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IL TRENO CHE VA NEL CAUCASO ( Calvino Italo , 1952 )
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Giovedì - Siamo in treno . La radio nel corridoio trasmette una canzone popolare . È una donna che canta : pare un ' esplosione di gioia furiosa , una modulazione di brevi grida scattanti su un ritmo che ricorda le caratteristiche danze russe a ginocchia piegate . Chiedo se è un ' antica canzone contadina : Ljena Constantinova mi spiega che è una canzone colcosiana d ' una ventina d ' anni fa . Risale agli inizi dell ' elettrificazione nelle campagne . Ljena mi traduce l ' inizio : « Per la prima volta la donna vede il sole accendersi nella sua stanza ... » Il programma che la radio sta trasmettendo è una rassegna di canzoni dell ' anteguerra . Ora ne cantano un ' altra di questo allegro tipo contadino . Ogni strofa finisce con un ' esclamazione : « Hoc ! » È una canzonetta buffa : il fidanzato ha accompagnato la bella a casa e non sanno separarsi , e ogni volta trovano una scusa per restare insieme . « Hoc ! » La Russia è un mare di terra . I paesi sono sparsi e lontani . La storia di questo paese , la lentezza del suo passato , il valore dei risultati del socialismo mi si colorano di nuovi significati , ora che vedo concretamente la terra , le distanze , i campi . Le ore di viaggio vanno avanti movimentate solo dai cinque pasti quotidiani . Oltre ai tre grossi pasti a cui ci siamo abituati a Mosca , c ' è uno spuntino a base di mele che ci vengono portate negli scompartimenti a metà mattina , e il tè delle cinque , in vagone ristorante . I compagni sovietici sono venuti ben attrezzati di scacchi , dama e domino , e noi , messi da parte i nostri mazzi da ramino , ci cimentiamo nei giochi in cui i russi sono tradizionalmente maestri . A scacchi non riusciamo a vincere neanche una partita , ma ( con qualche trucco ) ci rifacciamo a domino . Venerdì Passiamo Rostov , estesissima città su un dosso di collina in mezzo alla pianura , tutta di basse casette . Della guerra , ormai , si stenta a vedere i segni . Passiamo il Don , che ora , d ' autunno , non è largo , ma che ritirandosi ha lasciato laghetti e pozze d ' acqua per dieci chilometri intorno . Siamo in una campagna abitata e immensa . Dall ' ultimo vagone vedo una grossa gazza bianca e nera posarsi sui binari . Discorriamo di sport . L ' interprete Vitalij è iscritto alla « Spartak » , la società dei Sindacati . Paga un rublo al mese ed ha tutte le possibilità di fare tutti gli sport che vuole , nei campi e con l ' attrezzatura della « Spartak » . Per esempio , va alle stazioni sciistiche della « Spartak » e se non ha sci , o scarponi suoi , usufruisce gratis di quelli della società . Se vuole può anche andare ai campi della « Dynamo » o di un ' altra società , ma non essendo socio , deve pagare una piccola quota . Si parla di matrimoni . Un particolare curioso . All ' atto del matrimonio la moglie può scegliere se chiamarsi col cognome del marito o tenere il proprio ; oppure anche il marito può prendere il cognome della moglie ; oppure possono lasciare entrambi i vecchi cognomi e scegliersene uno nuovo . Sabato In treno nel Daghestan . Da stamane siamo in riva al Caspio , mare grigio e triste tal quale lo s ' immagina vedendolo nelle carte geografiche . Le montagne del Caucaso ci fiancheggiano sulla destra . Ogni tanto spunta la torre a traliccio di un pozzo di petrolio . Ad una stazione scendiamo a far quattro passi giù dal treno . Con allegria prendo contatto con questa terra così nuova e in cui pure basta poco , un muro di strada in salita , lo sguardo nero delle donne , per riportarmi nell ' atmosfera familiare delle città rivierasche . Anche il clima è da inverno di riviera ; solo i colori sono più smorti . Viaggiare in coda al treno , tra Caspio e Caucaso ! Ma al vecchio ferroviere , che sta qui in coda con le sue bandierine e le sue lanterne , questi paesi non piacciono per via del vento ; lui è di Smolensk . Ljena Constantinova lo rimprovera filialmente perché non si rade la lanuggine bianca e rada che incespuglia il suo viso . Ride tutto grinzoso e sdentato : dice che non importa , ormai è vecchio . È un simpatico tipo di chiacchierone ; anche se sono solo , lì a guardare il panorama , senza nessuno che mi faccia da interprete , lui vuole attaccar discorso e parla , parla , nonostante i miei « Nepognemai ! » ( Non capisco ) . Ad una stazione vengono donne sotto i finestrini a vendere yogurt e carne cruda . Graziose , con in testa fazzoletti disegnati . Sulla collina , i paesi che s ' incontrano adesso sono ammucchiati come i nostri , non sparsi come nella pianura russa . Certe case tra gli orti hanno i muri a secco come i casolari in Liguria . Attraversiamo vigne basse ( « come in Sicilia » , dice Michele L . che è siciliano e bracciante , anzi batrak , come abbiamo imparato a chiamarlo qui ) . Vigne e campi di cotone , e girasoli . Le donne sono tipi tra il siciliano e il turco : vengono giù da una stradetta tra i campi e vorrebbero entrare in stazione di lì , invece di fare il giro dall ' entrata dell ' edificio , e un tipo di controllore con la barbetta continua a rimandarle indietro e ognuna di loro protesta e racconta chissà che storia per convincerlo ; e lui scuote sempre il capo , inflessibile e paziente . Da ieri non vedo che uccelli neri o bianchi e neri ; credo siano gazze . Ora il cielo verso il Caucaso è percorso da una striscia senza fine di uccelli neri in volo ; forse una migrazione ? Per chilometri e chilometri continua a volare questa enorme schiera di uccelli e seguendoli entriamo nell ' Azerbaigian . A un torrente , V . m ' indica i segni bianchi del confine della Repubblica .
Coen Leonardo ( Le BR uccidono Walter Tobagi , 1980 )
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Milano . Due colpi alla spalla sinistra . Uno alla gamba destra , un quarto che gli sfiora la spalla destra e si conficca sotto una finestra . Walter Tobagi , 33 anni , presidente dell ' Associazione lombarda dei giornalisti , inviato di punta del « Corriere della Sera » , si accascia sul marciapiede , l ' ombrello sbatte per terra al suo fianco , la Parker schizza fuori dal taschino , una macchia rossa si allarga sulla giacca nera . Forse è già incosciente mentre si piega , faccia in avanti , quando lo finiscono con un quinto colpo : sotto l ' orecchio sinistro , il colpo di grazia . Un ' esecuzione spietata , velocissima . Chi ha sparato con una calibro 9 corta è un giovane , 17-18 anni , secondo i testimoni , con un baschetto blu alla Nicholson calato fin sugli occhi . Sono le 11 e un quarto , minuto più minuto meno , in via Andrea Salaino , una piccola traversa della via Solari che porta alla via Valparaiso . Negozi , una fabbrica , un ristorante , una scuola , palazzi signorili e vecchie case popolari . All ' altezza della Trattoria dai gemelli , davanti al portone numero 12 , un commando della Brigata 28 marzo ha eliminato con quei cinque colpi secchi di pistola « il terrorista di Stato Walter Tobagi » . Questi i termini con i quali viene rivendicato l ' attentato mortale al centralino della nostra redazione milanese un ' ora e mezzo dopo , alle 12 e 54 : « Continua la campagna contro la stampa di regime . Seguirà al più presto un comunicato » . Quattro sono i componenti del commando assassino . Il giornalista sapeva da tempo di essere nel mirino dei terroristi : il suo nome era comparso in un elenco trovato dai carabinieri nella notte fra il 10 e 1'11 gennaio del '79 in una valigetta «24 ore » sotto una FIAT 500 parcheggiata all ' angolo fra piazza Durante e viale Lombardia . Nella valigetta c ' erano documenti dei « Reparti comunisti d ' attacco » e di « Prima linea » , fra cui quell ' elenco di 46 nomi di magistrati , di avvocati e di tre giornalisti . Uno era proprio lui , Walter Tobagi . Venne convocato dal procuratore capo Mauro Gresti , gli fu suggerito di cambiar città , abitudini , di farsi scortare . Tobagi prese atto , con rassegnazione , della sua situazione , ma rifiutò la scorta e continuò la sua attività di giornalista e di sindacalista . Certo , aveva coscienza del rischio e non lo nascondeva , anzi lo confidava agli amici , ma con pudore . Anche la DIGOS , tempo fa , gli aveva fatto capire che era il caso di « cambiar aria » , ma nemmeno quest ' ultimo avvertimento lo convinse a mutar parere . Un mese fa la SIP gli modificò il numero di telefono . In realtà l ' unico accorgimento che adottò fu quello di variare i propri orari , uscendo di casa alle ore più impensate . Ma non gli è servito a nulla . Ieri mattina la porta del suo appartamento al pianterreno di via Solari 2 , accanto quasi alla portineria , si è aperta alle 11 . Uno sguardo alla posta , un saluto al custode . La moglie Stella Olivieri e la piccola Benedetta di tre anni ( Luca , l ' altro figlio di 7 anni , è a scuola ) lo salutano , sono appena rientrate dalla spesa . Tobagi deve andare al giornale , nel pomeriggio ha in programma un viaggio a Venezia , c ' è un convegno sulla « qualità della vita » , lo ha seguito martedì e mercoledì . Ma la sera di mercoledì era ritornato a Milano per un dibattito al Circolo della Stampa sui segreti professionali e istruttorie , il caso Isman e i verbali di Peci . È lui che riassume , all ' una di notte , i vari interventi . Forse , uscendo di casa , Tobagi pensa al dibattito della sera prima . Fuori pioviggina come d ' autunno e siamo quasi a giugno , una primavera grigia e fredda . La sua Mini Morris è posteggiata oltre l ' isolato , dentro il garage « del Parco » di via Valparaiso 7/a . Duecento metri a piedi , una passeggiata che era rituale per lui , costretto dal lavoro a ore e ore di scrivania , lo diceva spesso agli amici , « col nostro lavoro non si fa mai moto » . Walter , un po ' corpulento lo era , un viso pacioso , l ' aria sempre seria anche quando scherzava , quel suo serrare le labbra e farle a fessura , uno che da giovane , fin dai tempi del liceo Parini sezione « A » , era ritenuto il più maturo e il più autorevole , nonostante in pieno Sessantotto la sua militanza cattolica . Tobagi arriva all ' incrocio fra la via Salaino e la via Solari , incerto se rimanere sul marciapiede dei numeri pari o dirigersi su quello opposto . Attraversa la strada , si avvia verso la via Valparaiso . È in questo momento che scatta il meccanismo mortale dell ' agguato . Probabilmente è dal portone di casa che il giornalista viene seguito da un giovane , pare . Ma a quell ' ora e in quella zona la gente per strada è tanta , e non si può essere sospettosi fino alla paranoia . Tobagi non si accorge d ' essere pedinato . E nemmeno si accorge di una Peugeot 204 grigiometallizzata con altre tre persone a bordo che lo supera a metà della via Salaino . O forse no , l ' auto la vede , osserva che rallenta fino a fermarsi poco più avanti , di fronte al numero 14 . Ma non realizza l ' idea del pericolo . L ' auto scarica due persone . Una si dirige verso il marciapiede dei numeri dispari , a sinistra , lo stesso del giornalista . L ' altra va sul marciapiede di destra . È un giovane , anzi un giovanissimo , quello che cammina dalla stessa parte di Tobagi , che si acquatta dietro una finta siepe , di quelle un poco squallide che delimitano l ' area « estiva » dei ristoranti . Tobagi cammina , l ' ombrello sulla sinistra usato come bastone da passeggio , sovrappensiero . Passa davanti alle prime « siepi » della Trattoria dai gemelli , con la coda dell ' occhio si accorge improvvisamente di un ' ombra . Non fa in tempo a fuggire , l ' ombra si materializza , un ragazzo con la pistola e un sacchetto di plastica , come nei film delle spie , il sacchetto di plastica per raccogliere i bossoli e rendere più difficili le ricerche balistiche . La pistola spara cinque volte , Tobagi muore . Una pozzanghera raccoglie il suo sangue . Dalle finestre si urla , il proprietario della trattoria corre fuori , in tempo per vedere Tobagi ancora sussultare . Il killer intanto è balzato sulla Peugeot , così come il compagno che sorvegliava il marciapiede di destra e il « pedinatore » . L ' auto fa stridere le gomme , la fuga dei terroristi sembra finire contro una 127 arancione : all ' angolo con la via Valparaiso , le due auto si urtano , il guidatore della 127 impreca , apre la porta , i quattro della Peugeot tirano diritti verso la piazza Bazzi , verso il Lorenteggio , verso chissà dove . L ' auto della fuga alle sei del pomeriggio non è ancora stata ritrovata , la polizia ha cinque numeri della targa , si sa che è rubata , ma niente più . Di corsa dalla via Solari arriva Stella Olivieri , che si trascina la piccola Benedetta : da casa ha sentito sparare , ha avuto come un presentimento , poi le sirene . Arriva urlando di dolore , Walter è a faccia in giù , sul marciapiede bagnato , immobile , una striscia di sangue che cola . Arriva dalla vicina parrocchia di Santa Maria del Rosario un sacerdote , conosce da anni i Tobagi , è lui che un mese fa ha dato la prima comunione a Luca . Arriva l ' anziano papà di Walter , si china sul cadavere , piccolo , l ' impermeabile grigio ancora più grigio , un ' occhiata perduta al corpo immobile : « Figlio , figlio mio , che ti hanno fatto , perché ? » urla . La moglie vuole anche lei vedere , ma glielo impediscono . Comincia il rituale pellegrinaggio di autorità : ecco il generale Ferrara dei carabinieri ; ecco il sindaco Tognoli , socialista come socialista era Tobagi ; ecco gli occhi rossi di pianto di Bruno Pellegrino , segretario del club Turati , amico di Walter ; ecco Ugo Finetti , segretario provinciale del PSI . Arriva il procuratore capo Gresti . « Allucinante , ieri sera ero anch ' io al dibattito sul segreto istruttorio » dice . A quel dibattito , c ' erano un centinaio di giornalisti milanesi , eccoli tutti qui davanti alla Trattoria dai gemelli , chi con la faccia stravolta , chi incapace di parlare , per molti più che un collega Tobagi era anche un amico . Arrivano il direttore del « Corriere » , Franco Di Bella e l ' editore Rizzoli : assieme agli amici più cari di Tobagi si recano a casa , dalla moglie . L ' auto nera dei becchini arriva alle 12 e 45 , Gaspare Barbiellini Amidei , il vicedirettore del « Corriere » , scoppia in un pianto dirotto , nel pomeriggio arriverà all ' obitorio anche il ministro Rognoni . La mobilitazione democratica della città comincia a funzionare , purtroppo , come tante altre volte , sette quest ' anno , per i morti e altrettante per i feriti . Più in là , nella casa di Walter , il mesto pellegrinaggio , il padre e la madre disperati , « mio figlio così buono che non faceva male a una mosca » , lo studio così vuoto eppure pieno di gente impietrita .
ELOGIO DEL GRANO ( ORSINI LUIGI , 1935 )
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Già si miete , si trebbia , si insacca . La terra mantiene le sue promesse . ... Intorno e sopra la trebbia , uomini e donne lavorano . In alto , alcuni sciolgono i covoni , li sparpagliano e li affidano all ' avida fauce che li attira e li divora nella sua vertigine folle . Giù , donne rastrellano pula ; uomini raccolgono entro la sacca i rivoli d ' oro che sgorgano impetuosi dalle bòtole oblique . E sole , sole da per tutto . Un sole così ardente e così pazzo , che sembra compiacersi di quella festa da lui regalata all ' umanità . Finita l ' opera , tutti i lavoratori si riuniscono intorno a una grande tavola . Il lavoro compiuto ha lasciato sulle carni aduste tracce di una rude bellezza : polvere di pula , pagliuzze fra i capelli , nero di carbone sui volti . Ma la gioia della fatica ha destato anche la gioia dell ' appetito . La grande tavola fa pensare alle agapi antiche ; e questi grandi uomini bruni hanno una maestà quasi sacerdotale . Al silenzio tenuto durante il lavoro , tien dietro scarsa favella , ora . Ma il buon vino scioglie loro presto la lingua . E si parla di raccolto , di speranze , e anche , sì , d ' amore . Gioia della giovinezza , sapore della vita ! Santità del grano . Domani , o fior della spiga , sarai franto dai laboriosi mulini , diverrai farina , sarai pane ed ostia , cibo per chi vive , viatico per chi muore ; pane del corpo , pane dello spirito . Quando tutti saremo fatti migliori sulle basi vere dell ' amor cristiano , e cesseranno lotte sopraffazioni vendette , sarà ancora il pane a riunirci in un accordo di solidarietà operosa e serena . Un uomo di scienza ha detto un giorno : " Quando il pane è sicuro e abbondante , l ' uomo sente pensa ed opera secondo l ' amore , non solo sessuale , ma anche fraterno ed umano . " E Virgilio : " Noi siamo nati a vivere di pane . " Risalendo ancora , ad Omero : " Il pane è la forza , il vigore dell 'uomo." Eppure , canto di poeti , parole di scienza non raggiungono in efficacia l ' invocazione al Padre : " Dà a noi oggi il nostro pane quotidiano . " Forse è per questa bontà e per questa poesia che il Capo , generoso e fraterno , ha voluto mietere e trebbiare in mezzo al popolo , sedersi a mensa coi lavoratori , dividere con essi il pane della fatica . E il popolo lo ha rimeritato gridandogli tutto il suo amore .
