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LA PAURA DEL COMUNISMO ( ERCOLI , 1943 )
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Fra le numerose dichiarazioni fatte negli ultimi tempi dal maresciallo Badoglio circa la situazione del nostro paese , ve ne sono molte le quali non possono che essere approvate da ogni buon italiano ; ve ne è una , però , contro la quale non si può non levare una fiera ed energica voce di protesta . Parlando ad un corrispondente dell ' Associated Press , Badoglio avrebbe detto che , siccome dopo ogni guerra sorge il pericolo del comunismo , gli alleati hanno il dovere di dare un aiuto per impedire la diffusione del comunismo in Italia . « Gli italiani continua l ' intervista sono semplici e individualisti . La proprietà è divisa in modo razionale , e v ' è una grande quantità di piccoli agricoltori . Manca dunque una base pel comunismo . Il popolo può vivere , se necessario , contentandosi di poco . A Napoli esso viveva di legumi e di frutta . Spero che gli alleati daranno al popolo italiano il minimo per vivere . Questo salverà dal comunismo . » Lascio da parte che il capo di un governo , anche se provvisorio e gravato della eredità terribile lasciata dal fascismo , dovrebbe parlare del suo popolo e del suo paese in termini più dignitosi . Mi interessa per ora l ' altra questione . Che cosa è questo « pericolo del comunismo » che in questa intervista viene agitato come uno spauracchio ? I comunisti hanno dichiarato apertamente , per bocca dei loro rappresentanti più autorevoli , che il problema della conquista della dittatura proletaria o del governo di un solo partito non si pone . Essi hanno aggiunto , in modo che non lascia sussistere nessun dubbio , che i compiti che si pongono oggi sono prima di tutto e in linea pregiudiziale quello di cacciare dall ' Italia i tedeschi per salvare l ' unità e l ' indipendenza del paese , di schiacciare senza pietà i traditori fascisti , di distruggere le radici di quel regime fascista che ha portato l ' Italia alla rovina , e di creare un ' Italia veramente democratica , nella quale il popolo italiano sia libero di decidere da sé delle proprie sorti . I comunisti affermano che per raggiungere questi obiettivi in cui si compendia la rinascita del nostro paese a una vita civile tutte le forze politiche e sociali sane della nazione si devono unire in un fronte unico nazionale , base potente dello sforzo di guerra che deve fare l ' Italia in questo momento e garanzia della nostra vittoria . Per di più , si sa che i comunisti , fedeli al principio per cui ogni loro parola deve trovar la sanzione pratica nella loro azione , si battono nelle prime file del popolo , contro i tedeschi , alla testa dei gruppi di partigiani , nella unità di volontari . Molti di loro hanno già sacrificato la vita per la causa del paese , così come nei vent ' anni della dittatura fascista sacrificarono la vita e la libertà per la causa dell ' antifascismo . Che cosa vi è che permette , in questa posizione e in questa chiara ed energica linea d ' azione dei comunisti , di qualificarli come un pericolo per il paese ? Che cosa è che permette di presentare come un pericolo e di chiedere persino l ' aiuto di potenze straniere per combattere contro un potente movimento , che ha profonde radici nel popolo , la cui bandiera è quella dell ' unità della nazione , della guerra del popolo contro i tedeschi , della distruzione totale del fascismo e della libertà ? È evidente che alle avventate dichiarazioni di Badoglio bisogna cercare altre ragioni . La ragione , purtroppo , sta in un vizio profondo che mina le classi dirigenti tradizionali italiane , e che nel corso di tutta la storia del nostro paese , è stato sempre alla base delle più grandi sciagure che si sono abbattute sopra di noi . Il comunismo è considerato un pericolo perché esso è un movimento organizzato di lavoratori , di masse popolari , di operai , di intellettuali , di contadini , che rivendicano la partecipazione alla vita politica del paese e vogliono che le sue sorti siano nelle mani della nazione intiera , e non di ristretti gruppi di privilegiati . Prendete a esaminare la storia d ' Italia , anche solo da quando s ' è iniziato il Risorgimento fino ad ora , e voi trovate che questa paura reazionaria , la quale si riduce poi , in sostanza , alla difesa ostinata dei privilegi sociali e politici di una minoranza , è la nota dominante della politica delle classi dirigenti tradizionali . Queste classi dirigenti sono riuscite , sì , a fare l ' unità del paese ; ma tutta la loro preoccupazione è stata quella di evitare che la formazione dello Stato unitario coincidesse con un vero risveglio e con l ' avvento alla vita politica del popolo intiero . Quando poi il popolo fu risvegliato dalla guerra e chiese venissero riconosciuti i suoi diritti e distrutti i privilegi delle caste reazionarie , allora si ricorse al fascismo per respingerlo indietro . Spettava al fascismo , come s ' è visto , portare il paese alla catastrofe , a una situazione , cioè , in cui la stessa esistenza d ' Italia come Stato unitario è di nuovo in giuoco , e lo straniero di nuovo calpesta il suolo della patria . In sostanza , si può dire che gli stessi gruppi dirigenti che fecero l ' Italia sono quelli che l ' hanno portata alla rovina e alla distruzione , e ciò che li ha guidati in questa opera è stato precisamente quello spirito reazionario che parla per bocca di Badoglio quand ' egli evoca lo spettro del comunismo . Il vero pericolo per l ' Italia non è in uno sviluppo ampio del movimento comunista , perché tale sviluppo non potrà che contribuire al progresso economico , politico e sociale di tutto il paese . Il vero pericolo è che la lezione del fascismo , per quanto terribile , non sia stata sufficiente , e che vi sia ancora qualcuno che voglia artificialmente privare la nazione ed il popolo di quella libertà , di quelle possibilità di organizzazione , di movimento e di progresso da cui dipende il suo avvenire . Per il popolo , però , la lezione del fascismo non è passata invano , e chiunque voglia far risorgere sotto qualsiasi pretesto e qualsiasi egida , la vecchia Italia retrograda e reazionaria , l ' Italia dell ' oppressione delle masse e del trionfo dei più arretrati privilegi , l ' Italia dalle cui viscere doveva uscire il regime vergognoso delle camicie nere , è sicuro di incontrare una risposta adeguata .
Irresistibile il Campionissimo! ( Camoriano Attilio , 1953 )
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Lugano , 30 . - Un ' altra bella impresa , un ' altra grande impresa . Ecco , di nuovo , la bandiera bianco rosso e verde in festa che si alza nel cielo pallido di Lugano . È , di nuovo , uno spavaldo campione in maglia azzurra che strappa di forza il nastro della « grande corsa dell ' arcobaleno » : è Coppi . Coppi si è lanciato . Coppi , perciò , ha vinto . La forza dell ' uomo , l ' orgoglio del campione non si discutono . Oggi , Coppi ha dato a tutto il mondo delle due ruote una lezione . L la lezione semplice , bella della classe . Coppi era il grande favorito . Coppi era l ' uomo da battere . Ma sulla « giostra » di Lugano , si pensava ( si credeva ... ) che Coppi non avrebbe potuto fare , tutto intero , il suo giuoco . Uomini come Kubler , come Bobet , come Wagtmans , uomini - cioè - più in confidenza con le corse che fanno anello e , più che altro , camminano sul piano . Avrebbero potuto , si pensava ( si credeva ... ) , tenere la ruota di Coppi e poi , magari , staccarlo sul guizzo dello sprint . Si aspettava Coppi . Si sperava di vederlo lanciato . Giri e giri , stanchi , tranquilli ; giri e giri con una serie quasi continua di scatti , di rincorse , di fughe . E Coppi non si vedeva ... però , davanti a Coppi camminava , libero , franco , furbo , Gismondi . Ogni tanto , Gismondi girava la testa , si capiva che il ragazzo sapeva che , da un momento all ' altro , Coppi avrebbe lasciato la compagnia . Stancava l ' attesa ; davanti con Gismondi , camminava Wagtmans e camminava Derijcke . L ' uno e l ' altro potevano ( si pensava ... ) fare il grosso colpo , di sorpresa . All ' improvviso l ' attesa notizia . Sulla « giostra » spiccava alto un numero : 13 . Era il numero del giro e lo speaker annunciò : « Sulla rampa della Crespera , Coppi ha staccato tutti » . Un urlo , applausi di festa ed evviva di gioia . Ma , più tardi , lo speaker ancora annunciò che Derijcke aveva raggiunto Coppi . Derijcke è un ragazzo in gamba , forte , veloce . Passava il tempo , passavano i giri : Derijcke correva dietro a Coppi con facilità , e non si stancava . E siccome Derijcke è ancora veloce , si pensò : " Sta ' a vedere che Derijcke tiene la ruota di Coppi e poi vince allo sprint ... " . Ma il campione Coppi