StampaQuotidiana ,
Fra
le
numerose
dichiarazioni
fatte
negli
ultimi
tempi
dal
maresciallo
Badoglio
circa
la
situazione
del
nostro
paese
,
ve
ne
sono
molte
le
quali
non
possono
che
essere
approvate
da
ogni
buon
italiano
;
ve
ne
è
una
,
però
,
contro
la
quale
non
si
può
non
levare
una
fiera
ed
energica
voce
di
protesta
.
Parlando
ad
un
corrispondente
dell
'
Associated
Press
,
Badoglio
avrebbe
detto
che
,
siccome
dopo
ogni
guerra
sorge
il
pericolo
del
comunismo
,
gli
alleati
hanno
il
dovere
di
dare
un
aiuto
per
impedire
la
diffusione
del
comunismo
in
Italia
.
«
Gli
italiani
continua
l
'
intervista
sono
semplici
e
individualisti
.
La
proprietà
è
divisa
in
modo
razionale
,
e
v
'
è
una
grande
quantità
di
piccoli
agricoltori
.
Manca
dunque
una
base
pel
comunismo
.
Il
popolo
può
vivere
,
se
necessario
,
contentandosi
di
poco
.
A
Napoli
esso
viveva
di
legumi
e
di
frutta
.
Spero
che
gli
alleati
daranno
al
popolo
italiano
il
minimo
per
vivere
.
Questo
salverà
dal
comunismo
.
»
Lascio
da
parte
che
il
capo
di
un
governo
,
anche
se
provvisorio
e
gravato
della
eredità
terribile
lasciata
dal
fascismo
,
dovrebbe
parlare
del
suo
popolo
e
del
suo
paese
in
termini
più
dignitosi
.
Mi
interessa
per
ora
l
'
altra
questione
.
Che
cosa
è
questo
«
pericolo
del
comunismo
»
che
in
questa
intervista
viene
agitato
come
uno
spauracchio
?
I
comunisti
hanno
dichiarato
apertamente
,
per
bocca
dei
loro
rappresentanti
più
autorevoli
,
che
il
problema
della
conquista
della
dittatura
proletaria
o
del
governo
di
un
solo
partito
non
si
pone
.
Essi
hanno
aggiunto
,
in
modo
che
non
lascia
sussistere
nessun
dubbio
,
che
i
compiti
che
si
pongono
oggi
sono
prima
di
tutto
e
in
linea
pregiudiziale
quello
di
cacciare
dall
'
Italia
i
tedeschi
per
salvare
l
'
unità
e
l
'
indipendenza
del
paese
,
di
schiacciare
senza
pietà
i
traditori
fascisti
,
di
distruggere
le
radici
di
quel
regime
fascista
che
ha
portato
l
'
Italia
alla
rovina
,
e
di
creare
un
'
Italia
veramente
democratica
,
nella
quale
il
popolo
italiano
sia
libero
di
decidere
da
sé
delle
proprie
sorti
.
I
comunisti
affermano
che
per
raggiungere
questi
obiettivi
in
cui
si
compendia
la
rinascita
del
nostro
paese
a
una
vita
civile
tutte
le
forze
politiche
e
sociali
sane
della
nazione
si
devono
unire
in
un
fronte
unico
nazionale
,
base
potente
dello
sforzo
di
guerra
che
deve
fare
l
'
Italia
in
questo
momento
e
garanzia
della
nostra
vittoria
.
Per
di
più
,
si
sa
che
i
comunisti
,
fedeli
al
principio
per
cui
ogni
loro
parola
deve
trovar
la
sanzione
pratica
nella
loro
azione
,
si
battono
nelle
prime
file
del
popolo
,
contro
i
tedeschi
,
alla
testa
dei
gruppi
di
partigiani
,
nella
unità
di
volontari
.
Molti
di
loro
hanno
già
sacrificato
la
vita
per
la
causa
del
paese
,
così
come
nei
vent
'
anni
della
dittatura
fascista
sacrificarono
la
vita
e
la
libertà
per
la
causa
dell
'
antifascismo
.
Che
cosa
vi
è
che
permette
,
in
questa
posizione
e
in
questa
chiara
ed
energica
linea
d
'
azione
dei
comunisti
,
di
qualificarli
come
un
pericolo
per
il
paese
?
Che
cosa
è
che
permette
di
presentare
come
un
pericolo
e
di
chiedere
persino
l
'
aiuto
di
potenze
straniere
per
combattere
contro
un
potente
movimento
,
che
ha
profonde
radici
nel
popolo
,
la
cui
bandiera
è
quella
dell
'
unità
della
nazione
,
della
guerra
del
popolo
contro
i
tedeschi
,
della
distruzione
totale
del
fascismo
e
della
libertà
?
È
evidente
che
alle
avventate
dichiarazioni
di
Badoglio
bisogna
cercare
altre
ragioni
.
La
ragione
,
purtroppo
,
sta
in
un
vizio
profondo
che
mina
le
classi
dirigenti
tradizionali
italiane
,
e
che
nel
corso
di
tutta
la
storia
del
nostro
paese
,
è
stato
sempre
alla
base
delle
più
grandi
sciagure
che
si
sono
abbattute
sopra
di
noi
.
Il
comunismo
è
considerato
un
pericolo
perché
esso
è
un
movimento
organizzato
di
lavoratori
,
di
masse
popolari
,
di
operai
,
di
intellettuali
,
di
contadini
,
che
rivendicano
la
partecipazione
alla
vita
politica
del
paese
e
vogliono
che
le
sue
sorti
siano
nelle
mani
della
nazione
intiera
,
e
non
di
ristretti
gruppi
di
privilegiati
.
Prendete
a
esaminare
la
storia
d
'
Italia
,
anche
solo
da
quando
s
'
è
iniziato
il
Risorgimento
fino
ad
ora
,
e
voi
trovate
che
questa
paura
reazionaria
,
la
quale
si
riduce
poi
,
in
sostanza
,
alla
difesa
ostinata
dei
privilegi
sociali
e
politici
di
una
minoranza
,
è
la
nota
dominante
della
politica
delle
classi
dirigenti
tradizionali
.
Queste
classi
dirigenti
sono
riuscite
,
sì
,
a
fare
l
'
unità
del
paese
;
ma
tutta
la
loro
preoccupazione
è
stata
quella
di
evitare
che
la
formazione
dello
Stato
unitario
coincidesse
con
un
vero
risveglio
e
con
l
'
avvento
alla
vita
politica
del
popolo
intiero
.
Quando
poi
il
popolo
fu
risvegliato
dalla
guerra
e
chiese
venissero
riconosciuti
i
suoi
diritti
e
distrutti
i
privilegi
delle
caste
reazionarie
,
allora
si
ricorse
al
fascismo
per
respingerlo
indietro
.
Spettava
al
fascismo
,
come
s
'
è
visto
,
portare
il
paese
alla
catastrofe
,
a
una
situazione
,
cioè
,
in
cui
la
stessa
esistenza
d
'
Italia
come
Stato
unitario
è
di
nuovo
in
giuoco
,
e
lo
straniero
di
nuovo
calpesta
il
suolo
della
patria
.
In
sostanza
,
si
può
dire
che
gli
stessi
gruppi
dirigenti
che
fecero
l
'
Italia
sono
quelli
che
l
'
hanno
portata
alla
rovina
e
alla
distruzione
,
e
ciò
che
li
ha
guidati
in
questa
opera
è
stato
precisamente
quello
spirito
reazionario
che
parla
per
bocca
di
Badoglio
quand
'
egli
evoca
lo
spettro
del
comunismo
.
Il
vero
pericolo
per
l
'
Italia
non
è
in
uno
sviluppo
ampio
del
movimento
comunista
,
perché
tale
sviluppo
non
potrà
che
contribuire
al
progresso
economico
,
politico
e
sociale
di
tutto
il
paese
.
Il
vero
pericolo
è
che
la
lezione
del
fascismo
,
per
quanto
terribile
,
non
sia
stata
sufficiente
,
e
che
vi
sia
ancora
qualcuno
che
voglia
artificialmente
privare
la
nazione
ed
il
popolo
di
quella
libertà
,
di
quelle
possibilità
di
organizzazione
,
di
movimento
e
di
progresso
da
cui
dipende
il
suo
avvenire
.
Per
il
popolo
,
però
,
la
lezione
del
fascismo
non
è
passata
invano
,
e
chiunque
voglia
far
risorgere
sotto
qualsiasi
pretesto
e
qualsiasi
egida
,
la
vecchia
Italia
retrograda
e
reazionaria
,
l
'
Italia
dell
'
oppressione
delle
masse
e
del
trionfo
dei
più
arretrati
privilegi
,
l
'
Italia
dalle
cui
viscere
doveva
uscire
il
regime
vergognoso
delle
camicie
nere
,
è
sicuro
di
incontrare
una
risposta
adeguata
.
StampaQuotidiana ,
Lugano
,
30
.
-
Un
'
altra
bella
impresa
,
un
'
altra
grande
impresa
.
Ecco
,
di
nuovo
,
la
bandiera
bianco
rosso
e
verde
in
festa
che
si
alza
nel
cielo
pallido
di
Lugano
.
È
,
di
nuovo
,
uno
spavaldo
campione
in
maglia
azzurra
che
strappa
di
forza
il
nastro
della
«
grande
corsa
dell
'
arcobaleno
»
:
è
Coppi
.
Coppi
si
è
lanciato
.
Coppi
,
perciò
,
ha
vinto
.
La
forza
dell
'
uomo
,
l
'
orgoglio
del
campione
non
si
discutono
.
Oggi
,
Coppi
ha
dato
a
tutto
il
mondo
delle
due
ruote
una
lezione
.
L
la
lezione
semplice
,
bella
della
classe
.
Coppi
era
il
grande
favorito
.
Coppi
era
l
'
uomo
da
battere
.
Ma
sulla
«
giostra
»
di
Lugano
,
si
pensava
(
si
credeva
...
)
che
Coppi
non
avrebbe
potuto
fare
,
tutto
intero
,
il
suo
giuoco
.
Uomini
come
Kubler
,
come
Bobet
,
come
Wagtmans
,
uomini
-
cioè
-
più
in
confidenza
con
le
corse
che
fanno
anello
e
,
più
che
altro
,
camminano
sul
piano
.
Avrebbero
potuto
,
si
pensava
(
si
credeva
...
)
,
tenere
la
ruota
di
Coppi
e
poi
,
magari
,
staccarlo
sul
guizzo
dello
sprint
.
Si
aspettava
Coppi
.
Si
sperava
di
vederlo
lanciato
.
Giri
e
giri
,
stanchi
,
tranquilli
;
giri
e
giri
con
una
serie
quasi
continua
di
scatti
,
di
rincorse
,
di
fughe
.
E
Coppi
non
si
vedeva
...
però
,
davanti
a
Coppi
camminava
,
libero
,
franco
,
furbo
,
Gismondi
.
Ogni
tanto
,
Gismondi
girava
la
testa
,
si
capiva
che
il
ragazzo
sapeva
che
,
da
un
momento
all
'
altro
,
Coppi
avrebbe
lasciato
la
compagnia
.
Stancava
l
'
attesa
;
davanti
con
Gismondi
,
camminava
Wagtmans
e
camminava
Derijcke
.
L
'
uno
e
l
'
altro
potevano
(
si
pensava
...
)
fare
il
grosso
colpo
,
di
sorpresa
.
All
'
improvviso
l
'
attesa
notizia
.
Sulla
«
giostra
»
spiccava
alto
un
numero
:
13
.
Era
il
numero
del
giro
e
lo
speaker
annunciò
:
«
Sulla
rampa
della
Crespera
,
Coppi
ha
staccato
tutti
»
.
Un
urlo
,
applausi
di
festa
ed
evviva
di
gioia
.
Ma
,
più
tardi
,
lo
speaker
ancora
annunciò
che
Derijcke
aveva
raggiunto
Coppi
.
Derijcke
è
un
ragazzo
in
gamba
,
forte
,
veloce
.
Passava
il
tempo
,
passavano
i
giri
:
Derijcke
correva
dietro
a
Coppi
con
facilità
,
e
non
si
stancava
.
E
siccome
Derijcke
è
ancora
veloce
,
si
pensò
:
"
Sta
'
a
vedere
che
Derijcke
tiene
la
ruota
di
Coppi
e
poi
vince
allo
sprint
...
"
.
Ma
il
campione
Coppi
allontanò
presto
il
pericolo
,
lo
allontanò
prima
ancora
del
suono
della
campana
.
Coppi
-
ancora
lassù
,
sulla
rampa
della
Crespera
...
-
staccò
di
forza
Derijcke
.
