StampaQuotidiana ,
La
Paz
.
La
Paz
è
una
città
in
gran
parte
india
,
costruita
,
però
,
dai
bianchi
per
i
bianchi
.
In
altri
termini
la
divisione
sociale
a
La
Paz
si
raddoppia
di
una
divisione
razziale
o
se
si
preferisce
culturale
.
La
classe
dirigente
è
bianca
o
meticcia
;
il
popolo
è
indio
.
Questa
divisione
che
riflette
la
più
vasta
divisione
del
paese
(
quattro
milioni
di
abitanti
di
cui
soltanto
quattrocentomila
bianchi
e
meticci
)
è
l
'
eredità
più
vistosa
del
colonialismo
spagnolo
.
La
Paz
è
una
bellissima
e
strana
città
costruita
in
una
specie
di
crepaccio
dell
'
altipiano
.
Monti
scoscesi
ed
erosi
simili
alle
pareti
interne
di
un
cratere
circondano
e
si
innalzano
da
ogni
parte
intorno
la
città
.
La
parte
bassa
dell
'
angusta
vallata
è
occupata
dalla
città
bianca
;
sui
fianchi
dei
monti
si
arrampicano
invece
i
quartieri
popolari
,
cioè
indi
,
composti
di
case
di
fango
seccato
.
Gli
Indi
,
naturalmente
,
si
vedono
dappertutto
,
gli
uomini
coi
ponci
infilati
nel
collo
e
drappeggiati
davanti
e
dietro
come
ferraioli
;
le
donne
con
la
bombetta
nera
o
marrone
,
la
gonnella
succinta
e
sospesa
su
una
crinolina
,
lo
scialle
intorno
le
spalle
che
il
più
delle
volte
avvolge
un
bambino
portato
a
cavalcioni
sulle
reni
.
Dire
che
gli
Indi
sono
attraenti
sarebbe
deformare
la
verità
.
Mentre
esiste
certamente
una
bellezza
africana
,
non
esiste
una
bellezza
india
.
E
colpisce
,
nel
confronto
con
gli
africani
(
il
paragone
è
inevitabile
,
se
non
altro
per
la
somiglianza
delle
situazioni
economiche
e
sociali
)
l
'
eleganza
dei
vestiti
dei
primi
rispetto
alla
goffaggine
dei
costumi
"
nazionali
"
dei
secondi
.
Con
gli
Indi
si
ha
continuamente
l
'
impressione
del
"
già
visto
"
,
corretto
però
,
in
maniera
ambigua
e
il
più
delle
volte
non
troppo
estetica
,
da
modificazioni
che
si
è
tentati
di
attribuire
al
clima
e
all
'
isolamento
.
Si
pensa
,
vedendoli
,
subito
,
a
dei
mongoli
;
poi
,
in
un
secondo
momento
si
notano
differenze
curiose
che
,
però
,
non
riescono
a
scacciare
l
'
idea
dell
'
origine
asiatica
:
un
colore
bruno
che
tira
al
rosso
;
una
lunghezza
insolita
del
volto
che
congiunta
alla
larghezza
mongolica
fa
sì
che
le
facce
risultino
sproporzionatamente
grandi
:
una
specie
di
caduta
dei
tratti
l
'
uno
sull
'
altro
,
la
fronte
sul
naso
,
il
naso
sulla
bocca
e
la
bocca
sul
mento
.
Invincibilmente
,
non
si
può
fare
a
meno
di
pensare
ad
un
'
emigrazione
asiatica
preistorica
abbastanza
numerosa
da
permettere
gli
insediamenti
americani
;
ma
troppo
scarsa
per
fomentare
sviluppi
decisivi
,
somatici
e
altri
.
Bruciati
dal
sole
e
dal
vento
degli
altipiani
,
senza
rapporti
con
altri
popoli
,
si
direbbe
che
gli
Indi
siano
rimasti
a
metà
strada
,
non
più
mongoli
,
non
ancora
americani
.
Così
che
,
a
ben
guardare
,
il
termine
"
indio
"
coniato
per
sbaglio
dagli
spagnoli
,
si
rivela
,
nella
sua
ambiguità
,
assai
espressivo
della
ambiguità
fisica
delle
popolazioni
indigene
dell
'
America
.
Per
osservare
gli
Indi
bisogna
recarsi
al
mercato
,
su
su
,
nella
parte
alta
di
La
Paz
.
Nelle
straducce
che
portano
al
mercato
,
le
donne
stanno
accovacciate
sui
marciapiedi
,
le
une
contro
le
altre
,
come
galline
infreddolite
e
torpide
.
Davanti
a
loro
,
sui
lastroni
,
è
esposta
la
merce
:
minimi
mucchietti
di
peperoncini
,
pochi
sacchetti
di
foglie
verdi
di
coca
,
qualche
frittella
fatta
in
casa
.
Guardano
a
questa
misera
roba
con
indifferenza
,
come
se
non
gli
appartenesse
.
Più
su
,
tra
le
bancarelle
del
mercato
,
l
'
atmosfera
è
in
apparenza
quella
dei
mercati
di
tutto
il
mondo
:
compratori
che
circolano
lentamente
guardando
ed
esaminando
;
venditori
che
se
ne
stanno
immobili
dietro
i
banchi
.
Ma
ad
un
esame
più
attento
,
ci
si
rende
conto
che
in
quella
folla
mancano
l
'
allegria
,
la
confusione
e
anche
la
promiscuità
e
la
sporcizia
proprie
dei
mercati
.
Il
mercato
boliviano
è
grave
,
poco
rumoroso
,
pulito
e
senza
contatti
e
spintoni
.
Certo
,
si
potrebbe
attribuire
questo
carattere
al
temperamento
poco
vivace
della
gente
di
montagna
.
Ma
forse
la
ragione
è
più
profonda
.
Forse
,
in
maniera
inconscia
,
fra
venditori
e
compratori
c
'
è
una
tacita
intesa
per
non
dare
importanza
al
mercato
in
quanto
occasione
sociale
,
luogo
di
comunicazione
e
di
incontro
.
In
altri
termini
,
bisognerebbe
ravvisare
nella
riserva
e
compostezza
degli
Indi
un
aspetto
tra
i
tanti
del
"
rifiuto
sociale
"
che
in
tutta
l
'
America
Latina
gli
indigeni
hanno
opposto
,
fin
dai
tempi
della
conquista
,
al
sistema
colonialista
.
Questo
rifiuto
sociale
degli
Indi
,
cioè
rifiuto
di
comunicare
,
di
partecipare
,
di
integrarsi
,
è
una
delle
cose
che
colpisce
di
più
in
Bolivia
.
Certo
per
gli
Indi
,
come
per
gli
africani
,
è
difficile
passare
da
un
'
economia
autarchica
e
di
mera
sussistenza
al
produttivismo
e
al
consumismo
del
mondo
moderno
.
Ma
al
contrario
degli
africani
che
mostrano
un
vivo
e
manifesto
desiderio
di
partecipare
alla
civiltà
industriale
,
gli
Indi
oppongono
a
questa
stessa
civiltà
una
resistenza
passiva
fatta
di
cocciuta
fedeltà
alla
tradizione
e
di
assoluta
mancanza
di
ambizione
.
Negli
Indi
si
avverte
se
non
proprio
ostilità
,
cattiva
volontà
;
non
tanto
forse
per
diffidenza
verso
la
novità
quanto
per
nostalgia
inconscia
e
rancorosa
di
un
passato
defunto
e
migliore
.
Insomma
,
mentre
dietro
l
'
africano
si
sente
un
'
antica
simbiosi
con
la
natura
rispetto
alla
quale
neppure
la
schiavitù
può
considerarsi
una
soluzione
di
continuità
,
nell
'
indio
invece
si
intuisce
il
trauma
di
una
civiltà
originale
bruscamente
e
spietatamente
distrutta
.
La
sensazione
di
un
ripiegamento
,
di
un
rifiuto
,
di
una
rinunzia
non
soltanto
imposta
ma
anche
voluta
,
è
del
resto
confermata
dall
'
archeologia
.
A
cento
chilometri
da
La
Paz
,
le
rovine
stupende
del
tempio
di
Tiahuanaco
con
le
loro
muraglie
fatte
di
enormi
blocchi
incastrati
a
secco
fanno
guardare
con
stupore
alle
figure
goffe
degli
Indi
,
mascherati
secondo
il
rozzo
folklore
dell
'
oppressione
europea
.
Si
stenta
a
credere
che
quei
contadini
in
costume
appartengano
allo
stesso
popolo
che
ha
costruito
il
tempio
.
E
vien
fatto
di
pensare
che
nessun
gruppo
umano
può
impunemente
retrocedere
ad
uno
stato
primitivo
,
dopo
aver
creato
una
civiltà
.
Esso
apparirà
non
già
tornato
alla
natura
ma
regredito
,
umiliato
,
decaduto
.
La
civiltà
,
a
quanto
pare
,
è
un
'
esperienza
incancellabile
.
Naturalmente
i
responsabili
della
situazione
odierna
degli
Indi
,
cioè
gli
spagnoli
,
sono
oggi
acutamente
consapevoli
del
problema
costituito
da
questa
massa
inerte
e
frustrata
di
cittadini
di
secondo
grado
che
oltre
tutto
incide
per
l
'
ottanta
per
cento
sulla
popolazione
della
Bolivia
.
Si
distinguono
diverse
maniere
di
affrontare
il
problema
indio
.
Prima
di
tutto
i
colonialisti
tradizionali
.
Per
loro
l
'
indio
refrattario
all
'
educazione
,
privo
di
ambizioni
consumistiche
e
sociali
,
attaccato
alle
sue
tradizioni
,
dedito
alla
coca
e
all
'
alcool
,
sarebbe
irrecuperabile
.
Non
c
'
è
bisogno
di
molto
acume
,
tuttavia
,
per
capire
che
i
colonialisti
trasformano
in
caratteri
razziali
gli
effetti
della
catastrofe
storica
dell
'
indio
.
In
secondo
luogo
vengono
coloro
che
basandosi
su
una
certa
letteratura
di
rivalutazione
degli
Indi
,
il
cui
massimo
rappresentante
è
stato
D.H.
Lawrence
,
si
sono
costruiti
il
mito
di
una
civiltà
india
di
gran
lunga
superiore
a
quella
occidentale
in
quanto
tuttora
attaccata
ai
valori
del
sangue
e
della
terra
.
D.H.
Lawrence
si
era
servito
di
queste
idee
per
polemizzare
con
la
civiltà
industriale
dell
'
Occidente
.
Ma
in
Bolivia
,
paese
agrario
,
simili
teorie
sembrano
nient
'
altro
che
l
'
altra
faccia
del
colonialismo
con
il
quale
,
infatti
,
condividono
,
sia
pure
per
motivi
diversi
,
la
convinzione
che
l
'
indio
sta
bene
come
sta
e
che
di
conseguenza
niente
va
cambiato
.
Infine
i
socialisti
di
vario
genere
,
sia
i
gruppi
socialnazionalisti
oggi
al
potere
sia
i
castristi
all
'
opposizione
,
considerano
l
'
indio
come
il
risultato
di
un
processo
storico
di
degenerazione
dovuta
a
quattro
secoli
di
spietato
e
imprevidente
sfruttamento
.