IL TENORE BUL-BUL ( Calvino Italo , 1952 )
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Baku , domenica - Primo mattino di sole dopo quaranta giorni piovosi . Quando siamo arrivati ieri sera pioveva ancora e alla stazione le brune ragazze del Komsomol ci coprivano d ' ombrelli e di mazzi di fiori . Ora siamo su un ' altura , un antico forte trasformato in giardino , ai piedi del monumento a Kirov , il grande rivoluzionario che nei primi anni del potere sovietico diresse l ' organizzazione comunista nell ' Azerbaigian . Sotto di noi , il gran golfo sul Caspio grigio , e Baku che innalza i minareti delle sue moschee e le torri a traliccio dei pozzi di petrolio . La vecchia città araba è nel centro , cinta da mura del 1510 , coi suoi tetti tondi e le moschee . Dal 1917 ad oggi Baku è quintuplicata ( un milione di abitanti oggi ; 200 mila allora ) e ha triplicato l ' estensione dei suoi giardini . I pozzi di petrolio spuntano dappertutto , perfino in mezzo al mare ; attorno a un ' isoletta dove gli archeologi hanno rintracciato vestigia di un caravanserraglio del XIII secolo . Baku ha chiese di quattro religioni : moschee , sinagoghe , chiese ortodosse , chiese armene . Ha pure ( e tutte cose nuove , queste ) dodici scuole superiori , quattro grandi teatri , un ' accademia filarmonica , biblioteche con milioni di volumi , un nuovo stadio sul mare , molto bello . I nuovi palazzi di Baku seguono tutti l ' antico stile azerbaigiano , con le finestre e i portici a sesto acuto e i contrasti di colore dell ' architettura orientale . Simbolo della tradizione culturale nazionale è Nezami , il Dante azerbaigiano ( 1141-1203 ) , a cui è dedicato un monumento e un museo , e di cui s ' incontra spesso la statua e il ritratto . Tutte le scritte sono bilingui : in russo e azerbaigiano . Il ritratto di Stalin è quasi sempre accompagnato a quello del compagno Baghirov , dirigente nazionale del partito . Spesso i ritratti sono arazzi intessuti , con variopinte cornici orientali . Gli abitanti di Baku amano definire la propria città la Napoli del Caspio . A me questo saliscendere di vie , spesso tra il verde dei parchi , e queste piazze portuali , e la grigia autunnale aria ventosa e anche una certa procacità angolosa delle donne , fanno pensare a Genova . Gli azerbaigiani sono meridionali , nelle caratteristiche esteriori e nella vivacità ; e ci tengono . Scherzando coi russi , vantano sempre il proprio temperamento caloroso . La prima cosa che dicono agli italiani è : « Noi e voi c ' intendiamo subito , siamo meridionali , noi ! » Le donne sono brune e spesso attraenti : hanno profili fieri e taglienti , petti arditi , a sesto acuto come le loro finestre . Nei cinema danno gli stessi film che abbiamo lasciato a Mosca . In molti dei più importanti , c ' è In nome della legge , e quindi anche qui continuiamo a vedere cartelloni di Massimo Girotti a tutte le cantonate . Un Girotti un po ' azerbaigianizzato , con qualche lieve sfumatura orientale nei lineamenti , ma sempre lui . Per le vie vediamo passare qualche donnetta ricoperta di un velo bianco , ali ' uso musulmano . Sono le vecchie che ancora seguono in parte i costumi d ' un tempo . Ma hanno il viso scoperto : la ciandrà , il velo sotto il quale la donna era obbligata a nascondere il viso , è del tutto scomparsa . Visita a una casa dei pionieri . È la prima che visito e non immaginavo che fosse una cosa così bella . La mia ammirazione per l ' organizzazione dei pionieri continua a crescere , di fronte ad ogni nuova cosa che vedo in questo campo . Questa casa è frequentata da 2500 bambini che vengono due volte alla settimana , a turni combinati secondo i loro orari scolastici . I frequentatori sono divisi in circoli , e in questa grande villa ogni circolo ha una sua saletta e i suoi insegnanti specializzati . Ecco una sala piena di piante , microscopi e uccelli impagliati : è quella dei naturalisti , la cui attività già ho avuto modo di apprezzare a Mosca . In un ' altra sala i ragazzi stanno piallando e inchiodando scafi e chiglie : è il cantiere dei « navimodellisti » . Gli aeromodellisti hanno invece una sala tutta finestre , tra fusoliere bianche ed ali ; dal soffitto pendono gli involucri dei palloni aerostati ; e anche i pannelli alle pareti , dedicati ai pionieri russi dell ' aviazione ( qui intendo pioniere nel senso storico della parola ) , sono chiari e ariosi . C ' è lo studio dei piccoli pittori e quello dei piccoli scultori , c ' è il laboratorio dei fotografi . I ragazzi radiotecnici costruiscono apparecchi a onde corte con cui comunicano coi dilettanti di tutto il mondo : ci fanno vedere le cartoline che hanno ricevuto , e ce n ' è anche una dall ' Italia , di un radioamatore livornese ; e ci danno le cartoline con cui avvertono d ' aver captato le trasmissioni , secondo i dati stabiliti dalla convenzione internazionale dei radioamatori . I piccoli astronomi hanno addirittura un planetario ; e per scrutare il cielo vero , telescopi , che imparano anche a costruire . Tutto questo è organizzato nelle sale , nei corridoi , nei pianerottoli , nelle nicchie , nelle logge d ' una soleggiata villa gentilizia . In una saletta triangolare c ' è ( e come poteva mancare a Baku ? ) lo studio dei metodi d ' estrazione del petrolio : modelli di pozzi , raccolte di minerali , cartelloni degli strati geologici . I sobri affreschi alle pareti hanno la funzione di creare un ' atmosfera che fa presa sulle fantasie infantili , e li infervora in questi loro giochi che sono insieme anche studio e lavoro ; così qui , nella saletta del petrolio , è subito creata un ' atmosfera mineraria . Non siamo noi i soli ospiti d ' eccezione della casa dei pionieri , stamane . Nel salone c ' è un incontro dei bambini con Mussah Babajev , l ' azerbaigiano campione del mondo di lotta greco - romana , idolo di molti piccoli tifosi sovietici . Le bambine ballano , in onore di Babajev , una specie di quadriglia . Poi , nel teatrino , c ' è uno spettacolo in onore della delegazione italiana . I bambini eseguono danze e canti azerbaigiani . E c ' è anche , manco a dirlo , un pezzo italiano : una ragazzina canta « Addio , Leonora » del Trovatore , con le parole della nostra lingua . All ' Accademia filarmonica , nell ' intervallo di un concerto in onore della nostra delegazione , abbiamo incontrato Bul - Bul , ossia Rosignolo . Bul - Bul è il più popolare tenore dell ' Azerbaigian , già sessantenne e pelato , ma un bel tipo di buontempone . È premio Stalin e deputato al Soviet supremo della Repubblica . Parla italiano perché ha studiato in Italia ( ci ha cantato tra l ' altro « La donna è mobile » in italiano ) , e tra gli italiani si sente a casa propria . Ci subissa di domande su tenori e baritoni italiani . « A quei tempi - ci dice - per un artista dell ' Azerbaigian non c ' era che emigrare . Qui non c ' era nulla ; era un paese arretrato , incolto . Ora abbiamo tutto , industrie , scuole , università , teatri , conservatori , accademie ... E dire che quando ero in Italia , e dicevo che ero dell ' Azerbaigian , tutti mi guardavano interrogativamente : nessuno sapeva che 1'Azerbaigian esistesse , non c ' era neppure segnato sulle carte . , . Mi sembrava d ' essere comparso così , dal vuoto ... Ora posso dire a tutti che l ' Azerbaigian esiste sul serio ... »
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Napoli , 28 . La prima traccia , un pezzo di fusoliera che affiorava sul pelo dell ' acqua , è stata avvistata da un elicottero alle sette di mattina , circa 60 chilometri a nord dell ' isola di Ustica . « Posizione 39°49' latitudine nord , 12°55' longitudine est » , aveva segnalato il pilota . Da quel momento , dopo una notte di ricerche affannose e inutili , il mare ha cominciato a restituire i brandelli del DC9 IH 870 dell ' Itavia partito l ' altra sera alle ore 20 da Bologna con 81 persone a bordo e mai arrivato a Palermo : un breve troncone di coda , un altro pezzo di fusoliera , qualche solitario salvagente , i primi cadaveri sbattuti avanti e indietro dalle onde forza 4 . Le operazioni di ricerca sono andate avanti per tutta la giornata . Continueranno anche domenica . Ma le speranze di trovare qualcuno in vita sono praticamente nulle . Il compito delle unità navali ed aeree è realisticamente solo quello di recuperare il recuperabile , che è poca cosa . Tutto il resto giace su un fondale irraggiungibile , percorso da fortissime correnti , a una profondità che varia tra i 3000 e i 3600 metri . A sera le salme avvistate e issate a bordo delle motolance erano 35 . All ' appello manca più della metà dei passeggeri . Soprattutto manca la scatola nera , l ' unica che allo stato attuale potrebbe stabilire con la sua memoria elettronica le cause del disastro . Che cosa sia accaduto venerdì sera tra il cielo stellato illuminato dalla luna piena e il mare agitato del basso Tirreno , nessuno è ancora in grado di dirlo . Il DC 9 dell ' Itavia era partito da Bologna verso le 20 , con due ore di ritardo sull ' orario previsto . Settantasette i passeggeri , quattro gli uomini dell ' equipaggio . Ai comandi Domenico Gatti , 44 anni , 7255 ore di volo alle spalle . L ' ultimo contatto con la torre di controllo di Ciampino c ' è stato alle 20.55 . Il comandante , a causa dei venti contrari , aveva chiesto di poter scendere di quota , dagli undici mila metri di crociera ai settemila . Dalla torre di controllo era arrivato 1'OK e l ' aereo si era abbassato . Da quel momento , il silenzio assoluto . L ' IH 870 era poco più in là dell ' isola di Ponza . Nessuno aveva comunicato avarie o difficoltà tecniche . Nessuno aveva lanciato 1'SOS . A Palermo si è aspettato . Invano . Il DC 9 partito da Bologna non ha dato segni di vita . Quando è scattato l ' allarme , le speranze erano ormai ridotte all ' osso . E ogni minuto che passava portava la certezza della tragedia . L ' autonomia del velivolo , hanno fatto sapere i tecnici , arrivava fino alle 22.34 . A quell ' ora c ' è stata , anche nei meno pessimisti , la certezza della disgrazia . Ma si sperava ancora . Magari che il pilota fosse riuscito ad ammarare : le 81 persone che erano a bordo potevano essersi salvate con i salvagenti . Soltanto un sottile filo a cui appendersi , ma un filo che è durato fino all ' alba quando , dall ' alto , è arrivata la prima prova tangibile che la tragedia si era consumata fino in fondo . A Napoli l ' allarme alla Capitaneria di porto è arrivato poco dopo le dieci di sera . Nel tratto di mare compreso tra Ponza e Ustica , un ' area d ' acqua grande come una regione , erano arrivate le navi della Marina militare coordinate dall ' incrociatore Doria , quelle della Capitaneria di porto , i mercantili e i traghetti che a quell ' ora si trovavano in viaggio tra Palermo e Napoli . Dagli aeroporti della zona erano partiti gli elicotteri , gli Atlantic e i caccia attrezzati per compiti anti - sommergibili , capaci di individuare una massa metallica a grandi profondità . Ore e ore di ricerche . Ma il DC 9 non si trovava . Verso le cinque di mattina è arrivata la prima segnalazione . Dalla nave traghetto Carducci era stata avvistata una macchia di carburante . La chiazza , però , non proveniva dal velivolo . Alle sette , finalmente il primo segno . Da un elicottero è stato comunicato al Doria , e da questo alla Capitaneria di porto , l ' avvistamento di un pezzo di fusoliera . La speranza , a quel punto , era di aver delimitato , dopo ore di ricerca alla cieca , una zona su cui concentrare navi ed aerei . Ma è stata una nuova illusione . Un ' altra parte del velivolo è stata infatti identificata poco dopo da una motonave a venticinque miglia di distanza dalla prima . Un ' altra , ancora più distante , è stata incrociata dal Carducci che si stava allontanando in direzione della Sicilia . È la conferma indiretta che il DC 9 è esploso in volo , spandendo a raggiera dall ' alto , per miglia e miglia lamiere e cadaveri . Sabotaggio ? Incidente tecnico ? Errore umano ? Sono le domande a cui dovranno rispondere le due commissioni di inchiesta nominate rispettivamente dall ' Itavia e dai ministeri della Marina e dei Trasporti . Le uniche tracce sono , al momento , le parti del velivolo recuperate dai mezzi di soccorso e la registrazione dell ' ultimo rilevamento radar effettuato dall ' aeroporto di Capodichino , pochi minuti dopo il contatto radio tra il comandante Gatti e la torre di controllo di Ciampino . Le ricerche , come si è detto , continueranno anche nella giornata di domenica . Le salme recuperate , 42 , trasbordate sul Doria , sono già partite in elicottero per Palermo . Anche il centro di coordinamento delle operazioni , sinora guidate da Napoli , dovrebbe spostarsi nelle prossime ore nella città siciliana . La lotta per strappare al mare almeno i corpi da restituire ai parenti in attesa , è , ora , anche contro il tempo . In serata una motovedetta si è imbattuta in quello che molti temevano : un branco di squali .
