia acquista un senso nuovo che , non è soltanto il senso marziale , ma è piuttosto il senso di superbia soddisfatta di un martellatore che spacca , che schiaccia la testa del suo nemico . Infatti , è dopo i primi 10-12 passi che la picchiata diventa di una potenza uniformemente crescente e questo perché la eco della martellata nell ' orecchio stesso del martellatore vi raddoppia la forza . Nella necessaria rivoluzione del costume , che tu stai facendo , il passo romano , è e sarà sempre più il più potente strumento di pedagogia fascista . Per questo mi domando se nel passo di parata la musica non vi sia di troppo . Mentre il tamburo " sigilla " , la musica della banda ( non darmi del presuntuoso per queste impressioni ) crea delle diversioni spirituali a tutto scapito di quello che deve essere ingigantito dal silenzio e dal tamburo , la eco e la vibrazione di questa ritmica potente collettiva martellata di bronzo » . Erano quelli gli anni in cui il Partito si proponeva di " rivoluzionare " il costume . A tale scopo fu introdotta la cerimonia del cambio della guardia . Il cambio della guardia era diventato col tempo la più sciatta delle cerimonie militari . Non aveva pubblico , perché non interessava nessuno . Dopo avere migliorato lo stile del cambio della guardia al Quirinale , facendo marciare insieme alla guardia almeno una compagnia con musica , quasi identica cerimonia si svolgeva davanti a Palazzo Venezia , dinanzi a un pubblico sempre più numeroso di Italiani e di stranieri . Una volta , Grandi ha l ' occasione di assistere al cambio della guardia a Palazzo Venezia e dopo aver definito la cerimonia " superba e formidabile " così prosegue : « Quanto ho visto a Berlino tempo fa , e quello che vedo assai spesso a Londra non hanno nulla a che vedere . L ' ordine chiuso che tu hai insegnato ai tuoi soldati è di una originalità unica e superba . Quei tuoi soldati stamane , del colore dell ' acciaio , si muovevano con cuore , muscoli e tendini di acciaio . Non era il " balletto " anglo - sassone . Non era la " catapulta " teutonica . Era un monoblocco di acciaio , una massa potentemente pesante come quella tedesca , ma non tuttavia di ghisa , bensì di metallo vibrante . È il più potente strumento di pedagogia popolare che tu abbia creato » . Chi non ha in questi ultimi tempi gettato un sassolino contro il Segretario Starace ? Nella seduta del Gran Consiglio , il Grandi fu addirittura feroce . Eppure nel 1938 , in una lettera scritta a Mussolini , dopo una visita alla Farnesina , trova modo di dire « che ivi Starace sta facendo delle cose straordinarie » e annunciando la sua partenza per Londra dichiara che eviterà di passare per la Francia , ma andrà via Germania perché , egli dice , « in questi sette anni dacché sono a Londra , io non mi sono mai , dico mai , fermato una sola notte a Parigi , città che odio » . All ' epoca dell ' occupazione dell ' Albania , così scriveva da Londra : « Gli avvenimenti di oggi mi hanno elettrizzato lo spirito . Tu , Duce , fai camminare la Rivoluzione col moto fatale e spietato della trattrice . Dopo la vendetta di Adua , la vendetta di Valona , il tuo collaboratore fedele , il quale ha avuto il privilegio di essere stato , per otto anni , testimonio quotidiano della tua azione , sa che questa azione tu non l ' hai mollata mai , neppure per un secondo . Questa conquista fa dell ' Adriatico , per la prima volta , un mare militarmente italiano e apre all ' Italia di Mussolini le antiche strade delle conquiste romane in Oriente » . Quando all ' atteggiamento del conte Grandi di fronte alla guerra attuale , esso fu , all ' inizio , di assoluta entusiastica adesione . Il 9 agosto del 1940 presentando al Duce una copia fotografica di un suo articolo scritto 26 anni prima ( dicembre 1914 ) , dal quale risulta che le basi dell ' interventismo del 1914 erano le stesse basi ideali e politiche dell ' interventismo di 25 anni dopo , scrive : « Sin da allora , sotto la tua guida , Duce , pensavamo che la guerra vera , la guerra rivoluzionaria dell ' Italia , doveva ancora venire e sarebbe stata la guerra futura , la guerra proletaria fra Italia , Germania e Russia da un lato , Francia e Inghilterra dall ' altro e contro queste ultime che sin da allora dichiaravamo essere le nostre vere nemiche , anche se ci preparavamo a combattere insieme ad esse » . Tornato definitivamente da Londra dove in taluni circoli godeva di una certa considerazione , fu nominato Guardasigilli e come tale diede