All
'
annuncio
(
era
l
'
annuncio
della
vittoria
,
del
trionfo
)
la
folla
ancora
gridò
.
Finalmente
dopo
ventuno
anni
,
una
maglia
azzurra
correva
sola
sul
traguardo
della
«
corsa
dell
'
arcobaleno
»
.
Più
nessuna
ombra
,
più
nessun
dubbio
.
L
'
orologio
,
sempre
più
sicuro
,
sempre
più
deciso
,
batteva
il
tempo
del
trionfo
di
Coppi
.
Derijcke
,
sempre
più
,
si
staccava
.
E
gli
altri
?
Già
,
gli
altri
:
dov
'
erano
?
Lontani
,
Kubler
e
Bobet
;
lontano
Wagtmans
,
lontano
Ockers
,
lontano
Gaul
.
E
Schaer
già
si
era
dato
battuto
,
come
Magni
e
Petrucci
,
come
Astrua
.
Ma
non
è
stasera
giorno
di
parole
amare
,
della
corsa
di
Magni
,
di
Petrucci
,
di
Astrua
si
parlerà
dopo
.
Oggi
è
il
gran
giorno
di
Coppi
,
l
'
uomo
,
il
campione
che
ha
fatto
un
mucchio
di
tutto
il
campo
,
un
mucchio
di
uomini
,
che
ha
poi
stretto
nel
suo
pugno
,
un
mucchio
di
uomini
dei
quali
-
persino
-
si
è
fatto
giuoco
.
Un
Coppi
di
eccezione
,
un
Coppi
come
quello
che
era
in
corsa
,
in
questa
gara
,
a
Copenaghen
nel
1949
,
come
quello
che
,
nel
«
Giro
del
'49»
,
da
Cuneo
a
Pinerolo
valicò
montagne
solo
in
fuga
per
sette
ore
,
e
poi
sul
traguardo
gridò
a
se
stesso
:
«
Sono
pazzo
,
sono
pazzo
»
.
E
non
si
dica
che
la
giostra
di
Lugano
è
dura
,
impossibile
.
Coppi
ha
vinto
perché
-
con
la
forza
di
oggi
,
la
volontà
di
oggi
,
la
decisione
di
oggi
-
dappertutto
,
oggi
,
Coppi
avrebbe
imposto
la
sua
ruota
.
Perciò
ecco
il
vecchio
ritornello
:
«
Se
Coppi
vuole
...
»
.
Via
,
purtroppo
,
qualche
volta
Coppi
non
vuole
.
Una
grande
corsa
,
una
grande
impresa
che
non
dà
spazio
(
non
può
dare
spazio
)
alla
corsa
degli
altri
.
E
le
tattiche
e
le
strade
sul
piano
,
in
montagna
,
in
discesa
,
che
cosa
servono
,
se
Coppi
cammina
come
oggi
?
Non
valgono
le
strade
e
non
valgono
le
tattiche
;
se
Coppi
cammina
come
oggi
,
vince
,
domina
,
trionfa
.
Sì
,
bravo
Derijcke
;
sì
,
bravo
Ockers
.
Ma
bravo
,
soprattutto
,
a
Gismondi
.
Il
ragazzo
si
è
lanciato
per
fare
da
punta
di
appoggio
alla
grande
galoppata
del
campione
,
del
suo
capitano
;
d
'
accordo
.
Comunque
Gismondi
,
nella
corsa
,
ha
fatto
la
bella
parte
dell
'
uomo
che
si
piazza
in
una
corsa
dov
'
era
il
sale
e
il
pepe
di
Coppi
,
una
corsa
che
Coppi
infine
ha
ridotto
ad
un
giuoco
.
Un
giuoco
che
egli
solo
conosce
,
un
giuoco
nel
quale
soltanto
lui
si
diverte
.
Un
giuoco
nel
quale
(
pur
essendo
bravi
...
)
invano
hanno
tentato
di
mischiarsi
Kubler
e
Bobet
,
Wagtmans
e
Gaul
,
Geminiani
ed
Ernzer
.
Coppi
,
tutto
Coppi
.
Il
giuoco
-
il
giuoco
azzurro
-
è
così
fatto
.
E
,
con
la
forza
,
la
buona
volontà
,
a
fare
più
bello
il
giorno
di
festa
,
ecco
-
ripeto
-
la
buona
piazza
di
Gismondi
e
,
anche
,
le
belle
corse
di
De
Filippis
e
Fornara
.
Più
quello
che
questo
,
bravo
:
De
Filippis
infatti
,
nel
finale
,
è
venuto
fuori
per
dire
chiaro
e
tondo
che
,
anche
lui
,
un
giorno
,
nel
mondo
delle
due
ruote
,
sarà
campione
.
StampaQuotidiana ,
Non
so
se
gli
assassini
delle
Brigate
rosse
considerino
loro
compagno
Marco
Pannella
.
Probabilmente
no
,
lo
disprezzano
come
disprezzano
tutti
i
"
riformisti
"
,
tutti
i
"
borghesi
"
,
lo
utilizzano
cinicamente
come
un
"
utile
idiota
"
.
Invece
,
Marco
Pannella
,
si
sta
comportando
nei
fatti
come
un
fedele
compagno
degli
assassini
.
Nelle
tragiche
quarantotto
ore
dell
'
ultimatum
brigatista
,
il
concetto
centrale
delle
interminabili
concioni
non
-
stop
del
leader
radicale
alla
sua
radio
è
stato
quello
che
il
giudice
D
'
Urso
è
condannato
a
morte
non
dalle
Br
ma
dai
giornali
e
dai
giornalisti
che
si
rifiutano
di
pubblicare
i
comunicati
dei
"
proletari
"
prigionieri
delle
carceri
di
Trani
e
di
Palmi
.
Ora
,
questo
è
esattamente
ciò
che
i
boia
delle
Br
vogliono
.
Sono
essi
che
,
nel
loro
ordinamento
"
giuridico
"
praticano
il
processo
senza
accuse
,
senza
prove
,
senza
difensori
,
senza
appelli
,
sono
essi
,
che
hanno
reintrodotto
quella
pena
di
morte
,
che
la
Repubblica
italiana
si
gloria
di
aver
eliminato
con
il
fascismo
;
su
di
loro
,
e
soltanto
su
di
loro
,
ricade
la
responsabilità
delle
esecuzioni
capitali
da
loro
,
e
soltanto
da
loro
decretate
.
Ebbene
,
questa
elementare
verità
di
fatto
deve
essere
rovesciata
propagandisticamente
:
non
i
"
tribunali
dell
'
arbitrio
e
i
loro
boia
"
,
ma
coloro
che
non
ne
riconoscono
l
'
autorità
avrebbero
sulla
coscienza
le
condanne
e
le
esecuzioni
delle
Br
.
Di
questo
rovesciamento
propagandistico
si
incarica
il
compagno
-
loro
,
non
nostro
-
Marco
Pannella
,
colla
sua
rozza
sofistica
,
il
suo
gusto
per
la
volgarità
violenta
,
i
suoi
patologici
complessi
di
superiorità
.
"
Alla
gogna
Eugenio
Scalari
"
,
blatera
il
compagno
dei
terroristi
,
"
è
Scalfari
,
sono
i
giornalisti
gli
assassini
!
"
E
così
,
i
veri
,
gli
unici
e
soli
assassini
restano
coperti
e
in
definitiva
giustificati
.
Tutto
viene
stravolto
.
Sarebbe
umanitario
non
chi
si
rivolge
alle
Br
perché
comunque
,
non
uccidano
,
come
fece
Paolo
VI
nel
suo
scritto
umanamente
più
alto
e
bello
,
quello
rivolto
agli
"
uomini
delle
Brigate
rosse
"
,
ma
chi
scarica
la
responsabilità
di
un
assassinio
su
chi
non
cede
alle
richieste
degli
assassini
,
ben
sapendo
che
se
lo
facesse
,
la
strage
continuerebbe
,
e
anzi
l
'
ondata
di
morte
verrebbe
esaltata
.
Io
sono
tra
coloro
che
ritengono
del
tutto
vano
un
appello
umanitario
agli
"
uomini
delle
Brigate
"
rosse
,
che
attraverso
un
processo
di
disfacimento
vero
e
proprio
del
pensiero
e
della
personalità
,
sono
ormai
al
di
fuori
della
logica
e
dai
sentimenti
umani
.
Ma
comprendo
benissimo
che
altri
credano
invece
giusto
fare
alle
Br
un
appello
umanitario
.
Il
fatto
è
però
che
un
appello
,
per
chiamarsi
umanitario
,
non
può
che
cominciare
colle
parole
:
Comunque
non
uccidete
!
Nel
caso
particolare
del
giudice
D
'
Urso
,
un
sincero
umanitario
,
poteva
anche
(
io
non
sono
d
'
accordo
,
ma
poteva
)
proseguire
facendo
presente
che
molte
delle
richieste
delle
Br
erano
state
soddisfatte
.
Una
posizione
sbagliata
,
ma
non
spregevole
.
Non
spregevole
come
tutte
le
parole
e
i
gesti
di
Marco
Pannella
e
dei
suoi
più
fedeli
-
non
dico
,
non
voglio
dire
dei
radicali
in
genere
-
nella
vicenda
D
'
Urso
.
A
costoro
non
è
bastato
aver
reso
possibile
la
diffusione
dei
comunicati
dei
Collettivi
di
lotta
di
Palmi
e
di
Trani
,
che
tutta
Italia
conosce
nei
loro
concetti
essenziali
,
che
sono
pubblici
ormai
anche
se
non
da
tutti
pubblicati
.
Potevano
fermarsi
qui
e
ricordarsi
che
mentre
i
giornalisti
da
loro
messi
sotto
accusa
non
hanno
ammazzato
nessuno
,
questi
comunicati
esaltano
come
"
tempestiva
e
precisa
rappresaglia
"
un
'
altra
atroce
condanna
a
morte
,
quella
del
generale
Enrico
Galvaligi
:
e
preannunciano
nuove
ribellioni
dentro
le
carceri
,
nuovo
terrore
fuori
.
Lo
dicono
loro
,
che
comunque
andranno
avanti
sulla
loro
via
di
morte
!
Mancava
loro
un
compagno
.
Lo
hanno
trovato
.
È
giusto
che
Marco
Pannella
sia
protetto
dalla
immunità
parlamentare
,
non
invoco
davvero
processi
penali
e
condanne
contro
di
lui
.
Possiamo
però
e
dobbiamo
colpirlo
con
una
condanna
non
cruenta
ma
non
perciò
meno
dura
:
la
condanna
morale
alla
esclusione
dal
dialogo
con
chi
ha
davvero
sensi
di
umanità
.
StampaQuotidiana ,
È
tempo
di
puntare
i
piedi
a
terra
!
Le
intenzioni
degli
avversari
appaiono
ogni
ora
più
evidenti
.
Non
è
il
processo
agli
autori
e
agli
ispiratori
dell
'
uccisione
di
Matteotti
quel
che
si
vuoi
fare
,
ma
bensì
il
processo
al
Fascismo
e
al
Governo
Fascista
.
Ciò
non
sarà
consentito
...
Chi
osa
parlare
con
tanta
burbanza
acida
e
con
arroganza
calunniosa
del
Fascismo
,
del
Governo
,
del
Presidente
?
E
.
quella
mala
gente
dell
'
opposizione
che
mostra
di
tenere
in
maggior
conto
una
inutile
e
pericolosa
campagna
diffamatoria
che
non
una
"
détente
"
di
reali
e
salutari
vantaggi
per
il
Paese
.
Mussolini
,
il
Fascismo
,
il
Governo
Fascista
sono
preparati
alle
più
incrollabili
decisioni
.
Vaste
illusioni
cullano
ancora
,
evidentemente
,
i
nostri
avversari
.
Noi
siamo
dei
forti
:
possiamo
sopportare
agevolmente
le
crisi
più
serie
;
uno
o
dieci
dei
nostri
uomini
maggiori
possono
cadere
sotto
le
colpe
più
gravi
e
il
Fascismo
non
sosta
per
questo
la
sua
marcia
;
altri
uomini
coprono
i
posti
lasciati
vuoti
.
Il
Fascismo
ha
abbandonato
tanti
deboli
e
tanti
indegni
lungo
la
sua
strada
che
non
si
sgomenta
se
qualcuno
dei
ritenuti
migliori
salta
.
Non
ci
si
arresta
;
non
ci
si
sbigottisce
.
Non
fa
nulla
.
Si
va
avanti
con
ritmo
più
forte
.
Non
ci
si
volta
neppure
indietro
.
Un
grande
partito
e
un
partito
come
il
nostro
in
un
grande
paese
come
l
'
Italia
non
può
e
non
deve
conoscere
patèmi
da
donnicciuole
.