allontanò presto il pericolo , lo allontanò prima ancora del suono della campana . Coppi - ancora lassù , sulla rampa della Crespera ... - staccò di forza Derijcke . All ' annuncio ( era l ' annuncio della vittoria , del trionfo ) la folla ancora gridò . Finalmente dopo ventuno anni , una maglia azzurra correva sola sul traguardo della « corsa dell ' arcobaleno » . Più nessuna ombra , più nessun dubbio . L ' orologio , sempre più sicuro , sempre più deciso , batteva il tempo del trionfo di Coppi . Derijcke , sempre più , si staccava . E gli altri ? Già , gli altri : dov ' erano ? Lontani , Kubler e Bobet ; lontano Wagtmans , lontano Ockers , lontano Gaul . E Schaer già si era dato battuto , come Magni e Petrucci , come Astrua . Ma non è stasera giorno di parole amare , della corsa di Magni , di Petrucci , di Astrua si parlerà dopo . Oggi è il gran giorno di Coppi , l ' uomo , il campione che ha fatto un mucchio di tutto il campo , un mucchio di uomini , che ha poi stretto nel suo pugno , un mucchio di uomini dei quali - persino - si è fatto giuoco . Un Coppi di eccezione , un Coppi come quello che era in corsa , in questa gara , a Copenaghen nel 1949 , come quello che , nel « Giro del '49» , da Cuneo a Pinerolo valicò montagne solo in fuga per sette ore , e poi sul traguardo gridò a se stesso : « Sono pazzo , sono pazzo » . E non si dica che la giostra di Lugano è dura , impossibile . Coppi ha vinto perché - con la forza di oggi , la volontà di oggi , la decisione di oggi - dappertutto , oggi , Coppi avrebbe imposto la sua ruota . Perciò ecco il vecchio ritornello : « Se Coppi vuole ... » . Via , purtroppo , qualche volta Coppi non vuole . Una grande corsa , una grande impresa che non dà spazio ( non può dare spazio ) alla corsa degli altri . E le tattiche e le strade sul piano , in montagna , in discesa , che cosa servono , se Coppi cammina come oggi ? Non valgono le strade e non valgono le tattiche ; se Coppi cammina come oggi , vince , domina , trionfa . Sì , bravo Derijcke ; sì , bravo Ockers . Ma bravo , soprattutto , a Gismondi . Il ragazzo si è lanciato per fare da punta di appoggio alla grande galoppata del campione , del suo capitano ; d ' accordo . Comunque Gismondi , nella corsa , ha fatto la bella parte dell ' uomo che si piazza in una corsa dov ' era il sale e il pepe di Coppi , una corsa che Coppi infine ha ridotto ad un giuoco . Un giuoco che egli solo conosce , un giuoco nel quale soltanto lui si diverte . Un giuoco nel quale ( pur essendo bravi ... ) invano hanno tentato di mischiarsi Kubler e Bobet , Wagtmans e Gaul , Geminiani ed Ernzer . Coppi , tutto Coppi . Il giuoco - il giuoco azzurro - è così fatto . E , con la forza , la buona volontà , a fare più bello il giorno di festa , ecco - ripeto - la buona piazza di Gismondi e , anche , le belle corse di De Filippis e Fornara . Più quello che questo , bravo : De Filippis infatti , nel finale , è venuto fuori per dire chiaro e tondo che , anche lui , un giorno , nel mondo delle due ruote , sarà campione .
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Non so se gli assassini delle Brigate rosse considerino loro compagno Marco Pannella . Probabilmente no , lo disprezzano come disprezzano tutti i " riformisti " , tutti i " borghesi " , lo utilizzano cinicamente come un " utile idiota " . Invece , Marco Pannella , si sta comportando nei fatti come un fedele compagno degli assassini . Nelle tragiche quarantotto ore dell ' ultimatum brigatista , il concetto centrale delle interminabili concioni non - stop del leader radicale alla sua radio è stato quello che il giudice D ' Urso è condannato a morte non dalle Br ma dai giornali e dai giornalisti che si rifiutano di pubblicare i comunicati dei " proletari " prigionieri delle carceri di Trani e di Palmi . Ora , questo è esattamente ciò che i boia delle Br vogliono . Sono essi che , nel loro ordinamento " giuridico " praticano il processo senza accuse , senza prove , senza difensori , senza appelli , sono essi , che hanno reintrodotto quella pena di morte , che la Repubblica italiana si gloria di aver eliminato con il fascismo ; su di loro , e soltanto su di loro , ricade la responsabilità delle esecuzioni capitali da loro , e soltanto da loro decretate . Ebbene , questa elementare verità di fatto deve essere rovesciata propagandisticamente : non i " tribunali dell ' arbitrio e i loro boia " , ma coloro che non ne riconoscono l ' autorità avrebbero sulla coscienza le condanne e le esecuzioni delle Br . Di questo rovesciamento propagandistico si incarica il compagno - loro , non nostro - Marco Pannella , colla sua rozza sofistica , il suo gusto per la volgarità violenta , i suoi patologici complessi di superiorità . " Alla gogna Eugenio Scalari " , blatera il compagno dei terroristi , " è Scalfari , sono i giornalisti gli assassini ! " E così , i veri , gli unici e soli assassini restano coperti e in definitiva giustificati . Tutto viene stravolto . Sarebbe umanitario non chi si rivolge alle Br perché comunque , non uccidano , come fece Paolo VI nel suo scritto umanamente più alto e bello , quello rivolto agli " uomini delle Brigate rosse " , ma chi scarica la responsabilità di un assassinio su chi non cede alle richieste degli assassini , ben sapendo che se lo facesse , la strage continuerebbe , e anzi l ' ondata di morte verrebbe esaltata . Io sono tra coloro che ritengono del tutto vano un appello umanitario agli " uomini delle Brigate " rosse , che attraverso un processo di disfacimento vero e proprio del pensiero e della personalità , sono ormai al di fuori della logica e dai sentimenti umani . Ma comprendo benissimo che altri credano invece giusto fare alle Br un appello umanitario . Il fatto è però che un appello , per chiamarsi umanitario , non può che cominciare colle parole : Comunque non uccidete ! Nel caso particolare del giudice D ' Urso , un sincero umanitario , poteva anche ( io non sono d ' accordo , ma poteva ) proseguire facendo presente che molte delle richieste delle Br erano state soddisfatte . Una posizione sbagliata , ma non spregevole . Non spregevole come tutte le parole e i gesti di Marco Pannella e dei suoi più fedeli - non dico , non voglio dire dei radicali in genere - nella vicenda D ' Urso . A costoro non è bastato aver reso possibile la diffusione dei comunicati dei Collettivi di lotta di Palmi e di Trani , che tutta Italia conosce nei loro concetti essenziali , che sono pubblici ormai anche se non da tutti pubblicati . Potevano fermarsi qui e ricordarsi che mentre i giornalisti da loro messi sotto accusa non hanno ammazzato nessuno , questi comunicati esaltano come " tempestiva e precisa rappresaglia " un ' altra atroce condanna a morte , quella del generale Enrico Galvaligi : e preannunciano nuove ribellioni dentro le carceri , nuovo terrore fuori . Lo dicono loro , che comunque andranno avanti sulla loro via di morte ! Mancava loro un compagno . Lo hanno trovato . È giusto che Marco Pannella sia protetto dalla immunità parlamentare , non invoco davvero processi penali e condanne contro di lui . Possiamo però e dobbiamo colpirlo con una condanna non cruenta ma non perciò meno dura : la condanna morale alla esclusione dal dialogo con chi ha davvero sensi di umanità .
StampaQuotidiana ,
È tempo di puntare i piedi a terra ! Le intenzioni degli avversari appaiono ogni ora più evidenti . Non è il processo agli autori e agli ispiratori dell ' uccisione di Matteotti quel che si vuoi fare , ma bensì il processo al Fascismo e al Governo Fascista . Ciò non sarà consentito ... Chi osa parlare con tanta burbanza acida e con arroganza calunniosa del Fascismo , del Governo , del Presidente ? E . quella mala gente dell ' opposizione che mostra di tenere in maggior conto una inutile e pericolosa campagna diffamatoria che non una " détente " di reali e salutari vantaggi per il Paese . Mussolini , il Fascismo , il Governo Fascista sono preparati alle più incrollabili decisioni . Vaste illusioni cullano ancora , evidentemente , i nostri avversari . Noi siamo dei forti : possiamo sopportare agevolmente le crisi più serie ; uno o dieci dei nostri uomini maggiori possono cadere sotto le colpe più gravi e il Fascismo non sosta per questo la sua marcia ; altri uomini coprono i posti lasciati vuoti . Il Fascismo ha abbandonato tanti deboli e tanti indegni lungo la sua strada che non si sgomenta se qualcuno dei ritenuti migliori salta . Non ci si arresta ; non ci si sbigottisce . Non fa nulla . Si va avanti con ritmo più forte . Non ci si volta neppure indietro . Un grande partito e un partito come il nostro in un grande paese come l ' Italia non può e non deve conoscere patèmi da donnicciuole . Le opposizioni badino ai mali passi ! È tempo di puntare i piedi ! Indietro gli sciacalli !