I
rimedi
proposti
dai
socialisti
variano
secondo
che
pongono
l
'
accento
piuttosto
sul
dato
culturale
e
nazionale
o
sull
'
economico
.
Ma
tutti
sono
d
'
accordo
in
fondo
nel
considerare
l
'
integrazione
dell
'
indio
nella
vita
sociale
,
economica
e
culturale
del
paese
come
il
problema
massimo
della
Bolivia
.
Abbiamo
visto
gli
Indi
in
due
occasioni
,
l
'
una
,
diciamo
così
,
privata
,
l
'
altra
pubblica
.
La
prima
è
stata
durante
una
gita
al
lago
Titicaca
,
l
'
immenso
lago
sacro
alla
cultura
india
,
ai
confini
col
Perù
.
In
un
villaggio
sulla
strada
,
in
un
grande
spazio
terroso
,
in
pendio
,
limitato
,
in
fondo
,
da
un
muro
bianco
sul
quale
a
grandi
lettere
nere
si
leggeva
scritto
:
"
Cristo
unica
esperanza
"
,
aveva
luogo
un
ballonzolo
rusticano
.
Un
gruppo
di
suonatori
girava
di
qua
e
di
là
saltellando
e
intonando
certe
ariette
discordi
e
agre
con
pifferi
di
canne
,
bidoni
di
benzina
e
tamburelli
.
Gli
Indi
gravi
,
goffi
,
malsicuri
e
rozzi
entravano
nella
danza
tenendosi
per
mano
,
in
una
lunga
fila
che
pian
piano
si
trasformava
in
una
specie
di
pesante
e
orsino
girotondo
.
Veniva
fatto
di
ricordare
il
quadro
celebre
della
festa
contadina
di
Breughel
,
ma
senza
allegria
,
senza
prosperità
,
senza
slancio
,
in
un
'
aria
triste
,
frustrata
e
misera
anche
se
certamente
autentica
.
L
'
occasione
pubblica
è
stata
durante
uno
spettacolo
di
balli
folcloristici
al
palazzo
del
governo
,
davanti
al
miglior
pubblico
della
capitale
e
il
più
ufficiale
.
In
prima
fila
sedevano
tutti
i
ministri
e
il
presidente
della
repubblica
Ovando
.
Danzatori
indi
di
diverse
tribù
,
nei
costumi
tradizionali
,
hanno
eseguito
danze
tradizionali
assai
pittoresche
,
al
suono
dei
soliti
striduli
pifferi
e
dei
soliti
cupi
tamburi
.
Finito
lo
spettacolo
il
presidente
si
è
alzato
e
i
danzatori
,
uno
per
uno
,
sono
sfilati
e
hanno
stretto
la
mano
al
presidente
ricevendone
in
cambio
una
specie
di
fraterno
abbraccio
.
C
'
era
un
'
aria
strana
come
di
riconciliazione
difficile
e
comunque
non
del
tutto
sincera
tra
due
gruppi
nemici
.
Si
avvertiva
l
'
impaccio
di
una
distanza
sociale
e
culturale
che
permaneva
nonostante
la
buona
volontà
di
ambedue
le
parti
.
La
Bolivia
non
è
un
paese
unitario
ma
dualistico
.
E
per
molto
tempo
ancora
sarà
difficile
che
cambi
.
StampaQuotidiana ,
Duce
,
Sentiamo
il
bisogno
di
parlare
a
nome
di
una
moltitudine
di
fascisti
che
da
alcune
settimane
sopporta
pazientemente
gli
insulti
più
atroci
da
parte
del
blocco
antifascista
.
Ci
avete
gridato
la
disciplina
ad
ogni
costo
,
ci
avete
comandato
di
seguire
un
programma
di
normalizzazione
,
e
noi
,
pur
sapendo
che
per
una
reale
pacificazione
OCCORREVA
l
'
accordo
di
due
parti
,
animate
di
buona
fede
,
e
pur
sapendo
inoltre
che
le
richieste
avversarie
non
sono
che
manovre
per
guadagnare
terreno
,
vi
abbiamo
seguito
con
quella
devozione
che
vi
dobbiamo
.
Voi
,
o
Duce
,
che
non
avete
esitato
un
solo
istante
ad
ordinare
l
'
arresto
di
coloro
che
col
delitto
Matteotti
ci
tradirono
come
Giuda
,
voi
,
che
,
senza
pietà
,
ma
con
energica
risolutezza
,
ordinaste
l
'
arresto
dei
colpevoli
di
idiote
violenze
,
sacrificaste
valorosi
Prefetti
,
avete
dato
prova
che
,
ad
ogni
costo
,
condannate
severamente
quel
certo
illegalismo
che
si
agita
in
margine
al
Partito
,
e
che
noi
,
nelle
nostre
Provincie
,
reprimemmo
da
tempo
.
Ma
oggi
,
la
vostra
e
la
nostra
sincerità
,
le
vostre
e
le
nostre
preoccupazioni
di
carattere
nazionale
ed
internazionale
,
vengono
ritenute
dagli
avversari
sintomi
di
debolezza
!
La
stampa
d
'
opposizione
ha
ripreso
un
linguaggio
pari
a
quello
del
'19
e
del
'20
.
Duce
!
Gli
avversari
non
si
accontentano
dei
vostri
provvedimenti
,
e
,
come
dice
il
proverbio
che
l
'
appetito
viene
mangiando
,
domandano
ben
altro
!
Si
vuole
la
vostra
testa
perché
così
si
sa
di
poter
abbattere
il
regime
e
colpire
al
cuore
il
fascismo
.
Si
chiede
lo
scioglimento
della
Camera
e
,
per
logica
conseguenza
,
anche
lo
scioglimento
di
tutti
i
Consigli
comunali
e
provinciali
fascisti
.
Quando
,
domani
,
si
arrivasse
a
questo
,
credete
,
voi
,
che
l
'
opposizione
sarebbe
soddisfatta
?
No
!
Essa
si
sentirebbe
in
diritto
di
fare
il
processo
alla
nostra
rivoluzione
,
prenderebbe
le
sue
vendette
condannandoci
chi
alla
morte
e
chi
al
carcere
!
La
qual
cosa
non
ci
spaventa
.
Quel
che
ci
affliggerebbe
immensamente
sarebbe
il
ritorno
della
Nazione
a
quello
stato
di
anarchia
dal
quale
l
'
abbiamo
sottratta
mediante
titaniche
lotte
che
ci
costarono
grandi
sacrifici
.
Possiamo
ammettere
che
ciò
avvenga
col
nostro
consenso
?
Siamo
o
non
siamo
noi
i
vittoriosi
?
Non
ha
,
forse
,
la
Nazione
affidato
al
Fascismo
il
suo
presente
e
il
suo
avvenire
?
E
allora
non
ne
siamo
noi
,
forse
,
gli
arbitri
?
Non
fu
creata
la
Milizia
per
difendere
da
tutti
gli
assalti
e
le
manovre
avversarie
la
nostra
rivoluzione
e
quindi
l
'
attuale
regime
?
Riteniamo
,
o
Duce
,
che
come
nel
1921
denunciammo
il
trattato
di
pacificazione
,
rispettato
da
noi
,
infranto
dagli
altri
,
così
oggi
noi
dobbiamo
dire
agli
avversari
:
ritorniamo
sulle
nostre
posizioni
:
con
gli
uomini
e
coi
partiti
in
malafede
non
può
sussistere
alcuna
convivenza
!
Continuando
a
discorrere
di
normalizzazione
,
quando
questa
offre
argomento
agli
avversari
per
sostenere
e
difendere
un
programma
di
grave
illegalismo
,
non
rendiamo
un
servizio
né
alla
Nazione
della
quale
ci
sentiamo
difensori
né
a
noi
stessi
.
Perciò
,
o
Duce
,
dite
alla
moltitudine
fascista
la
vostra
fiera
parola
,
ditela
,
che
essa
è
attesa
anche
dalla
Nazione
,
la
quale
già
ha
potuto
valutare
gli
effetti
di
un
,
sia
pur
minimo
,
disarmo
del
fascismo
.
Noi
,
per
imporre
all
'
Italia
la
disciplina
e
consentirle
quel
lavoro
fecondo
,
che
invano
il
gruppo
di
opposizione
tenta
di
infrangere
e
di
paralizzare
,
abbiamo
sofferto
,
abbiamo
più
volte
incrociato
i
polsi
alle
manette
,
abbiamo
versato
il
nostro
miglior
sangue
!
Sparse
nei
Cimiteri
delle
nostre
provincie
riposano
le
eroiche
Camicie
Nere
assassinate
.
Numerose
sono
le
vedove
e
le
madri
dei
nostri
caduti
fascisti
che
in
questi
giorni
ci
chiedono
conto
del
loro
sacrificio
e
del
nostro
atteggiamento
.
Non
è
possibile
sopportare
più
oltre
la
tracotanza
avversaria
:
noi
non
possiamo
rinunciare
al
nostro
passato
;
noi
che
non
abbiamo
rimorsi
,
perché
nulla
abbiamo
tralasciato
di
quel
che
era
necessario
per
portarvi
a
Roma
,
vi
chiediamo
una
parola
forte
contro
quegli
avversari
,
che
,
nel
pantano
politico
ove
si
agitano
,
vanno
prendendo
ogni
giorno
sempre
maggior
coraggio
!
Duce
!
Noi
siamo
la
vostra
forza
!
Non
vi
preoccupate
del
gracidio
di
tutta
quella
gente
che
ha
dimostrato
in
questi
giorni
di
non
curarsi
degli
interessi
del
Paese
,
ma
solo
di
quelli
della
propria
fazione
!
Non
si
parli
più
di
normalizzazione
,
fino
a
quando
non
cesserà
dall
'
infausta
azione
tutto
quell
'
illegalismo
sovversivo
che
si
ammanta
di
patriottismo
,
fino
a
quando
continuerà
il
dolo
ricattatore
di
tutte
le
opposizioni
!
Duce
!
Dite
la
vostra
parola
,
ritemprate
la
nostra
fede
,
intensificate
il
nostro
entusiasmo
!
StampaQuotidiana ,
Non
mi
ricordo
esattamente
quando
ho
cominciato
ad
occuparmi
del
Vajont
.
Probabilmente
sette
anni
fa
,
quando
sono
cominciati
gli
espropri
da
parte
della
SADE
.
Era
il
mio
lavoro
normale
di
tutti
i
giorni
.
I
proprietari
-
tutti
piccoli
coltivatori
che
dal
loro
pezzetto
di
terra
ricavavano
un
aiuto
in
natura
che
serviva
ad
integrare
il
loro
magro
bilancio
-
si
rifiutavano
di
cedere
al
monopolio
,
a
un
prezzo
irrisorio
,
la
loro
terra
.
Era
terra
ricavata
molte
volte
dai
pendii
e
bonificata
con
il
lavoro
di
generazioni
.
Rappresentava
un
valore
materiale
e
affettivo
insieme
.
Ogni
lotta
dei
montanari
contro
il
monopolio
elettrico
cominciava
da
qui
.