forte impulso al completamento dei Codici ch ' egli volle chiamati " mussoliniani " . Scelto a presiedere la Camera dei Fasci e delle Corporazioni , pur rimanendo Guardasigilli , in data 27 marzo XVIII così scriveva al Duce : « Ti sono profondamente grato di quanto hai avuto la bontà di dirmi stasera . Essere sempre più uno degli Italiani nuovi che sbalzi a martellate . Questo vogliono la mia vita , la mia fede , il mio spirito che da 25 anni sono tuoi , del mio Duce » . Il 2 dicembre del 1942 , il Duce parlò alla Camera sulla situazione politico - militare . Presiedeva Grandi . L ' assemblea ebbe una tonalità accesa e sembrava denunciare una perfetta unanimità degli spiriti . All ' indomani , fu consegnata al Duce una lettera firmata " una donna " che così si esprimeva : « Voi avete accanto due o tre gerarchi che tramano qualche cosa . Dalla tribuna della stampa ho seguito la seduta di ieri e osservato l ' atteggiamento impenetrabile di Grandi . I suoi applausi erano di convenienza . È stato troppo tempo a Londra . Una che lo conosce vi dice : diffidate ! » Il caso Grandi non è il solo , è uno dei tanti , e tutti si rassomigliano . Storicamente è accertato che nelle grandi crisi i capi mollano o tradiscono mentre i piccoli tengono e rimangono fedeli . È , dunque , il calcolo ( cioè l ' intelligenza ) che gioca nei primi , mentre nei secondi è la forza primigenia ed elementare del sentimento che li guida . Davanti a capovolgimenti spirituali come quelli che l ' epistolario Grandi documenta ( e non è che una minima parte ) , si comprende lo scetticismo di Mussolini , dovuto anche al fatto che nella sua vita egli non ha mai avuto amici . È stato un bene ? Un male ? Alla Maddalena egli si è posto il problema , ma non lo ha risolto perché : « Bene o male oramai è troppo tardi . Vi è nel mondo biblico chi ha gridato : Guai ai solitari e chi nel mondo del Rinascimento ha proclamato : Sii solo e sarai tutto tuo . Se oggi io avessi degli amici , dovrebbero o potrebbero " compatirmi " , cioè letteralmente " patire con me " . Non avendone , i miei casi non escono dal cerchio chiuso della mia vita » .
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Diversi anni fa una poverina , che si firmava « Zagara sicula » , chiese a una rubrica femminile come farsi il suo paltoncino nuovo . « Nessun dubbio , secondo l ' ultimo Harper ' s Bazaar - rispose feroce Irene Brin - : Viola , e con le frange d ' oro ! » . E qualche mese fa , a Ferragosto , il direttore di un rotocalco romano , rimasto in città a lavorare , incontrava in piazza del Popolo un letterato fra i nostri più fini , che gli gridava desolato : « Abbiamo sbagliato ! Sono ' tutti ' in Sardegna ! » . In quel momento , chi aveva lanciato la Costa Smeralda affollata di facoltosi dopolavoristi , stava probabilmente facendo i suoi bagni in un ' isoletta greca solitaria ; mentre le modiste che impongono « allunga ! » o « stringi ! » da una stagione all ' altra , si vestono poi come vogliono , in tutt ' altri modi : un po ' come il pastore maligno che indica il sentiero sbagliato , come la cuoca malvagia che consiglia : « per far bene il sufflé ? dentro la farina di colpo mentre s ' alza ! » . In letteratura si vede lo stesso : mode che si succedono con rapidità sconcertanti , precetti capovolti ogni stagione . E anche qui , da un lato , personaggi definibili ( all ' americana ) « indicatori di strade » , cioè iniziatori di voghe . Dall ' altro , anime candide o snob che li seguono , come una tale signora inglese tanto sfortunata da incontrare in via Cimarosa un gentiluomo palermitano famoso per i suoi brutti scherzi ; e gli ha chiesto dove fosse via Pergolesi . « Dentro questo portone , su quattro rampe , e giù in fondo - le risponde lui - , sembra complicato ma è una scorciatoia » . Lei si fida , e si trova in un appartamento dove lui è già lì pronto e la bastona , per di più svillaneggiandola : « brutta sciocca , e tu vatti a fidare di chi ti dice che per andare da una via all ' altra bisogna salire quattro rampe di scale ! » . Non bisogna dunque dar retta agli agenti provocatori ? Sì , invece , in un ' accademia stagnante come la nostra società letteraria ! Viva , sempre , i sobillatori di coscienze ! Come Pasolini : basta stare attenti a non cadere in tutte le imboscate dove ci trascinano , e ce ne vorrebbero cinquanta come lui , da accompagnare nelle loro avventure ... Una larga sezione della nostra cultura gli ha deferito questo incarico di rischiare , a nome di tutti : perché è vero che - soprattutto letterariamente - chi scandalizza i puri di cuore va sacrificato a nome della collettività ( che è rimasta a casa , a godere e soffrire ) ; però è pur sempre giusto ( « oportet » ) che gli scandali avvengano . E come potremmo non entusiasmarci per l ' efferato virtuosismo di un finto capro espiatorio che detta di anno in anno il « compito a casa » ai suoi adepti - persecutori , li costringe all ' idioma romanesco , li obbliga ai Vangeli , li incatena a Freud oppure agli studi linguistici , se li tira dietro dove vuole , e finisce dopo tutto canonizzato in apoteosi ? Non sempre però si cadrà senza strillare in fondo alla trappola aperta . Ultimamente , per esempio , Pasolini ha dichiarato in un ' intervista al « Giorno » e in una conferenza dell ' ACI di rinnegare certe sue convinzioni di ieri . Ritiene « ancora possibile » il romanzo ; non lo trova più « esaurito come genere » ; soprattutto constatando l ' esistenza di una lingua italiana media « unificata » ( e fino a ieri mancante ) . Una lingua nazionale e non pseudonazionale : basata non più su riferimenti al latino , ma al linguaggio tecnologico dei politici e degli industriali ; e prodotta non più fra Roma e Firenze , ma fra Milano e Torino . Parecchi commentatori si sono già lamentati : che « scoperta » è mai questa ? « Ci troviamo impegolati in un bel pasticcio » , scrive Emanuelli , osservando che sarà giusto abbandonare « l ' italiano borghese e burocratico » . Ma non sarà uno ' stratagemma ' questo « abbandonare anche l ' italiano d ' oggi scoperto poco prima come ' lingua ' nazionale e buttarsi nelle braccia del ' linguaggio ' tecnologico ?...» . Cercando di non franare nell ' autobiografia , come lombardo vorrei osservare qui che non mi sembra d ' essermi mai sentito privo di uno strumento abbastanza moderno e abbastanza duttile per ogni esigenza , che non deve nulla ai dialetti e può fare a meno quando vuole d ' ogni parola straniera . Questa lingua esisteva . E forse si ha torto di prendere per una constatazione di carattere generale , valevole « erga omnes » , quella che probabilmente è una esperienza privata di Pasolini , simile alla « trouvaille » di chi arrivando in Piemonte « scopra » l ' esistenza del barolo e del barbera . Parlando da lettore di Saussure , poi , si potrebbe « lavorare » secondo le leggi della linguistica il concetto di Emanuelli : sostituendo al suo termine di « linguaggio » quello saussuriano di « parola » , per sottolineare il carattere « individuale e momentaneo » della terminologia tecnologica rispetto alla « lingua » che è per definizione un fatto « sociale nella sua essenza e indipendente dall ' individuo » . Come lettore di Carlo Dossi , infine , vorrei suggerire che nelle « Note azzurre » esiste già perfetta e incantevole la lingua « nazionale » secondo « questa nuova angolazione linguistica » vagamente nordista sognata da Pasolini . Manca qualche stilema olivettiano o moroteo , pazienza . Ma è uno strumento affascinante ai fini della narrativa più « moderna » di oggi : quella delle « Note azzurre » stesse . Cioè un romanzo che vede la realtà per elenchi e la cultura per analogie , fa i suoi usi giusti sia dell ' ironia sia dell ' Inghilterra , sia del plurilinguismo , ed è talmente aperto che si può cominciare a leggere in ogni pagina .
I profeti dell'istinto ( Abbagnano Nicola , 1970 )
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L ' istigatore della strage di Sharon Tate , Charles Manson , condannato in questi giorni a morte da un tribunale americano , si è costantemente presentato al pubblico e ai suoi giudici come il profeta di una nuova fede . « Se Dio è uno , che cosa è male ? » , aveva detto in un ' intervista : intendendo che , se il male non c ' è , non si può né giudicarlo né punirlo . È questa certo la parodia di una vecchia tesi teologica sul problema del male , una parodia che potrebbe facilmente capovolgersi contro chi la propone : perché , se il male non c ' è , non è un male neppure la condanna di Manson . Ma anche Manson ha i suoi seguaci ; ed hanno i loro seguaci gl ' innumerevoli profeti che spuntano da ogni parte , fondano sètte , raccolgono denaro e talvolta commettono crimini in nome della loro fede . Le loro voci sono così disparate e contrastanti da formare una cacofonia indecifrabile . Alcuni riecheggiano credenze e dottrine antichissime : l ' induismo , il buddismo , la magia , la stregoneria . Altri si presentano come riformatori o rinnovatori