Le
opposizioni
badino
ai
mali
passi
!
È
tempo
di
puntare
i
piedi
!
Indietro
gli
sciacalli
!
StampaQuotidiana ,
Dal
Viet
Nam
libero
,
8
.
-
La
bandiera
con
la
stella
d
'
oro
in
campo
rosso
della
Repubblica
democratica
del
Viet
Nam
sventola
da
ieri
sera
sul
posto
di
comando
del
generale
De
Castries
.
Dien
Bien
Fu
è
caduta
dopo
una
notte
e
un
giorno
di
combattimento
.
L
'
attacco
delle
truppe
popolari
alle
posizioni
che
rimanevano
ai
francesi
nel
settore
centrale
nel
campo
trincerato
è
cominciato
la
notte
di
ieri
l
'
altro
.
Alle
17
di
ieri
il
posto
di
comando
aveva
alzato
bandiera
bianca
e
il
comandante
era
stato
preso
prigioniero
.
Alle
19
i
duemila
soldati
colonialisti
che
ancora
restavano
nei
fortilizi
di
Hong
Cum
,
a
sud
della
conca
tentavano
la
sortita
,
ma
venivano
rapidamente
annientati
,
e
alle
22
,
con
l
'
espugnazione
di
Hong
Cum
,
il
fuoco
cessava
per
sempre
nella
conca
interamente
liberata
.
Il
bollettino
emanato
alle
otto
di
stamane
per
annunciare
la
vittoria
al
Quartiere
generale
del
generale
Giap
la
definisce
«
un
punto
culminante
nella
storia
della
Resistenza
del
Viet
Nam
»
e
elogia
l
'
eroismo
delle
forze
popolari
che
in
quest
'
ultima
fase
della
battaglia
hanno
luminosamente
confermato
le
doti
dimostrate
nelle
fasi
precedenti
.
Dando
un
primo
computo
incompleto
delle
perdite
che
i
francesi
hanno
subìto
dall
'
inizio
della
battaglia
del
13
marzo
,
il
bollettino
le
calcola
a
diciassette
battaglioni
fra
cui
sette
battaglioni
di
paracadutisti
,
tre
battaglioni
di
artiglieria
,
parecchie
unità
motorizzate
e
del
genio
.
Gli
aerei
distrutti
sia
dalla
contraerea
,
sia
dall
'
artiglieria
,
ascendono
in
totale
a
cinquantasette
.
Si
è
così
suggellata
per
i
franco
-
americani
una
disfatta
che
era
già
scontata
da
quando
l
'
Esercito
vietnamita
,
superando
le
durissime
difficoltà
logistiche
,
aveva
stretto
d
'
assedio
Dien
Bien
Fu
.
Una
volta
ridotto
il
perimetro
delle
difese
nemiche
al
solo
settore
centrale
e
conquistato
l
'
aeroporto
,
il
Comando
popolare
era
in
grado
,
appena
lo
avesse
voluto
,
di
espugnare
tutto
quel
che
rimaneva
del
campo
trincerato
.
Se
ha
atteso
finora
è
stato
per
la
sua
costante
preoccupazione
di
evitare
inutili
sacrifici
delle
sue
truppe
,
e
di
conseguire
la
vittoria
al
minor
prezzo
possibile
.
Né
a
salvare
De
Castries
sono
valsi
i
bombardieri
,
i
caccia
e
i
trasporti
americani
,
dei
quali
il
generale
Giap
,
nella
intervista
concessami
l'8
aprile
aveva
dichiarato
,
con
giudizio
di
cui
è
apparsa
chiara
l
'
assoluta
giustezza
,
che
non
avrebbero
potuto
essere
fattore
decisivo
della
battaglia
.
La
Francia
poteva
vedersi
risparmiata
l
'
estrema
sconfitta
a
Dien
Bien
Fu
se
avesse
voluto
accogliere
l
'
offerta
di
negoziati
fatta
fino
dal
novembre
dal
presidente
Ho
Chi
Min
e
non
avesse
invece
,
ancora
in
questi
ultimi
giorni
,
cedendo
alle
pressioni
americane
,
ritardato
l
'
apertura
delle
trattative
con
la
Repubblica
democratica
del
Viet
Nam
.
Laniel
e
Bidault
con
le
loro
manovre
dilatorie
sono
responsabili
delle
gravi
perdite
sofferte
dalle
truppe
francesi
nelle
ultime
ventiquattro
ore
di
combattimenti
.
La
perdita
più
massiccia
che
i
franco
-
americani
siano
riusciti
a
infliggere
al
popolo
vietnamita
con
il
prolungamento
della
battaglia
è
stata
la
carneficina
di
650
abitanti
del
villaggio
di
Long
Nhai
,
tra
il
settore
centrale
e
Hong
Cum
,
perpetrata
il
10
aprile
da
squadroni
di
bombardieri
B-34
.
I121
novembre
dell
'
anno
scorso
,
quando
i
paracadutisti
francesi
erano
stati
lanciati
a
occupare
Dien
Bien
Fu
,
il
comandante
del
fronte
settentrionale
del
Viet
Nam
,
generale
Cogny
,
aveva
baldanzosamente
dichiarato
ad
Hanoi
che
l
'
operazione
era
«
destinata
a
sloggiare
il
Viet
Min
da
quella
regione
»
.
Il
risultato
è
stato
per
gli
invasori
assai
peggio
che
il
contrario
:
un
colpo
mortale
al
prestigio
del
governo
francese
e
ai
suoi
generali
,
un
nuovo
colpo
per
il
Dipartimento
di
Stato
e
il
Pentagono
,
una
bruciante
lezione
,
da
cui
gli
uni
e
gli
altri
dovrebbero
imparare
che
è
venuta
l
'
ora
di
riconoscere
nella
pace
i
diritti
del
popolo
del
Viet
Nam
.
StampaQuotidiana ,
Ottantasei
miliardi
.
E
'
la
più
strepitosa
vincita
al
Superenalotto
,
con
una
schedina
da
poche
migliaia
di
lire
giocata
a
Montopoli
Sabina
.
La
cifra
è
tanto
colossale
-
quindici
volte
il
bilancio
di
quel
piccolo
Comune
che
qualcuno
ha
pensato
addirittura
ad
una
leggenda
metropolitana
.
Altri
hanno
paventato
una
pericolosa
e
diseducativa
tracimazione
del
mercato
del
gioco
d
'
azzardo
,
una
verticalizzazione
indotta
e
amplificata
dall
'
eco
mediatica
.
Effetti
nuovi
per
un
fenomeno
antico
e
di
lunga
durata
.
Il
nostro
è
,
infatti
,
un
paese
dove
i
giochi
pubblici
hanno
sempre
avuto
schiere
infinite
di
adepti
di
ogni
ceto
.
Basti
pensare
alla
fortuna
del
lotto
.
Il
più
popolare
e
più
antico
dei
nostri
giochi
è
nato
nel
Cinquecento
a
Genova
.
Solo
nell
'
Ottocento
,
però
,
la
sua
diffusione
è
cresciuta
fino
a
creare
una
vera
e
propria
mitologia
,
soprattutto
a
Napoli
,
che
ne
è
diventata
l
'
indiscussa
capitale
.
Al
punto
che
la
grande
giornalista
e
scrittrice
Matilde
Serao
definiva
il
gioco
dei
numeri
"
acquavite
di
Napoli
"
.
Al
gioco
pubblico
in
Italia
,
alla
sua
storia
,
alla
cultura
che
lo
sottende
,
alle
dinamiche
di
mercato
che
lo
governano
è
dedicato
un
bel
libro
curato
,
per
i
Tipi
di
Marsilio
,
da
Giuseppe
Imbucci
(
"
Il
gioco
pubblico
in
Italia
.
Storia
,
cultura
e
mercato
,
38.00Olire
)
,
già
noto
per
i
suoi
studi
sul
tema
.
Il
volume
raccoglie
gli
atti
di
un
convegno
svoltosi
all
'
Università
di
Salerno
nel
maggio
dello
scorso
anno
.
Studiosi
come
Giampaolo
Dossena
,
Paolo
Macry
,
Domenico
Scafoglio
,
Augusto
Piacanica
,
Vittorio
Dini
,
Antonio
Cavicchia
Scalamonti
,
Valdo
D
'
Arienzo
,
oltre
allo
stesso
Imbucci
e
molti
altri
ancora
,
esplorano
le
mille
sfaccettature
dell
'
universo
retto
dall
'
imperscrutabile
capriccio
del
caso
.
Qual
è
il
lungo
filo
rosso
che
unisce
il
lotto
,
le
riffe
,
gli
altri
giochi
tradizionali
,
con
l
'
umanità
che
in
essi
si
rifletteva
,
agli
anonimi
e
esso
immateriali
giochi
d
'
alea
che
muovono
oggi
cifre
da
capogiro
:
in
lire
e
in
bits
?
La
fortuna
popolare
delle
"
ruote
"
si
fondava
di
fatto
su
un
sistema
di
interpretazione
della
realtà
largamente
condiviso
.
Ogni
avvenimento
,
ogni
cosa
diventavano
dei
segni
,
delle
verità
nascoste
,
degli
arcani
che
si
rivelavano
in
numeri
.
Tutta
la
realtà
,
presente
passata
e
futura
,
era
insomma
riconducibile
alle
novanta
enigmatiche
cifre
della
Smorfia
che
funzionava
così
come
un
grande
libro
del
mondo
.
Charles
Dickens
scriveva
che
il
popolo
di
Napoli
credeva
tanto
ciecamente
che
ogni
cosa
avesse
un
riferimento
nel
gioco
del
lotto
che
il
governo
era
costretto
a
sospendere
le
scommesse
su
fatti
di
cronaca
troppo
giocati
,
per
non
rischiare
il
fallimento
delle
casse
detto
Stato
.
Attraverso
i
"
numeri
"
l
'
Italia
di
ieri
interpretava
gli
eventi
.
Li
commentava
,
li
traduceva
in
"
vox
populi
"
,
in
una
sorta
di
grande
mormorio
collettivo
simile
a
un
coro
greco
,
e
affidava
la
verifica
dei
suoi
giudizi
alla
sentenza
inappellabile
della
sorte
.
Il
lotto
serviva
così
a
creare
legame
sociale
e
opinione
collettiva
.
Rifletteva
la
morale
comunitaria
per
cui
la
fortuna
,
anche
attraverso
gli
spiriti
degli
antenati
-
il
quarantotto
,
nella
Smorfia
,
fa
proprio
il
morto
che
parla
-
premiava
i
discendenti
più
meritevoli
con
la
concessione
dei
sospiratissimi
numeri
.
Sullo
sfondo
del
gioco
la
comunità
metteva
in
scena
i
suoi
valori
,
intrecciando
il
presente
al
passato
e
traendone
criteri
per
orientarsi
nel
futuro
.
Ciò
anche
per
effetto
delle
trasformazioni
subite
in
età
moderna
dalla
Cabala
.
Questa
si
fondava
in
origine
su
uno
stretto
intreccio
tra
matematica
,
astronomia
ed
astrologia
per
cui
le
cifre
arcane
della
realtà
erano
traducibili
in
numeri
.
Si
trattava
di
un
connubio
tra
scienza
divina
e
sapienza
umana
da
usare
a
fini
nobili
,
non
vani
,
come
quelli
della
previsione
del
futuro
e
della
divinazione
dei
numeri
del
lotto
.
Già
dalla
metà
del
Cinquecento
la
Cabala
viene
piegata
invece
ad
una
popolarizzazione
che
tende
a
sfumare
progressivamente
il
confine
tra
scienza
e
divinazione
facendo
del
cabalista
un
interprete
di
sogni
da
tradurre
in
numeri
.
La
Smorfia
napoletana
è
proprio
un
esempio
di
tale
volgarizzazione
della
Cabala
per
cui
il
cabalista
smette
di
essere
un
sapiente
,
studioso
di
cose
segrete
,
per
divenire
un
divulgatore
di
arcani
dispensati
al
popolo
:
un
"
assistito
"
.
Con
questo
nome
a
Napoli
venivano
identificati
nell
'
Ottocento
quegli
individui
capaci
di
interpretare
i
sogni
o
addirittura
di
sognare
su
commissione
-
proprio
come
gli
sciamani
-
di
entrare
in
contatto
con
gli
spiriti
dei
morti
per
ottenerne
la
rivelazione
dei
numeri
da
giocare
al
lotto
.
E
'
vero
,
dunque
,
che
la
fortuna
era
determinante
,
ma
è
vero
anche
che
essa
era
determinata
:
non
del
tutto
cieca
.