De Castries prigioniero del gen. Giap ( Calamandrei Franco Calamandrei , 1954 )
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Dal Viet Nam libero , 8 . - La bandiera con la stella d ' oro in campo rosso della Repubblica democratica del Viet Nam sventola da ieri sera sul posto di comando del generale De Castries . Dien Bien Fu è caduta dopo una notte e un giorno di combattimento . L ' attacco delle truppe popolari alle posizioni che rimanevano ai francesi nel settore centrale nel campo trincerato è cominciato la notte di ieri l ' altro . Alle 17 di ieri il posto di comando aveva alzato bandiera bianca e il comandante era stato preso prigioniero . Alle 19 i duemila soldati colonialisti che ancora restavano nei fortilizi di Hong Cum , a sud della conca tentavano la sortita , ma venivano rapidamente annientati , e alle 22 , con l ' espugnazione di Hong Cum , il fuoco cessava per sempre nella conca interamente liberata . Il bollettino emanato alle otto di stamane per annunciare la vittoria al Quartiere generale del generale Giap la definisce « un punto culminante nella storia della Resistenza del Viet Nam » e elogia l ' eroismo delle forze popolari che in quest ' ultima fase della battaglia hanno luminosamente confermato le doti dimostrate nelle fasi precedenti . Dando un primo computo incompleto delle perdite che i francesi hanno subìto dall ' inizio della battaglia del 13 marzo , il bollettino le calcola a diciassette battaglioni fra cui sette battaglioni di paracadutisti , tre battaglioni di artiglieria , parecchie unità motorizzate e del genio . Gli aerei distrutti sia dalla contraerea , sia dall ' artiglieria , ascendono in totale a cinquantasette . Si è così suggellata per i franco - americani una disfatta che era già scontata da quando l ' Esercito vietnamita , superando le durissime difficoltà logistiche , aveva stretto d ' assedio Dien Bien Fu . Una volta ridotto il perimetro delle difese nemiche al solo settore centrale e conquistato l ' aeroporto , il Comando popolare era in grado , appena lo avesse voluto , di espugnare tutto quel che rimaneva del campo trincerato . Se ha atteso finora è stato per la sua costante preoccupazione di evitare inutili sacrifici delle sue truppe , e di conseguire la vittoria al minor prezzo possibile . Né a salvare De Castries sono valsi i bombardieri , i caccia e i trasporti americani , dei quali il generale Giap , nella intervista concessami l'8 aprile aveva dichiarato , con giudizio di cui è apparsa chiara l ' assoluta giustezza , che non avrebbero potuto essere fattore decisivo della battaglia . La Francia poteva vedersi risparmiata l ' estrema sconfitta a Dien Bien Fu se avesse voluto accogliere l ' offerta di negoziati fatta fino dal novembre dal presidente Ho Chi Min e non avesse invece , ancora in questi ultimi giorni , cedendo alle pressioni americane , ritardato l ' apertura delle trattative con la Repubblica democratica del Viet Nam . Laniel e Bidault con le loro manovre dilatorie sono responsabili delle gravi perdite sofferte dalle truppe francesi nelle ultime ventiquattro ore di combattimenti . La perdita più massiccia che i franco - americani siano riusciti a infliggere al popolo vietnamita con il prolungamento della battaglia è stata la carneficina di 650 abitanti del villaggio di Long Nhai , tra il settore centrale e Hong Cum , perpetrata il 10 aprile da squadroni di bombardieri B-34 . I121 novembre dell ' anno scorso , quando i paracadutisti francesi erano stati lanciati a occupare Dien Bien Fu , il comandante del fronte settentrionale del Viet Nam , generale Cogny , aveva baldanzosamente dichiarato ad Hanoi che l ' operazione era « destinata a sloggiare il Viet Min da quella regione » . Il risultato è stato per gli invasori assai peggio che il contrario : un colpo mortale al prestigio del governo francese e ai suoi generali , un nuovo colpo per il Dipartimento di Stato e il Pentagono , una bruciante lezione , da cui gli uni e gli altri dovrebbero imparare che è venuta l ' ora di riconoscere nella pace i diritti del popolo del Viet Nam .
La trasformazione si mette in gioco ( Niola Marino , 1999 )
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Ottantasei miliardi . E ' la più strepitosa vincita al Superenalotto , con una schedina da poche migliaia di lire giocata a Montopoli Sabina . La cifra è tanto colossale - quindici volte il bilancio di quel piccolo Comune che qualcuno ha pensato addirittura ad una leggenda metropolitana . Altri hanno paventato una pericolosa e diseducativa tracimazione del mercato del gioco d ' azzardo , una verticalizzazione indotta e amplificata dall ' eco mediatica . Effetti nuovi per un fenomeno antico e di lunga durata . Il nostro è , infatti , un paese dove i giochi pubblici hanno sempre avuto schiere infinite di adepti di ogni ceto . Basti pensare alla fortuna del lotto . Il più popolare e più antico dei nostri giochi è nato nel Cinquecento a Genova . Solo nell ' Ottocento , però , la sua diffusione è cresciuta fino a creare una vera e propria mitologia , soprattutto a Napoli , che ne è diventata l ' indiscussa capitale . Al punto che la grande giornalista e scrittrice Matilde Serao definiva il gioco dei numeri " acquavite di Napoli " . Al gioco pubblico in Italia , alla sua storia , alla cultura che lo sottende , alle dinamiche di mercato che lo governano è dedicato un bel libro curato , per i Tipi di Marsilio , da Giuseppe Imbucci ( " Il gioco pubblico in Italia . Storia , cultura e mercato , 38.00Olire ) , già noto per i suoi studi sul tema . Il volume raccoglie gli atti di un convegno svoltosi all ' Università di Salerno nel maggio dello scorso anno . Studiosi come Giampaolo Dossena , Paolo Macry , Domenico Scafoglio , Augusto Piacanica , Vittorio Dini , Antonio Cavicchia Scalamonti , Valdo D ' Arienzo , oltre allo stesso Imbucci e molti altri ancora , esplorano le mille sfaccettature dell ' universo retto dall ' imperscrutabile capriccio del caso . Qual è il lungo filo rosso che unisce il lotto , le riffe , gli altri giochi tradizionali , con l ' umanità che in essi si rifletteva , agli anonimi e esso immateriali giochi d ' alea che muovono oggi cifre da capogiro : in lire e in bits ? La fortuna popolare delle " ruote " si fondava di fatto su un sistema di interpretazione della realtà largamente condiviso . Ogni avvenimento , ogni cosa diventavano dei segni , delle verità nascoste , degli arcani che si rivelavano in numeri . Tutta la realtà , presente passata e futura , era insomma riconducibile alle novanta enigmatiche cifre della Smorfia che funzionava così come un grande libro del mondo . Charles Dickens scriveva che il popolo di Napoli credeva tanto ciecamente che ogni cosa avesse un riferimento nel gioco del lotto che il governo era costretto a sospendere le scommesse su fatti di cronaca troppo giocati , per non rischiare il fallimento delle casse detto Stato . Attraverso i " numeri " l ' Italia di ieri interpretava gli eventi . Li commentava , li traduceva in " vox populi " , in una sorta di grande mormorio collettivo simile a un coro greco , e affidava la verifica dei suoi giudizi alla sentenza inappellabile della sorte . Il lotto serviva così a creare legame sociale e opinione collettiva . Rifletteva la morale comunitaria per cui la fortuna , anche attraverso gli spiriti degli antenati - il quarantotto , nella Smorfia , fa proprio il morto che parla - premiava i discendenti più meritevoli con la concessione dei sospiratissimi numeri . Sullo sfondo del gioco la comunità metteva in scena i suoi valori , intrecciando il presente al passato e traendone criteri per orientarsi nel futuro . Ciò anche per effetto delle trasformazioni subite in età moderna dalla Cabala . Questa si fondava in origine su uno stretto intreccio tra matematica , astronomia ed astrologia per cui le cifre arcane della realtà erano traducibili in numeri . Si trattava di un connubio tra scienza divina e sapienza umana da usare a fini nobili , non vani , come quelli della previsione del futuro e della divinazione dei numeri del lotto . Già dalla metà del Cinquecento la Cabala viene piegata invece ad una popolarizzazione che tende a sfumare progressivamente il confine tra scienza e divinazione facendo del cabalista un interprete di sogni da tradurre in numeri . La Smorfia napoletana è proprio un esempio di tale volgarizzazione della Cabala per cui il cabalista smette di essere un sapiente , studioso di cose segrete , per divenire un divulgatore di arcani dispensati al popolo : un " assistito " . Con questo nome a Napoli venivano identificati nell ' Ottocento quegli individui capaci di interpretare i sogni o addirittura di sognare su commissione - proprio come gli sciamani - di entrare in contatto con gli spiriti dei morti per ottenerne la rivelazione dei numeri da giocare al lotto . E ' vero , dunque , che la fortuna era determinante , ma è vero anche che essa era determinata : non del tutto cieca . Premiava chi