del cristianesimo o di qualche sua particolare confessione . Altri ancora si fanno banditori di un paradiso terrestre che si può raggiungere con la violenza o la droga . Il successo di questi profeti , che è maggiore nelle società tecnologicamente avanzate , è in realtà l ' indice di un malessere diffuso e di un ' aspirazione inappagata . Molti oggi cercano la fede , ma pochi la trovano . La cercano , perché essa appare come la via d ' uscita dalle angosce , dai timori , dalle tensioni della vita contemporanea , come il porto sicuro tra le tempeste che imperversano . Ma non si sa a che cosa ancorarla . I porti e gli approdi familiari , cui le vecchie tradizioni la indirizzavano , non sembrano più al riparo dalle tempeste : lo stesso sforzo di rammodernarne o rafforzarne le attrezzature dimostra la perdita della sicurezza che essi un tempo riuscivano a dare . Ma , dall ' altro lato , non si può credere , se non si sa a che cosa credere . E il profeta , per quanto rozzo o maligno sia il suo messaggio , offre , al bisogno della fede , un appiglio o un ' occasione , un contenuto intorno a cui concretarsi : un contenuto che si accetta tanto più volentieri quanto più promette e meno esige , quanto più fa leva sulla debolezza , anziché sulla forza , dell ' uomo . Se si volesse cogliere il tratto che accomuna le fedi disparate che vengono proposte all ' attenzione dei contemporanei , si potrebbe vederlo nella divinizzazione dell ' uomo . Nello stesso ambito del cristianesimo , si insiste sempre meno sulla trascendenza di Dio . Per i « nuovi teologi » , Cristo non è il Figlio di Dio che si è assunto il compito di riportare l ' uomo alla divinità , ma il Figlio dell ' Uomo che si è assunto il compito di portare la divinità all ' uomo . Da questo punto di vista , la divinità vive nell ' uomo e si realizza nella sua storia . Ma se è così , tutto ciò che è umano è divino . È divino , soprattutto , ciò che ogni uomo più intimamente e profondamente desidera : la soddisfazione e il piacere immediato , la liberazione da controlli e da vincoli , il gioco delle sue attività e dei suoi poteri senza impedimenti o repressioni , la liberazione da ogni senso di colpa . L ' uomo divinizzato non può amare la ragione , ma solo l ' istinto , il sentimento , l ' immaginazione creativa , che lo fanno sentire libero da limiti e costrizioni e gli consentono di trasformare l ' intera sua vita in un gioco . Danzare , giocare , godere , questo è il destino dell ' uomo , il paradiso terrestre cui la sua natura lo indirizza . Ma istinto , sentimento , fantasia appartengono al mondo privato dell ' individuo , alla sua coscienza interiore . A differenza della ragione che è obbiettiva , comune a tutti gli uomini , pubblica , essi rinchiudono l ' individuo in se stesso . Il piacere di un altro non è il mio piacere , il mio mondo fantastico mi esclude dagli altri e può essere agli altri comunicato solo attraverso parole o segni , che sono essi stessi inutili e defatiganti artifici . La condanna della ragione ha , come sua conseguenza , un individualismo estremo , una rinuncia preliminare e totale , anche se non dichiarata , alla realtà degli altri uomini . Questi diventano solo immagini o fantasmi del mio sogno privato , oggetti e strumenti del mio desiderio o attrezzi del mio gioco . Spesso i filosofi hanno paragonato la vita ad un sogno : ma se la vita è veramente tale , perché non rendere più attraente il sogno con la droga ? E che differenza porre tra il « mondo normale » in cui crediamo abitualmente di vivere e quello che chiamiamo « anormale » del paranoico ? Questi temi ricorrono frequentemente in tutte le voci profetiche del nostro tempo che amano decorarsi come « nuove » : la nuova politica , la nuova teologia , la nuova sociologia , la nuova psicologia , la nuova psichiatria . Esse si prestano a formulare facili slogans e giudizi inappellabili ; si prestano a condannare in blocco il patrimonio culturale acquisito dal genere umano negli ultimi secoli , e la società che lo incorpora , e ad alimentare la fede nell ' avvento imminente di un nuovo paradiso terrestre . Anzi , per molte di queste voci , il paradiso non è imminente , è già presente nell ' uomo e alla portata della sua mano : può afferrarlo quando vuole . Ma questa fede suppone che l ' uomo possa e debba far tutto ciò che gli piace : che l ' uomo sia la divinità stessa o che la divinità si identifichi con il mondo privato dei suoi desideri . E fin qui tutto ha una certa logica , come