Premiava
chi
mostrava
di
sapersela
meritare
.
Pertanto
i
terni
e
le
quaterne
divenivano
il
riconoscimento
a
posteriori
e
a
giusta
ricompensa
di
una
capacità
di
lettura
della
realtà
e
del
saper
stare
al
mondo
.
C
'
è
dunque
nella
filosofia
tradizionale
del
lotto
un
'
idea
di
reciprocità
che
non
è
riducibile
al
puro
caso
.
Il
Superenalotto
-
con
una
chance
su
seicentoventidue
milioni
di
azzeccare
la
combinazione
vincente
-
riflette
invece
una
realtà
in
cui
dal
gioco
sono
esclusi
valori
comunitari
,
valori
di
senso
e
quindi
di
merito
.
Non
diversamente
dalle
tante
lotterie
che
non
a
caso
impazzano
in
una
congiuntura
come
quella
attuale
in
cui
ogni
capacità
di
interpretare
la
realtà
,
di
prevederne
le
tendenze
,
di
ricondurla
ad
un
significato
e
a
una
morale
collettivi
e
condivisi
sembra
ormai
perduta
.
Anche
se
nel
superenalotto
sembra
riaffiorare
un
'
idea
del
valore
della
comunità
come
giocatore
collettivo
-
lo
rileva
Imbucci
-
è
da
chiedersi
se
tale
"
collettivismo
"
produca
realmente
valori
comunitari
o
se
non
sia
piuttosto
una
semplice
società
d
'
impresa
,
una
joint
venture
,
spesso
tra
sconosciuti
,
senza
reale
ricaduta
in
termini
di
legame
sociale
e
di
solidarietà
.
In
questo
senso
le
forme
e
le
trasformazioni
del
gioco
,
nello
spazio
e
nel
tempo
,
le
analogie
e
le
differenze
tra
le
filosofie
dell
'
alea
di
ieri
e
quelle
di
oggi
riflettono
come
in
uno
specchio
,
le
forme
e
le
trasformazioni
della
società
"
tout
court
"
.
Nel
nostro
tempo
la
febbre
del
gioco
si
accompagna
non
casualmente
ad
uno
spostamento
insidiosamente
illusionistico
dei
confini
del
ludico
che
incrocia
fenomeni
come
la
globalizzazione
e
,
prima
ancora
,
la
mediatizzazione
,
la
virtualizzazione
della
realtà
.
Si
pensi
a
fenomeni
dilaganti
come
i
giochi
televisivi
in
tutte
le
loro
varianti
,
generaliste
e
localistiche
:
dai
quiz
alle
riffe
,
fino
alle
tradizionalissime
tombole
che
si
celebrano
per
la
gloria
delle
emittenti
locali
nei
bassi
napoletani
.
O
alla
lottomatica
,
alla
progressiva
verticalizzazione
del
jackpot
nel
Superenalotto
:
potentissimi
moltiplicatori
della
velocità
dei
flussi
e
della
crescita
del
consumo
di
giochi
.
E
ancora
al
gioco
"
in
rete
"
che
fa
di
ciascun
individuo
un
giocatore
e
,
insieme
,
una
potenziale
posta
,
giocato
dal
suo
stesso
gioco
.
Si
direbbe
che
il
villaggio
globale
prima
che
i
suoi
servizi
tenda
a
strutturare
i
suoi
vizi
.
Anche
in
questo
senso
il
gioco
è
specchio
fedele
della
mondializzazione
.
Alla
fine
il
giocatore
perde
sempre
.
Vince
il
banco
,
alias
il
mercato
.
Ma
se
fosse
proprio
questa
la
ragione
oscura
del
gioco
?
Qualcosa
di
simile
al
potlatch
,
lo
scambio
competitivo
diffuso
tra
gli
Indiani
del
Nord
Ovest
americano
e
fondato
sull
'
acquisizione
di
prestigio
e
di
identità
attraverso
lo
spreco
di
risorse
?
E
'
quello
che
Georges
Bataille
chiamava
la
"
proprietà
costitutiva
della
perdita
"
.
Guadagnare
per
perdere
.
O
perdersi
.
StampaQuotidiana ,
La
repressione
sanguinosa
dei
moti
insurrezionali
delle
Asturie
repressione
che
è
stata
ordinata
dal
fondatore
della
Repubblica
,
repressione
che
non
ha
riscontro
in
nessun
momento
della
storia
della
Monarchia
ha
lasciato
un
violento
strascico
di
polemiche
che
infuriano
nei
fogli
e
foglietti
sovversivi
d
'
oltre
Alpe
.
Ci
voleva
la
Repubblica
per
massacrare
una
moltitudine
così
imponente
di
operai
!
Le
accuse
di
tradimento
e
di
viltà
rimbalzano
dagli
uni
agli
altri
:
socialisti
contro
comunisti
,
anarchici
contro
gli
uni
e
gli
altri
,
il
furore
polemico
tocca
i
culmini
.
Ecco
ad
esempio
il
commento
del
Risveglio
di
Ginevra
,
che
trae
conclusioni
antibolsceviche
dagli
episodi
spagnuoli
:
«
Non
pare
a
quei
socialisti
che
ci
vogliono
presentare
i
Largo
Caballero
e
i
Prieto
come
degli
eroi
che
furono
invece
essi
a
fornire
le
migliori
armi
al
nemico
?
E
non
s
'
avvedono
quanto
fu
grave
errore
il
non
insorgere
fin
dal
primo
momento
come
lo
fecero
gli
anarchici
?
È
vero
che
si
trovavano
minacciati
dalla
loro
propria
legalità
!
Sta
bene
che
noi
non
disperiamo
in
questa
più
che
in
altra
circostanza
,
anzi
i
fatti
stessi
sono
piuttosto
di
natura
da
lasciar
sperare
in
un
prossimo
avvenire
,
ma
intanto
si
è
avuta
la
perdita
di
un
tempo
prezioso
e
di
vite
ancor
più
preziose
.
Il
movimento
socialista
è
oggi
tutto
inquinato
dalla
bestiale
idea
di
dittatura
,
la
quale
se
è
rigorosamente
logica
ed
utile
pei
partigiani
della
finanza
,
del
trono
e
dell
'
altare
,
è
assurda
per
gli
araldi
dell
'
emancipazione
integrale
.
Certi
dementi
ci
ripetono
che
«
bisogna
fare
come
in
Russia
»
,
giustificando
così
in
primo
luogo
il
Fascismo
nella
sua
soppressione
d
'
ogni
diritto
umano
e
libertà
personale
e
prospettando
a
quanti
non
sono
staliniani
al
cento
per
cento
il
carcere
,
la
deportazione
,
l
'
esilio
,
la
fucilazione
e
qualche
massacro
in
grande
stile
come
a
Cronstadt
,
con
la
diffamazione
in
più
di
essere
qualificati
da
una
turba
di
fanatici
,
ciechi
ed
abbietti
servi
di
controrivoluzionari
.
È
questo
equivoco
di
controrivoluzione
e
rivoluzione
entrambe
della
dittatura
,
che
ha
confuse
le
menti
,
guasti
i
cuori
,
falsate
le
idee
,
corrotti
pensieri
ed
atti
.
Le
fraseologie
opposte
preconizzano
in
fondo
uno
stesso
metodo
di
disciplina
di
ferro
,
di
sottomissione
assoluta
,
di
degradazione
integrale
,
ed
a
scopi
definiti
contrari
si
fanno
corrispondere
identiche
vie
»
.
Se
i
comunisti
chiamati
così
direttamente
in
causa
,
risponderanno
per
le
rime
,
noi
,
guidati
dal
nostro
superiore
senso
di
obiettività
,
faremo
conoscere
il
loro
punto
di
vista
.
Il
nostro
è
noto
.
Gli
uni
e
gli
altri
e
tutti
insieme
sono
degli
ignobili
mistificatori
delle
masse
operaie
,
ch
'
essi
coscientemente
guidano
alla
disfatta
nel
sangue
e
piantano
in
asso
,
dopo
il
disastro
,
quando
un
solo
superstite
istinto
li
assilla
:
salvare
la
pancia
e
,
se
possibile
,
la
cassa
.
StampaQuotidiana ,
Vienna
,
12
.
-
Da
ieri
l
'
Ungheria
è
alle
nostre
spalle
.
Abbiamo
lasciato
Budapest
nel
primo
pomeriggio
di
sabato
,
in
una
delle
tre
auto
a
bordo
delle
quali
hanno
viaggiato
altri
dodici
giornalisti
italiani
,
e
siamo
giunti
alla
frontiera
austriaca
a
mezzogiorno
circa
di
ieri
.
L
'
ultimo
posto
di
blocco
sovietico
lo
abbiamo
superato
a
poche
centinaia
di
metri
dalla
frontiera
:
sei
o
sette
soldati
bivaccavano
attorno
ad
un
carro
armato
,
ai
margini
della
strada
,
stretti
nei
loro
ruvidi
cappotti
di
panno
.
Un
rapido
controllo
ai
nostri
passaporti
,
un
saluto
a
mezzavoce
,
un
agitarsi
di
mano
sotto
il
cielo
livido
e
via
verso
l
'
Austria
.
Un
giovane
soldato
,
dall
'
alto
della
torretta
del
carro
armato
,
è
rimasto
a
lungo
con
lo
sguardo
rivolto
verso
la
nostra
auto
che
si
allontanava
.
Poi
ha
agitato
in
segno
di
saluto
lo
straccio
col
quale
stava
pulendo
la
sua
arma
.
I
tratti
del
suo
volto
mi
sono
rimasti
impressi
nella
memoria
.
Era
un
giovane
soldato
sui
20
anni
,
dall
'
aria
quasi
infantile
,
nel
quale
s
'
era
notato
come
un
lampo
di
gioia
quando
aveva
inteso
che
io
ero
l
'
inviato
di
un
giornale
comunista
.
Era
lo
stesso
rapido
lampo
che
avevo
colto
altre
volte
,
negli
occhi
di
altri
soldati
sovietici
in
Ungheria
,
nel
corso
del
mio
viaggio
avventuroso
e
qualche
volta
drammatico
.
Ero
partito
da
Vienna
,
alla
volta
di
Budapest
,
il
mattino
di
martedì
scorso
,
passando
attraverso
la
frontiera
che
porta
a
Sopron
,
dopo
un
tentativo
effettuato
senza
successo
la
sera
precedente
all
'
altro
tratto
di
frontiera
con
l
'
Austria
,
allora
controllata
da
un
gruppo
di
insorti
.
Eravamo
in
due
,
io
e
un
cittadino
austriaco
autista
e
interprete
.
I
doganieri
austriaci
e
i
giornalisti
che
stazionavano
alla
frontiera
,
nel
tentativo
di
dissuaderci
dall
'
intraprendere
il
viaggio
,
ci
avevano
detto
che
andavamo
incontro
ad
una
morte
certa
per
mano
dei
sovietici
,
i
quali
,
a
sentir
loro
,
sparavano
senza
preavviso
su
chiunque
si
avvicinasse
.
Era
,
naturalmente
,
una
menzogna
grossolana
.
Il
primo
carro
armato
sovietico
lo
avvistammo
a
poche
centinaia
di
metri
dalla
frontiera
.
I1
tenente
che
lo
comandava
ci
controllò
i
passaporti
,
poi
decise
di
accompagnarci
egli
stesso
a
Sopron
,
a
pochi
chilometri
,
per
rimettere
al
locale
comando
sovietico
la
decisione
se
farci
o
meno
proseguire
.
Le
formalità
furono
qui
rapidamente
sbrigate
,
ma
noi
volemmo
approfittare
della
sosta
per
parlare
con
la
gente
.
La
piccola
città
era
pavesata
di
bandiere
nazionali
ungheresi
,
tutti
coloro
che
incontrammo
sulle
strade
avevano
una
coccarda
all
'
occhiello
.
Le
fabbriche
erano
ferme
,
i
negozi
chiusi
.
Per
terra
,
manifestini
che
invitavano
i
lavoratori
a
non
riprendere
il
lavoro
prima
del
ritiro
delle
truppe
sovietiche
.
L
'
Università
era
occupata
da
un
gruppo
di
studenti
e
di
armati
.
Il
giorno
precedente
il
comandante
sovietico
aveva
chiesto
loro
di
deporre
le
armi
e
di
tornare
al
lavoro
ed
alle
occupazioni
normali
.
La
richiesta
non
era
stata
accolta
.
Il
comandante
sovietico
si
era
allora
limitato
a
far
circondare
l
'
edificio
nell
'
attesa
che
la
ragione
prevalesse
.
Fino
al
momento
in
cui
noi
lasciammo
Sopron
non
si
era
sparato
un
sol
colpo
di
fucile
.