Non
era
lotta
contro
il
progresso
,
ma
contro
chi
in
nome
del
progresso
si
riempiva
il
portafoglio
a
spese
altrui
.
Occuparmi
del
Vajont
non
era
stato
perciò
che
continuare
quello
che
facevo
da
quando
,
lasciata
la
mia
Brigata
partigiana
,
cominciai
a
lavorare
per
il
Partito
.
Dopo
la
Liberazione
la
SADE
costruì
in
provincia
di
Belluno
diversi
bacini
idroelettrici
:
a
Pieve
di
Cadore
,
ad
Arsiè
,
a
Forno
di
Zoldo
e
nella
Valle
del
Mis
.
Per
ogni
impianto
mi
era
capitato
di
scrivere
qualcosa
contro
la
SADE
.
I
soprusi
,
le
prepotenze
della
società
elettrica
erano
,
come
si
dice
,
il
pane
quotidiano
di
ogni
giornalista
che
avesse
voluto
parlare
di
ciò
che
stava
a
cuore
dei
montanari
di
queste
vallate
.
Non
rivelavo
segreti
,
non
svelavo
fatti
misteriosi
per
il
gusto
di
dare
addosso
ai
capitalisti
,
riferivo
quel
che
vedevo
,
quel
che
sentivo
accadere
intorno
a
me
.
Chiunque
facesse
questo
mestiere
avrebbe
potuto
scrivere
le
stesse
cose
.
Anche
altri
ci
hanno
provato
ma
senza
riuscire
mai
a
leggere
sul
loro
giornale
quello
che
avevano
scritto
.
E
qualcuno
ha
passato
dei
guai
per
essersi
occupato
della
SADE
senza
ascoltare
i
consigli
della
società
.
Il
coraggio
e
l
'
onestà
di
un
giornalista
non
bastano
per
poter
scrivere
la
verità
su
un
giornale
.
Ricordo
un
episodio
accaduto
a
Vallesella
di
Cadore
.
Due
anni
fa
la
popolazione
di
questo
paese
si
rifiutò
in
massa
di
recarsi
a
votare
in
segno
di
protesta
contro
il
governo
che
non
aveva
fatto
rispettare
alla
SADE
i
propri
impegni
,
per
le
case
rovinate
nelle
acque
del
lago
.
Il
sindaco
convocò
allora
una
conferenza
stampa
per
chiedere
a
tutti
i
corrispondenti
locali
dei
giornali
italiani
di
scrivere
le
ragioni
di
questa
singolare
protesta
.
Ma
alla
conferenza
stampa
ci
andammo
solo
in
due
,
io
e
il
corrispondente
del
Giorno
.
Gli
altri
preferirono
ignorare
la
cosa
.
I
primi
pezzi
su
Erto
e
sul
Vajont
li
ho
scritti
per
raccontare
come
venivano
portati
avanti
gli
espropri
.
La
SADE
ricattava
i
contadini
:
o
accettare
le
cifre
stabilite
dal
monopolio
oppure
subire
gli
espropri
di
autorità
:
il
denaro
intanto
veniva
versato
in
banca
all
'
intestatario
catastale
del
terreno
che
magari
era
morto
o
espatriato
.
Chi
in
effetti
lavorava
il
pezzo
di
terra
espropriato
rischiava
di
non
aver
mai
in
mano
quei
soldi
o
di
ottenerli
dopo
pratiche
che
sarebbero
durate
degli
anni
e
a
prezzo
di
spese
non
indifferenti
.
In
queste
condizioni
i
contadini
,
uno
dopo
l
'
altro
,
hanno
ceduto
.
In
seguito
sorse
un
altro
problema
.
Alcune
frazioni
di
Erto
venivano
tagliate
fuori
dal
centro
con
l
'
invaso
.
Esse
erano
collegate
al
capoluogo
da
sentieri
che
attraversavano
la
valle
.
I
contadini
li
percorrevano
come
scoiattoli
.
Molti
ertani
possedevano
i
terreni
sull
'
opposto
versante
.
Come
si
sarebbero
trovati
dopo
la
realizzazione
del
lago
?
Chiesero
una
passerella
che
collegasse
i
due
versanti
.
In
un
primo
tempo
la
SADE
disse
che
l
'
avrebbe
costruita
.
Poi
,
attraverso
le
leve
di
potere
che
possedeva
,
si
fece
dare
un
'
altra
concessione
dal
ministero
che
la
esonerava
dal
costruire
la
passerella
.
Al
suo
posto
avrebbe
fatto
una
strada
di
circonvallazione
.
Per
gli
ertani
significava
un
lungo
e
accidentato
percorso
,
soprattutto
d
'
inverno
:
per
i
bambini
delle
frazioni
che
dovevano
recarsi
a
scuola
al
capoluogo
;
per
le
vecchie
,
che
all
'
alba
andavano
a
messa
;
per
i
contadini
che
dovevano
percorrere
oltre
tre
chilometri
per
lavorare
i
loro
terreni
.
E
poi
c
'
era
il
pericolo
di
frane
in
una
zona
dove
queste
cadevano
in
continuazione
nei
mesi
del
disgelo
;
più
di
6
chilometri
tra
andata
e
ritorno
per
le
provviste
,
per
il
medico
e
per
tutti
i
casi
di
emergenza
che
si
potevano
verificare
.
L
'
amministrazione
comunale
di
Erto
inoltrò
un
pro
-
memoria
all
'
ufficio
del
Genio
Civile
di
Belluno
perché
il
ministero
dei
Lavori
Pubblici
fosse
informato
.
Non
ottenne
nulla
e
la
SADE
cominciò
a
costruire
la
strada
.
Non
si
preoccupò
neppure
di
avvisare
i
proprietari
dei
terreni
.
Andava
avanti
coi
bulldozer
.
I
valligiani
erano
esasperati
.
Un
mattino
gli
operai
dell
'
impresa
vennero
affrontati
da
un
contadino
che
brandiva
un
'
accetta
.
«
Se
fate
ancora
un
passo
avanti
la
uso
»
,
disse
.
Chi
l
'
aveva
ridotto
alla
disperazione
?
Anche
per
questo
episodio
scrissi
una
corrispondenza
.
Raccontai
i
fatti
.
La
polemica
era
nelle
cose
.
La
strada
,
comunque
,
si
fece
.
Nel
frattempo
nel
bacino
di
Forno
di
Zoldo
franò
un
grosso
lembo
di
montagna
.
La
popolazione
di
Erto
si
allarmò
.
Se
a
Forno
aveva
fatto
precipitare
la
montagna
cosa
sarebbe
accaduto
del
loro
paese
che
poggiava
tutto
su
terra
argillosa
?
Queste
cose
i
contadini
le
sapevano
da
sempre
,
ma
vollero
interrogare
i
famosi
geologi
.
E
il
parere
dei
tecnici
e
degli
scienziati
confermò
le
loro
paure
:
era
pura
follia
costruire
un
bacino
sul
luogo
.
Le
perizie
geologiche
diedero
esca
a
nuove
polemiche
e
le
proteste
si
fecero
più
vivaci
.
Si
arrivò
a
costituire
un
«
Consorzio
per
la
difesa
della
valle
ertana
»
al
quale
aderirono
136
capi
famiglia
.
In
quella
occasione
scrissi
l
'
articolo
per
il
quale
mi
processarono
.
Raccontai
quanto
avevano
detto
i
montanari
all
'
assemblea
costitutiva
del
Consorzio
.
Avevo
commesso
il
«
reato
»
di
registrare
i
fatti
e
un
vice
brigadiere
dei
carabinieri
mi
accusò
di
aver
diffuso
«
notizie
false
e
tendenziose
atte
a
turbare
l
'
ordine
pubblico
»
.
Fossi
veramente
riuscita
a
turbarlo
l
'
ordine
della
SADE
,
oggi
non
saremmo
qui
a
piangere
i
nostri
morti
e
a
maledire
i
responsabili
!
Qualcuno
molto
più
in
alto
di
un
funzionario
di
polizia
sperava
di
tappare
la
bocca
,
di
intimorire
e
mettere
a
tacere
i
valligiani
.
Tra
la
denuncia
e
il
processo
scrissi
altri
pezzi
.
E
furono
probabilmente
quelli
che
contribuirono
a
farmi
assolvere
.
Nel
frattempo
,
infatti
,
sul
monte
Toc
si
erano
prodotte
fenditure
e
successivamente
una
frana
era
precipitata
giù
dalla
montagna
.
Parlai
del
pericolo
di
nuovi
smottamenti
e
crolli
,
parlai
di
una
massa
di
50
milioni
di
metri
cubi
che
minacciava
di
piombare
a
valle
.
E
sbagliai
solo
per
difetto
.
Venne
il
giorno
del
processo
.
I
montanari
di
Erto
si
presentarono
davanti
ai
giudici
di
Milano
in
qualità
di
testi
.
«
Qui
ci
sono
le
prove
.
Se
non
ci
credete
venite
voi
stessi
a
vedere
.
Signori
giudici
,
fate
qualcosa
perché
non
succeda
di
peggio
»
.
Della
SADE
al
processo
non
si
fece
vivo
nessuno
.
Neppure
il
brigadiere
che
stese
la
denuncia
si
presentò
.
Il
Tribunale
fece
il
possibile
.
Sentenziò
che
i
fatti
denunciati
erano
veri
,
che
il
pericolo
c
'
era
.
Ma
chi
considerava
un
articolo
sull
'
Unità
più
pericoloso
di
una
frana
grossa
come
una
montagna
restò
inerte
.
Chi
doveva
trarre
le
conseguenze
dalla
sentenza
non
mosse
un
dito
,
anzi
autorizzò
la
SADE
a
costruire
al
diga
mortale
.
Ora
che
l
'
irreparabile
è
accaduto
,
c
'
è
ancora
chi
ha
il
coraggio
di
affermare
che
a
Roma
nessuno
sapeva
.
Come
se
la
Camera
,
il
Senato
,
dove
le
mie
,
le
nostre
denuncie
sono
state
portate
dinanzi
ai
ministri
responsabili
non
stessero
a
Roma
,
ma
nella
capitale
del
Tanganika
.
C
'
è
poi
l
'
ipotesi
che
invoca
il
silenzio
di
fronte
ai
lutti
e
alle
devastazioni
,
che
incolpa
di
tutto
le
forze
della
natura
.
E
c
'
è
chi
ci
considera
soltanto
dei
giornalisti
più
bravi
e
più
coraggiosi
degli
altri
ed
è
disposto
a
riconoscere
che
,
sì
,
qualche
straccio
di
tecnico
può
essere
buttato
all
'
aria
purché
non
si
tocchi
il
sistema
,
purché
non
si
arrivi
alla
radice
.
Non
sono
né
più
brava
né
più
coraggiosa
di
tanti
miei
colleghi
.
Non
volevo
certo
diventare
famosa
per
un
fatto
così
tragico
quando
scrivevo
contro
la
SADE
.
Volevo
semplicemente
impedire
che
questo
disastro
colpisse
i
montanari
della
terra
dove
sono
nata
,
dove
ho
fatto
la
guerra
partigiana
,
dove
ho
vissuto
tutta
la
mia
vita
.