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Che cosa è il servizio civile obbligatorio ? Per comprendere la nuova politica operaia del Reich è necessario inquadrare i provvedimenti di questi giorni in quelle linee programmatiche di riforma sociale della quale Hitler come capo - partito si è fatto banditore e come cancelliere si fa oggi realizzatore . La stampa , nei suoi commenti , si chiede in quale modo possa avvenire il passaggio dai principi rivoluzionari del nazionalsocialismo alla nuova politica hitleriana che si troverà necessariamente di fronte ai vasti interessi agrari ed industriali . È questo il problema che rende particolarmente interessante l ' attuale fase della politica sociale tedesca . Il « Programma di Monaco » , che è il nucleo primitivo della dottrina hitleriana , ha un ' orientazione decisamente collettivistica : nei venticinque articoli di questa carta fondamentale , oltre l ' affermazione che ogni cittadino deve essere lavoratore o intellettuale o materiale e che l ' attività di ciascuno deve essere subordinata all ' interesse generale , vi si leggono espliciti propositi di socializzazione statale . Nel « Programma di Monaco » è infatti caldeggiata la statizzazione delle imprese , la municipalizzazione dei grandi magazzini : vi si parla inoltre di soppressione delle servitù ipotecarie e dei benefici di guerra , della partecipazione agli utili delle imprese e si promette anche l ' espulsione di coloro che non sono tedeschi di sangue , nel caso di mancanza di alimenti . Come potrà il vecchio programma trovare applicazione nella nuova realtà politica che è sotto il diretto potere e controllo dello stesso Hitler ? Alcuni suoi recenti discorsi ed alcuni fatti di questi giorni contribuiscono a precisare l ' orientamento del governo sul terreno della politica sociale . Hitler nel suo recente discorso tenuto a Tempelhof ha recisamente affermata la necessità di sostituire al principio della lotta di classe il principio dell ' unità del popolo tedesco . Perfino la serenità climatica di calendimaggio gli ispira parole di pace : « Non si può fare di questo bel giorno di primavera il simbolo della lotta , ma il simbolo del lavoro costruttore » . Hitler infatti si è posto questo programma : « Creare lavoro ! » . Ma quali saranno i metodi taumaturgici capaci di far balzare dal nulla ciò che milioni di uomini ogni mattina sperano ed ogni sera rimpiangono delusi ? Tra i mezzi creativi proposti da Hitler , quello più miracoloso è ritenuto il servizio o prestazione di lavoro obbligatorio . Si tratta di una militarizzazione del proletariato . Come il militarismo passa , almeno secondo la critica storica di Hitler , dalla fase mercenaria a quella obbligatoria che nobilita il mestiere delle armi , così il lavoro trasformandosi da servizio libero e mercenario a servizio obbligatorio potrà acquistare la sua piena dignità . Hitler , nel suo discorso del maggio , ha testualmente detto : « Come i lanzichenecchi mercenari di una volta sono diventati i soldati del servizio obbligatorio , così vogliamo risvegliare la dignità del servizio obbligatorio . Come già il carattere militare venne in onore per tutti per mezzo del servizio obbligatorio , così il servizio obbligatorio del lavoro conferisce al lavoro una nuova nobiltà » . È certamente questa una nuova concezione del lavoro : per quanto si può capire dalle prime enunciazioni vien fatto di pensare ad una trasformazione del lavoro dal suo tipo contrattuale ( rapporto fra datore e prestatore ) ad un nuovo tipo istituzionale . Il lavoro viene considerato come istituzione sociale da organizzarsi e valutarsi in funzione dei fini dello Stato . Al concetto liberale del lavoro come diritto individuale si sostituisce il concetto societario del lavoro come dovere nazionale . Il lavoro non è più una facoltà ma una obbligazione . Anche la Russia è arrivata alla militarizzazione del proletariato ed alla socializzazione dell ' industria . Non indifferenti sono le difficoltà per la realizzazione sociale di dottrine il cui esperimento sembrerebbe più facile in momenti di tranquillità economica . Intanto Hitler preannuncia già i primi esperimenti che hanno lo scopo di livellare lo spirito di classe nell ' unità dell ' educazione e dell ' obbedienza . « Noi abbiamo deciso , disse Hitler , che ogni tedesco , di qualsiasi condizione per nascita , ricco o povero , figlio dell ' intellettuale o dell ' operaio , debba una volta nella sua vita compiere dei lavori manuali affinché apprenda a saper obbedire prima che comandare . Quest ' anno realizzeremo per la prima volta questa grande idea morale e sappiamo che vi sarà bisogno di almeno 40 anni perché le parole lavoro e lavoratore manuale cambino di senso per milioni di uomini , come milioni d ' uomini hanno dimenticato il lanzichenecco per mettere al suo posto il soldato tedesco » . Con queste parole è nuovamente affermato il carattere di milizia che deve assumere il lavoro manuale , abituando al quale anche le classi intellettuali , in pochi decenni si potrà realizzare per la prima volta una « grande idea morale » . Che si tratti di una impostazione istituzionale ed anticontrattualista dei problemi del lavoro è confermato da quanto Hitler disse a proposito dei contratti : « L ' uomo non vive per i contratti , ma i contratti sono fatti per facilitare la vita dell ' uomo » , la quale affermazione pone nel campo del relativismo tutto ciò che ha carattere contrattuale . Per affrettare un decisivo orientamento della politica economica in senso nazionalsocialistico , sono stati presi in questi ultimi giorni provvedimenti di notevole importanza . Dopo l ' eliminazione del sistema maggioritario sul terreno politico - parlamentare , Hitler mira ad una identica eliminazione sul terreno economico - sindacale . Con la conquista dei sindacati liberi si è realizzato il sindacato unico che apre la strada alla corporazione di Stato , e , d ' altra parte , in seguito agli accordi di Hitler con Krupp von Bohlen , presidente dell ' industria tedesca , si provvede a porre anche l ' industria sotto il controllo dello Stato . Qualche giornale , come la « Morning Post » , Si chiede come sia possibile eliminare , con i nuovi sistemi annunciati da Hitler , la disoccupazione . Infatti , mentre i disoccupati sono ancora 5 milioni e mezzo ( essendosi avuto nell ' ultimo mese un miglioramento di 112 mila unità ) , il colonnello Hierl , segretario di Stato all ' Ufficio del lavoro , prevede un arruolamento , al servizio obbligatorio , di 350 mila giovani per il 1° gennaio 1934 e prevede inoltre di arrivare al milione entro il periodo di 10 anni . A parte gli obiettivi disciplinari ai quali può mirare l ' organizzazione obbligatoria del lavoro , si prevedono maggiori possibilità di assorbimento di mano d ' opera nella colonizzazione interna che potrebbe occupare un paio di milioni di disoccupati . Ma per ciò occorrono i miliardi di capitali d ' impianto mentre i commerci stagnano e la stessa eccedenza delle esportazioni è discesa da una media di 90 milioni al mese nel 1932 ad una media di 30 milioni al mese nel 1933 . Nel recentissimo discorso che Hitler ha tenuto al primo Congresso nazionale del lavoro in Berlino , è stata affermata l ' opportunità della creazione di un Senato del lavoro e sono state segnate linee più precise di riorganizzazione sindacale .