mostrava di sapersela meritare . Pertanto i terni e le quaterne divenivano il riconoscimento a posteriori e a giusta ricompensa di una capacità di lettura della realtà e del saper stare al mondo . C ' è dunque nella filosofia tradizionale del lotto un ' idea di reciprocità che non è riducibile al puro caso . Il Superenalotto - con una chance su seicentoventidue milioni di azzeccare la combinazione vincente - riflette invece una realtà in cui dal gioco sono esclusi valori comunitari , valori di senso e quindi di merito . Non diversamente dalle tante lotterie che non a caso impazzano in una congiuntura come quella attuale in cui ogni capacità di interpretare la realtà , di prevederne le tendenze , di ricondurla ad un significato e a una morale collettivi e condivisi sembra ormai perduta . Anche se nel superenalotto sembra riaffiorare un ' idea del valore della comunità come giocatore collettivo - lo rileva Imbucci - è da chiedersi se tale " collettivismo " produca realmente valori comunitari o se non sia piuttosto una semplice società d ' impresa , una joint venture , spesso tra sconosciuti , senza reale ricaduta in termini di legame sociale e di solidarietà . In questo senso le forme e le trasformazioni del gioco , nello spazio e nel tempo , le analogie e le differenze tra le filosofie dell ' alea di ieri e quelle di oggi riflettono come in uno specchio , le forme e le trasformazioni della società " tout court " . Nel nostro tempo la febbre del gioco si accompagna non casualmente ad uno spostamento insidiosamente illusionistico dei confini del ludico che incrocia fenomeni come la globalizzazione e , prima ancora , la mediatizzazione , la virtualizzazione della realtà . Si pensi a fenomeni dilaganti come i giochi televisivi in tutte le loro varianti , generaliste e localistiche : dai quiz alle riffe , fino alle tradizionalissime tombole che si celebrano per la gloria delle emittenti locali nei bassi napoletani . O alla lottomatica , alla progressiva verticalizzazione del jackpot nel Superenalotto : potentissimi moltiplicatori della velocità dei flussi e della crescita del consumo di giochi . E ancora al gioco " in rete " che fa di ciascun individuo un giocatore e , insieme , una potenziale posta , giocato dal suo stesso gioco . Si direbbe che il villaggio globale prima che i suoi servizi tenda a strutturare i suoi vizi . Anche in questo senso il gioco è specchio fedele della mondializzazione . Alla fine il giocatore perde sempre . Vince il banco , alias il mercato . Ma se fosse proprio questa la ragione oscura del gioco ? Qualcosa di simile al potlatch , lo scambio competitivo diffuso tra gli Indiani del Nord Ovest americano e fondato sull ' acquisizione di prestigio e di identità attraverso lo spreco di risorse ? E ' quello che Georges Bataille chiamava la " proprietà costitutiva della perdita " . Guadagnare per perdere . O perdersi .
NEL 'LORO' CAMPO ( - , 1934 )
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La repressione sanguinosa dei moti insurrezionali delle Asturie repressione che è stata ordinata dal fondatore della Repubblica , repressione che non ha riscontro in nessun momento della storia della Monarchia ha lasciato un violento strascico di polemiche che infuriano nei fogli e foglietti sovversivi d ' oltre Alpe . Ci voleva la Repubblica per massacrare una moltitudine così imponente di operai ! Le accuse di tradimento e di viltà rimbalzano dagli uni agli altri : socialisti contro comunisti , anarchici contro gli uni e gli altri , il furore polemico tocca i culmini . Ecco ad esempio il commento del Risveglio di Ginevra , che trae conclusioni antibolsceviche dagli episodi spagnuoli : « Non pare a quei socialisti che ci vogliono presentare i Largo Caballero e i Prieto come degli eroi che furono invece essi a fornire le migliori armi al nemico ? E non s ' avvedono quanto fu grave errore il non insorgere fin dal primo momento come lo fecero gli anarchici ? È vero che si trovavano minacciati dalla loro propria legalità ! Sta bene che noi non disperiamo in questa più che in altra circostanza , anzi i fatti stessi sono piuttosto di natura da lasciar sperare in un prossimo avvenire , ma intanto si è avuta la perdita di un tempo prezioso e di vite ancor più preziose . Il movimento socialista è oggi tutto inquinato dalla bestiale idea di dittatura , la quale se è rigorosamente logica ed utile pei partigiani della finanza , del trono e dell ' altare , è assurda per gli araldi dell ' emancipazione integrale . Certi dementi ci ripetono che « bisogna fare come in Russia » , giustificando così in primo luogo il Fascismo nella sua soppressione d ' ogni diritto umano e libertà personale e prospettando a quanti non sono staliniani al cento per cento il carcere , la deportazione , l ' esilio , la fucilazione e qualche massacro in grande stile come a Cronstadt , con la diffamazione in più di essere qualificati da una turba di fanatici , ciechi ed abbietti servi di controrivoluzionari . È questo equivoco di controrivoluzione e rivoluzione entrambe della dittatura , che ha confuse le menti , guasti i cuori , falsate le idee , corrotti pensieri ed atti . Le fraseologie opposte preconizzano in fondo uno stesso metodo di disciplina di ferro , di sottomissione assoluta , di degradazione integrale , ed a scopi definiti contrari si fanno corrispondere identiche vie » . Se i comunisti chiamati così direttamente in causa , risponderanno per le rime , noi , guidati dal nostro superiore senso di obiettività , faremo conoscere il loro punto di vista . Il nostro è noto . Gli uni e gli altri e tutti insieme sono degli ignobili mistificatori delle masse operaie , ch ' essi coscientemente guidano alla disfatta nel sangue e piantano in asso , dopo il disastro , quando un solo superstite istinto li assilla : salvare la pancia e , se possibile , la cassa .
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Vienna , 12 . - Da ieri l ' Ungheria è alle nostre spalle . Abbiamo lasciato Budapest nel primo pomeriggio di sabato , in una delle tre auto a bordo delle quali hanno viaggiato altri dodici giornalisti italiani , e siamo giunti alla frontiera austriaca a mezzogiorno circa di ieri . L ' ultimo posto di blocco sovietico lo abbiamo superato a poche centinaia di metri dalla frontiera : sei o sette soldati bivaccavano attorno ad un carro armato , ai margini della strada , stretti nei loro ruvidi cappotti di panno . Un rapido controllo ai nostri passaporti , un saluto a mezzavoce , un agitarsi di mano sotto il cielo livido e via verso l ' Austria . Un giovane soldato , dall ' alto della torretta del carro armato , è rimasto a lungo con lo sguardo rivolto verso la nostra auto che si allontanava . Poi ha agitato in segno di saluto lo straccio col quale stava pulendo la sua arma . I tratti del suo volto mi sono rimasti impressi nella memoria . Era un giovane soldato sui 20 anni , dall ' aria quasi infantile , nel quale s ' era notato come un lampo di gioia quando aveva inteso che io ero l ' inviato di un giornale comunista . Era lo stesso rapido lampo che avevo colto altre volte , negli occhi di altri soldati sovietici in Ungheria , nel corso del mio viaggio avventuroso e qualche volta drammatico . Ero partito da Vienna , alla volta di Budapest , il mattino di martedì scorso , passando attraverso la frontiera che porta a Sopron , dopo un tentativo effettuato senza successo la sera precedente all ' altro tratto di frontiera con l ' Austria , allora controllata da un gruppo di insorti . Eravamo in due , io e un cittadino austriaco autista e interprete . I doganieri austriaci e i giornalisti che stazionavano alla frontiera , nel tentativo di dissuaderci dall ' intraprendere il viaggio , ci avevano detto che andavamo incontro ad una morte certa per mano dei sovietici , i quali , a sentir loro , sparavano senza preavviso su chiunque si avvicinasse . Era , naturalmente , una menzogna grossolana . Il primo carro armato sovietico lo avvistammo a poche centinaia di metri dalla frontiera . I1 tenente che lo comandava ci controllò i passaporti , poi decise di accompagnarci egli stesso a Sopron , a pochi chilometri , per rimettere al locale comando sovietico la decisione se farci o meno proseguire . Le formalità furono qui rapidamente sbrigate , ma noi volemmo approfittare della sosta per parlare con la gente . La piccola città era pavesata di bandiere nazionali ungheresi , tutti coloro che incontrammo sulle strade avevano una coccarda all ' occhiello . Le fabbriche erano ferme , i negozi chiusi . Per terra , manifestini che invitavano i lavoratori a non riprendere il lavoro prima del ritiro delle truppe sovietiche . L ' Università era occupata da un gruppo di studenti e di armati . Il giorno precedente il comandante sovietico aveva chiesto loro di deporre le armi e di tornare al lavoro ed alle occupazioni normali . La richiesta non era stata accolta . Il comandante sovietico si era allora limitato a far circondare l ' edificio