E
ora
non
riesco
neanche
a
esprimere
la
mia
collera
,
il
mio
furore
per
non
esserci
riuscita
.
StampaQuotidiana ,
La
Paz
.
Da
La
Paz
al
lago
Titicaca
si
va
in
macchina
in
meno
di
due
ore
.
Si
corre
per
una
pista
di
pietrisco
attraverso
la
steppa
che
ha
un
colore
uniforme
fra
il
marrone
e
il
bruno
,
con
striature
gialle
e
grigie
:
il
colore
dei
cespugli
bassi
e
spinosi
che
riescono
a
resistere
ai
venti
,
al
freddo
,
all
'
aridità
,
alla
rarefazione
dell
'
aria
dell
'
altipiano
.
Poiché
è
la
stagione
delle
piogge
,
un
'
immobile
nuvolaglia
nera
pende
a
mezz
'
aria
,
simile
ad
una
catena
di
montagne
capovolte
,
con
la
base
in
su
e
le
punte
in
giù
,
lasciando
sereno
l
'
azzurro
scuro
e
gelato
degli
orizzonti
.
L
'
altipiano
non
è
così
piatto
come
sembra
:
ogni
tanto
file
di
colline
pietrose
e
sgretolate
si
sollevano
di
poco
sulla
steppa
.
Valichiamo
una
di
queste
collinette
ed
ecco
,
sotto
di
noi
,
allargarsi
la
distesa
diafana
del
lago
Titicaca
.
Ha
un
'
estensione
di
novemila
chilometri
quadrati
;
ma
le
numerose
isole
e
promontori
che
ne
emergono
e
l
'
aspetto
paludoso
,
incerto
,
informe
delle
rive
lo
fanno
parere
un
'
immensa
pozzanghera
sparsa
di
pietre
,
che
si
stia
prosciugando
al
sole
.
Quest
'
impressione
è
esatta
,
del
resto
.
Il
lago
sta
morendo
;
perde
per
assorbimento
del
terreno
e
per
evaporazione
più
acqua
di
quanto
ne
riceva
.
Eppure
il
lago
Titicaca
così
informe
,
così
deserto
,
così
privo
di
tracce
umane
,
è
stato
il
centro
di
una
delle
due
sole
culture
originali
(
l
'
altra
è
quella
del
Messico
)
dell
'
America
precolombiana
.
Al
lago
Titicaca
sono
collegati
i
miti
delle
origini
del
mondo
secondo
la
religione
india
;
e
gli
inizi
della
dinastia
imperiale
degli
Incas
.
In
una
delle
sue
trentasei
isole
,
chiamata
,
per
il
culto
a
cui
era
votata
,
l
'
Isola
del
Sole
,
è
apparso
per
la
prima
volta
,
secondo
il
mito
,
Viracocha
,
creatore
dell
'
uomo
,
della
donna
,
degli
animali
,
del
cielo
e
della
terra
.
In
quella
stessa
isola
sono
nati
í
figli
del
Sole
,
Manco
Capac
e
sua
sorella
nonché
coniuge
alla
maniera
faraonica
Mama
Ocllo
,
capostipiti
della
dinastia
che
in
linea
diretta
,
attraverso
quindici
monarchi
,
arriva
fino
ad
Atahualpa
,
l
'
ultimo
imperatore
,
ucciso
a
tradimento
da
Francisco
Pizarro
.
Di
queste
leggende
e
di
questi
eventi
il
lago
Titicaca
,
naturalmente
,
non
conserva
nulla
.
La
memoria
atavica
degli
indi
e
le
ricerche
archeologiche
degli
europei
qui
si
scontrano
con
il
vuoto
assoluto
e
maestoso
di
una
natura
forse
originariamente
abitata
dalla
storia
ma
che
la
storia
ha
abbandonato
per
sempre
.
Poco
lontano
dal
lago
Titicaca
,
in
un
immenso
anfiteatro
naturale
formato
da
basse
colline
nude
ed
erose
,
si
trovano
le
rovine
del
santuario
di
Tiahuanaco
,
il
centro
religioso
più
importante
della
civiltà
india
prima
degli
Incas
.
A
Tiahuanaco
si
esasperano
i
caratteri
dell
'
altipiano
:
solitudine
,
luminosità
,
vastità
,
vuoto
,
silenzio
.
Il
tempio
affondato
per
metà
sottoterra
,
ha
muraglie
costruite
con
enormi
blocchi
di
pietra
grigia
incastrati
a
secco
con
grande
ingegnosità
e
perfezione
.
La
celebre
Porta
del
Sole
,
con
la
sua
divinità
dalla
testa
felina
e
la
stele
chiamata
dagli
Spagnoli
el
fraile
(
il
frate
)
,
in
realtà
un
dio
anch
'
esso
,
in
forma
umana
,
con
caratteri
tipici
indi
(
busto
lungo
,
gambe
corte
,
testone
,
facciona
)
sono
le
parti
del
tempio
in
cui
,
oltre
alle
capacità
tecniche
ed
architettoniche
,
si
rivela
il
talento
propriamente
artistico
degli
indi
.
È
ammirevole
,
attraente
,
bella
quest
'
arte
?
Diremmo
piuttosto
che
è
strana
e
che
ispira
un
curioso
senso
di
malessere
,
diciamo
così
,
estetico
.
Paragonata
ai
prodotti
artistici
dei
veri
primitivi
(
arte
negra
,
polinesiana
,
greca
arcaica
ecc.
ecc
.
)
rivela
una
stilizzazione
,
una
cifra
per
niente
ingenue
,
di
tipo
tardo
e
decadente
che
dà
un
'
impressione
sgradevole
come
di
frutto
per
metà
acerbo
e
per
metà
già
putrefatto
.
Che
c
'
è
in
fondo
a
quest
'
impressione
?
Il
senso
di
una
civiltà
isolata
,
senza
possibilità
di
prestiti
,
di
confronti
,
di
apporti
,
che
arriva
alla
decadenza
direttamente
dalla
primitività
senza
passare
per
la
fase
della
maturità
.
Quel
non
so
che
di
crudele
e
di
tetro
che
emana
da
quest
'
arte
sembra
alludere
al
destino
proprio
delle
cose
predestinate
al
fallimento
in
quanto
fin
dagli
inizi
avviate
per
la
strada
sbagliata
.
L
'
individuo
può
correggere
i
propri
errori
attraverso
una
presa
di
coscienza
;
ma
le
nazioni
,
le
società
,
le
collettività
,
poiché
non
vivono
a
livello
morale
ma
storico
,
non
si
accorgono
di
sbagliare
e
in
realtà
non
"
possono
"
sbagliare
.
Possono
soltanto
fallire
,
ossia
avere
una
storia
breve
,
una
storia
catastrofica
,
una
storia
in
forma
di
vicolo
cieco
.
Nell
'
erba
,
presso
la
muraglia
del
santuario
,
giacciono
alla
rinfusa
molti
blocchi
di
pietra
.
Si
pensa
che
siano
caduti
giù
per
opera
del
tempo
o
delle
devastazioni
degli
spagnoli
.
Ma
non
è
così
.
Il
santuario
di
Tiahuanaco
,
a
quanto
sembra
,
è
stato
abbandonato
prima
di
essere
finito
.
Quei
blocchi
semi
-
lavorati
erano
già
interrati
nell
'
erba
prima
della
conquista
.
Chissà
,
forse
gli
indi
si
erano
accorti
di
aver
"
sbagliato
"
;
di
essere
stati
traditi
dai
propri
dei
;
ossia
di
aver
creato
una
civiltà
predestinata
al
fallimento
.
Sull
'
altipiano
,
però
,
non
sono
stati
soltanto
gli
indi
a
fallire
;
ma
anche
i
loro
oppressori
,
gli
spagnoli
.
La
croce
cristiana
è
graffita
sulla
spalla
del
/
rade
;
e
dietro
la
collina
spunta
la
cupola
di
una
chiesa
fabbricata
,
a
quanto
ci
dicono
,
con
materiale
portato
via
dal
santuario
del
Sole
;
ma
il
fallimento
spagnolo
è
visibile
dappertutto
nell
'
abbandono
in
cui
giacciono
gli
antichi
palazzi
viceregali
,
le
monumentali
chiese
barocche
,
e
ancor
più
nella
miseria
,
nell
'
ignoranza
,
nell
'
arretratezza
della
popolazione
india
,
dopo
quattro
secoli
di
cultura
europea
.
Dalla
chiesa
,
adesso
,
giungono
suoni
agri
e
discordi
di
musiche
,
tonfi
cupi
di
tamburo
,
scoppi
secchi
di
petardi
.
È
la
fiesta
india
,
rozzamente
e
poveramente
folcloristica
la
quale
,
tra
la
morte
del
santuario
pagano
e
lo
squallore
della
chiesa
cristiana
,
dà
il
senso
acuto
e
straziante
del
fallimento
congiunto
delle
due
culture
.
La
civiltà
india
originaria
(
chiamata
collas
dal
nome
della
tribù
più
importante
)
era
di
tipo
comunitario
,
libera
e
democratica
.
Ma
all
'
arrivo
degli
spagnoli
,
questa
civiltà
già
da
quattro
secoli
è
stata
trasformata
dagli
Incas
in
impero
schiavistico
.
D
'
altra
parte
,
gli
spagnoli
conquistano
l
'
America
in
piena
fase
controriformistica
,
quando
tutto
ciò
che
c
'
è
di
vivo
e
di
nuovo
in
Europa
si
trova
schierato
contro
la
Spagna
.
Così
la
conquista
si
potrebbe
definire
la
fusione
di
due
fallimenti
,
quello
indio
e
quello
spagnolo
,
l
'
innesto
mostruoso
della
decadenza
europea
sul
tronco
della
decadenza
india
.
Ma
qual
è
il
motivo
profondo
del
momentaneo
successo
di
questa
operazione
teratologica
?
Come
mai
un
centinaio
di
avventurieri
si
sono
impadroniti
di
un
impero
di
dieci
milioni
di
indi
?
Forse
l
'
evoluzione
singolare
dell
'
istituzione
della
mita
può
fornire
,
in
maniera
simbolica
,
la
chiave
del
mistero
.
Originariamente
,
ai
tempi
della
civiltà
comunitaria
preincaica
,
la
mita
era
un
servizio
pubblico
al
quale
le
comunità
indie
si
assoggettavano
volontariamente
e
gratuitamente
.
Si
trattava
di
coltivare
le
terre
della
comunità
,
di
irrigarle
,
di
imbrigliare
í
corsi
d
'
acqua
,
di
mantenere
i
sentieri
ecc.
ecc.
La
mita
era
insomma
un
lavoro
collettivo
in
cui
si
manifestava
l
'
alto
grado
di
senso
"
associativo
"
degli
indi
.
Poi
con
l
'
impero
degli
Incas
,
la
libera
organizzazione
comunitaria
,
si
trasforma
in
struttura
rigidamente
centralizzata
e
statale
ossia
,
in
sostanza
,
in
servitù
della
gleba
inquadrata
e
diretta
da
una
burocrazia
di
tipo
religioso
.