LA REPUBBLICA DEL PETROLIO ( Calvino Italo , 1952 )
StampaQuotidiana ,
Il petrolio è la ricchezza di Baku . Non puoi girare lo sguardo senza vedere pozzi da tutte le parti , perfino in mare . Nello stemma della repubblica sovietica azerbaigiana c ' è la torre di un pozzo . Dappertutto annusi , senti odor di petrolio . Sarà una mia idea , ma mi par di sentire il petrolio anche nelle grasse minestre e pietanze di questa cucina orientale . Se ci si inoltra nell ' entroterra di Baku , si continua a viaggiare per chilometri e chilometri su uno scenario brullo , irto d ' alte torri dei pozzi di petrolio . Visitiamo un settore di reparto del trust Kírov ( a Baku ci sono più di dieci trusts petroliferi ) . Ci guida l ' ingegnere capo Kafarov , figlio d ' operai petroliferi e lui stesso ex operaio . Ha fatto , come moltissimi qui , insieme l ' operaio e lo studente , frequentando l ' Istituto del petrolio nei corsi serali della gioventù lavoratrice . Kafarov ha trovato un metodo per prolungare la vita dei pozzi , ha il premio Stalin ed è deputato al Soviet supremo della Repubblica . Ha trent ' anni . Tutti i tecnici dei pozzi sono ex operai . L una classe operaia molto evoluta ; il 90% degli operai studiano per migliorare la propria qualifica . I procedimenti d ' estrazione sono perfezionati in modo da richiedere pochissima mano d ' opera , tutta specializzata . Un elettrotecnico e due operatori controllano cinquanta pozzi . Le industrie di Baku ( prima della Rivoluzione non ce n ' era nessuna ) raffinano il petrolio e lavorano i sottoprodotti , e tutto il loro macchinario viene pure fabbricato a Baku . « Qui non è come in Iran ! - ci dice Kafarov . - Di là devono mandare tutto il petrolio in Inghilterra ! » Il sindacato dei petroliferi ha undici grandi case della cultura nei vari rioni di Baku , e trenta case filiali ( tutte con il loro cinema , perché se non hanno neanche un cinema si chiamano club o « angoli rossi » ) . Visitiamo la casa della cultura del rione operaio Sciaumian . È un gran palazzo nuovo , frequentato ogni giorno e ogni sera da 3000-3500 persone ; è aperta a tutti , e la frequenza alle conferenze , ai circoli dilettantistici , sportivi , culturali è gratuita . C ' è un cinema che dà , per i soci della casa , gli stessi film dei locali di prima visione . Ora stanno organizzando un laboratorio tecnico che sarà il più grande e attrezzato di Baku ; e gli operai potranno venire a perfezionarsi e a imparare nuovi procedimenti tecnici ; perché qui svago e cultura sono sempre legati al miglioramento dell ' uomo , e quindi anche della qualifica produttiva . Le case della cultura ( come le case dei pionieri ) sono una delle chiavi della vita sovietica ; se si vuol capire questo fervore culturale di massa del popolo sovietico , questo continuo elevarsi d ' operai a dirigenti , questo fatto così comune qui di passare dal lavoro manuale a quello intellettuale , bisogna vedere queste case della cultura affollate ogni sera , capire come queste nuove abitudini siano entrate nel costume sovietico . La casa della cultura che visitiamo ha una biblioteca circolante di 75 mila volumi , in azerbaigiano , in russo e in armeno ; se ne servono circa seimila lettori . La biblioteca ha , nel rione , 80 filiali , in circoli minori e aziendali . Le filiali hanno un fondo di libri cambiabile ; periodicamente la biblioteca - madre ritira i libri dalla filiale e li sostituisce con altri . I lettori invalidi ricevono il cambio dei libri a casa . Tutto è gratis ; i lettori non pagano neanche un rublo . Tutti i servizi della biblioteca sono disimpegnati gratuitamente da attivisti volontari . Alla sera . Al Teatro Nazionale . Balletto sul raccolto del cotone . È un idillio colcosiano , piuttosto ingenuo , ma sincero , colorato ed esuberante . Non c ' è l ' esperienza spettacolare dei teatri moscoviti , ma è un esempio di come tutti i popoli sovietici coltivino , con ricchezza di mezzi , le proprie vocazioni più caratteristiche , le proprie vene più genuine . In questo balletto vediamo una bella colcosiana e l ' ingegnere che sta costruendo una diga che s ' innamorano . L ' agronomo è geloso . C ' è la sfida tra í colcosiani e quelli della diga per chi supererà di più il piano . Le colcosiane vanno a raccogliere il cotone di notte per terminare prima il raccolto . Ci sono belle scene di campi di cotone in cui i fiori che sbocciano sono tante ballerine . L ' inaugurazione della centrale elettrica è interrotta da un temporale ; il fiume si gonfia . Con virtuosismi scenografici è mostrato sulla scena Io straripamento del fiume , l ' alluvione , e finti fiotti d ' acqua invadono il palcoscenico . L ' ingegnere è travolto dalla corrente e l ' agronomo , vinta la gelosia , lo salva . Il finale è la festa per la fine del raccolto ; il piano è superato da ambe le parti , ma hanno vinto i colcosiani . Gli innamorati si sposeranno . Nell ' intervallo , il direttore d ' orchestra , un giovane maestro premio Stalin che sa un po ' d ' italiano , mi parla bene di Mario Zafred , di cui ha diretto una composizione , e male della nuova opera di Stravinski data a Venezia . Visita al museo Stalin , dedicato alla storia del Partito bolscevico nell ' Azerbaigian . Che è un settore della storia del Partito molto interessante , dato che si svolge in gran parte sotto la direzione , indiretta ( da Tiflis ) o diretta , di Stalin , e dato che la Baku mineraria era uno dei maggiori agglomerati proletari dell ' impero zarista . ( Un particolare poco noto : tra gli organizzatori di scioperi petroliferi a Baku vi fu anche Viscinski ) . Dopo la Rivoluzione , l ' Azerbaigian subì fino al 1920 l ' oppressione delle truppe d ' invasione occidentali venute dalla Persia e aiutate dal partito « mussawadista » . Nel 1919 ventisei dirigenti comunisti di Baku furono fucilati dagli anglo - americani . La ragazza direttrice del museo che ci guida nella nostra visita , è la nipote d ' uno dei ventisei fucilati . I musei sovietici sulla storia della Rivoluzione sono disposti in questo modo : alle pareti vi sono fotografie dei rivoluzionari e dei luoghi ; esemplari della stampa , diagrammi economici , frasi dei maestri incorniciate ; torno torno bacheche con libri e documenti ; in mezzo alla sala statue e modelli d ' edifici storici , tra cui quelli in cui i rivoluzionari vivevano clandestini , con lo spaccato che mostra i nascondigli segreti . Ma alle pareti , al di sopra delle foto e dei documenti , corre una serie di dipinti . Sono quadri che rievocano tutti gli episodi più salienti della storia del Partito , perché qui i musei hanno un intento didattico ( li massa , prima ancora che di raccolta di cimeli storici , e la ricostruzione dei pittori serve a dare subito una sintesi di quel che significano gli sparsi documenti . I pittori azerbaigiani , a giudicare dai quadri di questo museo , per molti aspetti s ' avvicinano allo spirito dei pittori italiani d ' oggi della tendenza realista , o dei messicani dell ' « Arte Grafica Popular » . Certo , nei quadri dei musei storici il fattore decisivo non è la perizia artistica ma l ' evidenza rappresentativa . Ma io penso che per far ritrovare alla pittura occidentale una via di comunicazione e di funzione collettiva , questa è forse l ' unica via : raccontare una storia che abbia un significato per tutti , interpretare secondo la propria fantasia soggetti carichi di sentimenti umani , ostinarsi a ripetere un tema , una scena . Visita a una tipografia clandestina del Partito , trasformata in piccolo museo . Non ci si dimentica mai , in U.R.S.S. , che siamo in una società uscita dalla Rivoluzione e che alla Rivoluzione tutto deve . L ' amore che circonda i ricordi dell ' attività rivoluzionaria , e perfino cerca di non disperdere l ' atmosfera di quei tempi , sembra sottolineare che non c ' è soluzione di continuità tra le lotte di ieri e le tanto diverse lotte d ' oggi . Visita all ' Istituto Superiore Industriale di Baku , più grande e meglio attrezzato d ' un nostro politecnico . L ' Istituto ha , naturalmente , un suo policlinico ( come ogni luogo di lavoro e di studio da noi visitato in U.R.S.S. ) e ha pure un bellissimo nido d ' infanzia dove una ventina di bambini giocano in una sala allegramente arredata al suono di un pianoforte suonato da una delle nurses . Anche i nidi d ' infanzia li ho visti dappertutto , in U.R.S.S. , ma di trovarne uno in un ' università non ci avevo mai pensato . Eppure qui è una cosa naturale , perché le insegnanti e le studentesse che hanno un bambino possono tranquillamente lasciarlo mentre vanno a lezione . La studentessa Firuseh Hadjiva proviene dalla campagna . Da giovinetta ha portato la riandrà , il velo che ricopre il viso alle donne musulmane . Ora l ' abbiamo incontrata mentre faceva esperimenti nel laboratorio di fisica . Iersera , a teatro , siamo stati letteralmente sommersi e fatti prigionieri da una folla di giovani e di ragazze che volevano farci scrivere il nostro nome e indirizzo sul loro taccuino , volevano far cambi di distintivi , volevano dirci quella frase italiana che ricordavano ( che poi era napoletana : « O sole mio - sta in fronte a te » ) . Oggi l ' Istituto Superiore Industriale è pieno di giovani venuti a farci festa , che gremiscono le scale e i corridoi , s ' accodano a noi , ci prendono per braccio , cercano una qualche lingua per comunicare con noi , vogliono sapere notizie dell ' Italia , ( io mi sono sentito chiedere cosa ne pensavo della festa di Palazzo Labia a Venezia ) . Fin sotto le finestre dell ' albergo « Intourist » dove siamo alloggiati vengono gruppi di giovani e ragazze a far festa alla delegazione della gioventù italiana . Alla partenza , il regalo dei compagni di Baku alla nostra delegazione è una piccola biblioteca di libri azerbaigiani a ciascuno di noi . C ' è qualche libro dei maggiori autori nazionali tradotto in russo , ma per la maggior parte sono libri in azerbaigiano , tra í quali una traduzione di Resurrezione di Tolstoj . Non so se qualcuno di noi imparerà mai l ' azerbaigiano e potrà gustare fino in fondo questo ricco regalo : ma certo il suo significato non ci sfugge . Questo popolo cui sotto gli zar era proibito perfino scrivere nella propria lingua , ora ha ripreso le tradizioni della sua antica letteratura , ha case editrici , riviste , scrittori , ha traduzioni dei maggiori classici del mondo ( tra i quali il Decamerone ) . E poter regalare libri in azerbaigiano ai visitatori forestieri è la cosa che più lo inorgoglisce . Al commiato , i dirigenti della gioventù comunista azerbaigiana , che erano diventati cari amici nostri , ci hanno detto : « Se una notte v ' accadrà di sognare Baku , voltate il cuscino , e noi sogneremo voi » . È una vecchia credenza di laggiù : quando si sogna una persona e si vuole che essa ci sogni , si volta il cuscino . Ma i compagni azerbaigiani aggiungono : « Però , se voi sognate noi , vorrà dire che noi abbiamo già voltato il cuscino » .