d ' altronde ha la sua logica e la sua coerenza il mondo del paranoico . Le difficoltà insorgono quando si tratta di comprendere o almeno di dar conto dei rapporti tra gli uomini . Esistono veramente altri uomini , come realtà autentiche , allo stesso titolo in cui esisto io stesso ? Se io sono istinto , sentimento , fantasia , gli altri uomini sono soltanto strumenti del mio piacere o fantasmi della mia immaginazione . In tal caso le loro sofferenze , le loro miserie , le ingiustizie o i mali di cui sono vittime , fanno parte anch ' esse del mio mondo privato : sono angosce di cui posso liberarmi con l ' immaginazione o con la droga o lo sfondo oscuro su cui posso proiettare il mio libero gioco . Se invece esistono , e sono anch ' essi , come me , istinto , sentimento e immaginazione , i mali di cui soffrono sono inerenti al mondo privato di ciascuno , riguardano loro e non me : essi li creano , creando il loro mondo , come io creo il mio . Nell ' un caso e nell ' altro , i motivi di critica della società attuale , che dànno lo spunto a queste nuove forme di profezia , sono semplici pretesti . Perché preoccuparsi della guerra , della violenza , della delinquenza , del deterioramento dell ' ambiente naturale , della pazzia , delle ingiustizie sociali , se tutto ciò appartiene a una realtà artificiosa e falsificata dalla ragione e dalla scienza , che non tocca o diminuisce la potenza creativa di cui ciascun individuo è naturalmente in possesso ? Perché parlare di amore , di fraternità , di uguaglianza , se ciascun essere umano ha a sua disposizione lo strumento per raggiungere il suo paradiso privato ? E come può la società , nel suo insieme , essere un male o generare il male , se essa stessa non è che il fantasma di un sogno ? Comunque si atteggi , la nuova profezia , che divinizza l ' uomo , disprezza la realtà , volta le spalle alla ragione e abolisce ogni regola di misura , è l ' evasione nel sogno dell ' individualità isolata che crede di essere Dio . Se la realtà è sogno o se il male non c ' è , è inutile affaticarsi e combattere . Nessuno ha colpa di nulla . E la colpa stessa , a chiunque attribuita o da chiunque sentita , è un prodotto dell ' immaginazione . Ma non è tutto questo un semplice armamentario per sfuggire proprio al senso di colpa ? E non è un armamentario fittizio , che lascia le cose come sono , trascurando i fatti e i problemi , e si rifugia in una fede impossibile ?
StampaQuotidiana ,
Quando si è dinanzi a fenomeni storici di vasta portata , come una guerra o una rivoluzione , - la ricerca delle cause prime è straordinariamente difficile . Soprattutto è difficile fissare , nel tempo , l ' origine degli avvenimenti . Si corre il rischio , risalendo nei secoli , di arrivare alla preistoria , poiché causa ed effetto si condizionano e si rincorrono a vicenda . Per evitare questo è necessario stabilire un punto di partenza : un atto di nascita . La prima manifestazione del Fascismo risale agli anni 1914-1915 , all ' epoca della prima guerra mondiale , quando i " Fasci di Azione Rivoluzionaria " imposero l ' intervento . Rinascono il 23 marzo 1919 come " Fasci di Combattimento " . Tre anni dopo , la Marcia su Roma . Dal 28 ottobre del 1922 bisogna partire , quando si voglia esaminare il ventennio del regime sino al luglio del 1943 e rintracciare le cause prime del colpo di Stato . Che cosa fu la Marcia su Roma ? Una semplice crisi di Governo , un normale cambiamento di Ministeri ? No . Fu qualche cosa di più . Fu una insurrezione ? Sì . Durata , con varie alternative , circa due anni . Sboccò questa insurrezione in una rivoluzione ? No . Premesso che una rivoluzione si ha quando si cambia con la forza non il solo sistema di governo , ma la forma istituzionale dello Stato , bisogna riconoscere che da questo punto di vista il Fascismo non fece nell ' ottobre del 1922 una rivoluzione . C ' era una monarchia prima , e una monarchia rimase dopo . Mussolini una volta disse che quando nel pomeriggio del 31 ottobre le Camicie Nere marciarono per le vie di Roma , fra il giubilo acclamante del popolo , vi fu un piccolo errore nel determinare l ' itinerario : invece di passare davanti al Palazzo del Quirinale , sarebbe stato meglio penetrarvi dentro . Non lo si pensò perché in quel momento tale proposito sarebbe apparso a chiunque inattuale e assurdo . Come attaccare la monarchia che invece di sbarrare le porte le aveva spalancate ? Il re aveva effettivamente revocato lo stato d ' assedio proclamato all ' ultima ora da Facta ; non aveva ascoltato le suggestioni del Maresciallo Badoglio o quelle che gli erano state attribuite e che provocarono una molto violenta nota del Popolo d ' Italia ; aveva dato a Mussolini l ' incarico di comporre un Ministero , il quale fatta esclusione delle sinistre incapsulate nella pregiudiziale antifascista nasceva sotto i segni della rivendicata vittoria e della concordia nazionale . Un improvviso obiettivo di carattere repubblicano dato alla Marcia avrebbe complicato le cose . C ' era stato il discorso di Udine del settembre 1922 che aveva accantonato la tendenzialità repubblicana , ma già dagli inizi del movimento la posizione del Fascismo di fronte alla forma delle istituzioni politiche dello Stato era stata fissata nella dichiarazione programmatica del primo Comitato centrale dei Fasci italiani di Combattimento nell ' anno 1919 con sede in via Paolo da Cannobio 37 . Tale programma , al comma D , proponeva la « convocazione di una Assemblea nazionale per la durata di tre anni , il cui primo compito sia quello di stabilire la forma dicostituzione dello Stato » . Non c ' era dunque alcuna formulazione o pregiudiziale repubblicana . Un anno dopo , nell ' adunata nazionale tenutasi nel ridotto del teatro Lirico di Milano nei giorni 24 e 25 maggio del 1920 , alcuni principi orientatori dell ' azione fascista venivano formulati . Essi sono condensati nell ' opuscolo : Orientamenti tecnici e postulati pratici del Fascismo ( sede centrale in via Monte di Pietà ) , dove , dopo avere dichiarato che i Fasci di Combattimento « non si opponevano al socialismo in sé e per sé dottrina e movimento discutibili ma si opponevano alle due degenerazioni teoriche e pratiche , che si riassumono nella parola bolscevismo » passando al problema del regime politico , in questi precisi termini si esprimeva : « Per i Fasci di Combattimento la questione del regime è subordinata agli interessi morali e materiali , presenti e futuri della Nazione , intesa nella sua realtà e nel suo divenire storico ; per questo essi non hanno pregiudiziali pro o contro le attuali istituzioni . Ciò non autorizza alcuno a considerare i Fasci monarchici , né dinastici . Se per tutelare gli interessi della Nazione e garantirne l ' avvenire si appalesa necessario un cambiamento di regime , i fascisti si appronteranno a questa eventualità , ma ciò non in base agli immortali principi , bensì in base a valutazioni concrete di fatto . Non tutti i regimi sono adatti per tutti i popoli . Non tutte le teste sono adatte per il berretto frigio . A un dato popolo si confà un dato regime . Un regime può svuotarsi di tutto il suo contenuto antiquato e democratizzarsi come in Inghilterra . Ci possono essere , invece , e ci sono delle Repubbliche ferocemente aristocratiche , come la Russia dei cosiddetti Sovieti . Oggi i fascisti non si ritengono affatto legati alle sorti delle attuali istituzioni politiche monarchiche » . Come si vede anche nella dichiarazione del 1920 l ' atteggiamento del Fascismo potrebbe chiamarsi « pragmatistico » . Né questo atteggiamento sostanzialmente mutò durante gli anni 1921-1922 . Nel momento della insurrezione , la repubblica , come dottrina o come istituto , non era presente all ' animo del popolo . Dopo la morte di Giuseppe Mazzini e dei suoi compagni di apostolato l ' ultimo , Aurelio Saffi , morì nel 1890 il partito repubblicano visse sulle « sante memorie » , soffocato dalla realtà monarchica e premuto dalle nuove dottrine socialistiche . Tre uomini si stagliano dal grigiore collettivo di questo crepuscolo : Dario Papa , Giovanni Bovio e Arcangelo Ghisleri , quest ' ultimo di una intransigentissima adamantina fede , per cui non volle mai essere deputato per non dover giurare . Ma gli altri esponenti del partito si erano mimetizzati attraverso l ' elemento corruttore per eccellenza , che è il parlamento con le forme monarchiche , sino , durante la guerra , ad assumere responsabilità ministeriali . Questo tipo di repubblicanesimo demo - massonico era rappresentato dall ' ebreo Salvatore Barzilai . Si può affermare che monarchia da una parte e massoneria dall ' altra avevano praticamente svirilizzato l ' idea e il partito . D ' altra parte con la guerra del 1915-18 , con la liberazione di Trento e Trieste , il compito storico del partito poteva considerarsi esaurito . Il sogno di un secolo di sacrifici , di martiri , di battaglie era stato realizzato . Il merito di avere per tanti decenni tenuta accesa questa