Non
so
come
le
cose
siano
andate
dopo
.
Nel
viaggio
da
Sopron
a
Györ
fummo
fermati
almeno
dieci
volte
,
ricevendo
sempre
l
'
autorizzazione
a
proseguire
.
Nel
viaggio
incontrammo
gente
impaurita
ed
al
tempo
stesso
curiosa
:
alle
finestre
bandiere
nazionali
,
coccarde
e
bandiere
nere
in
segno
di
lutto
per
i
morti
.
Ogni
tanto
echi
di
fucilate
nei
boschi
.
A
Györ
,
dove
giungemmo
con
le
prime
ombre
della
sera
,
l
'
atmosfera
era
assai
tesa
.
I
carri
armati
sovietici
bloccano
tutte
le
strade
.
Davanti
al
municipio
,
una
folla
guarda
verso
i
carri
schierati
a
difesa
dello
stabile
e
che
hanno
i
motori
sotto
pressione
.
Un
gruppo
ci
circonda
,
vuole
sapere
chi
siamo
,
ci
dice
di
volere
il
ritiro
dei
sovietici
,
prima
di
tornare
al
lavoro
.
Ci
danno
questa
versione
dei
fatti
di
dieci
giorni
prima
:
gli
insorti
manifestano
chiedendo
le
dimissioni
del
vecchio
gruppo
di
dirigenti
comunisti
.
Si
viene
allo
scontro
e
alla
sparatoria
,
e
nello
scontro
la
polizia
uccide
alcune
persone
,
ma
gli
insorti
hanno
poi
successivamente
il
sopravvento
:
massacrano
alcune
decine
di
agenti
,
straziano
i
loro
corpi
,
cavano
gli
occhi
a
colui
che
aveva
dato
ordine
di
sparare
.
La
città
è
di
nessuno
,
per
tre
giorni
.
Sparito
ogni
potere
legale
,
dissolte
tutte
le
forze
attorno
alle
quali
si
potessero
organizzare
altre
forze
,
la
città
piomba
nell
'
anarchia
.
Si
costituisce
una
sorta
di
consiglio
degli
operai
,
degli
studenti
e
dei
soldati
che
tenta
di
governare
la
città
.
Ma
questo
organismo
viene
rapidamente
travolto
dall
'
inestricabile
groviglio
per
cui
la
situazione
va
rapidamente
evolvendo
.
Le
notizie
che
giungono
da
Budapest
e
dal
resto
dell
'
Ungheria
in
quei
giorni
sono
confuse
,
spesso
contraddittorie
,
cambiano
da
un
minuto
all
'
altro
.
Le
diverse
formazioni
armate
,
che
all
'
inizio
avevano
trovato
un
terreno
comune
di
intesa
nelle
rivendicazioni
contro
i
dirigenti
comunisti
ungheresi
cominciano
a
scontrarsi
tra
di
loro
.
La
caccia
all
'
agente
di
polizia
si
trasforma
nella
caccia
al
comunista
.
Nel
contempo
si
affacciano
sulla
scena
vecchi
arnesi
dell
'
horthysmo
,
della
classe
dirigente
reazionaria
spodestata
,
che
operano
perché
si
ritorni
al
passato
.
Il
governo
Nagy
,
che
all
'
inizio
aveva
goduto
di
larga
popolarità
,
diventa
rapidamente
impotente
a
controllare
la
situazione
e
passa
di
concessione
in
concessione
.
Nessuno
capisce
più
nulla
in
Ungheria
,
salvo
,
forse
,
il
vecchio
cardinale
Mindszenty
,
che
opera
sempre
più
attivamente
e
le
cui
richieste
si
fanno
sempre
più
pressanti
ed
insidiose
.
La
città
di
Györ
,
per
quello
che
c
'
è
stato
possibile
apprendere
,
vive
questa
tragedia
.
All
'
entusiasmo
iniziale
,
succede
lo
sbandamento
,
il
disorientamento
,
l
'
amarezza
della
impotenza
di
chi
si
accorge
di
essere
andato
assai
al
di
là
di
quanto
si
volesse
.
I
comunisti
si
dividono
,
rimasti
senza
guida
;
si
disperdono
,
spariscono
praticamente
come
forza
politica
organizzata
.
In
questa
situazione
,
domenica
alle
4
del
mattino
,
a
Györ
entrano
i
carri
armati
sovietici
.
Obiettivamente
,
da
quel
momento
,
e
solo
da
quel
momento
,
a
Györ
c
'
è
una
forza
che
garantisce
l
'
ordine
o
che
almeno
impedisce
lo
sfasciarsi
definitivo
,
non
solo
di
ogni
conquista
socialista
ma
dello
stesso
potere
dello
Stato
.
I
soldati
e
gli
ufficiali
sovietici
si
presentano
col
volto
onesto
degli
operai
,
dei
contadini
,
dei
comunisti
.
Ma
difficile
e
grave
è
il
loro
compito
in
una
situazione
in
cui
pesano
tragicamente
gli
errori
del
passato
,
la
rottura
,
le
lacerazioni
,
i
risentimenti
di
questi
giorni
sconvolgenti
.
Amaro
è
stato
dunque
il
compito
toccato
a
questi
soldati
,
a
questi
ufficiali
dell
'
Armata
Rossa
,
a
questi
uomini
buoni
,
generosi
,
a
questi
figli
del
popolo
sovietico
,
accorsi
qui
per
isolare
o
battere
le
bande
rivoluzionarie
,
per
rimettere
ordine
in
un
paese
che
si
stava
sfasciando
.
Io
non
so
come
ognuno
di
loro
,
come
ognuno
di
questi
comunisti
ha
reagito
.
È
certo
,
tuttavia
,
che
essi
hanno
fatto
di
tutto
,
pur
nella
estrema
difficoltà
della
situazione
,
per
dare
al
popolo
ungherese
la
sensazione
che
assolvevano
al
loro
compito
col
cuore
pieno
di
amarezza
e
con
la
mano
tesa
verso
tutti
coloro
che
non
hanno
preso
le
armi
.
Non
dimenticherò
mai
la
contrazione
dei
muscoli
del
volto
di
un
giovane
ufficiale
sovietico
,
che
ci
aveva
fermato
50
km
dopo
Györ
,
per
controllare
i
nostri
documenti
,
mentre
viaggiavamo
verso
la
capitale
.
Gli
avevamo
chiesto
se
la
strada
era
sicura
,
se
vi
erano
o
meno
bande
di
ungheresi
armati
.
Qualcuno
vicino
a
noi
,
forse
nella
intenzione
di
rendere
più
chiara
la
domanda
,
ha
aggiunto
la
parola
«
partigiani
»
.
Il
giovane
ufficiale
sovietico
,
che
sino
ad
allora
era
stato
cortese
,
calmo
e
gentile
,
ci
ha
guardato
con
un
volto
teso
,
con
negli
occhi
una
luce
tagliente
ed
amara
,
limitandosi
a
fare
un
cenno
di
diniego
con
la
testa
,
e
subito
dopo
ci
ha
fatto
segno
di
partire
.
Partigiani
?
Forse
,
egli
stesso
lo
era
stato
,
nel
suo
Paese
,
nei
boschi
dell
'
Ucraina
od
altrove
.
Come
poteva
ammettere
che
lo
stesso
nome
potesse
essere
dato
a
degli
uomini
che
attaccano
i
soldati
rossi
,
e
contro
i
quali
i
soldati
rossi
sparavano
?
Eppure
,
non
si
può
dire
che
tutti
coloro
che
hanno
preso
le
armi
in
Ungheria
siano
fascisti
o
banditi
.
Certamente
,
molti
fra
di
loro
erano
tipi
di
malaffare
,
forse
al
servizio
diretto
delle
vecchie
classi
dirigenti
reazionarie
,
che
operano
per
il
ritorno
di
queste
sulla
scena
politica
.
Ma
errore
sarebbe
dimenticare
che
al
movimento
hanno
partecipato
anche
lavoratori
.
Non
so
quanti
erano
gli
operai
tra
coloro
che
si
battevano
,
forse
nessuno
lo
potrà
mai
controllare
.
Le
cause
profonde
le
vedremo
dopo
nel
dettaglio
.
Ma
anche
ora
non
bisogna
chiudere
gli
occhi
davanti
a
questo
aspetto
della
realtà
,
che
se
non
è
certo
quello
determinante
,
non
è
neppure
il
più
marginale
.
Per
tornare
al
filo
del
viaggio
:
sono
partito
da
Györ
alla
luce
dell
'
alba
di
mercoledì
.
Alle
porte
di
Budapest
,
dove
l
'
auto
viene
bloccata
da
due
carri
armati
,
è
in
corso
uno
scontro
.
Le
pallottole
fischiano
da
tutte
le
parti
.
Due
soldati
sovietici
,
assai
giovani
,
quasi
dei
bambini
,
cadono
a
pochi
metri
da
me
.
L
'
ufficiale
sovietico
mi
controlla
i
documenti
poi
mi
chiede
di
mostrargli
la
tessera
del
Partito
.
Gli
rispondo
che
ho
creduto
più
giusto
non
portarla
con
me
in
questa
situazione
.
La
sua
replica
è
dura
:
un
comunista
porta
sempre
con
sé
la
tessera
del
Partito
,
dovunque
.
E
lì
,
sotto
il
fuoco
delle
pallottole
,
mi
mostra
la
sua
.
Ma
poi
mi
batte
la
mano
sulla
spalla
,
e
,
appena
c
'
è
una
sosta
nel
fuoco
,
mi
invita
a
ripartire
.
Da
quel
momento
sono
preso
nell
'
atmosfera
della
città
.
L
'
auto
corre
su
una
strada
deserta
:
da
una
parte
il
muro
di
cinta
di
una
fabbrica
,
dall
'
altra
blocchi
di
case
operaie
,
basse
,
a
un
piano
,
dalle
mura
assai
deboli
.
Abbiamo
percorso
trecento
o
quattrocento
metri
e
le
pallottole
ricominciano
a
fischiare
.
Poi
,
improvvisamente
,
una
scarica
di
mitraglia
inchioda
l
'
automobile
.
Scendiamo
,
cerchiamo
di
ripararci
sotto
la
macchina
.
Ma
dopo
pochi
minuti
un
carro
armato
si
profila
sferragliando
e
sparando
a
cento
metri
.
Proviamo
per
un
attimo
una
sensazione
terribile
:
quella
di
poter
essere
uccisi
lì
,
in
quella
strada
deserta
,
alla
periferia
di
Budapest
,
per
errore
.
L
'
uomo
che
è
con
me
mi
dice
convulsamente
che
l
'
unico
modo
di
salvarsi
è
quello
di
levarsi
in
piedi
e
far
vedere
che
siamo
disarmati
.
Lo
facciamo
.
Sentiamo
su
di
noi
l
'
occhio
vigile
del
mitragliere
.
Attraversiamo
lentamente
la
strada
,
con
il
carro
armato
che
si
fa
sempre
più
vicino
,
sparando
contro
quelli
che
a
loro
volta
sparano
a
duecento
metri
da
noi
.
Entriamo
nella
fabbrica
.
Siamo
salvi
.
E
lo
siamo
soltanto
grazie
all
'
estremo
scrupolo
e
alla
estrema
padronanza
di
nervi
del
mitragliere
sovietico
.
Apprenderò
dopo
che
in
tutta
Budapest
i
carristi
sovietici
si
sono
comportati
allo
stesso
modo
,
evitando
sempre
di
sparare
se
non
sul
punto
preciso
dal
quale
partiva
l
'
attacco
,
e
solo
dopo
di
essere
stati
attaccati
.
Ma
quando
si
tenga
conto
del
fatto
che
,
per
due
giorni
e
due
notti
,
questo
tipo
di
scontro
si
è
svolto
nella
città
,
si
comprende
la
ragione
del
numero
delle
case
sconquassate
,
dello
aspetto
desolante
che
ha
il
centro
di
Budapest
,
con
un
grande
numero
di
case
bruciacchiate
,
con
le
strade
sconvolte
,
con
le
rotaie
dei
tram
divelte
,
con
fili
aerei
che
pendono
attorcigliati
da
tutte
le
parti
.
Per
capire
come
si
è
giunti
alla
tragedia
,
ecco
un
episodio
fra
i
tanti
.
Alla
prima
fase
della
rivolta
di
Budapest
,
parteciparono
gli
allievi
ufficiali
dell
'
accademia
militare
.
Membri
del
Partito
nella
loro
maggioranza
,
essi
hanno
probabilmente
creduto
che
questo
fosse
il
solo
mezzo
per
uscire
da
una
situazione
che
sembrava
loro
senza
uscita
.