nell ' attesa che la ragione prevalesse . Fino al momento in cui noi lasciammo Sopron non si era sparato un sol colpo di fucile . Non so come le cose siano andate dopo . Nel viaggio da Sopron a Györ fummo fermati almeno dieci volte , ricevendo sempre l ' autorizzazione a proseguire . Nel viaggio incontrammo gente impaurita ed al tempo stesso curiosa : alle finestre bandiere nazionali , coccarde e bandiere nere in segno di lutto per i morti . Ogni tanto echi di fucilate nei boschi . A Györ , dove giungemmo con le prime ombre della sera , l ' atmosfera era assai tesa . I carri armati sovietici bloccano tutte le strade . Davanti al municipio , una folla guarda verso i carri schierati a difesa dello stabile e che hanno i motori sotto pressione . Un gruppo ci circonda , vuole sapere chi siamo , ci dice di volere il ritiro dei sovietici , prima di tornare al lavoro . Ci danno questa versione dei fatti di dieci giorni prima : gli insorti manifestano chiedendo le dimissioni del vecchio gruppo di dirigenti comunisti . Si viene allo scontro e alla sparatoria , e nello scontro la polizia uccide alcune persone , ma gli insorti hanno poi successivamente il sopravvento : massacrano alcune decine di agenti , straziano i loro corpi , cavano gli occhi a colui che aveva dato ordine di sparare . La città è di nessuno , per tre giorni . Sparito ogni potere legale , dissolte tutte le forze attorno alle quali si potessero organizzare altre forze , la città piomba nell ' anarchia . Si costituisce una sorta di consiglio degli operai , degli studenti e dei soldati che tenta di governare la città . Ma questo organismo viene rapidamente travolto dall ' inestricabile groviglio per cui la situazione va rapidamente evolvendo . Le notizie che giungono da Budapest e dal resto dell ' Ungheria in quei giorni sono confuse , spesso contraddittorie , cambiano da un minuto all ' altro . Le diverse formazioni armate , che all ' inizio avevano trovato un terreno comune di intesa nelle rivendicazioni contro i dirigenti comunisti ungheresi cominciano a scontrarsi tra di loro . La caccia all ' agente di polizia si trasforma nella caccia al comunista . Nel contempo si affacciano sulla scena vecchi arnesi dell ' horthysmo , della classe dirigente reazionaria spodestata , che operano perché si ritorni al passato . Il governo Nagy , che all ' inizio aveva goduto di larga popolarità , diventa rapidamente impotente a controllare la situazione e passa di concessione in concessione . Nessuno capisce più nulla in Ungheria , salvo , forse , il vecchio cardinale Mindszenty , che opera sempre più attivamente e le cui richieste si fanno sempre più pressanti ed insidiose . La città di Györ , per quello che c ' è stato possibile apprendere , vive questa tragedia . All ' entusiasmo iniziale , succede lo sbandamento , il disorientamento , l ' amarezza della impotenza di chi si accorge di essere andato assai al di là di quanto si volesse . I comunisti si dividono , rimasti senza guida ; si disperdono , spariscono praticamente come forza politica organizzata . In questa situazione , domenica alle 4 del mattino , a Györ entrano i carri armati sovietici . Obiettivamente , da quel momento , e solo da quel momento , a Györ c ' è una forza che garantisce l ' ordine o che almeno impedisce lo sfasciarsi definitivo , non solo di ogni conquista socialista ma dello stesso potere dello Stato . I soldati e gli ufficiali sovietici si presentano col volto onesto degli operai , dei contadini , dei comunisti . Ma difficile e grave è il loro compito in una situazione in cui pesano tragicamente gli errori del passato , la rottura , le lacerazioni , i risentimenti di questi giorni sconvolgenti . Amaro è stato dunque il compito toccato a questi soldati , a questi ufficiali dell ' Armata Rossa , a questi uomini buoni , generosi , a questi figli del popolo sovietico , accorsi qui per isolare o battere le bande rivoluzionarie , per rimettere ordine in un paese che si stava sfasciando . Io non so come ognuno di loro , come ognuno di questi comunisti ha reagito . È certo , tuttavia , che essi hanno fatto di tutto , pur nella estrema difficoltà della situazione , per dare al popolo ungherese la sensazione che assolvevano al loro compito col cuore pieno di amarezza e con la mano tesa verso tutti coloro che non hanno preso le armi . Non dimenticherò mai la contrazione dei muscoli del volto di un giovane ufficiale sovietico , che ci aveva fermato 50 km dopo Györ , per controllare i nostri documenti , mentre viaggiavamo verso la capitale . Gli avevamo chiesto se la strada era sicura , se vi erano o meno bande di ungheresi armati . Qualcuno vicino a noi , forse nella intenzione di rendere più chiara la domanda , ha aggiunto la parola « partigiani » . Il giovane ufficiale sovietico , che sino ad allora era stato cortese , calmo e gentile , ci ha guardato con un volto teso , con negli occhi una luce tagliente ed amara , limitandosi a fare un cenno di diniego con la testa , e subito dopo ci ha fatto segno di partire . Partigiani ? Forse , egli stesso lo era stato , nel suo Paese , nei boschi dell ' Ucraina od altrove . Come poteva ammettere che lo stesso nome potesse essere dato a degli uomini che attaccano i soldati rossi , e contro i quali i soldati rossi sparavano ? Eppure , non si può dire che tutti coloro che hanno preso le armi in Ungheria siano fascisti o banditi . Certamente , molti fra di loro erano tipi di malaffare , forse al servizio diretto delle vecchie classi dirigenti reazionarie , che operano per il ritorno di queste sulla scena politica . Ma errore sarebbe dimenticare che al movimento hanno partecipato anche lavoratori . Non so quanti erano gli operai tra coloro che si battevano , forse nessuno lo potrà mai controllare . Le cause profonde le vedremo dopo nel dettaglio . Ma anche ora non bisogna chiudere gli occhi davanti a questo aspetto della realtà , che se non è certo quello determinante , non è neppure il più marginale . Per tornare al filo del viaggio : sono partito da Györ alla luce dell ' alba di mercoledì . Alle porte di Budapest , dove l ' auto viene bloccata da due carri armati , è in corso uno scontro . Le pallottole fischiano da tutte le parti . Due soldati sovietici , assai giovani , quasi dei bambini , cadono a pochi metri da me . L ' ufficiale sovietico mi controlla i documenti poi mi chiede di mostrargli la tessera del Partito . Gli rispondo che ho creduto più giusto non portarla con me in questa situazione . La sua replica è dura : un comunista porta sempre con sé la tessera del Partito , dovunque . E lì , sotto il fuoco delle pallottole , mi mostra la sua . Ma poi mi batte la mano sulla spalla , e , appena c ' è una sosta nel fuoco , mi invita a ripartire . Da quel momento sono preso nell ' atmosfera della città . L ' auto corre su una strada deserta : da una parte il muro di cinta di una fabbrica , dall ' altra blocchi di case operaie , basse , a un piano , dalle mura assai deboli . Abbiamo percorso trecento o quattrocento metri e le pallottole ricominciano a fischiare . Poi , improvvisamente , una scarica di mitraglia inchioda l ' automobile . Scendiamo , cerchiamo di ripararci sotto la macchina . Ma dopo pochi minuti un carro armato si profila sferragliando e sparando a cento metri . Proviamo per un attimo una sensazione terribile : quella di poter essere uccisi lì , in quella strada deserta , alla periferia di Budapest , per errore . L ' uomo che è con me mi dice convulsamente che l ' unico modo di salvarsi è quello di levarsi in piedi e far vedere che siamo disarmati . Lo facciamo . Sentiamo su di noi l ' occhio vigile del mitragliere . Attraversiamo lentamente la strada , con il carro armato che si fa sempre più vicino , sparando contro quelli che a loro volta sparano a duecento metri da noi . Entriamo nella fabbrica . Siamo salvi . E lo siamo soltanto grazie all ' estremo scrupolo e alla estrema padronanza di nervi del mitragliere sovietico . Apprenderò dopo che in tutta Budapest i carristi sovietici si sono comportati allo stesso modo , evitando sempre di sparare se non sul punto preciso dal quale partiva l ' attacco , e solo dopo di essere stati attaccati . Ma quando si tenga conto del fatto che , per due giorni e due notti , questo tipo di scontro si è svolto nella città , si comprende la ragione del numero delle case sconquassate , dello aspetto desolante che ha il centro di Budapest , con un grande numero di case bruciacchiate , con le strade sconvolte , con le rotaie dei tram divelte , con fili aerei che pendono attorcigliati da tutte le parti . Per capire come si è giunti alla tragedia , ecco un episodio fra i tanti . Alla prima fase della rivolta di Budapest , parteciparono gli allievi ufficiali dell ' accademia militare . Membri del Partito nella loro maggioranza , essi hanno probabilmente creduto che questo fosse il solo mezzo per uscire da una situazione che sembrava loro senza uscita . Quando Nagy divenne Primo ministro , essi condivisero la gioia disordinata di Budapest . Poi le cose precipitarono rapidamente . La capitale pullulava di gruppi , di giornali , di manifesti , di programmi . Tra questo pullulare di movimenti senza tradizione , senza idee , senza forza , assenti , come partito , erano i comunisti . Il Partito cambiò nome , il giornale anche , i suoi dirigenti non ebbero collegamenti , né strumenti di organizzazione . Furono divisi , dispersi , mentre l ' anarchia circolava , e così anche loro , anche gli allievi ufficiali comunisti della accademia militare furono travolti , come tanti . Alcuni pensando forse di essersi irrimediabilmente compromessi adoperarono ancora una volta le armi all ' arrivo dei reparti sovietici , altri si dispersero , altri probabilmente cercarono il collegamento col Partito , qualcuno è forse uno di quelli che ho visto collaborare con le forze sovietiche nell ' opera di ristabilimento dell ' autorità e del potere dello Stato . Uscito dalla fabbrica , la mattina successiva ho attraversato la città a piedi , riparandomi , di tanto in tanto nei portoni all ' accendersi degli scambi di colpi di arma da fuoco . Un giorno intero , così , è passato prima che potessi raggiungere l ' albergo Duna . Ho negli occhi , pensando a quei giorni , l ' immagine di strade deserte , squallide , di gente che cammina lungo i muri , di rovine , di terriccio , di soldati , di bambini che chiedevano pane . Ho avvicinato altra gente , ho parlato con molti , cercando sempre di ritrovare un filo di orientamento . Confusione , amarezza , delusione : ecco il quadro di quei primi giorni . Poi , a partire da venerdì , cessati i combattimenti , più gente per le strade , soldati ungheresi accanto a quelli sovietici , qualche negozio di generi alimentari riconoscibile per la lunga fila di gente in attesa del pane . La vita riprendeva lentamente , nelle sue forme più elementari , grazie occorre proprio dirlo , all ' unica forza di cui si avvertiva fisicamente , e sia pure così drammaticamente , la presenza : soldati ed ufficiali sovietici . Più tardi la radio comincia a dare notizie precise , rappresentando almeno così un primo elemento di orientamento per la popolazione , che sembrava uscire a poco a poco dall ' incubo . Difficile è dire quanta forza di convinzione vi fosse nelle parole che uscivano dalla radio , negli appelli del governo ; difficile sarebbe dire quale sia la forza reale del governo Kadar . Eppure , nelle terribili condizioni in cui esso ha assunto la responsabilità , esso ha , se non altro , permesso agli ungheresi di non restare completamente senza una direzione . E non è poco . Abbiamo lasciato Budapest nel pomeriggio di sabato . I giornalisti italiani , com ' è noto , hanno potuto essere i primi , perché di buon grado ho fatto presente alle autorità sovietiche , preoccupate di verificare la professione di tutti coloro che in un momento ancora oscuro ed incerto desideravano di lasciare il paese , che si trattava appunto di giornalisti . Sembra che di questo gesto mi siano stati grati , sebbene d ' altro non si sia trattato che di un elementare gesto di solidarietà che chiunque , penso , al mio posto , avrebbe fatto . Ho lasciato il paese col cuore stretto dall ' angoscia . Migliaia di mani si agitavano al nostro passaggio , come ad affidarci un messaggio confuso e tuttavia , nel fondo del cuore , semplice ed umano . Erano uomini , donne e bambini che hanno terribilmente sofferto e che ancora soffriranno a lungo le conseguenze di questi giorni di furia devastatrice . Essi vogliono vivere , essi vogliono una Ungheria felice , e coloro che non hanno perduto la fede nel socialismo vogliono anche un ' Ungheria socialista . Si tratta ora di darsi una coscienza del tremendo pericolo corso , e trovare assieme , nella pace e nella concordia nazionali , la strada migliore . È un compito duro , difficile , doloroso . Una cosa tuttavia è certa : un tale compito non può e non deve toccare al giovane soldato rosso , che sulla frontiera con l ' Austria ci ha salutato dall ' alto del suo carro armato , agitando lo straccio col quale puliva la sua arma . Egli ha finito , o sta per finire . Almeno , lo spera . Buon soldato rosso , buon figlio del popolo sovietico , egli è accorso , esponendo la sua vita , laddove era necessario correre per salvare le conquiste essenziali della rivoluzione . Adesso , o fra poco , egli dovrà tornarsene a casa , col cuore gonfio di tristezza per i compagni caduti , per i poveri soldati rossi morti lungo le strade di Budapest e d ' Ungheria , per le altre vittime di questa tragedia . È ai comunisti , ai patrioti ungheresi , alla classe operaia , al popolo di questo tormentato Paese , che già oggi cercano nelle fabbriche , nei ministeri ed in quello che resta dell ' esercito , di rimettere in piedi la macchina della vita in Ungheria , è a costoro che spetta il compito di ricominciare , di riguadagnare le masse al socialismo , di salvare tutto quanto è possibile salvare della rivoluzione . A questi uomini , con tutto il cuore , auguriamo buona fortuna nelle settimane , nei mesi e negli anni difficili che li aspettano . Vienna , 13 . Le notizie che giungono a Vienna da varie fonti ungheresi , coincidono almeno in un punto : la situazione in Ungheria , salvo qualche caso sporadico , va lentamente avviandosi verso il completo ristabilimento della calma . Nessuno può ancora dire se si tratta di qualche cosa di definitivo , oppure se nelle prossime ore o nei prossimi giorni , nuovi scontri armati si verificheranno in qualche parte . L ' incertezza è data dal fatto che gruppi armati , sebbene in piccolo numero , circolano ancora per il Paese , soprattutto nelle zone dove i reparti sovietici non sono mai arrivati perché la situazione non lo richiedeva . In queste zone , secondo quanto si afferma , alcuni gruppi avrebbero trovato rifugio , nascondendo le armi , e assumendo per ora le caratteristiche di pacifici cittadini . Si tratta , nella quasi totalità dei casi , di uomini che ritengono di non poter essere perdonati qualora si presentassero alle autorità sovietiche o di governo : uomini , dunque , che si sono probabilmente macchiati di delitti che non avevano nulla a che vedere con gli obiettivi della sollevazione popolare . Altrimenti non si comprenderebbe perché preferiscano nascondersi e conservare le armi , o battere i boschi . Sia i sovietici , sia il governo Kadar , infatti , hanno rifuggito da qualsiasi misura di repressione contro coloro i quali , pur avendo partecipato alla lotta armata , si sono poi presentati alle autorità consegnando le armi . Misure di clemenza sono state adottate anche nei confronti di coloro i quali , fino a mercoledì o giovedì della scorsa settimana , sono stati presi con le armi in pugno . Personalmente abbiamo assistito , mercoledì scorso , ad un episodio significativo . In un posto di blocco sovietico , in un quartiere periferico di Budapest , l ' autista di un camion che chiedeva di passare veniva fermato e perquisito come gli altri in quei giorni . Nonostante egli avesse dichiarato di non possedere armi , gli veniva trovata addosso una pistola carica . I soldati sovietici si limitavano a sequestrarla , lasciandolo però proseguire quasi subito nella direzione voluta . Completamente inventate sono , d ' altra parte , le notizie , comparse sui giornali italiani , di deportazioni della gente rastrellata dopo scontri armati . Anche qui possiamo citare un episodio esemplare . La sera di sabato , scorso quando assieme agli altri giornalisti italiani fummo bloccati , sulla strada del ritorno , a 50 km circa da Budapest e invitati , per nostra sicurezza , a passare la notte , prima di proseguire , presso il locale comando delle truppe sovietiche , avemmo modo di osservare , in un camion fermo accanto alle nostre auto , una decina di ungheresi catturati poco prima nella zona dove si era svolto uno scontro a fuoco . Al momento di ripartire , li perdemmo di vista . Ieri , un giornalista italiano mi ha riferito di essere stato riconosciuto da un gruppo di costoro in un campo profughi di Vienna . Il che vuol dire che , dopo averli fatti prigionieri , i sovietici hanno chiesto loro dove preferissero andare , e a quelli che hanno risposto di voler raggiungere l ' Austria , non è stata opposta difficoltà di sorta . Vi è poi un ' altra calunnia che bisogna smentire : quella secondo cui i sovietici avrebbero bombardato Budapest con gli aeroplani . Del resto , anche qui posso citare una mia personale esperienza . Ho vissuto , quasi attimo per attimo , uno scontro armato , tra un centinaio di ungheresi asserragliati in un vecchio castello ed un reparto di carri armati sovietici appoggiati da alcune decine di soldati di fanteria . Il vecchio castello si trovava in una posizione estremamente vulnerabile da un bombardamento dall ' alto : isolato , in un raggio di cento metri , avrebbe potuto essere distrutto in pochi minuti da un paio di grosse bombe . Eppure , lo scontro è durato per tutta una giornata e la notte successiva , con perdite di uomini da parte sovietica : io stesso , ripassando il mattino dopo , a poche ore dalla fine del combattimento , ho visto sulla strada i cadaveri di cinque o sei soldati sovietici orribilmente maciullati dalle granate tirate dagli insorti . La ragione di un tale comportamento sta nel fatto che i soldati e gli ufficiali sovietici hanno agito a Budapest e in tutta la Ungheria , in modo da rendere possibile , se non il recupero immediato , almeno la neutralizzazione del maggior numero possibile di insorti . Se il castello non è stato distrutto dalle bombe , ciò è accaduto perché tra i cento armati ungheresi che vi erano asserragliati , e che facevano un fuoco di inferno , si è ritenuto possibile salvarne una parte , anche a costo di mettere in gioco la vita dei soldati sovietici . Non scrivo queste cose nel tentativo di minimizzare quanto è accaduto a Budapest . La città - scrivevo ieri e lo ripeto - ha un aspetto che stringe il cuore . Le distruzioni sono grandi , i danni incalcolabili , i disagi della popolazione pesantissimi . Scrivo queste cose perché in una tragedia così grande come quella vissuta dall ' Ungheria , che ha cause così complesse e aspetti così profondamente amari , è la verità che bisogna cercare prima di tutto : perché tutti comprendano e ne ricavino l ' esperienza necessaria . Allo stesso modo bisogna cercare di fare luce , in modo pacato ma coraggioso e leale , sulle cause più profonde , sui fatti obiettivi , recenti e lontani , che hanno favorito il crearsi di una così tragica situazione in Ungheria . È stato ad esempio scritto , e non so se si tratta di leggerezza o di malafede , che i sovietici avrebbero agito di frodo quando sono intervenuti , all ' alba di domenica , nonostante il governo Nagy fosse decisamente , apertamente contrario . Personalmente io credo che una discussione sia possibile sull ' opportunità del primo intervento sovietico . Credo però che , per quanto amaro , doloroso , terribile , il secondo intervento non è stato , in alcun modo , evitabile . Il governo Nagy , in quel momento , non connetteva assolutamente nulla . Tutto era in pericolo . Era in pericolo la stessa struttura dello Stato ungherese , poiché ogni forma di organizzazione civile , di ordine , di potere amministrativo , era scomparsa . Gruppi armati , di origine , di formazione o di intendimenti diversi e spesso contrastanti si impadronivano di punti diversi della città , di questo o di quel ministero , di questa o di quella fabbrica , di questo o di quell ' impianto tipografico . Ci è accaduto ad esempio - l ' episodio è bizzarro , ma serve ad aiutare a comprendere l ' atmosfera di quei giorni - di parlare per telescrivente da Varsavia con il gruppo di insorti che poche ore prima si era impadronito a Budapest della tipografia dello « Szabad Nep » . Ho chiesto loro che cosa volessero , a quale uomo politico fossero favorevoli , quale programma appoggiassero . Mi è stato risposto dal loro capo , un giovane tenente di ventidue anni , che volevano « La libertà e la proibizione di radere i capelli ai soldati » . Siamo evidentemente a un caso limite . Ma non bisogna dimenticare che si trattava di un gruppo armato autonomo , non sottoposto ad alcuna disciplina , ad alcun controllo . Contro chi si sarebbero serviti questi uomini delle armi che avevano in mano ? In nome di che cosa ? In quale direzione avrebbero agito ? Tutti i giornalisti italiani a Budapest concordano , mi pare , del resto , nel fornire il quadro di una esplosione disordinata e incontrollabile : ed è da qui che bisogna serenamente partire per giudicare le cose e per ristabilire la verità . Si può discutere , invece , secondo una mia personale opinione , l ' opportunità del primo appello del governo ungherese all ' intervento sovietico , il 24 ottobre : nel senso che in quel momento , una prova di energia , di unità , di legame effettivo con il popolo da parte dei dirigenti comunisti ungheresi avrebbe potuto forse evitare la tragedia . So di parlare di uomini anch ' essi tragicamente colpiti dagli avvenimenti , ma credo tuttavia che bisogna pur dire , di fronte a quanto è accaduto , quel che vi è da dire sul filo della verità . Ai funerali di Rajk , quelle centinaia di migliaia di uomini che seguirono in silenzio il feretro di un dirigente comunista , ingiustamente ucciso - di un dirigente comunista , si badi , e non di un nemico del socialismo - avrebbero dovuto parlare alla mente , all ' intelligenza e al cuore di coloro i quali in quel momento avevano nelle loro mani il destino dell ' Ungheria . In quel momento essi avrebbero dovuto comprendere che il popolo di Budapest - pur disorientato profondamente , lacerato da posizioni contrastanti , senza una guida effettiva - era per il socialismo , nella sua più autentica forma , che poi è l ' unica e non contro il socialismo . Quelle centinaia di migliaia di persone non erano nemici . Nella loro larga maggioranza essi avrebbero potuto sostenere uomini capaci di salvare il socialismo nella pace civile , attraverso misure rapide , sagge , giuste , ed aiutarli a isolare e a battere i provocatori . Purtroppo , questo non avvenne . Manca qui , e bisogna dirlo , ogni giustificazione . Le ragioni sono vicine e lontane , e riguardano , tutte , la vita interna del Partito dei lavoratori ungheresi , le lotte che nei suoi organismi dirigenti si sono svolte recentemente e meno recentemente e che avevano origine sia nelle questioni dell ' orientamento da dare alla politica interna sia nei riflessi di quel che accadeva altrove : lotte che per il modo con cui erano state condotte avevano contribuito a disgregare e a spezzare il partito lasciando praticamente i lavoratori senza una direzione . Ma qui entriamo in una materia che deve essere trattata a parte e nella quale la parola spetta prima di tutto a coloro che sono i direttamente interessati .
I dioscuri del privilegio ( Petruccioli Claudio , 1976 )
StampaQuotidiana ,
Che perfetta sintonia , quale identico istinto , quanta reciproca simpatia fra Montanelli , Pannella e De Carolis ! La stessa vena trascorre nelle frasi che il primo ha scritto ieri e nelle battute che i due dioscuri radicali ( ambedue tali per definizione del " Giornale nuovo " ) hanno affastellato l ' altra sera a Roma . E non è la vena dell ' anticomunismo che pure , ribollente e inquieta , li accomuna ; è una vena più profonda e limacciosa , che si snoda lungo tutto il percorso dell ' Italia contemporanea , di volta in volta emerge in superficie o si occulta in percorsi sotterranei . È la vena astiosa e arrogante , allusiva e incolta , insinuante e ricattatoria che raccoglie la schiuma degli umori , delle paure , delle presunzioni , delle aggressività di quanti , in questa società , anche quando non detengono il potere , godono di privilegi . Martedì , pomeriggio e sera , Milano è stata sconvolta da uno stillicidio di vandalismi , di violenze , di scontri con la polizia ad opera di un paio di migliaia di giovani messi in campo da " Circoli giovanili proletari " . Fra le molte cose oscure e confuse che hanno ispirato questa azione e altre analoghe dei cosiddetti " autoriduttori " , del tutto chiaro è proprio il loro atteggiamento verso il privilegio ; la loro ribellione è sì contro il privilegio , ma in quanto li esclude . È qui la caratterizzazione piccolo borghese e irrazionale della loro ideologia ; è questa la diversità , enorme e decisiva , dalle proteste del '68 che , per quanto talvolta infantili , si ispiravano sempre a ideali di razionalità sociale , di eguaglianza collettiva , mai di appropriazione individuale . Non è stata neppure , come scrive il " Corriere " una jacquerie ; perché le jacqueries , disperate e inefficaci , esposte sempre alla più sanguinosa rivincita repressiva , sono state fiammate e rivolte di contadini , di dannati della terra contro un privilegio che si voleva incendiare e annientare . Come poteva Montanelli soffermarsi su questo e indignarsi per questo , visto che la sua ideologia ha lo stesso impasto di quella degli autoriduttori ? Certo , una differenza c ' è , e grande : Montanelli è ben dentro il recinto del privilegio , mentre gli agitatori di martedì sono ancora fuori . E poi Montanelli è più esperto , più scaltro : sa che il privilegio , per perpetuarsi e proteggersi , deve servire il potere e servirsi del potere , deve dimostrare al potere che gli è utile . Ed ecco , ieri , il compito puntualmente svolto : quella dell ' altra sera a Milano è da lui trasformata in una minacciosa esplosione della violenza delle masse , con il PCI pronto ad approfittarne . Anticomunismo , si può dire , certo : ma c ' è qualcosa di ancestrale , che viene prima ancora dell ' anticomunismo , ed è l ' odio per le masse , escluse dal potere e nemiche dei privilegi , che si muovono e avanzano con fatica e con tenacia passo dopo passo spinte non da ingordigia di appropriazione