Si
trattava
,
però
,
di
una
servitù
della
gleba
di
un
genere
particolare
,
non
tanto
basata
sullo
sfruttamento
a
scopo
di
lucro
,
quanto
sulle
necessità
reali
di
un
'
agricoltura
estensiva
che
dipendeva
in
gran
parte
dai
vasti
e
complessi
sistemi
di
irrigazione
.
Il
passaggio
dalla
servitù
della
gleba
degli
Incas
alla
franca
e
orrenda
schiavitù
mineraria
imposta
dagli
spagnoli
,
sembra
dovuto
alla
forza
.
In
realtà
,
è
reso
possibile
dal
senso
sociale
degli
indi
,
che
già
a
suo
tempo
aveva
consentito
la
trasformazione
dell
'
economia
comunitaria
in
economia
statale
.
Intendiamoci
:
il
senso
sociale
non
è
un
difetto
ma
una
qualità
.
Sempre
,
però
,
che
non
distrugga
l
'
istinto
individuale
,
come
sembra
essere
avvenuto
nella
civiltà
india
.
La
mancanza
di
individualismo
fa
sì
che
la
mita
da
servizio
pubblico
libero
e
spontaneo
si
trasformi
con
gli
Incas
e
poi
con
gli
spagnoli
in
corvée
.
Gli
indi
erano
soprattutto
e
soltanto
"
sociali
"
ossia
docili
,
sottomessi
alle
leggi
,
disciplinati
e
ligi
.
Gli
Incas
si
sono
serviti
di
questa
socialità
per
avviare
gli
indi
allo
statalismo
teocratico
;
gli
spagnoli
per
farne
degli
schiavi
.
In
un
secolo
la
popolazione
india
cade
da
dieci
milioni
ad
un
solo
milione
.
La
mita
diventa
una
condanna
a
morte
.
Tanto
è
vero
che
quando
un
indio
veniva
reclutato
per
la
mita
mineraria
,
i
compagni
gli
facevano
i
funerali
in
anticipo
.
Il
mitayo
era
sinonimo
di
indio
morto
.
All
'
atrofia
del
sentimento
di
individualità
degli
indi
fa
riscontro
l
'
ipertrofia
dell
'
individualismo
degli
spagnoli
.
I
conquistadores
sono
avventurieri
intrepidi
ma
senza
neppure
l
'
ombra
di
quel
cristianesimo
di
cui
tuttavia
alzano
il
vessillo
.
Spietati
,
fedifraghi
,
sanguinari
,
insaziabili
,
dicono
di
rappresentare
la
società
spagnola
;
ma
in
realtà
rappresentano
soltanto
se
stessi
,
anche
perché
la
società
spagnola
individualista
e
feudale
,
è
stata
lei
a
farli
così
come
sono
.
Anche
a
giudicarli
col
metro
morale
molto
particolare
del
Rinascimento
,
difficilmente
possono
essere
giustificati
e
tanto
meno
assolti
.
Sterminano
gli
indi
,
si
sterminano
tra
di
loro
;
e
questo
pur
sempre
per
motivi
di
potere
e
di
bottino
.
È
vero
che
la
Corona
di
Spagna
e
la
Chiesa
cercano
di
proteggere
le
disgraziate
popolazioni
indigene
;
ma
sono
lontane
mentre
i
feudatari
sono
presenti
sul
luogo
.
Il
fallimento
spagnolo
è
già
in
germe
in
questo
individualismo
efferato
e
imprevidente
.
Come
,
d
'
altra
parte
,
il
fallimento
indio
era
già
in
germe
nell
'
eccessivo
senso
comunitario
,
nella
mancanza
di
spirito
individuale
degli
indi
.
StampaQuotidiana ,
Quando
noi
,
molti
mesi
prima
,
invocavamo
le
leggi
eccezionali
per
il
controllo
sulla
stampa
perché
si
prevenissero
certi
illegalismi
fascisti
a
danno
dei
giornali
sovversivi
,
tutta
la
stampa
antifascista
e
anche
filofascista
qualificava
pazzesche
le
nostre
richieste
.
Il
provvedimento
preso
dal
Consiglio
dei
Ministri
viene
a
darci
ragione
in
pieno
,
ed
esso
non
può
essere
che
il
primo
di
quella
serie
di
mezzi
efficaci
a
statizzare
il
fascismo
,
a
rendere
lo
Stato
forte
come
era
ed
è
nell
'
anima
rivoluzionaria
del
nostro
partito
.
A
che
cosa
sono
valsi
i
richiami
ufficiali
ed
ufficiosi
a
certa
stampa
che
per
puro
scopo
demagogico
e
commerciale
,
inventava
od
esagerava
notizie
che
avvelenavano
l
'
anima
del
popolo
italiano
e
che
menomavano
il
prestigio
della
Nazione
all
'
estero
?
Con
certa
gente
in
malafede
,
non
si
possono
usare
che
provvedimenti
coattivi
!
Infatti
,
ieri
,
la
stampa
in
genere
e
quella
romana
in
special
modo
,
ha
riacquistato
un
tantino
di
serietà
.
Quando
si
è
tolto
di
mezzo
la
testa
di
legno
del
gerente
e
quando
vi
è
un
responsabile
cosciente
,
certe
notizie
tendenziose
e
menzognere
non
si
pubblicano
più
per
non
doverne
assumere
la
responsabilità
di
fronte
all
'
autorità
politica
e
all
'
autorità
giudiziaria
.
Noi
siamo
e
rimaniamo
del
parere
che
la
normalizzazione
non
si
patteggia
,
ma
è
lo
Stato
forte
che
deve
imporla
.
Il
decreto
sulla
stampa
ha
il
duplice
scopo
di
richiamare
alla
realtà
la
stampa
avversaria
e
di
distruggere
l
'
illegalismo
fascista
.
Saremo
ora
i
primi
noi
ad
intervenire
energicamente
contro
quei
fascisti
che
osassero
incendiare
una
sola
copia
del
giornale
avversario
o
che
ne
ostacolassero
la
vendita
.
Quando
domani
in
una
provincia
la
stampa
avversaria
oltrepassasse
quei
limiti
consentiti
dal
decreto
,
il
fascismo
può
ricorrere
all
'
autorità
politica
che
ha
ampi
poteri
per
provvedere
.
Come
vedesi
,
adunque
,
non
siamo
illegalisti
per
professione
,
ma
soltanto
vogliamo
che
lo
Stato
legalizzi
il
nostro
illegalismo
.
La
stampa
cosidetta
mussoliniana
non
osa
accodarsi
alle
proteste
dei
giornali
sovversivi
e
si
conforta
col
dire
che
il
provvedimento
è
temporaneo
.
Non
vediamo
le
ragioni
di
questa
temporaneità
.
Come
il
cittadino
onesto
non
si
preoccupa
del
Codice
Penale
,
così
il
giornalista
onesto
non
deve
preoccuparsi
del
Decreto
sulla
stampa
.
La
Sera
di
Milano
,
dopo
aver
parlato
sfavorevolmente
del
provvedimento
del
Consiglio
dei
Ministri
,
si
consola
nella
speranza
che
anche
i
giornali
fascisti
dovranno
modificare
il
loro
linguaggio
.
A
noi
sembra
che
non
vi
sia
nulla
da
modificare
nella
nostra
linea
di
condotta
giornalistica
.
Il
nostro
programma
è
di
difendere
il
regime
,
difendere
il
Capo
del
Governo
,
assicurare
tranquillità
,
disciplina
e
lavoro
fecondo
alla
Nazione
,
valorizzare
l
'
Italia
di
fronte
a
tutto
il
mondo
,
attaccare
tutti
i
nemici
di
dentro
e
di
fuori
della
rivoluzione
fascista
,
che
deve
essere
inserita
nello
Stato
.
Nessun
Prefetto
potrà
intralciarci
il
cammino
.
Stabilito
ora
il
principio
che
salus
rei
publicae
suprema
lex
,
noi
chiediamo
al
Governo
che
,
come
s
'
è
limitato
l
'
abuso
di
libertà
a
certi
giornali
,
così
bisogna
controllare
l
'
attività
degli
avversari
della
Nazione
,
siano
essi
all
'
interno
,
siano
essi
all
'
estero
.
Per
quelli
di
dentro
insistiamo
per
il
domicilio
coatto
;
per
gli
italiani
all
'
estero
che
,
facendo
gli
interessi
di
altre
Nazioni
ordiscono
congiure
e
oltraggiano
la
propria
Patria
,
chiediamo
la
perdita
della
cittadinanza
italiana
.
È
nostra
intenzione
arrivare
alla
vera
normalizzazione
;
vogliamo
lo
Stato
forte
per
poter
sciogliere
il
nostro
Partito
,
e
perché
ognuno
di
noi
possa
dedicare
la
sua
attività
,
non
a
polemiche
e
lotte
fratricide
,
ma
ai
supremi
interessi
del
nostro
Paese
.
StampaQuotidiana ,
Saigon
,
luglio
-
Mi
presento
all
'
ingresso
della
base
di
Bien
Hoa
dieci
minuti
prima
di
mezzogiorno
,
proprio
mentre
una
cinquantina
di
paracadutisti
in
esercitazione
scende
ondeggiando
nel
cielo
a
qualche
chilometro
.
Ho
portato
con
me
una
cinepresa
elettrica
da
otto
millimetri
,
ci
tengo
a
portare
a
casa
un
ricordo
personale
del
volo
che
mi
accingo
a
compiere
.
Qualche
minuto
dopo
di
me
arrivano
i
due
operatori
della
televisione
germanica
Schalk
e
Condé
;
anch
'
essi
sono
stati
avvertiti
che
il
loro
volo
prenderà
il
via
verso
le
quattordici
.
Voleremo
dunque
noi
tre
insieme
,
ognuno
a
bordo
di
un
diverso
apparecchio
della
medesima
squadriglia
di
Skyraiders
.
Schalk
indossa
una
tuta
grigiazzurra
americana
da
aviatore
con
gli
stemmi
del
34°
Gruppo
,
ossia
del
reparto
di
cui
siamo
ospiti
.
«
L
'
ho
comprata
al
mercato
nero
di
Saigon
»
dice
scusandosi
.
Il
capitano
americano
Holsinger
ci
conduce
a
prendere
un
panino
alla
mensa
degli
enlisted
men
e
poi
,
sempre
:
t
bordo
di
una
sua
sgangherata
camionetta
,
all
'
ufficio
operazioni
del
gruppo
,
una
baracca
prefabbricata
gelida
d
'
aria
condizionata
.
Sopra
una
lavagna
c
'
è
scritto
col
gesso
:
«
Missione
94213
,
partenza
ore
14.10
.
Posizioni
:
1
)
maggiore
pilota
O
'
Gorman
,
comandante
;
2
)
capitano
Graf
/
Corradi
;
3
)
tenente
Georges
/
Condé
;
4
)
tenente
Ford
/
Schalk
»
.
Quattro
Skyraiders
,
dunque
.
Entrano
il
maggiore
O
'
Gorman
e
i
tre
piloti
.
Il
«
mio
»
Roderic
Graf
,
è
nato
ventotto
anni
fa
a
Claremont
in
California
;
avendo
compiuto
qui
nel
Vietnam
dieci
mesi
di
servizio
e
quattrocento
ore
di
missione
di
guerra
,
tra
due
mesi
rimpatrierà
.