Quando
Nagy
divenne
Primo
ministro
,
essi
condivisero
la
gioia
disordinata
di
Budapest
.
Poi
le
cose
precipitarono
rapidamente
.
La
capitale
pullulava
di
gruppi
,
di
giornali
,
di
manifesti
,
di
programmi
.
Tra
questo
pullulare
di
movimenti
senza
tradizione
,
senza
idee
,
senza
forza
,
assenti
,
come
partito
,
erano
i
comunisti
.
Il
Partito
cambiò
nome
,
il
giornale
anche
,
i
suoi
dirigenti
non
ebbero
collegamenti
,
né
strumenti
di
organizzazione
.
Furono
divisi
,
dispersi
,
mentre
l
'
anarchia
circolava
,
e
così
anche
loro
,
anche
gli
allievi
ufficiali
comunisti
della
accademia
militare
furono
travolti
,
come
tanti
.
Alcuni
pensando
forse
di
essersi
irrimediabilmente
compromessi
adoperarono
ancora
una
volta
le
armi
all
'
arrivo
dei
reparti
sovietici
,
altri
si
dispersero
,
altri
probabilmente
cercarono
il
collegamento
col
Partito
,
qualcuno
è
forse
uno
di
quelli
che
ho
visto
collaborare
con
le
forze
sovietiche
nell
'
opera
di
ristabilimento
dell
'
autorità
e
del
potere
dello
Stato
.
Uscito
dalla
fabbrica
,
la
mattina
successiva
ho
attraversato
la
città
a
piedi
,
riparandomi
,
di
tanto
in
tanto
nei
portoni
all
'
accendersi
degli
scambi
di
colpi
di
arma
da
fuoco
.
Un
giorno
intero
,
così
,
è
passato
prima
che
potessi
raggiungere
l
'
albergo
Duna
.
Ho
negli
occhi
,
pensando
a
quei
giorni
,
l
'
immagine
di
strade
deserte
,
squallide
,
di
gente
che
cammina
lungo
i
muri
,
di
rovine
,
di
terriccio
,
di
soldati
,
di
bambini
che
chiedevano
pane
.
Ho
avvicinato
altra
gente
,
ho
parlato
con
molti
,
cercando
sempre
di
ritrovare
un
filo
di
orientamento
.
Confusione
,
amarezza
,
delusione
:
ecco
il
quadro
di
quei
primi
giorni
.
Poi
,
a
partire
da
venerdì
,
cessati
i
combattimenti
,
più
gente
per
le
strade
,
soldati
ungheresi
accanto
a
quelli
sovietici
,
qualche
negozio
di
generi
alimentari
riconoscibile
per
la
lunga
fila
di
gente
in
attesa
del
pane
.
La
vita
riprendeva
lentamente
,
nelle
sue
forme
più
elementari
,
grazie
occorre
proprio
dirlo
,
all
'
unica
forza
di
cui
si
avvertiva
fisicamente
,
e
sia
pure
così
drammaticamente
,
la
presenza
:
soldati
ed
ufficiali
sovietici
.
Più
tardi
la
radio
comincia
a
dare
notizie
precise
,
rappresentando
almeno
così
un
primo
elemento
di
orientamento
per
la
popolazione
,
che
sembrava
uscire
a
poco
a
poco
dall
'
incubo
.
Difficile
è
dire
quanta
forza
di
convinzione
vi
fosse
nelle
parole
che
uscivano
dalla
radio
,
negli
appelli
del
governo
;
difficile
sarebbe
dire
quale
sia
la
forza
reale
del
governo
Kadar
.
Eppure
,
nelle
terribili
condizioni
in
cui
esso
ha
assunto
la
responsabilità
,
esso
ha
,
se
non
altro
,
permesso
agli
ungheresi
di
non
restare
completamente
senza
una
direzione
.
E
non
è
poco
.
Abbiamo
lasciato
Budapest
nel
pomeriggio
di
sabato
.
I
giornalisti
italiani
,
com
'
è
noto
,
hanno
potuto
essere
i
primi
,
perché
di
buon
grado
ho
fatto
presente
alle
autorità
sovietiche
,
preoccupate
di
verificare
la
professione
di
tutti
coloro
che
in
un
momento
ancora
oscuro
ed
incerto
desideravano
di
lasciare
il
paese
,
che
si
trattava
appunto
di
giornalisti
.
Sembra
che
di
questo
gesto
mi
siano
stati
grati
,
sebbene
d
'
altro
non
si
sia
trattato
che
di
un
elementare
gesto
di
solidarietà
che
chiunque
,
penso
,
al
mio
posto
,
avrebbe
fatto
.
Ho
lasciato
il
paese
col
cuore
stretto
dall
'
angoscia
.
Migliaia
di
mani
si
agitavano
al
nostro
passaggio
,
come
ad
affidarci
un
messaggio
confuso
e
tuttavia
,
nel
fondo
del
cuore
,
semplice
ed
umano
.
Erano
uomini
,
donne
e
bambini
che
hanno
terribilmente
sofferto
e
che
ancora
soffriranno
a
lungo
le
conseguenze
di
questi
giorni
di
furia
devastatrice
.
Essi
vogliono
vivere
,
essi
vogliono
una
Ungheria
felice
,
e
coloro
che
non
hanno
perduto
la
fede
nel
socialismo
vogliono
anche
un
'
Ungheria
socialista
.
Si
tratta
ora
di
darsi
una
coscienza
del
tremendo
pericolo
corso
,
e
trovare
assieme
,
nella
pace
e
nella
concordia
nazionali
,
la
strada
migliore
.
È
un
compito
duro
,
difficile
,
doloroso
.
Una
cosa
tuttavia
è
certa
:
un
tale
compito
non
può
e
non
deve
toccare
al
giovane
soldato
rosso
,
che
sulla
frontiera
con
l
'
Austria
ci
ha
salutato
dall
'
alto
del
suo
carro
armato
,
agitando
lo
straccio
col
quale
puliva
la
sua
arma
.
Egli
ha
finito
,
o
sta
per
finire
.
Almeno
,
lo
spera
.
Buon
soldato
rosso
,
buon
figlio
del
popolo
sovietico
,
egli
è
accorso
,
esponendo
la
sua
vita
,
laddove
era
necessario
correre
per
salvare
le
conquiste
essenziali
della
rivoluzione
.
Adesso
,
o
fra
poco
,
egli
dovrà
tornarsene
a
casa
,
col
cuore
gonfio
di
tristezza
per
i
compagni
caduti
,
per
i
poveri
soldati
rossi
morti
lungo
le
strade
di
Budapest
e
d
'
Ungheria
,
per
le
altre
vittime
di
questa
tragedia
.
È
ai
comunisti
,
ai
patrioti
ungheresi
,
alla
classe
operaia
,
al
popolo
di
questo
tormentato
Paese
,
che
già
oggi
cercano
nelle
fabbriche
,
nei
ministeri
ed
in
quello
che
resta
dell
'
esercito
,
di
rimettere
in
piedi
la
macchina
della
vita
in
Ungheria
,
è
a
costoro
che
spetta
il
compito
di
ricominciare
,
di
riguadagnare
le
masse
al
socialismo
,
di
salvare
tutto
quanto
è
possibile
salvare
della
rivoluzione
.
A
questi
uomini
,
con
tutto
il
cuore
,
auguriamo
buona
fortuna
nelle
settimane
,
nei
mesi
e
negli
anni
difficili
che
li
aspettano
.
Vienna
,
13
.
Le
notizie
che
giungono
a
Vienna
da
varie
fonti
ungheresi
,
coincidono
almeno
in
un
punto
:
la
situazione
in
Ungheria
,
salvo
qualche
caso
sporadico
,
va
lentamente
avviandosi
verso
il
completo
ristabilimento
della
calma
.
Nessuno
può
ancora
dire
se
si
tratta
di
qualche
cosa
di
definitivo
,
oppure
se
nelle
prossime
ore
o
nei
prossimi
giorni
,
nuovi
scontri
armati
si
verificheranno
in
qualche
parte
.
L
'
incertezza
è
data
dal
fatto
che
gruppi
armati
,
sebbene
in
piccolo
numero
,
circolano
ancora
per
il
Paese
,
soprattutto
nelle
zone
dove
i
reparti
sovietici
non
sono
mai
arrivati
perché
la
situazione
non
lo
richiedeva
.
In
queste
zone
,
secondo
quanto
si
afferma
,
alcuni
gruppi
avrebbero
trovato
rifugio
,
nascondendo
le
armi
,
e
assumendo
per
ora
le
caratteristiche
di
pacifici
cittadini
.
Si
tratta
,
nella
quasi
totalità
dei
casi
,
di
uomini
che
ritengono
di
non
poter
essere
perdonati
qualora
si
presentassero
alle
autorità
sovietiche
o
di
governo
:
uomini
,
dunque
,
che
si
sono
probabilmente
macchiati
di
delitti
che
non
avevano
nulla
a
che
vedere
con
gli
obiettivi
della
sollevazione
popolare
.
Altrimenti
non
si
comprenderebbe
perché
preferiscano
nascondersi
e
conservare
le
armi
,
o
battere
i
boschi
.
Sia
i
sovietici
,
sia
il
governo
Kadar
,
infatti
,
hanno
rifuggito
da
qualsiasi
misura
di
repressione
contro
coloro
i
quali
,
pur
avendo
partecipato
alla
lotta
armata
,
si
sono
poi
presentati
alle
autorità
consegnando
le
armi
.
Misure
di
clemenza
sono
state
adottate
anche
nei
confronti
di
coloro
i
quali
,
fino
a
mercoledì
o
giovedì
della
scorsa
settimana
,
sono
stati
presi
con
le
armi
in
pugno
.
Personalmente
abbiamo
assistito
,
mercoledì
scorso
,
ad
un
episodio
significativo
.
In
un
posto
di
blocco
sovietico
,
in
un
quartiere
periferico
di
Budapest
,
l
'
autista
di
un
camion
che
chiedeva
di
passare
veniva
fermato
e
perquisito
come
gli
altri
in
quei
giorni
.
Nonostante
egli
avesse
dichiarato
di
non
possedere
armi
,
gli
veniva
trovata
addosso
una
pistola
carica
.
I
soldati
sovietici
si
limitavano
a
sequestrarla
,
lasciandolo
però
proseguire
quasi
subito
nella
direzione
voluta
.
Completamente
inventate
sono
,
d
'
altra
parte
,
le
notizie
,
comparse
sui
giornali
italiani
,
di
deportazioni
della
gente
rastrellata
dopo
scontri
armati
.
Anche
qui
possiamo
citare
un
episodio
esemplare
.
La
sera
di
sabato
,
scorso
quando
assieme
agli
altri
giornalisti
italiani
fummo
bloccati
,
sulla
strada
del
ritorno
,
a
50
km
circa
da
Budapest
e
invitati
,
per
nostra
sicurezza
,
a
passare
la
notte
,
prima
di
proseguire
,
presso
il
locale
comando
delle
truppe
sovietiche
,
avemmo
modo
di
osservare
,
in
un
camion
fermo
accanto
alle
nostre
auto
,
una
decina
di
ungheresi
catturati
poco
prima
nella
zona
dove
si
era
svolto
uno
scontro
a
fuoco
.
Al
momento
di
ripartire
,
li
perdemmo
di
vista
.
Ieri
,
un
giornalista
italiano
mi
ha
riferito
di
essere
stato
riconosciuto
da
un
gruppo
di
costoro
in
un
campo
profughi
di
Vienna
.
Il
che
vuol
dire
che
,
dopo
averli
fatti
prigionieri
,
i
sovietici
hanno
chiesto
loro
dove
preferissero
andare
,
e
a
quelli
che
hanno
risposto
di
voler
raggiungere
l
'
Austria
,
non
è
stata
opposta
difficoltà
di
sorta
.
Vi
è
poi
un
'
altra
calunnia
che
bisogna
smentire
:
quella
secondo
cui
i
sovietici
avrebbero
bombardato
Budapest
con
gli
aeroplani
.
Del
resto
,
anche
qui
posso
citare
una
mia
personale
esperienza
.
Ho
vissuto
,
quasi
attimo
per
attimo
,
uno
scontro
armato
,
tra
un
centinaio
di
ungheresi
asserragliati
in
un
vecchio
castello
ed
un
reparto
di
carri
armati
sovietici
appoggiati
da
alcune
decine
di
soldati
di
fanteria
.
Il
vecchio
castello
si
trovava
in
una
posizione
estremamente
vulnerabile
da
un
bombardamento
dall
'
alto
:
isolato
,
in
un
raggio
di
cento
metri
,
avrebbe
potuto
essere
distrutto
in
pochi
minuti
da
un
paio
di
grosse
bombe
.