StampaQuotidiana ,
Bologna , 2 . È la guerra . Un pezzo di guerra dentro una città ordinata , civile e tranquilla . Un pezzo di guerra che si è abbattuto su questa vecchia stazione attraverso la quale tutti siamo passati , decine di volte , nella nostra vita . E rivederla oggi così sconvolta , invasa dai vigili del fuoco , da infermieri , dai militari , tutti con le mascherine sulla bocca e gli occhi allucinati , faceva male al cuore . « È come in guerra » diceva un poliziotto giovane . E lui che la guerra finora l ' aveva vista solo al cinema , ne viveva imprevedibilmente un atto , e quale atto ! , in questo primo sabato d ' agosto riservato tutt ' al più a qualche incidente stradale dovuto al Grande Esodo . « Trent ' anni di stazione ho fatto » mi sussurra un ferroviere con gli occhiali , alto , anziano , offrendomi una sigaretta con la mano che trema « ma non ho mai visto una cosa simile . Nemmeno in guerra . » Torna sulla bocca di tutti la parola che evoca la strage inutile , incomprensibile . E come in guerra a chi tocca tocca . Tra le vittime ci sono sempre , come nei bollettini dei bombardamenti , tante donne e bambini , perché sono loro i più goffi , impacciati , lenti nel cercare e trovare una via di fuga . Ma poi che via di fuga potevano immaginar di cercare , questi viaggiatori , che nei sottopassaggi e sulla banchina aspettavano un treno che doveva condurli al sole , alle vacanze al mare ? Avevano zaini , pacchi , borse di plastica , valigie zeppe di sandali , costumi da bagno , magliette e jeans , riempite ieri sera in allegria . Ora queste loro povere cose colorate si ammucchiano contro le pareti nell ' atrio della stazione , e questi bagagli sventrati serviranno forse soltanto a facilitare un riconoscimento . E ne viene una pena , un ' amarezza , un dolore acuto , come se ognuno di quegli oggetti ci appartenesse , come se ognuna di quelle vittime sconosciute facesse un po ' parte anche della nostra famiglia . Tutti gli orologi della stazione sono fermi alle 10.25 . È fermo l ' orologio dell ' atrio sopra il tabellone degli arrivi e partenze , oggi inutile , sopra l ' edicola dei giornali chiusa . È fermo l ' orologio esterno sul frontone della stazione dove si fermavano i taxi per scaricare i viaggiatori in partenza . Il piazzale è tenuto sgombro dalla polizia e dall ' esercito . C ' è molta gente dietro le transenne . Ma non c ' è un grido : né un ' invettiva , né una protesta . E ciò che stupisce , e dà una sensazione di irrealtà , è proprio questo silenzio appena rotto dall ' ordine di un medico che chiama una barella per l ' ultimo cadavere estratto dalle macerie . E in silenzio le infermiere corrono chiuse nel loro camice bianco , la mascherina allacciata sul volto , le mani nei guanti gialli di gomma a raccogliere un altro corpo massacrato . Ci gettano sopra rapidamente un lenzuolo , con gesti accorti . Ed è tutto . Qualcuno segna un numero . L ' identificazione avverrà , se sarà possibile , più tardi . Tutt ' intorno , davanti alla stazione , ci sono le ambulanze , è la Croce Viola di Bologna , la Croce Rossa di Modena , ci sono i furgoni bianchi dell ' Associazione Maria Buturini di Barberino di Mugello , del Centro di rianimazione di Parma . Decine di mezzi di soccorso , da tutta la regione e dalle province vicine , si sono concentrati qui , in questo pezzo di guerra , in questo spezzone di trincea , a curare la ferita che si è aperta come una voragine a fianco del binario numero 1 , dove transitano i rapidi Roma - Milano e Milano - Roma . Un ' ala intera della stazione , quella che dall ' ingresso porta a sinistra ai binari 3 , 4 e 5 attraverso i relativi sottopassaggi , è crollata sotto la violenta , inspiegabile esplosione . I pompieri sui loro ponteggi verniciati di rosso si muovono rapidi , sgombrando travi e macerie . Di tanto in tanto , un nuovo crollo solleva polvere e calcinacci . Fa caldo , ormai c ' è un sole a picco . Appoggiate alle biciclette , ragazze in vestiti leggeri , giovani in canottiera , uomini anziani , osservano senza parlare il trasporto dei cadaveri sulle barelle . Di una donna si vedono solo i piedi nelle scarpe di gomma e le caviglie gonfie . « Doveva essere vecchia » mormora qualcuno al mio fianco . E lo dice con tenerezza . I cadaveri vengono caricati su un autobus che ha ancora la sua brava targa in vista . È il numero 37 . Ai finestrini sono stati stesi teli bianchi . Un domenicano sta fermo davanti al predellino e , mano a mano che arrivano , dà l ' assoluzione « sotto condizione » a quelle povere salme . Il tempo passa rapido ma interminabile . Sulla città è scesa un ' afa pesante . Però la gente non si allontana dal piazzale della stazione . Anzi , altra gente arriva e si ferma senza parlare . E , sotto i loro occhi , continua a svolgersi il rito delle barelle chiamate di corsa , caricate di un corpo avvolto in un lenzuolo , depositate nell ' autobus numero 37 . « Forse adesso arriva Pertini » dice qualcuno . Un altro commenta : « La guerra civile è la peggiore di tutte le guerre » . Il cielo è quasi grigio . La città è come ferma , attonita , silenziosa . Per arrivare alla stazione ho attraversato lunghe strade vuote . Dai muri , un manifesto annuncia per domani uno show di Renato Zero . Bar e negozi chiusi . Forse soltanto perché è sabato pomeriggio , ma forse anche perché la città è già naturalmente in lutto . Comunque , appare così a chi arriva . Mentre le ore passano , una disperata stanchezza sembra scendere sulle ragazze vestite di bianco , i pompieri , i poliziotti , i soldati , i ferrovieri che hanno occupato da stamattina la stazione . Il piccolo domenicano che assolve si asciuga il sudore della fronte e non vuol dire il suo nome . Ma c ' è su queste facce stanche anche una straordinaria compostezza , il rifiuto ad abbandonarsi a gesti di nervosismo e di isteria . La stessa compostezza si legge sui volti della gente che continua ad ammassarsi contro le transenne senza premere , senza protestare , senza gridare . Questa compostezza , quest ' ordine , questa severità , questa stanchezza controllata , sembrano il connotato essenziale della città . È come se tutti camminassero un po ' in punta di piedi , come se tutti parlassero a bassa voce . Non solo e non tanto perché ci sono questi morti da estrarre e seppellire , ma come per voler riflettere su se stessi , sulla propria storia , sul proprio particolare di essere . E questi morti forniscono all ' esame di coscienza un ulteriore elemento di riflessione . « Dio , quante cose son successe in questi anni » confessa , quasi a se stessa , una donna anziana . Nessuno crede all ' incidente . La tragedia viene vissuta fino in fondo come una tragedia politica , come un ulteriore prezzo che la città paga a un ' aggressione di cui non sono chiari né l ' origine e né il fine . E questa oscurità genera nuova sofferenza . « Una volta » dice uno « sapevamo chi era il nemico » . Una volta . Quando c ' era la guerra vera . Si combatteva e si moriva anche allora , ma era un ' altra cosa , faccia a faccia , ognuno lealmente sotto la sua bandiera . Ora la città ha l ' impressione di essere obiettivo di un nemico invisibile e imprendibile , come in un ' allucinazione . E per difendersi , la gente non sa che fare se non stringersi l ' uno con l ' altro , come dietro quelle transenne , aspettando che arrivi Pertini , in silenzio e in dignità . Così è Bologna in queste ore . Da un muro , un manifesto che ricorda la strage dell ' Italicus sembra l ' unico grido di protesta . E se anche la tragedia di oggi avesse quel segno ? Ma che segno aveva esattamente la tragedia dell ' Italicus ?