Venti
minuti
prima
delle
quattordici
,
un
ufficiale
consegna
al
comandante
O
'
Gorman
l
'
ordine
di
missione
.
«
A
rapporto
»
dice
O
'
Gorman
.
Piloti
e
giornalisti
entriamo
in
una
stanza
ancor
più
refrigerata
,
ci
sediamo
di
fronte
a
O
'
Gorman
che
,
in
piedi
dietro
un
piccolo
podio
,
prende
a
leggere
con
voce
grave
:
«
Tempo
eccezionalmente
bello
,
solo
qualche
rovescio
temporalesco
.
Obiettivo
duecentodue
miglia
a
sud
-
ovest
di
Bien
Hon
,
al
confine
tra
le
province
di
Bac
Lieu
e
Ba
Xuyen
.
Carta
:
quadretto
BF-432
.
Da
stamane
è
in
corso
un
'
azione
contro
il
battaglione
Vietcong
che
ha
il
nome
di
battaglione
"
Dynamic
"
.
Le
ultime
missioni
di
un
'
ora
fa
sono
state
fatte
segno
a
fuoco
di
mitragliatrici
antiaeree
.
Volo
di
andata
cinquanta
minuti
,
venti
minuti
sugli
obiettivi
,
volo
di
ritorno
cinquanta
minuti
.
Munizionamento
:
ogni
apparecchio
quattordici
bombe
dirompenti
da
duecentosessanta
libbre
.
Sganciamento
su
ordine
del
FAC
»
.
I1
FAC
(
Forward
Air
Command
)
è
l
'
ufficiale
che
da
terra
,
sul
luogo
del
combattimento
,
fornirà
le
indicazioni
per
l
'
individuazione
dei
bersagli
e
darà
,
lui
,
l
'
ordine
di
sgancio
.
O
'
Gorman
dà
altre
indicazioni
tecniche
,
a
lungo
e
minuziosamente
.
«
Occorrono
chiarimenti
?
»
domanda
.
Nessun
chiarimento
.
«
Regolare
gli
orologi
»
conclude
,
«
tra
dieci
secondi
saranno
esattamente
le
tredici
e
cinquantasei
.
Meno
cinque
,
meno
quattro
,
meno
tre
,
meno
due
.
Tredici
e
cinquantasei
.
Agli
apparecchi
.
»
Roderic
Graf
mi
spiega
che
al
momento
dell
'
attacco
voleremo
alla
quota
di
duemilacinquecento
piedi
e
che
picchieremo
per
mille
o
milleduecento
piedi
con
una
inclinazione
che
non
supererà
di
molto
i
quaranta
gradi
.
Le
bombe
potranno
essere
sganciate
,
secondo
l
'
ordine
che
verrà
,
tutte
quante
insieme
o
anche
una
sola
per
picchiata
.
«
Sempre
»
dice
Graf
«
che
durante
il
volo
non
veniamo
dirottati
su
altri
obiettivi
.
Può
capitare
.
»
Stiamo
per
lasciare
la
sala
dei
briefings
,
quand
'
ecco
entrare
un
colonnello
con
scritto
sul
giubbotto
«
Knight
»
,
un
cognome
che
non
dimenticherò
per
un
bel
pezzo
.
Knight
ha
in
mano
una
lattina
di
birra
,
ne
beve
un
sorso
e
dice
,
scandendo
una
parola
ogni
due
o
tre
secondi
:
«
Ho
il
dovere
di
avvertire
i
giornalisti
che
la
situazione
sull
'
obiettivo
si
va
aggravando
.
Poco
fa
alcuni
nostri
apparecchi
sono
stati
colpiti
da
mitragliatrici
antiaeree
Vietcong
»
.
Ho
un
tuffo
al
cuore
.
«
Per
questa
ragione
»
continua
tetro
dopo
essersi
portato
un
'
altra
volta
la
lattina
alla
bocca
«
vorrei
consigliare
loro
di
non
partire
con
questa
missione
ed
attenderne
un
'
altra
che
si
prospetti
meno
pericolosa
,
tra
qualche
ora
.
Io
avverto
,
dicano
loro
se
vogliono
partire
o
rimandare
.
»
«
Parto
»
dice
Schalk
,
«
Parto
»
dice
rauco
Condé
.
Immaginarsi
se
dei
giovani
tedeschi
come
Schalk
e
Condé
potrebbero
rispondere
di
no
.
Immaginarsi
,
sentiti
i
tedeschi
,
cosa
posso
rispondere
io
.
«
Grazie
.
Parto
»
dico
.
La
testa
mi
bolle
.
Paracadute
,
panciotti
,
salvagente
e
caschi
sono
sulla
rastrelliera
dov
'
erano
stati
messi
ieri
con
i
nostri
nomi
.
Firmiamo
,
al
momento
di
ritirarli
,
un
foglio
a
stampa
con
il
quale
esimiamo
tutti
i
governi
passati
,
presenti
e
futuri
degli
USA
,
e
tutti
i
ministeri
e
l
'
aviazione
e
la
marina
e
l
'
esercito
e
chissà
chi
altri
da
qualsiasi
responsabilità
penale
,
civile
,
morale
e
materiale
che
possa
derivare
dal
volo
.
Dentro
un
furgone
,
con
i
piloti
che
scherzano
sulla
convenienza
di
tornare
a
dormire
stasera
in
branda
a
Bien
Hoa
piuttosto
che
non
in
qualche
risaia
piena
di
zanzare
,
arriviamo
ai
limiti
di
una
grandissima
piattaforma
.
Tutt
'
intorno
è
pieno
di
Skyraiders
,
in
parte
con
le
ali
ripiegate
all
'
insù
a
occupare
meno
spazio
.
Sul
cemento
il
calore
è
di
fornace
,
insopportabile
.
Graf
ed
io
scendiamo
a
pochi
passi
dal
nostro
apparecchio
.
È
bianco
argento
come
tutti
gli
altri
,
con
dei
baffi
di
fumo
di
scappamento
lungo
la
corta
e
tozza
fusoliera
.
Le
quattordici
bombe
dirompenti
da
centoventi
chili
l
'
una
sono
già
fissate
sotto
le
ali
,
sette
da
una
parte
e
sette
dall
'
altra
.
Dall
'
ogiva
di
ogni
bomba
parte
,
puntato
in
avanti
,
un
tubo
grosso
poco
più
di
una
canna
da
bicicletta
e
lungo
un
metro
e
mezzo
.
«
I
tubi
»
mi
spiega
Graf
mentre
riempiono
di
benzina
il
serbatoio
supplementare
a
siluro
«
sono
collegati
alle
spolette
.
»
Queste
orrende
bombe
che
vedo
sono
dunque
bombe
adattate
,
bombe
da
risaia
,
o
stagno
,
o
terra
molle
di
fango
.
Senza
tubi
,
queste
bombe
scoppierebbero
dentro
l
'
acqua
o
il
terriccio
,
farebbero
un
cratere
e
pochi
danni
;
con
i
tubi
che
si
conficcano
,
invece
,
le
bombe
scoppiano
in
superficie
o
a
mezzo
metro
da
terra
,
migliaia
di
schegge
per
chiunque
vi
sia
attorno
.
Indosso
panciotto
e
giberne
di
salvataggio
,
salgo
a
bordo
,
m
'
infilo
a
fatica
nello
strettissimo
pozzo
del
mio
seggiolino
.
Holsinger
,
in
piedi
sull
'
ala
,
mi
aiuta
a
indossare
il
paracadute
.
Poi
un
aviere
mi
stringe
inguini
e
spalle
e
vita
con
una
braca
di
canapa
,
un
altro
ancora
mi
mette
un
collare
dal
quale
esce
,
sotto
la
nuca
,
il
cavetto
d
'
acciaio
di
sicurezza
del
paracadute
.
Sono
pronto
.
«
OK
»
dico
a
Graf
congiungendo
pollice
e
indice
.
Il
motore
viene
avviato
,
lo
Skyraider
rulla
.
Salvo
le
braccia
e
le
gambe
dal
ginocchio
in
giù
,
sono
del
tutto
immobilizzato
,
inchiodato
all
'
apparecchio
.
Per
tre
o
quattro
secondi
cerco
e
non
trovo
,
sgomento
,
la
maniglia
di
apertura
del
paracadute
.
Vedo
allora
Graf
sorridere
e
sento
la
sua
voce
rimbombare
dentro
il
mio
casco
:
«
Non
si
preoccupi
.
Se
occorrerà
buttarsi
le
farò
segno
io
,
l
'
aiuterò
»
.
«
Mango
Tree
,
Mango
Tree
»
sento
ancora
dentro
il
casco
.
«
Mango
Tree
»
è
il
nominativo
radio
della
nostra
squadriglia
.
Tutto
motore
,
filiamo
sulla
pista
cento
metri
dietro
l
'
apparecchio
del
comandante
O
'
Gorman
.
Ci
solleviamo
,
nell
'
abitacolo
entra
una
deliziosa
aria
fresca
.
Di
colpo
,
inaspettatamente
,
mi
sento
del
tutto
tranquillo
,
senza
la
più
microscopica
ombra
di
paura
.
Voliamo
in
formazione
di
due
apparecchi
davanti
alla
pari
e
due
dietro
,
un
po
'
più
distanti
tra
loro
.
Quando
gli
Skyraiders
si
avvicinano
,
a
dieci
o
quindici
metri
,
premo
il
bottone
della
cinepresa
.
Poi
metto
una
bobina
nuova
,
dovrà
essere
pronta
per
il
gran
momento
.
Dopo
cinquanta
minuti
arriviamo
nella
zona
degli
obiettivi
e
giriamo
intorno
a
cerchio
volando
sugli
ottomila
piedi
di
quota
.
Sento
la
voce
di
O
'
Gorman
nel
casco
:
«
Sugli
obiettivi
è
in
corso
un
'
azione
di
F-104
.
Aspettare
volando
in
circuito
dietro
di
me
»
.
«
Non
potremo
arrivare
a
sganciare
prima
delle
15.45»
commenta
Graf
.
Sotto
di
noi
,
contro
lo
sfondo
verde
giada
delle
risaie
,
vedo
guizzare
come
se
fosse
raso
terra
la
sagoma
nera
di
un
F-104
,
poi
le
ali
rettangolari
e
bianche
di
due
ricognitori
Mohawks
che
sembrano
immobili
,
poi
tre
o
quattro
elicotteri
che
pare
volino
di
sghimbescio
portati
via
dal
vento
.
Qui
e
là
qualche
fumo
di
esplosione
.
Ora
ci
siamo
allontanati
e
voliamo
in
tondo
su
terra
e
mare
,
facciamo
sei
,
otto
,
dieci
giri
su
paludi
sterminate
e
risaie
verdi
e
la
striscia
color
caffelatte
lungo
la
costa
e
il
mare
di
Cina
azzurro
.
Beviamo
del
tè
da
una
borraccia
,
è
gelato
.
Finalmente
Graf
mi
fa
segno
che
si
va
.
Nel
casco
risuona
una
voce
nuova
,
dolce
e
pastosa
.