fiaccola spetta incontestabilmente al partito repubblicano . Nel dopoguerra , fatta esclusione della « parata » rossa alla riapertura della prima Camera eletta nel novembre del 1919 , nessuno parlò più di repubblica , nemmeno fra le sinistre . Dal giorno in cui il re fece a Turati l ' " onore " di chiamarlo a conferire al Quirinale e Turati vi andò , sia pure in cappello a cencio e giacca , parlare di repubblica in Italia dove la monarchia aveva associato il suo nome alla vittoria sembrava un anacronismo . Dei quadrumviri uno era intransigentemente monarchico e savoiardo , il De Vecchi ; non meno , in fondo , monarchico era il De Bono ; solo Italo Balbo aveva avuto trascorsi repubblicani nella sua gioventù , mentre Michele Bianchi il cervello " politico " della squadra venuto al Fascismo dalla esperienza sindacalistica considerava anch ' egli inattuale il problema istituzionale italiano . Date queste condizioni storiche e politiche contingenti , la Marcia su Roma non poteva instaurare la repubblica , alla quale il popolo era completamente impreparato , mentre il tentativo di realizzare tale istituto fuori tempo avrebbe probabilmente complicato , se non pregiudicato , le sorti del movimento insurrezionale . La monarchia rimase ma il Fascismo sentì quasi immediatamente il bisogno di crearsi istituti suoi propri come il Gran Consiglio e la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale . Nella riunione tenutasi al Grande Albergo di Roma nel gennaio del 1923 non soltanto nacquero il Gran Consiglio e la Milizia , ma ebbe inizio un sistema politico che può chiamarsi " diarchia " , il governo in due , il " doppio comando " . Mussolini , che talvolta è un terribile umorista senza saperlo , disse che il sistema era quello della stanza matrimoniale con letti separati , pessima situazione secondo quanto affermava nella sua Fisiologia del matrimonio Onorato Balzac . A poco a poco la diarchia prese un carattere sempre più definito , anche se non sempre fissato in leggi speciali . Al culmine c ' era il re e il Duce , e quando le truppe schierate salutavano alla voce lo facevano per l ' uno e per l ' altro . Vi fu un momento in cui , dopo la conquista dell ' Impero , il generale Baistrocchi , cedendo alla sua vulcanica esuberanza , faceva ripetere tre volte il saluto , sino a quando Mussolini lo invitò a non introdurre le " litanie " nei reggimenti . Accanto all ' Esercito che obbediva prevalentemente al re , c ' era la Milizia che obbediva prevalentemente al Duce . Il re aveva una guardia del corpo , composta di carabinieri con una speciale statura , e un giorno Gino Calza - Bini , creò , coi " Moschettieri " , la guardia personale del Duce . Il Consiglio dei ministri discendeva dallo Statuto , ma il Gran Consiglio lo precedeva in importanza perché proveniva dalla rivoluzione . L ' inno " Giovinezza " , marziale e impetuoso , si appaiava nelle cerimonie alla marcia reale di Gabetti , chiassosa e prolissa , che poteva essere suonata , come il " moto perpetuo " , a consumazione degli esecutori e degli ascoltatori . Per evitare la noia di una eccessivamente lunga ascoltazione , venivano suonate dell ' uno e dell ' altro inno soltanto le prime battute . Anche il saluto militare non sfuggì al sistema della diarchia : il vecchio saluto fu conservato col copricapo ; il saluto romano o fascista , senza berretto ( come se nel frattempo le teste fossero cambiate ! ) . Delle tre Forze armate la più realista era l ' Esercito , seguiva la Marina , specie nello Stato maggiore , solo l ' Aviazione ostentava i segni del Littorio , sotto i quali era nata o almeno rinata . Nell ' Esercito vi era un ' arma che aveva sopra tutte carattere esclusivamente dinastico : l ' arma dei carabinieri . Era questa l ' arma del re . Anche qui il Fascismo cercò di organizzare una polizia che desse garanzie dal punto di vista politico e vi aggiunse un ' organizzazione segreta : l ' Ovra . Ma la dinastia aveva anch ' essa una sua polizia e un servizio di informazioni dall ' interno che nelle provincie veniva assolto da vecchi funzionari civili o militari collocati in pensione . Che la monarchia avesse , oltre a quella del Governo , una sua diplomazia , è certo : non solo attraverso i diplomatici che si recavano sempre a conferire al Quirinale quando tornavano a Roma , ma anche attraverso le parentele delle famiglie principesche o reali o attraverso quella che una volta era la assai numerosa e potente " internazionale " dei re , oggi ridotta a un circolo