StampaQuotidiana ,
Il messaggio di Roosevelt ed il discorso di Hitler 2 sono due elementi di notevole importanza nell ' agitata atmosfera della politica mondiale . Per capire il valore di questi due documenti è necessario non solo analizzarli nel loro contenuto intrinseco ma anche ambientarli in quel particolare clima storico nel quale America e Germania hanno saputo dire una parola chiara , meditata e rasserenante . All ' inizio di questa settimana la temperatura della politica europea era alquanto elevata e forse pur minacciosa . Anzitutto dopo quindici mesi la Conferenza di Ginevra si era arenata in difficoltà poste dall ' intransigenza delle parti contrastanti che avevano un po ' ridotto la discussione a sembrar schermaglia di responsabilità . Lloyd George , uno dei pochi sopravvissuti della tragica politica del secondo decennio del nostro secolo , chiudeva un discorso , tenuto lunedì ad un ' assemblea di 700 donne londinesi , con queste oscure parole : « La situazione è allarmante e lo diventa sempre più con rapidità terribile . Ricordo quello che successe nel 1914 quando la guerra è scoppiata nel momento in cui nessuno al potere la desiderava . Io spero che noi non permetteremo a questa crisi di svilupparsi in modo tale da trovarci tutti coinvolti in un terribile conflitto che nessuno effettivamente ha mai desiderato » . A queste parole facevano eco quelle pronunciate al di là del Reno da von Papen , il quale fra l ' altro diceva di essere persuaso che « oggi , come nel 1914 , si voglia nient ' altro che l ' isolamento non soltanto militare , ma anche morale della Germania » . Inoltre , von Neurath , in un articolo pubblicato nella « Leipziger Illustrierte Zeitung » dichiarava : « Noi saremo obbligati a completare i nostri armamenti , qualunque debba essere , nel quadro britannico , la limitazione e la riduzione generale degli armamenti » . A queste dichiarazioni del ministro degli Esteri , duramente attaccato dalla stampa francese come annunciatore del proposito di riarmo della Germania , si aggiungevano quelle del vice - cancelliere von Papen , il quale nel discorso di Münster affermava che « la nazione tedesca ha radiato dal suo vocabolario l ' idea del pacifismo » idea ispirata alla « filosofia della debolezza » , e che Hitler potrà dire alla fine della sua vita : « Ho posto al centro del pensiero della nazione il soldato tedesco » . A queste manifestazioni verbali si devono aggiungere i piani tedeschi di militarizzazione dei lavoratori , ed i contrasti con l ' Austria dalla quale un ministro tedesco veniva espulso mentre nel raduno di Schönbrunn venivano passati in rassegna 40 mila militi delle Heimwehren . Dall ' altra sponda , non certo tranquillo era il tono della stampa francese , né l ' Inghilterra aveva lasciato sfuggire l ' occasione per dimostrare alla Germania il suo atteggiamento . Dopo gli attacchi di Lord Cecil ai Comuni , ove il vecchio parlamentare arrivò a dire : « piuttosto il fallimento della Conferenza di Ginevra che il riarmamento della Germania » , e dopo gl ' inconvenienti per la visita di Rosenberg , il ministro della Guerra Lord Hailsham parlava di eventuali « sanzioni » nel caso di riarmamento della Germania con violazione delle clausole militari del trattato di Versailles . In questa turbata atmosfera il messaggio di Roosevelt ha portato del sano ossigeno ed il discorso di Hitler ha fugato alcune delle nubi più oscure . Che cosa dicono questi due documenti ? Si tratta di due voci di tono diverso , di due discorsi ciascuno dei quali è animato da preoccupazioni tutte particolari . Però il primo ha influito sul secondo , il quale a sua volta integra il primo , anche se talvolta lo contraddice . I due documenti vanno perciò considerati congiuntamente anche se non collimano , poiché la loro contemporaneità e lo spirito che li anima fa sì che l ' ulteriore sviluppo della politica internazionale sia sotto la diretta influenza di quanto a Washington ed a Berlino è stato detto . Il problema di Roosevelt è il problema economico . Il problema di Hitler è un problema politico . Roosevelt vuole in ultima analisi la pace economica per raggiungere la quale promuove « la lotta comune contro il caos economico » . Questa è la sua nobile e generosa battaglia . Per questo parla al mondo : ai re , ai governanti , ai popoli . Hitler invece si rivolge anzitutto alla nazione tedesca : il suo discorso incomincia così : « Deputati , uomini e donne del Reichstag tedesco ! » , ed il suo scopo è una « presa di posizione » della Germania ufficiale sui problemi che turbano il mondo . Roosevelt parte dai fatti economici , cioè dall ' attuale crisi economica , e per mezzo della pace politica di Ginevra vuole arrivare alla pace economica della conferenza di Londra , cioè raggiungere tre grandi obiettivi : stabilizzazione delle monete , tregua doganale , rialzo dei prezzi . Il suo programma si potrebbe così riassumere : la pace economica attraverso la pace politica . Hitler più che dei fatti porta dei princìpi , guarda più al diritto ed alla storia che all ' economia : si propone più di spiegare il passato che di segnare , come Roosevelt , l ' avvenire . Roosevelt non si perde ad indagare i motivi della crisi ; vi sono già tante biblioteche di scritti quasi inutili . Hitler invece crede fin dalle sue prime parole di afferrare il nucleo della questione , di additare la sorgente inquinata di tutti i mali : « Tutti i problemi , egli dice , che sono motivo delle odierne inquietudini stanno nella manchevolezza del Trattato di Pace » . Questa è la prima constatazione che assume il carattere di un dogma politico , di un postulato dal quale si possono dedurre rigorose conseguenze . Hitler ha sintetizzate le cause per le quali la Germania ritiene non equo il trattato di Versailles : non ha reso ragione al principio di nazionalità « per passione , per odio o per incomprensione » ; ha escogitato « concetti sterili e pericolosi come sanzioni , riparazioni , ecc . » portando alla conseguenza che « la matematica finanziaria ha strangolato la ragione economica » ; ha sostenuta la « bugia » della responsabilità tedesca della guerra , bugia che ha fatto sì che la Germania fosse passata « al posto di popolo di seconda classe » ; ha diviso il mondo in vincitori e vinti ed ha disarmato solo una parte delle nazioni . Se tale è il trattato , quale conclusione dovrà trarre la Germania dopo 14 anni di esperienza ? Rompere i trattati ? No ! « Nessun governo tedesco , dice Hitler , dal canto suo procederà alla rottura di un accordo che non si può eliminare senza sostituirlo con uno migliore » . « La Germania , aggiunge , ha avuto una fedeltà che rasenta il suicidio » . Resta allora , secondo Hitler , una sola via : la revisione . « Il diritto di chiedere la revisione di questo trattato è fondata nel trattato stesso » . È questo uno dei punti delicati dell ' argomentazione hitleriana che trova , in contraddittorio , affermazioni di giuristi i quali negano l ' interpretazione che Hitler fa degli articoli che prevedono la revisione . Diversi i punti di partenza , diversi i procedimenti ; convergono invece gli obiettivi nel comune intento di disarmare e pacificare gli uomini . Roosevelt dice : la causa degli armamenti non è tanto la mira di conquista quanto la paura dell ' offesa . E ciò non per una particolare e correggibile psicologia degli uomini , ma per le ragioni immanenti nello stesso progresso della tecnica che rende più pronto il gas che offende che la maschera che protegge . Il disagio quindi si cura in un solo modo . Eliminazione totale delle armi offensive . Hitler risponde : « Il motivo degli odierni armamenti della Francia e della Polonia non può assolutamente essere il timore di un ' invasione tedesca . La Germania non possiede affatto armi di aggressione moderna » . Il cancelliere tedesco infatti cerca di dimostrare lo spirito pacifico della Germania con il quale non concordavano invece né la documentazione degli armamenti tedeschi cui accennava ultimamente il ministro Boncour , né altri discorsi , articoli e discussioni ginevrine . Ad ogni modo le parole di Hitler sono chiare e sono rivolte al futuro . La Germania non vuole nuove guerre . « L ' esplosione di una tale pazzia senza fine , dice Hitler , porterebbe al crollo dell ' odierno ordine statale e sociale europeo » . La rivoluzione hitleriana dovrebbe avere , secondo il suo capo , lo scopo di salvar la società restaurando la proprietà contro il comunismo , dando lavoro al popolo ed unità alla rappresentanza politica . Nient ' altro , poiché i tedeschi dichiarano , malgrado le recenti lotte , di voler vivere in pace con tutti ( « rispettiamo , dice Hitler , i diritti degli altri e ci auguriamo dal profondo del cuore di vivere con essi in pace ed amicizia » ) , e dichiarano inoltre , malgrado la campagna razzista , di negare ogni idea del germanesimo imperialista ( « noi nazionalsocialisti , aggiunge Hitler , non conosciamo nemmeno il concetto di germanizzazione , mentalità spirituale del secolo passato e che fece credere che di polacchi e francesi si potesse fare dei tedeschi » ) . Questa rettifica dei principi del germanesimo del secolo scorso ( principi che alimentarono l ' ascesa del partito hitleriano e che furono sempre l ' argomento più efficace dell ' oratoria dei capi ) è ben salutare perché spiana non poco la via della pace . Appunto per questa promettente conclusione , cogliamo volentieri l ' impressione che oltre al messaggio del signor Roosevelt , abbia concorso alla sostanza ed alla tonalità delle dichiarazioni hitleriane , la politica moderatrice del capo del governo italiano , nei riguardi della Germania . La parte più positiva e di più immediato interesse del felice messaggio di Roosevelt è quella finale che si riferisce a ciò che le nazioni devono fare per disarenare la Conferenza del disarmo . Roosevelt molto semplicemente propone l ' immediata accettazione del piano Mac Donald con precisa determinazione delle fasi ulteriori del disarmo : nel frattempo nessuna nazione potrà aumentare gli armamenti , ma tutte dovranno stringere un patto di non - aggressione . Sulla nazione che resista cada la responsabilità di un così disastroso fallimento . Hitler , da parte sua , si dichiara pronto al disarmo assoluto ( se su ciò si accordano tutte le nazioni ) o per lo meno al Patto a quattro inteso come « uno stretto rapporto di fiducia e di lavoro delle quattro grandi potenze europee » . Pur essendo , secondo Hitler , le altre nazioni contravvenute al trattato di Versailles ( il quale , al contrario , secondo l ' interpretazione francese prescriverebbe non il disarmo ma semplicemente di « rendere possibile la preparazione di una limitazione generale degli armamenti di tutte le nazioni » - parte V ) , la Germania è disposta ad aderire ancora al piano Mac Donald . La Germania insiste nella sua domanda di parità di diritto e chiede che la distruzione del suo sistema di difesa sia condizionato al riconoscimento della parità qualitativa . Accetta inoltre il periodo di trapasso di cinque anni per la costituzione della sua sicurezza , purché dopo il periodo si realizzi la parità . Queste sono le premesse delle prossime discussioni di Ginevra . Il messaggio di Roosevelt è stato accolto con vera unanimità di consensi , sia per la positività delle proposte come per l ' alto senso morale che lo anima . « Una vittoria egoista , ha scritto Roosevelt , è sempre destinata ad essere una disfatta finale » . « La nostra azione , ha soggiunto , deve essere concertata e basata su ciò che è il massimo bene per il maggior numero » . Questi due principi etici non possono non riscuotere il generale consenso ed essere garanzia di successo . L ' Italia ha aderito per prima « nel modo più cordiale » ed il capo del governo ha risposto dicendo che intende collaborare « per giungere nel modo più sollecito ed efficace alla realizzazione dell ' iniziativa americana » . Anche il presidente del Consiglio francese ha dichiarato di aver « preso conoscenza con la più sincera soddisfazione del messaggio » e di trovarsi « d ' accordo per intraprendere un ' efficace azione dal successo della quale dipende il mantenimento della pace » . Così von Hindenburg e gli altri capi di Stato . Della salutare influenza delle proposte di Roosevelt e della rinuncia di Hitler a porre difficoltà al piano di Mac Donald , si è avuto un immediato sentore a Ginevra dove , alla ripresa della conferenza , Nadolny dichiarava che « il governo tedesco accetta il progetto Mac Donald di disarmo non solo come base di discussione , ma addirittura come base della stessa prossima convenzione sul disarmo » . A queste chiare parole si aggiungevano quelle beneauguranti del delegato francese : « L ' ostacolo è spezzato , la via è libera ed alla conferenza non resta che lavorare » . Con il nuovo spirito di collaborazione il successo non potrà venir meno .