È
dell
'
ufficiale
del
IFAC
.
«
Roger
,
sta
bene
»
risponde
più
volte
Graf
.
Filiamo
in
leggera
picchiata
in
direzione
di
un
massiccio
fronte
temporalesco
,
in
fila
indiana
,
come
falchi
.
Davanti
è
lo
Skyraider
di
O
'
Gorman
,
secondo
il
nostro
.
L
'
altimetro
a
orologio
gira
velocissimo
a
rovescio
.
Seimila
piedi
,
cinquemila
,
quattromila
,
tremila
,
duemilacinquecento
,
duemilatrecento
.
Vedo
un
fumo
nero
con
dentro
dei
punti
incandescenti
levarsi
dal
bordo
di
una
risaia
,
vicino
ad
un
gruppo
di
capanne
,
due
delle
quali
ardono
,
e
poco
oltre
,
già
profondo
sotto
di
noi
,
lo
Skyraider
di
O
'
Gorman
guizzare
via
e
poi
stagliarsi
contro
l
'
orizzonte
lontanissimo
.
Noto
che
il
mio
Skyraider
si
piega
sul
fianco
sinistro
,
vedo
la
lancetta
dell
'
indicatore
di
sbandamento
in
posizione
perfettamente
verticale
,
entriamo
per
un
attimo
in
una
nube
,
il
parabrezza
si
riga
di
rapidissimi
rivoli
di
pioggia
.
"
A
questo
sbandamento
resisto
bene
"
penso
compiaciuto
.
Ma
ho
appena
il
tempo
di
pensarlo
che
sento
un
peso
enorme
premermi
sulla
sinistra
,
testa
e
corpo
.
Capisco
che
stiamo
picchiando
,
cerco
di
alzare
la
cinepresa
che
ho
tra
le
ginocchia
.
È
diventata
straordinariamente
greve
,
riesco
a
sollevarla
soltanto
di
due
dita
.
Poi
mi
sento
schiacciare
contro
il
seggiolino
e
vedo
cielo
e
risaie
e
nubi
e
fumo
mescolarmisi
davanti
agli
occhi
come
se
fossi
dentro
un
caleidoscopio
furiosamente
scosso
.
Graf
mi
guarda
,
ora
voliamo
lisci
e
senza
scosse
già
alti
sul
circuito
.
«
OK
»
gli
dico
.
Invece
che
sette
,
i
tubi
delle
bombe
sporgenti
sotto
l
'
ala
sinistra
sono
ora
sei
,
ne
abbiamo
scaricate
due
.
Torniamo
verso
il
fronte
temporalesco
,
verso
i
fumi
che
fiammeggiano
.
Per
impedire
che
succeda
come
al
primo
tuffo
,
pongo
la
cinepresa
sopra
il
cruscotto
,
proprio
vicino
al
plexiglas
,
il
pollice
sul
tasto
.
"
Qualcosa
verrà
pur
fotografato
"
rifletto
.
Durante
la
picchiata
stringo
i
denti
,
le
braccia
tese
nello
sforzo
di
protendere
la
cinepresa
.
Stavolta
vedo
la
destra
inguantata
di
Graf
spostare
la
leva
dello
sgancio
e
tornare
alla
cloche
.
Alla
terza
picchiata
piombiamo
dentro
un
arcobaleno
scintillante
,
la
cabina
si
riempie
di
una
vivida
luce
rosa
azzurra
.
Poi
la
quarta
picchiata
,
poi
la
quinta
,
poi
la
sesta
.
Il
rombo
ed
il
frastuono
sono
tali
che
non
si
sentirebbero
né
raffiche
di
mitraglia
e
forse
nemmeno
cannonate
;
se
si
fosse
colpiti
sarebbe
questione
di
dieci
secondi
o
anche
meno
,
finito
tutto
.
Tra
la
sesta
e
la
settima
picchiata
,
Graf
mi
mostra
con
la
mano
i
resti
di
un
bianco
Mohawk
da
ricognizione
che
bruciano
dentro
un
bosco
sprigionando
un
fumo
giallo
.
Alla
fine
dell
'
ultima
picchiata
vengo
preso
da
una
leggera
nausea
.
«
OK
»
dico
un
po
'
meno
saldo
.
Graf
mi
batte
affettuoso
una
mano
sulla
spalla
.
Siamo
rimasti
sull
'
obiettivo
una
dozzina
di
minuti
.
Rotta
di
ritorno
.
Penso
che
non
ho
visto
né
Vietcong
né
comunque
figure
umane
vicino
o
sotto
i
punti
bombardati
.
«
Nemmeno
io
»
dice
Graf
.
«
Però
è
chiaro
che
sotto
gli
attacchi
si
nascondono
come
possono
,
cercano
di
mimetizzarsi
anche
quelli
che
tirano
con
le
mitragliatrici
contraeree
.
Fino
a
dieci
minuti
prima
del
nostro
sgancio
,
le
mitragliatrici
antiaeree
sparavano
;
sono
stati
gli
F104
a
farle
tacere
,
forse
a
spazzarle
via
.
»
Voliamo
sopra
Saigon
,
ci
abbassiamo
su
Bien
Hoa
.
Quando
atterriamo
sono
le
diciassette
,
il
nostro
volo
è
durato
due
ore
e
cinquanta
minuti
.
Rientrato
a
Saigon
,
la
sera
,
leggo
il
bollettino
della
giornata
.
L
'
operazione
di
Bac
Lieu
è
la
più
importante
tra
quelle
di
domenica
4
luglio
.
«
Il
battaglione
Vietcong
"
Dynamic
"
è
stato
impegnato
a
fondo
da
unità
vietnamite
.
Apparecchi
statunitensi
sono
intervenuti
con
sessantacinque
uscite
...
I
ricognitori
hanno
stimato
in
settanta
le
perdite
Vietcong
...
Un
ricognitore
Mohawk
è
stato
abbattuto
,
il
pilota
è
deceduto
...
La
battaglia
continua
.
»
Il
giorno
dopo
,
lunedì
,
leggo
:
«
Battaglia
continuata
con
intervento
aviazione
,
sono
state
effettuate
ottantuno
uscite
...
Advisors
statunitensi
hanno
oggi
contato
sul
terreno
duecentododici
morti
.
Sono
stati
inoltre
fatti
diciannove
prigionieri
e
catturati
due
mortai
,
una
mitragliatrice
contraerea
,
tre
treppiedi
per
contraerea
,
varie
armi
individuali
.
Le
forze
vietnamite
hanno
avuto
tredici
morti
e
trenta
feriti
.
Due
piloti
statunitensi
di
elicotteri
sono
rimasti
feriti
»
.
StampaQuotidiana ,
Libreville
.
Un
nuovo
Machiavelli
,
oggi
,
certo
abbandonerebbe
la
figura
del
Principe
,
nutrito
di
letture
umanistiche
,
da
Tito
Livio
a
Plutarco
e
a
Tacito
e
disegnerebbe
invece
quella
del
rivoluzionario
moderno
,
assurto
o
no
al
potere
.
Questo
rivoluzionario
,
naturalmente
,
sarebbe
anche
lui
un
uomo
di
cultura
;
ma
la
sua
cultura
non
sarebbe
più
quella
dell
'
umanesimo
rinascimentale
bensì
una
mescolanza
di
ideologia
e
di
scienza
.
Come
Marx
,
come
Lenin
,
come
Trotzki
,
come
Stalin
,
come
Mao
,
il
rivoluzionario
moderno
sarebbe
,
oltre
che
un
uomo
politico
portatore
di
una
determinata
ideologia
,
un
cultore
di
quelle
scienze
che
si
occupano
del
fatto
sociale
.
Frantz
Fanon
,
il
medico
martinicano
creatore
del
"
fanonismo
"
ossia
della
sintesi
più
potente
,
più
complessa
e
più
vasta
elaborata
finora
da
tutti
i
motivi
della
rivoluzione
anticolonialista
nel
Terzo
Mondo
,
non
costituisce
un
'
eccezione
alla
regola
che
oggi
vuole
l
'
uomo
politico
anche
uomo
di
scienza
.
Frantz
Fanon
era
,
infatti
,
un
sociologo
acuto
e
lucido
,
oltre
che
un
uomo
d
'
azione
e
un
poeta
della
palingenesi
del
Terzo
Mondo
.
Ma
quello
che
rende
Fanon
diverso
dagli
altri
rivoluzionari
e
probabilmente
unico
nel
suo
genere
,
è
il
fatto
che
fosse
anche
uno
psichiatra
.
Quanto
a
dire
che
egli
si
interessava
attivamente
non
soltanto
all
'
uomo
come
animale
politico
e
sociale
ma
anche
alla
persona
umana
vista
nella
sua
inconfondibile
e
singolare
interiorità
.
Immaginiamo
un
Marx
che
non
solo
ci
descriva
,
nei
suoi
effetti
sociali
ed
economici
,
il
lavoro
infantile
nelle
fabbriche
inglesi
del
suo
tempo
ma
anche
esamini
i
riflessi
di
questo
lavoro
nell
'
animo
di
una
particolare
bambina
o
di
un
particolare
ragazzo
;
e
avremo
il
senso
preciso
della
situazione
centrale
rispetto
alla
cultura
moderna
di
Frantz
Fanon
ideologo
della
lotta
anticolonialista
e
della
"
negritudine
"
,
personaggio
di
primo
piano
della
rivoluzione
africana
,
medico
psichiatrico
,
scrittore
ormai
classico
.
La
sua
originalità
,
come
sempre
avviene
,
va
soprattutto
ravvisata
nella
sua
capacità
di
conciliare
senza
sopprimerle
le
contraddizioni
estreme
.
Frantz
Fanon
è
fautore
a
oltranza
del
nazionalismo
come
l
'
arma
più
efficace
contro
il
colonialismo
e
il
mezzo
migliore
per
creare
o
recuperare
le
culture
nazionali
;
ma
al
tempo
stesso
sembra
rendersi
conto
che
il
nazionalismo
europeo
è
stato
il
padre
del
colonialismo
e
del
razzismo
e
che
,
invece
di
creare
o
recuperare
le
culture
nazionali
,
il
nazionalismo
,
strumentalizzandole
,
ne
arresta
lo
sviluppo
e
ne
uccide
i
germi
più
fecondi
.
È
sostenitore
del
ricorso
alla
violenza
sistematica
e
spietata
nella
lotta
contro
il
colonialismo
;
ma
al
tempo
stesso
,
ne
I
dannati
della
Terra
,
nel
capitolo
"
Guerra
coloniale
e
disturbi
mentali
"
studia
con
lucidità
e
delicatezza
gli
effetti
distruttivi
di
questa
stessa
violenza
nell
'
intimità
dell
'
animo
umano
(
a
proposito
,
cosa
avrebbe
detto
Fanon
dei
killers
di
Fiumicino
che
si
sono
dichiarati
"
fieri
"
di
aver
bruciato
vivi
trenta
innocenti
,
lui
che
,
tra
i
casi
clinici
della
guerra
totale
in
Algeria
,
include
quello
dei
due
ragazzi
arabi
,
assassini
alienati
e
automatici
di
un
loro
amichetto
francese
?