di poche larve spettrali . Nessun dubbio che il corpo di stato maggiore dell ' Esercito fosse soprattutto " regio " ; esso formava una specie di casta molto circoscritta se non completamente chiusa , sulla quale la dinastia faceva assegnamento in modo assoluto . Se la Camera appariva un ' emanazione del Partito e rappresentante specifica del Regime , il Senato sottolineava invece il suo lealismo dinastico , e per il fatto della nomina regia e per la sua stessa composizione . Il numero dei generali , degli ammiragli , dei nominati per censo era sempre imponente . Il Senato costituiva quindi , più che una forza materiale , una riserva politico - morale in favore della dinastia . Tutta l ' aristocrazia italiana , prima la bianca , poi , dopo la Conciliazione , anche la nera , costituiva un ' altra forza monarchica . Definita la questione romana , la curia e il clero entrarono nell ' orbita regia , cosicché nelle cerimonie religiose era di prescrizione la preghiera per il re . La grossa borghesia , industriali , agrari , banchieri pur non esponendosi in prima linea , marciava anch ' essa sotto le insegne regie . La massoneria considerava il re come uno dei " fratelli onorari " . Il giudaismo del pari . Precettore del principe era stato l ' ebreo professore Polacco . Perché il sistema della " diarchia " a base di " parallele " funzionasse , occorreva che le parallele non cessassero di essere tali . Per tutto il 1923 , l ' anno dei " pieni poteri " , non ci furono grandi novità , meno il grosso incidente di Corfù che fu in sede ginevrina composto con piena soddisfazione del Governo italiano . Anno di crisi seria fu , invece , il 1924 . Il Regime dovette fronteggiare le conseguenze di un delitto che prescindendo da ogni altra considerazione era per il modo e per il tempo politicamente sbagliato . La pressione dell ' Aventino sul re e sui circoli vicini nell ' estate del 1924 fu assai forte . Si ebbero passi " formali " al Quirinale da parte delle opposizioni . Il re diede qualche assicurazione generica sul terreno propriamente penale , ma esitò a seguire gli aventiniani sul terreno delle responsabilità politiche . Anche il famoso memoriale di Cesare Rossi verso la fine di dicembre , pubblicato per iniziativa del Governo in anticipo sugli avversari , non fece una impressione eccessiva sul re . Oramai gli avversari del Fascismo si erano imbottigliati in una questione morale senza vie di uscita e anche , esiliandosi , avevano liberato il terreno sul quale al momento prescelto si sarebbe sferrato il contrattacco del Regime . Il che accadde col discorso del 3 gennaio 1925 e con le misure prese nelle 48 ore successive . Mentre il re aveva resistito con abbastanza decisione alle manovre aventiniane nella seconda metà del 1924 anche quando più o meno direttamente era stato chiamato in gioco non apparve invece molto soddisfatto dall ' azione del 3 gennaio , attraverso la quale , con la soppressione di tutti i partiti , si gettavano le basi dello Stato totalitario . Fu quello il primo " scontro " della diarchia . Il re sentì che da quel giorno la monarchia cessava di essere costituzionale nel senso parlamentare della parola . Non vi era più alcuna possibilità di scelta . Il gioco dei partiti e la loro alternanza al potere finivano . La funzione della monarchia si illanguidiva . Le ricorrenti crisi ministeriali , insieme con le grandi calamità nazionali e gli auguri di capo d ' anno , poi aboliti , erano le sole occasioni nelle quali il re faceva qualche cosa che lo ricordasse agli Italiani , non solo come collezionista di vecchie monete , diligente sino al fanatismo . Durante una crisi ministeriale la sfilata dei papabili al Quirinale era un avvenimento , al centro del quale stava il re . Dal 1925 , tutto ciò finiva . Da quell ' anno in poi , il cambio dei dirigenti avrebbe rivestito il carattere di un movimento di ordine interno nell ' ambito del Partito . Il 1925 fu l ' anno delle leggi eccezionali . Il 1926 fu quello delle leggi costruttive sul piano sociale . Ma verso il novembre la Camera che si chiamava oramai fascista espulse dal suo seno colpevoli di decadenza - i fuggiaschi dell ' Aventino . Anche questo inasprimento in senso totalitario della politica del Regime non passò inosservato negli ambienti di Corte . Da quel momento si cominciò a parlare di una monarchia prigioniera del Partito , e si compassionò il re , oramai relegato al secondo piano , di fronte al Duce . Tuttavia il biennio 1925-26 trascorse tranquillo .