IL PICCOLO EROE COREANO ( Calvino Italo , 1952 )
StampaQuotidiana ,
In treno un nostro compagno s ' ammala di tonsillite ed ha la febbre alta . Facciamo avvertire a una stazione , che telefonino per un medico alla stazione seguente ; alla città dopo , durante la fermata , sale un medico a visitare il malato ; è una donna . Da una stazione all ' altra si telegrafano che su quel treno viaggia un malato , che gli va fatta la tale iniezione , ecc . , e alla fermata dopo c ' è sempre un medico , - una donna , e tutte giovani , e alcune anche carine - con la cuffietta bianca e il camice sotto il cappotto , e la valigetta degli strumenti , e spesso un infermiere dietro . Vicino a Mosca visitiamo il colcos Makarov , dedicato a un valoroso commissario che morì ucciso dai kulaki durante la lotta per la collettivizzazione . Lo fucilarono nel cortile d ' un antico monastero , ora trasformato in un museo di biologia . I diritti di proprietà qui sono diversi da quelli che abbiamo riscontrato nell ' Azerbaigian , data la differenza di clima e di coltura ( qui la terra produce meno , e la proprietà privata è fissata a 1/2 ettaro per lavoratore , invece che 1/4 ) . Le giornate mi pare vengano pagate un po ' meno qui che là , calcolando approssimativamente perché i pagamenti in natura sono di prodotti diversi . E questa è una nuova smentita a chi parla di sfruttamento russo rispetto agli altri popoli dell ' Unione . Il vecchio colcosiano Vassili Varghin , ha una casetta a un piano , con gerani alle finestre , modesta , pulita , con molte fotografie familiari , riproduzioni di quadri classici russi , e una antica icona . Le mele ci perseguitano . A un sovkos del Caucaso il direttore ce ne ha fatto fare una scorpacciata , a un colcos poco distante ce ne hanno regalato una cassetta a testa , e qui a Mosca la nostra camera d ' albergo è ingombra di fruttiere straripanti . Nei ricevimenti troviamo tavole imbandite con fruttiere di mele e bottiglie di succo di mela . Andiamo al cinema e cosa vediamo . Mele ! Il nuovo film che danno in questi giorni a Mosca : La luce a Koordi , è una drammatica vicenda sulle lotte per la collettivizzazione agricola in Lettonia . Il film è a colori ( come , credo , tutti i nuovi film sovietici ) , e ci sono molte visioni di frutteti colcosiani , carichi di pomi maturi . Già in un film in rilievo abbiamo visto rami carichi di mele che parevano arrivarci in bocca . Mi pare che ci siano più mele nel cinema sovietico che rivoltellate nel cinema americano . Il nostro albergo è pieno di cinesi : delegazioni di militari , di studenti , di intellettuali , hanno dei magnifici distintivi con una testa di Mao - Tse - Tung dorata su sfondo rosso incorniciato d ' oro . Ogni volta che incontriamo i cinesi ci fermiamo a fare scambi di distintivi . Lo scambio dei distintivi , usanza nata nei festival internazionali della gioventù , è diventata la classica manifestazione di fraternità , quando la disparità di lingue rende difficile la conversazione . S ' avvicina il 7 novembre , e l ' albergo si va affollando di delegazioni di tutti i paesi . Per le scale e gli ascensori c ' è un continuo saliscendi di compagnie di personaggi incappottati . Tutto solo , per le hall e i corridoi , gira Kim Ghi - u , l ' eroe coreano . Kim Ghi - u ha diciott ' anni , è alto un metro e mezzo , ha abbattuto 11 aerei americani in 20 giorni , porta sulla divisa due enormi medaglie di eroe della Repubblica Popolare Coreana , ha la testa rasa , la tonda faccia da ragazzo su cui s ' aprono due occhietti a mandorla . Il suo paese è in una zona montagnosa e poverissima della Corea del Nord ; nella riforma agraria suo padre ricevette un pezzetto di terra in una zona migliore ; lui poté cominciare ad andare a scuola , ma scoppiò la guerra ; aveva sedici anni e s ' arruolò volontario . Con quella faccia impassibile di bambino col raffreddore , in cui appena appena traluce un raggio di malizia , imparò a puntare la sua mitragliatrice contro gli aerei che si buttano in picchiata e a colpirli nel motore . Così ne ha buttati giù undici ed ha due volte il titolo di eroe . Due anni fa non conosceva che il suo villaggio sperduto . Ora ha conosciuto il fronte , i mitragliamenti aerei , l ' emozione di incendiare un aereo americano che voleva devastare il suo paese ; è stato a Berlino , a Praga , a Mosca , in mezzo mondo . E sono sicuro che dappertutto , in ogni situazione , è rimasto così , con quest ' aria del più piccolo della classe , con gli occhiuzzi socchiusi e , ogni tanto , un piccolo sorriso tutto suo . Visita all ' Università di Mosca in costruzione . Nel 1952 l ' edificio principale sarà finito ed entrerà in funzione . La sua parte centrale , di 32 piani , è alta 240 metri , e da essa si dipartono quattro braccia di 18 piani . La costruzione è durata due anni e mezzo . Gran parte della mano d ' opera è costituita da brigate di volontari ; partecipano al lavoro anche reparti del genio militare . Circa metà dei lavoratori sono giovani , e molti di loro , contemporaneamente , studiano e danno gli esami per essere i primi ad abitare e frequentare l ' Università da loro costruita . Il grattacielo dell ' Università sarà al centro d ' una intera nuova città d ' un milione e mezzo d ' abitanti , che sarà costruita tra cinque anni . Per far onore alla loro Università , i sovietici non risparmiano lo sforzo : l ' edificio sarà ornato di marmo , di granito , di ceramica , di vetro dorato ; ci saranno grandi statue e orologi sulle torri ; colonne d ' alabastro , pavimenti di granito , pareti trasparenti coi mosaici luminosi , e una gran vasca in cui il grattacielo si specchierà tutt ' intero . Nelle quattro braccia , ci saranno le abitazioni ; visitiamo i modelli di stanze degli studenti e di appartamenti dei professori . È già buio . Alla luce dei riflettori , sulle altissime impalcature c ' è chi lavora ancora . L ' ingegnere direttore dei lavori ci guida per l ' accidentato terreno dei cantieri . Tira un ' aria freddissima . Vediamo un gruppo di soldati che si scaldano accoccolati attorno a un fuoco , a ridosso d ' una roccia . È il reparto che lavora alla costruzione delle « Alpi artificiali » : un giardino di piante alpine che stanno piantando tra grandi massi di roccia finlandese . Ci arrampichiamo nel buio , sulle rocce : qua è l ' Elbrus , là l ' Himalaja , ecco il Monte Bianco , la Cordigliera delle Ande . Il vento freddo agita obliquo il fuoco dei soldati , e al guizzo di quella fiamma tutto per un attimo appare favoloso e inconcepibile : quell ' edificio smisurato nel buio , in cima al quale futuri allievi s ' arrampicano per ricoprirlo di marmo e di granito , le piantine di genziana tra quei pietroni dai nomi pieni di vertiginose lontananze , le parole in lingue sconosciute e piene anch ' esse di lontananza di quei soldati intorno al fuoco . È un attimo ; poi tutto ritorna logico , prevedibile , esattissimo .