Eppure
,
lo
scontro
è
durato
per
tutta
una
giornata
e
la
notte
successiva
,
con
perdite
di
uomini
da
parte
sovietica
:
io
stesso
,
ripassando
il
mattino
dopo
,
a
poche
ore
dalla
fine
del
combattimento
,
ho
visto
sulla
strada
i
cadaveri
di
cinque
o
sei
soldati
sovietici
orribilmente
maciullati
dalle
granate
tirate
dagli
insorti
.
La
ragione
di
un
tale
comportamento
sta
nel
fatto
che
i
soldati
e
gli
ufficiali
sovietici
hanno
agito
a
Budapest
e
in
tutta
la
Ungheria
,
in
modo
da
rendere
possibile
,
se
non
il
recupero
immediato
,
almeno
la
neutralizzazione
del
maggior
numero
possibile
di
insorti
.
Se
il
castello
non
è
stato
distrutto
dalle
bombe
,
ciò
è
accaduto
perché
tra
i
cento
armati
ungheresi
che
vi
erano
asserragliati
,
e
che
facevano
un
fuoco
di
inferno
,
si
è
ritenuto
possibile
salvarne
una
parte
,
anche
a
costo
di
mettere
in
gioco
la
vita
dei
soldati
sovietici
.
Non
scrivo
queste
cose
nel
tentativo
di
minimizzare
quanto
è
accaduto
a
Budapest
.
La
città
-
scrivevo
ieri
e
lo
ripeto
-
ha
un
aspetto
che
stringe
il
cuore
.
Le
distruzioni
sono
grandi
,
i
danni
incalcolabili
,
i
disagi
della
popolazione
pesantissimi
.
Scrivo
queste
cose
perché
in
una
tragedia
così
grande
come
quella
vissuta
dall
'
Ungheria
,
che
ha
cause
così
complesse
e
aspetti
così
profondamente
amari
,
è
la
verità
che
bisogna
cercare
prima
di
tutto
:
perché
tutti
comprendano
e
ne
ricavino
l
'
esperienza
necessaria
.
Allo
stesso
modo
bisogna
cercare
di
fare
luce
,
in
modo
pacato
ma
coraggioso
e
leale
,
sulle
cause
più
profonde
,
sui
fatti
obiettivi
,
recenti
e
lontani
,
che
hanno
favorito
il
crearsi
di
una
così
tragica
situazione
in
Ungheria
.
È
stato
ad
esempio
scritto
,
e
non
so
se
si
tratta
di
leggerezza
o
di
malafede
,
che
i
sovietici
avrebbero
agito
di
frodo
quando
sono
intervenuti
,
all
'
alba
di
domenica
,
nonostante
il
governo
Nagy
fosse
decisamente
,
apertamente
contrario
.
Personalmente
io
credo
che
una
discussione
sia
possibile
sull
'
opportunità
del
primo
intervento
sovietico
.
Credo
però
che
,
per
quanto
amaro
,
doloroso
,
terribile
,
il
secondo
intervento
non
è
stato
,
in
alcun
modo
,
evitabile
.
Il
governo
Nagy
,
in
quel
momento
,
non
connetteva
assolutamente
nulla
.
Tutto
era
in
pericolo
.
Era
in
pericolo
la
stessa
struttura
dello
Stato
ungherese
,
poiché
ogni
forma
di
organizzazione
civile
,
di
ordine
,
di
potere
amministrativo
,
era
scomparsa
.
Gruppi
armati
,
di
origine
,
di
formazione
o
di
intendimenti
diversi
e
spesso
contrastanti
si
impadronivano
di
punti
diversi
della
città
,
di
questo
o
di
quel
ministero
,
di
questa
o
di
quella
fabbrica
,
di
questo
o
di
quell
'
impianto
tipografico
.
Ci
è
accaduto
ad
esempio
-
l
'
episodio
è
bizzarro
,
ma
serve
ad
aiutare
a
comprendere
l
'
atmosfera
di
quei
giorni
-
di
parlare
per
telescrivente
da
Varsavia
con
il
gruppo
di
insorti
che
poche
ore
prima
si
era
impadronito
a
Budapest
della
tipografia
dello
«
Szabad
Nep
»
.
Ho
chiesto
loro
che
cosa
volessero
,
a
quale
uomo
politico
fossero
favorevoli
,
quale
programma
appoggiassero
.
Mi
è
stato
risposto
dal
loro
capo
,
un
giovane
tenente
di
ventidue
anni
,
che
volevano
«
La
libertà
e
la
proibizione
di
radere
i
capelli
ai
soldati
»
.
Siamo
evidentemente
a
un
caso
limite
.
Ma
non
bisogna
dimenticare
che
si
trattava
di
un
gruppo
armato
autonomo
,
non
sottoposto
ad
alcuna
disciplina
,
ad
alcun
controllo
.
Contro
chi
si
sarebbero
serviti
questi
uomini
delle
armi
che
avevano
in
mano
?
In
nome
di
che
cosa
?
In
quale
direzione
avrebbero
agito
?
Tutti
i
giornalisti
italiani
a
Budapest
concordano
,
mi
pare
,
del
resto
,
nel
fornire
il
quadro
di
una
esplosione
disordinata
e
incontrollabile
:
ed
è
da
qui
che
bisogna
serenamente
partire
per
giudicare
le
cose
e
per
ristabilire
la
verità
.
Si
può
discutere
,
invece
,
secondo
una
mia
personale
opinione
,
l
'
opportunità
del
primo
appello
del
governo
ungherese
all
'
intervento
sovietico
,
il
24
ottobre
:
nel
senso
che
in
quel
momento
,
una
prova
di
energia
,
di
unità
,
di
legame
effettivo
con
il
popolo
da
parte
dei
dirigenti
comunisti
ungheresi
avrebbe
potuto
forse
evitare
la
tragedia
.
So
di
parlare
di
uomini
anch
'
essi
tragicamente
colpiti
dagli
avvenimenti
,
ma
credo
tuttavia
che
bisogna
pur
dire
,
di
fronte
a
quanto
è
accaduto
,
quel
che
vi
è
da
dire
sul
filo
della
verità
.
Ai
funerali
di
Rajk
,
quelle
centinaia
di
migliaia
di
uomini
che
seguirono
in
silenzio
il
feretro
di
un
dirigente
comunista
,
ingiustamente
ucciso
-
di
un
dirigente
comunista
,
si
badi
,
e
non
di
un
nemico
del
socialismo
-
avrebbero
dovuto
parlare
alla
mente
,
all
'
intelligenza
e
al
cuore
di
coloro
i
quali
in
quel
momento
avevano
nelle
loro
mani
il
destino
dell
'
Ungheria
.
In
quel
momento
essi
avrebbero
dovuto
comprendere
che
il
popolo
di
Budapest
-
pur
disorientato
profondamente
,
lacerato
da
posizioni
contrastanti
,
senza
una
guida
effettiva
-
era
per
il
socialismo
,
nella
sua
più
autentica
forma
,
che
poi
è
l
'
unica
e
non
contro
il
socialismo
.
Quelle
centinaia
di
migliaia
di
persone
non
erano
nemici
.
Nella
loro
larga
maggioranza
essi
avrebbero
potuto
sostenere
uomini
capaci
di
salvare
il
socialismo
nella
pace
civile
,
attraverso
misure
rapide
,
sagge
,
giuste
,
ed
aiutarli
a
isolare
e
a
battere
i
provocatori
.
Purtroppo
,
questo
non
avvenne
.
Manca
qui
,
e
bisogna
dirlo
,
ogni
giustificazione
.
Le
ragioni
sono
vicine
e
lontane
,
e
riguardano
,
tutte
,
la
vita
interna
del
Partito
dei
lavoratori
ungheresi
,
le
lotte
che
nei
suoi
organismi
dirigenti
si
sono
svolte
recentemente
e
meno
recentemente
e
che
avevano
origine
sia
nelle
questioni
dell
'
orientamento
da
dare
alla
politica
interna
sia
nei
riflessi
di
quel
che
accadeva
altrove
:
lotte
che
per
il
modo
con
cui
erano
state
condotte
avevano
contribuito
a
disgregare
e
a
spezzare
il
partito
lasciando
praticamente
i
lavoratori
senza
una
direzione
.
Ma
qui
entriamo
in
una
materia
che
deve
essere
trattata
a
parte
e
nella
quale
la
parola
spetta
prima
di
tutto
a
coloro
che
sono
i
direttamente
interessati
.
StampaQuotidiana ,
Che
perfetta
sintonia
,
quale
identico
istinto
,
quanta
reciproca
simpatia
fra
Montanelli
,
Pannella
e
De
Carolis
!
La
stessa
vena
trascorre
nelle
frasi
che
il
primo
ha
scritto
ieri
e
nelle
battute
che
i
due
dioscuri
radicali
(
ambedue
tali
per
definizione
del
"
Giornale
nuovo
"
)
hanno
affastellato
l
'
altra
sera
a
Roma
.
E
non
è
la
vena
dell
'
anticomunismo
che
pure
,
ribollente
e
inquieta
,
li
accomuna
;
è
una
vena
più
profonda
e
limacciosa
,
che
si
snoda
lungo
tutto
il
percorso
dell
'
Italia
contemporanea
,
di
volta
in
volta
emerge
in
superficie
o
si
occulta
in
percorsi
sotterranei
.
È
la
vena
astiosa
e
arrogante
,
allusiva
e
incolta
,
insinuante
e
ricattatoria
che
raccoglie
la
schiuma
degli
umori
,
delle
paure
,
delle
presunzioni
,
delle
aggressività
di
quanti
,
in
questa
società
,
anche
quando
non
detengono
il
potere
,
godono
di
privilegi
.
Martedì
,
pomeriggio
e
sera
,
Milano
è
stata
sconvolta
da
uno
stillicidio
di
vandalismi
,
di
violenze
,
di
scontri
con
la
polizia
ad
opera
di
un
paio
di
migliaia
di
giovani
messi
in
campo
da
"
Circoli
giovanili
proletari
"
.
Fra
le
molte
cose
oscure
e
confuse
che
hanno
ispirato
questa
azione
e
altre
analoghe
dei
cosiddetti
"
autoriduttori
"
,
del
tutto
chiaro
è
proprio
il
loro
atteggiamento
verso
il
privilegio
;
la
loro
ribellione
è
sì
contro
il
privilegio
,
ma
in
quanto
li
esclude
.
È
qui
la
caratterizzazione
piccolo
borghese
e
irrazionale
della
loro
ideologia
;
è
questa
la
diversità
,
enorme
e
decisiva
,
dalle
proteste
del
'68
che
,
per
quanto
talvolta
infantili
,
si
ispiravano
sempre
a
ideali
di
razionalità
sociale
,
di
eguaglianza
collettiva
,
mai
di
appropriazione
individuale
.
Non
è
stata
neppure
,
come
scrive
il
"
Corriere
"
una
jacquerie
;
perché
le
jacqueries
,
disperate
e
inefficaci
,
esposte
sempre
alla
più
sanguinosa
rivincita
repressiva
,
sono
state
fiammate
e
rivolte
di
contadini
,
di
dannati
della
terra
contro
un
privilegio
che
si
voleva
incendiare
e
annientare
.
Come
poteva
Montanelli
soffermarsi
su
questo
e
indignarsi
per
questo
,
visto
che
la
sua
ideologia
ha
lo
stesso
impasto
di
quella
degli
autoriduttori
?
Certo
,
una
differenza
c
'
è
,
e
grande
:
Montanelli
è
ben
dentro
il
recinto
del
privilegio
,
mentre
gli
agitatori
di
martedì
sono
ancora
fuori
.
E
poi
Montanelli
è
più
esperto
,
più
scaltro
:
sa
che
il
privilegio
,
per
perpetuarsi
e
proteggersi
,
deve
servire
il
potere
e
servirsi
del
potere
,
deve
dimostrare
al
potere
che
gli
è
utile
.
Ed
ecco
,
ieri
,
il
compito
puntualmente
svolto
:
quella
dell
'
altra
sera
a
Milano
è
da
lui
trasformata
in
una
minacciosa
esplosione
della
violenza
delle
masse
,
con
il
PCI
pronto
ad
approfittarne
.
Anticomunismo
,
si
può
dire
,
certo
:
ma
c
'
è
qualcosa
di
ancestrale
,
che
viene
prima
ancora
dell
'
anticomunismo
,
ed
è
l
'
odio
per
le
masse
,
escluse
dal
potere
e
nemiche
dei
privilegi
,
che
si
muovono
e
avanzano
con
fatica
e
con
tenacia
passo
dopo
passo
spinte
non
da
ingordigia
di
appropriazione
ma
dalla
volontà
di
giustizia
,
di
pulizia
,
di
eguaglianza
,
di
libertà
,
di
onestà
,
di
sincerità
,
dalla
decisione
di
modellare
tutta
la
società
in
questi
valori
.