ma dalla volontà di giustizia , di pulizia , di eguaglianza , di libertà , di onestà , di sincerità , dalla decisione di modellare tutta la società in questi valori . Montanelli per difendere i privilegi posseduti e l ' autoriduttore per aspirare ai privilegi idolatrati devono schierarsi contro queste masse , devono considerarle il peggior nemico : e così fanno . È lo stesso fastidio , lo stesso odio che trasuda dal duetto Pannella De Carolis . Qui il privilegio da difendere è quello del " personaggio " , un privilegio che si manifesta anche nel gesto , nella esibizione , nel gusto del paradosso , nella ammirazione di sé ; fra Pannella e De Carolis non c ' è accordo , c ' è qualcosa di più , c ' è intesa . " Noi ci intendiamo " . Si sono reciprocamente riconosciuti . Sono , Pannella e De Carolis , la vera incarnazione politica e culturale di quella profezia pseudoperaia rappresentata dallo slogan " vogliamo tutto " lanciato qualche anno fa da Balestrini . Ogni idea e ogni valore vanno bene se goduti e consumati individualmente ; ogni idea e ogni valore divengono perversi quando se ne impadroniscono le masse , e tanto più quando li usano per organizzarsi , per costruire un moto di emancipazione , per estendere e approfondire la propria coscienza . Non sorprende affatto , perciò , che Pannella vagheggi i tempi di Scelba né che un corifeo del seguito di Montanelli , riferendo compiaciuto le parole del deputato radicale , si confessi a lui affine . Siamo di fronte alle manifestazioni di un male antico che in Italia ha segnato profondamente anche la storia delle idee e degli intellettuali , non solo sul versante conservatore ; il distacco , la sfiducia e la contrapposizione verso le masse , che si vogliono tenere in una condizione di passività , perché siano oggetto e non soggetto della politica e della cultura , considerate al più quando lo sono campo di esercitazione e di affermazione per il singolo che le interpreta , le guida o le agita . È un male che ci sembra nient ' altro che il riflesso , sullo schermo delle ideologie e dei comportamenti , della avida e gretta difesa di tutti i privilegi materiali , protetti con tanta maggiore protervia quanto più si sa che sono arbitrari e ingiustificati . L ' anticomunismo certo , c ' entra , ma non è il punto di partenza , è la inevitabile conseguenza di ciò . E ' un anticomunismo non vecchio , non tradizionale ; è anzi nuovo , e tanto più aspro e agitato perché ha a che fare con il Partito comunista italiano così come è oggi , per quello che rappresenta , per quello che è , per quello che dice , per quello che fa ; soprattutto per gli aspetti che più esprimono la originalità e la novità del PCI . Perché non siete ci rimproverano Montanelli e Pannella come noi vi immaginiamo , vi vogliamo , vi descriviamo ? Perché non esprimete , voi che siete partito di massa e di masse per eccellenza , l ' immagine che noi diamo di orde minacciose e distruttive , ignare e cieche ? Il fastidio e l ' odio di costoro per il PCI si alimentano per il nostro testardo impegno di organizzare la democrazia con le masse e le masse con la democrazia ; per l ' importanza che attribuiamo alla fatica dell ' apprendere e del lavorare ; per la nostra affermazione dei diritti di libertà degli individui e delle garanzie che li devono proteggere ; perché sosteniamo e dimostriamo che essi devono e possono congiungersi fino a rafforzarsi reciprocamente con i diritti collettivi e i bisogni sociali . Provoca ira in costoro questo nostro volere e sapere essere trasformatori e costruttori , insieme . Gli ingordi di privilegi , gli autoriduttori di ogni risma , i chierici esibizionisti che " vogliono tutto " non ci sopportano perché siamo di un ' altra stoffa .
StampaQuotidiana ,
Il problema della monarchia è diventato acuto in Italia in relazione al fatto che i partiti antifascisti particolarmente sotto l ' influenza del conte Sforza hanno fatto dell ' abdicazione del re una condizione della loro partecipazione al governo , e , di conseguenza , il governo nazionale di tipo democratico che tutti si aspettavano non ha potuto venir costituito . Il problema della monarchia ha parecchi aspetti , e , a rigore , è concepibile una soluzione provvisoria e transitoria che , lasciando le cose impregiudicate e riservando la soluzione al popolo stesso , quand ' esso potrà esprimere il suo volere , permetta la costituzione immediata del governo . Una cosa infatti deve essere premessa , e deve valere per tutti come un principio . Se l ' Italia dovrà essere retta , in avvenire , a regime monarchico o a regime repubblicano , è la nazione intiera che dovrà deciderlo , inviando i suoi rappresentanti a quell ' Assemblea nazionale costituente che dovrà gettare le basi del nuovo ordinamento democratico del nostro paese . Avrebbero torto quei partiti e quegli uomini , di convinzione repubblicana , che volessero imporre oggi , di sorpresa e senza consulta popolare , la loro soluzione . Allo stesso modo avrebbero torto quei monarchici che volessero privare la nazione del diritto di esprimere il proprio giudizio anche sul problema della monarchia o della repubblica . Dopo ciò che è avvenuto dal 1922 in poi , sarebbe insensato considerare l ' istituto monarchico come indiscutibile . Al contrario , la sua funzione può e deve essere discussa . La soluzione dell ' Assemblea costituente è la sola , del resto , che permette di decidere il problema istituzionale evitando ogni rischio di disordini e di violenze . Essa è chiaramente indicata dalla « Dichiarazione sull ' Italia » della conferenza di Mosca . Ad essa quindi ci si dovrà attenere . Se ora veniamo al fondo del problema , esso ha due aspetti . Uno riguarda la persona del re attuale ; l ' altro riguarda l ' istituto monarchico in sé . Il re attuale ha commesso tre errori fatali , che lo hanno irrimediabilmente compromesso come capo dello Stato e che effettivamente rendono ben penoso il vederlo tuttora al suo posto . Primo : egli ha violato la fede alla Costituzione da lui giurata ; ha lasciato che questa Costituzione venisse calpestata e soppressa . Secondo : quando gli fu data la prova nel 1926 , da uomini come Amendola e Sforza , che Mussolini era un volgare assassino , egli si rifiutò di togliergli il potere . Terzo : egli acconsentì alla dichiarazione di guerra quando il suo dovere era di sapere che il paese era impreparato , che la guerra era ingiusta e ci avrebbe portato all ' attuale catastrofe . Per tutti questi motivi è comprensibile che i capi democratici sollevino il problema dell ' abdicazione di Vittorio Emanuele . Come potrebbero essi giurare fedeltà a un re che s ' è visto in qual conto tenga i giuramenti suoi propri . Vittorio Emanuele avrebbe reso un gran servizio all ' Italia e un omaggio segnalato alla pubblica morale se per conto suo , senza farselo dire , già avesse abdicato . La questione della monarchia come istituto è più complicata e più profonda . Per il vecchio diritto costituzionale , il valore dell ' istituto monarchico sta nel fatto che esso sarebbe un elemento di equilibrio e di conservazione , che eviterebbe i salti bruschi , i salti nel vuoto e i conseguenti pericoli per il corpo sociale . Orbene , è un fatto che la monarchia in Italia non ha adempiuto questa funzione . Essa non soltanto non ha impedito , ma anzi ha contribuito a che il paese cadesse nelle mani di una cricca di pescicani , di irresponsabili e di banditi , che lo hanno prima saccheggiato per conto proprio , e poi lo hanno venduto ai tedeschi , lo hanno portato alla sconfitta militare , alla rovina economica e alla catastrofe . Chi può oggi affermare in buona fede che il mantenimento dell ' istituto monarchico sia per la nazione italiana una garanzia contro il ripetersi d ' una simile tragedia ? Se vorremo avere una garanzia seria come sarà necessario che l ' abbiamo , della solidità del regime democratico nel nostro paese dovremo cercarla e la troveremo soltanto nell ' esistenza di una solida e ampia rete di organizzazioni popolari sindacati , cooperative , leghe di reduci di guerra , partiti politici antifascisti le quali siano penetrate di vero spirito democratico e agiscano unite in modo da sbarrare per sempre il passo a ogni ritorno o rigurgito di reazione . Ma qui l ' orizzonte si allarga , per abbracciare in pieno i problemi della costruzione di uno Stato italiano libero , forte , unito , indipendente e pacifico . Noi rimaniamo fermi al principio che è il popolo stesso che deve esaminare , discutere , decidere nella sua sovranità questi problemi . La parola dell ' Assemblea costituente diventa quindi il centro attorno al quale logicamente si può e si deve fare oggi l ' unità nazionale , perché è la sola che non fa violenza al popolo , ne rispetta i sacrosanti diritti , riserva , senza pregiudicarli , tutti i problemi del futuro , e permette quindi il massimo di unità e concentrazione di forze per risolvere quelli del presente , cioè della guerra .