Montanelli
per
difendere
i
privilegi
posseduti
e
l
'
autoriduttore
per
aspirare
ai
privilegi
idolatrati
devono
schierarsi
contro
queste
masse
,
devono
considerarle
il
peggior
nemico
:
e
così
fanno
.
È
lo
stesso
fastidio
,
lo
stesso
odio
che
trasuda
dal
duetto
Pannella
De
Carolis
.
Qui
il
privilegio
da
difendere
è
quello
del
"
personaggio
"
,
un
privilegio
che
si
manifesta
anche
nel
gesto
,
nella
esibizione
,
nel
gusto
del
paradosso
,
nella
ammirazione
di
sé
;
fra
Pannella
e
De
Carolis
non
c
'
è
accordo
,
c
'
è
qualcosa
di
più
,
c
'
è
intesa
.
"
Noi
ci
intendiamo
"
.
Si
sono
reciprocamente
riconosciuti
.
Sono
,
Pannella
e
De
Carolis
,
la
vera
incarnazione
politica
e
culturale
di
quella
profezia
pseudoperaia
rappresentata
dallo
slogan
"
vogliamo
tutto
"
lanciato
qualche
anno
fa
da
Balestrini
.
Ogni
idea
e
ogni
valore
vanno
bene
se
goduti
e
consumati
individualmente
;
ogni
idea
e
ogni
valore
divengono
perversi
quando
se
ne
impadroniscono
le
masse
,
e
tanto
più
quando
li
usano
per
organizzarsi
,
per
costruire
un
moto
di
emancipazione
,
per
estendere
e
approfondire
la
propria
coscienza
.
Non
sorprende
affatto
,
perciò
,
che
Pannella
vagheggi
i
tempi
di
Scelba
né
che
un
corifeo
del
seguito
di
Montanelli
,
riferendo
compiaciuto
le
parole
del
deputato
radicale
,
si
confessi
a
lui
affine
.
Siamo
di
fronte
alle
manifestazioni
di
un
male
antico
che
in
Italia
ha
segnato
profondamente
anche
la
storia
delle
idee
e
degli
intellettuali
,
non
solo
sul
versante
conservatore
;
il
distacco
,
la
sfiducia
e
la
contrapposizione
verso
le
masse
,
che
si
vogliono
tenere
in
una
condizione
di
passività
,
perché
siano
oggetto
e
non
soggetto
della
politica
e
della
cultura
,
considerate
al
più
quando
lo
sono
campo
di
esercitazione
e
di
affermazione
per
il
singolo
che
le
interpreta
,
le
guida
o
le
agita
.
È
un
male
che
ci
sembra
nient
'
altro
che
il
riflesso
,
sullo
schermo
delle
ideologie
e
dei
comportamenti
,
della
avida
e
gretta
difesa
di
tutti
i
privilegi
materiali
,
protetti
con
tanta
maggiore
protervia
quanto
più
si
sa
che
sono
arbitrari
e
ingiustificati
.
L
'
anticomunismo
certo
,
c
'
entra
,
ma
non
è
il
punto
di
partenza
,
è
la
inevitabile
conseguenza
di
ciò
.
E
'
un
anticomunismo
non
vecchio
,
non
tradizionale
;
è
anzi
nuovo
,
e
tanto
più
aspro
e
agitato
perché
ha
a
che
fare
con
il
Partito
comunista
italiano
così
come
è
oggi
,
per
quello
che
rappresenta
,
per
quello
che
è
,
per
quello
che
dice
,
per
quello
che
fa
;
soprattutto
per
gli
aspetti
che
più
esprimono
la
originalità
e
la
novità
del
PCI
.
Perché
non
siete
ci
rimproverano
Montanelli
e
Pannella
come
noi
vi
immaginiamo
,
vi
vogliamo
,
vi
descriviamo
?
Perché
non
esprimete
,
voi
che
siete
partito
di
massa
e
di
masse
per
eccellenza
,
l
'
immagine
che
noi
diamo
di
orde
minacciose
e
distruttive
,
ignare
e
cieche
?
Il
fastidio
e
l
'
odio
di
costoro
per
il
PCI
si
alimentano
per
il
nostro
testardo
impegno
di
organizzare
la
democrazia
con
le
masse
e
le
masse
con
la
democrazia
;
per
l
'
importanza
che
attribuiamo
alla
fatica
dell
'
apprendere
e
del
lavorare
;
per
la
nostra
affermazione
dei
diritti
di
libertà
degli
individui
e
delle
garanzie
che
li
devono
proteggere
;
perché
sosteniamo
e
dimostriamo
che
essi
devono
e
possono
congiungersi
fino
a
rafforzarsi
reciprocamente
con
i
diritti
collettivi
e
i
bisogni
sociali
.
Provoca
ira
in
costoro
questo
nostro
volere
e
sapere
essere
trasformatori
e
costruttori
,
insieme
.
Gli
ingordi
di
privilegi
,
gli
autoriduttori
di
ogni
risma
,
i
chierici
esibizionisti
che
"
vogliono
tutto
"
non
ci
sopportano
perché
siamo
di
un
'
altra
stoffa
.
StampaQuotidiana ,
Il
problema
della
monarchia
è
diventato
acuto
in
Italia
in
relazione
al
fatto
che
i
partiti
antifascisti
particolarmente
sotto
l
'
influenza
del
conte
Sforza
hanno
fatto
dell
'
abdicazione
del
re
una
condizione
della
loro
partecipazione
al
governo
,
e
,
di
conseguenza
,
il
governo
nazionale
di
tipo
democratico
che
tutti
si
aspettavano
non
ha
potuto
venir
costituito
.
Il
problema
della
monarchia
ha
parecchi
aspetti
,
e
,
a
rigore
,
è
concepibile
una
soluzione
provvisoria
e
transitoria
che
,
lasciando
le
cose
impregiudicate
e
riservando
la
soluzione
al
popolo
stesso
,
quand
'
esso
potrà
esprimere
il
suo
volere
,
permetta
la
costituzione
immediata
del
governo
.
Una
cosa
infatti
deve
essere
premessa
,
e
deve
valere
per
tutti
come
un
principio
.
Se
l
'
Italia
dovrà
essere
retta
,
in
avvenire
,
a
regime
monarchico
o
a
regime
repubblicano
,
è
la
nazione
intiera
che
dovrà
deciderlo
,
inviando
i
suoi
rappresentanti
a
quell
'
Assemblea
nazionale
costituente
che
dovrà
gettare
le
basi
del
nuovo
ordinamento
democratico
del
nostro
paese
.
Avrebbero
torto
quei
partiti
e
quegli
uomini
,
di
convinzione
repubblicana
,
che
volessero
imporre
oggi
,
di
sorpresa
e
senza
consulta
popolare
,
la
loro
soluzione
.
Allo
stesso
modo
avrebbero
torto
quei
monarchici
che
volessero
privare
la
nazione
del
diritto
di
esprimere
il
proprio
giudizio
anche
sul
problema
della
monarchia
o
della
repubblica
.
Dopo
ciò
che
è
avvenuto
dal
1922
in
poi
,
sarebbe
insensato
considerare
l
'
istituto
monarchico
come
indiscutibile
.
Al
contrario
,
la
sua
funzione
può
e
deve
essere
discussa
.
La
soluzione
dell
'
Assemblea
costituente
è
la
sola
,
del
resto
,
che
permette
di
decidere
il
problema
istituzionale
evitando
ogni
rischio
di
disordini
e
di
violenze
.
Essa
è
chiaramente
indicata
dalla
«
Dichiarazione
sull
'
Italia
»
della
conferenza
di
Mosca
.
Ad
essa
quindi
ci
si
dovrà
attenere
.
Se
ora
veniamo
al
fondo
del
problema
,
esso
ha
due
aspetti
.
Uno
riguarda
la
persona
del
re
attuale
;
l
'
altro
riguarda
l
'
istituto
monarchico
in
sé
.
Il
re
attuale
ha
commesso
tre
errori
fatali
,
che
lo
hanno
irrimediabilmente
compromesso
come
capo
dello
Stato
e
che
effettivamente
rendono
ben
penoso
il
vederlo
tuttora
al
suo
posto
.
Primo
:
egli
ha
violato
la
fede
alla
Costituzione
da
lui
giurata
;
ha
lasciato
che
questa
Costituzione
venisse
calpestata
e
soppressa
.
Secondo
:
quando
gli
fu
data
la
prova
nel
1926
,
da
uomini
come
Amendola
e
Sforza
,
che
Mussolini
era
un
volgare
assassino
,
egli
si
rifiutò
di
togliergli
il
potere
.
Terzo
:
egli
acconsentì
alla
dichiarazione
di
guerra
quando
il
suo
dovere
era
di
sapere
che
il
paese
era
impreparato
,
che
la
guerra
era
ingiusta
e
ci
avrebbe
portato
all
'
attuale
catastrofe
.
Per
tutti
questi
motivi
è
comprensibile
che
i
capi
democratici
sollevino
il
problema
dell
'
abdicazione
di
Vittorio
Emanuele
.
Come
potrebbero
essi
giurare
fedeltà
a
un
re
che
s
'
è
visto
in
qual
conto
tenga
i
giuramenti
suoi
propri
.
Vittorio
Emanuele
avrebbe
reso
un
gran
servizio
all
'
Italia
e
un
omaggio
segnalato
alla
pubblica
morale
se
per
conto
suo
,
senza
farselo
dire
,
già
avesse
abdicato
.
La
questione
della
monarchia
come
istituto
è
più
complicata
e
più
profonda
.
Per
il
vecchio
diritto
costituzionale
,
il
valore
dell
'
istituto
monarchico
sta
nel
fatto
che
esso
sarebbe
un
elemento
di
equilibrio
e
di
conservazione
,
che
eviterebbe
i
salti
bruschi
,
i
salti
nel
vuoto
e
i
conseguenti
pericoli
per
il
corpo
sociale
.
Orbene
,
è
un
fatto
che
la
monarchia
in
Italia
non
ha
adempiuto
questa
funzione
.
Essa
non
soltanto
non
ha
impedito
,
ma
anzi
ha
contribuito
a
che
il
paese
cadesse
nelle
mani
di
una
cricca
di
pescicani
,
di
irresponsabili
e
di
banditi
,
che
lo
hanno
prima
saccheggiato
per
conto
proprio
,
e
poi
lo
hanno
venduto
ai
tedeschi
,
lo
hanno
portato
alla
sconfitta
militare
,
alla
rovina
economica
e
alla
catastrofe
.
Chi
può
oggi
affermare
in
buona
fede
che
il
mantenimento
dell
'
istituto
monarchico
sia
per
la
nazione
italiana
una
garanzia
contro
il
ripetersi
d
'
una
simile
tragedia
?
Se
vorremo
avere
una
garanzia
seria
come
sarà
necessario
che
l
'
abbiamo
,
della
solidità
del
regime
democratico
nel
nostro
paese
dovremo
cercarla
e
la
troveremo
soltanto
nell
'
esistenza
di
una
solida
e
ampia
rete
di
organizzazioni
popolari
sindacati
,
cooperative
,
leghe
di
reduci
di
guerra
,
partiti
politici
antifascisti
le
quali
siano
penetrate
di
vero
spirito
democratico
e
agiscano
unite
in
modo
da
sbarrare
per
sempre
il
passo
a
ogni
ritorno
o
rigurgito
di
reazione
.
Ma
qui
l
'
orizzonte
si
allarga
,
per
abbracciare
in
pieno
i
problemi
della
costruzione
di
uno
Stato
italiano
libero
,
forte
,
unito
,
indipendente
e
pacifico
.
Noi
rimaniamo
fermi
al
principio
che
è
il
popolo
stesso
che
deve
esaminare
,
discutere
,
decidere
nella
sua
sovranità
questi
problemi
.
La
parola
dell
'
Assemblea
costituente
diventa
quindi
il
centro
attorno
al
quale
logicamente
si
può
e
si
deve
fare
oggi
l
'
unità
nazionale
,
perché
è
la
sola
che
non
fa
violenza
al
popolo
,
ne
rispetta
i
sacrosanti
diritti
,
riserva
,
senza
pregiudicarli
,
tutti
i
problemi
del
futuro
,
e
permette
quindi
il
massimo
di
unità
e
concentrazione
di
forze
per
risolvere
quelli
del
presente
,
cioè
della
guerra
.