Avrebbe
riscontrato
in
quella
"
fierezza
"
un
tratto
psicopatico
oppure
l
'
avrebbe
approvata
?
)
.
Infine
egli
odia
le
cosiddette
borghesie
nazionali
africane
(
"
la
fase
borghese
nei
paesi
sottosviluppati
è
una
fase
inutile
"
)
;
ma
al
tempo
stesso
si
palesa
estimatore
della
borghesia
europea
anche
se
colonialista
e
imperialista
(
"
questa
borghesia
dinamica
,
colta
,
laica
è
riuscita
pienamente
nella
sua
impresa
di
accumulazione
del
capitale
e
ha
dato
alla
nazione
un
minimo
di
prosperità
"
)
.
Frantz
Fanon
è
morto
nel
1961
.
L
'
Algeria
,
alla
cui
rivoluzione
ha
partecipato
in
qualità
di
militante
,
la
maggior
parte
delle
colonie
africane
alla
cui
liberazione
ha
contribuito
potentemente
con
la
sua
opera
scritta
,
sono
Stati
indipendenti
.
Ora
,
cosa
direbbe
Frantz
Fanon
oggi
del
Terzo
Mondo
e
in
particolare
dell
'
Africa
nera
come
si
è
venuta
assestando
a
livello
politico
negli
ultimi
anni
?
Nell
'
opera
di
Frantz
Fanon
,
vorrei
distinguere
due
parti
.
La
prima
è
quella
in
cui
Fanon
definisce
la
situazione
del
negro
nel
mondo
creato
dai
bianchi
e
,
conseguentemente
,
incita
gli
africani
alla
violenza
per
distruggere
il
colonialismo
razzista
.
La
seconda
,
che
chiamerei
testamentaria
e
profetica
,
è
quella
in
cui
Fanon
critica
le
nuove
società
africane
e
i
loro
sistemi
politici
e
suggerisce
i
modi
,
"
per
l
'
Europa
,
per
noi
stessi
e
per
l
'
umanità
"
coi
quali
sarà
possibile
"
rinnovarsi
,
sviluppare
un
pensiero
nuovo
,
tentare
di
metter
su
un
uomo
nuovo
"
.
La
prima
parte
contiene
una
requisitoria
folgorante
contro
il
colonialismo
e
il
razzismo
e
va
considerata
fondamentale
per
tutto
quanto
riguarda
il
Terzo
Mondo
:
ma
occorre
dirlo
,
essa
ormai
"
data
"
senza
per
questo
perdere
il
suo
valore
ideologico
e
letterario
,
come
è
proprio
in
genere
dei
classici
,
appunto
perché
ha
determinato
in
maniera
irreversibile
e
definitiva
la
presa
di
coscienza
da
parte
degli
africani
e
degli
europei
nei
riguardi
del
colonialismo
.
Il
quale
,
è
vero
,
è
ancora
attivo
in
Africa
,
ma
appare
,
ormai
,
anche
per
merito
di
Fanon
,
del
tutto
anacronistico
e
svuotato
di
contenuto
.
La
seconda
parte
,
quella
che
ho
chiamato
testamentaria
e
profetica
,
è
e
sarà
invece
per
lungo
tempo
di
attualità
non
soltanto
nel
Terzo
Mondo
.
È
chiaro
infatti
che
quando
Fanon
,
nella
conclusione
dei
Dannati
della
Terra
,
dice
:
"
Cerchiamo
di
inventare
l
'
uomo
totale
che
l
'
Europa
è
stata
incapace
di
far
trionfare
"
egli
si
rivolge
indistintamente
a
tutti
gli
uomini
.
Ma
accanto
a
questa
attualità
,
diciamo
così
,
universale
,
ce
n
'
è
un
'
altra
che
riguarda
direttamente
e
unicamente
la
nuova
Africa
.
Vediamo
adesso
perché
e
in
che
modo
.
Come
ho
già
accennato
,
Frantz
Fanon
è
prima
di
tutto
,
per
le
esigenze
della
lotta
anticolonialista
,
un
nazionalista
convinto
.
Ma
egli
non
crede
alla
possibilità
e
tanto
meno
alla
necessità
di
una
borghesia
nazionale
in
Africa
.
Logicamente
,
quindi
,
Fanon
finisce
per
orientarsi
verso
il
socialismo
cioè
verso
quella
democrazia
"
dal
basso
»
che
si
esprima
nell
'
istituzione
del
partito
unico
,
depositario
dell
'
ideologia
"
progressista
"
(
per
distinguerlo
,
come
si
vedrà
,
dal
partito
unico
"
reazionario
"
)
.
Il
pluripartitismo
di
specie
parlamentare
è
,
infatti
,
inconcepibile
senza
una
borghesia
forte
e
colta
e
abbiamo
già
visto
che
per
Fanon
questa
borghesia
in
Africa
non
è
né
possibile
né
desiderabile
.
Non
c
'
è
dubbio
,
insomma
,
che
se
Fanon
non
fosse
morto
nel
1961
,
avrebbe
accolto
,
pochi
anni
dopo
,
molte
delle
istanze
sociali
e
politiche
della
contestazione
.
Adesso
guardiamo
all
'
Africa
,
oggi
.
Il
fenomeno
politico
che
colpisce
a
prima
vista
è
il
trionfo
del
partito
unico
e
del
suo
indispensabile
complemento
,
quello
cioè
che
Fanon
chiama
il
leader
.
Quasi
dappertutto
,
insomma
,
il
pluripartitismo
parlamentare
,
con
le
sue
appendici
indispensabili
di
libertà
individuali
e
di
diritti
dell
'
uomo
,
è
stato
annullato
da
rivoluzioni
,
colpi
di
Stato
militari
e
no
,
dissoluzioni
delle
opposizioni
.
Forse
nessuno
è
più
idoneo
,
oggi
,
a
spiegarci
i
motivi
,
diciamo
così
,
"
interni
"
di
questa
crisi
del
pluripartitismo
in
Africa
,
di
un
uomo
come
Kenneth
Kaunda
,
attuale
presidente
dello
Zambia
.
Questo
paese
per
dieci
anni
dopo
l
'
indipendenza
è
stato
governato
da
Kaunda
col
sistema
pluripartitico
.
L
'
anno
scorso
,
Kaunda
ha
proclamato
lo
Zambia
paese
a
partito
unico
.
In
una
intervista
a
"
Newsweek
"
,
alla
domanda
di
come
sono
andate
le
elezioni
basate
per
la
prima
volta
sul
partito
unico
,
Kaunda
risponde
con
una
certa
quale
ingenuità
:
"
Sono
state
le
elezioni
più
tranquille
che
abbiamo
mai
avuto
in
questo
paese
.
In
passato
,
tutte
le
volte
che
scioglievo
il
parlamento
,
letteralmente
mi
aspettavo
la
morte
di
molti
dei
miei
concittadini
.
La
burocrazia
,
l
'
esercito
,
la
polizia
,
tutte
le
istituzioni
della
nazione
erano
spaccate
dalle
linee
politiche
dei
partiti
.
D
'
altronde
questi
partiti
erano
a
loro
volta
basati
sulle
tribù
e
così
,
qualsiasi
cosa
si
facesse
,
portava
alla
divisione
.
"
A
questo
quadro
desolante
degli
effetti
del
pluripartitismo
,
il
giornalista
americano
fa
seguire
la
logica
domanda
:
"
Ma
il
partito
unico
può
realmente
essere
democratico
?
"
.
Al
che
Kaunda
risponde
:
"
In
Occidente
,
quando
si
parla
di
partito
unico
,
i
più
pensano
immediatamente
a
tirannie
,
repressioni
,
dittature
...
Io
non
accetto
questo
punto
di
vista
.
Noi
abbiamo
tentato
il
pluripartitismo
qui
nello
Zambia
.
Sinceramente
,
abbiamo
cercato
di
farlo
funzionare
.
Ma
ci
siamo
trovati
sommersi
dai
risentimenti
tribali
,
religiosi
,
razziali
e
così
via
.
Questo
sistema
qui
non
funziona
;
avrebbe
distrutto
la
nazione
...
allora
alla
fine
abbiamo
deciso
di
creare
un
sistema
nuovo
"
.
Non
c
'
è
molto
da
aggiungere
a
queste
parole
così
illuminanti
sulla
crisi
del
pluripartitismo
e
sul
passaggio
alla
"
democrazia
"
del
partito
unico
.
Naturalmente
il
carattere
politico
e
sociale
di
questi
partiti
unici
varia
grandemente
.
Una
prima
suddivisione
sarebbe
quella
tra
partiti
unici
legati
alle
borghesie
nazionali
e
partiti
unici
socialisti
dalle
varie
sfumature
,
dal
"
socialismo
africano
"
al
marxismo
di
stretta
osservanza
.
Una
seconda
,
quella
tra
leaders
militari
e
leaders
civili
.
Una
terza
potrebbe
essere
basata
sulle
tendenze
politiche
di
questi
leaders
:
vi
sono
militari
che
si
proclamano
socialisti
,
e
civili
che
si
appoggiano
alle
borghesie
nazionali
,
e
viceversa
.
Ma
c
'
è
un
tratto
comune
che
sovrasta
a
tutte
queste
differenze
;
ed
è
la
personalizzazione
del
potere
o
,
se
si
preferisce
,
il
culto
della
personalità
.
Quest
'
ultima
definizione
è
diventata
ormai
un
luogo
comune
il
cui
significato
,
appunto
perché
ovvio
,
quasi
sfugge
all
'
attenzione
.
Ma
in
Africa
il
culto
della
personalità
è
proprio
il
culto
della
personalità
,
né
più
né
meno
.
Nei
nuovi
Stati
africani
tutto
sembra
contribuire
al
culto
della
personalità
:
la
dittatura
del
proletariato
come
la
dittatura
militare
,
il
partito
unico
socialista
come
il
partito
unico
borghese
nazionale
,
il
centralismo
urbano
e
industriale
come
il
decentramento
tribale
e
contadino
.
Ciò
che
si
vede
,
nella
sua
ingenuità
e
autenticità
,
ha
un
valore
altrettanto
probante
di
ciò
che
si
potrebbe
scoprire
con
indagine
approfondita
.
Per
esempio
i
perizomi
vivaci
in
cui
si
avvolgono
le
donne
africane
,
dovunque
e
coi
più
diversi
partiti
unici
,
mostrano
spesso
sul
dorso
e
sul
ventre
il
ritratto
in
grandezza
naturale
del
leader
con
il
titolo
che
gli
compete
(
quasi
sempre
"
presidente
"
,
in
alcuni
casi
"
presidente
a
vita
"
)
circondato
di
slogan
e
motti
di
propaganda
.
D
'
altra
parte
,
bisognerebbe
essere
ciechi
e
sordi
per
non
accorgersi
,
viaggiando
in
Africa
,
dell
'
atmosfera
di
timore
reverenziale
,
di
devozione
intransigente
,
di
rispetto
protocollare
che
circonda
la
personalità
del
leader
,
nonché
dei
modi
più
o
meno
autoritari
del
suo
predominio
.
Accanto
a
questi
caratteri
che
si
possono
ancora
chiamare
positivi
,
ve
ne
sono
altri
che
difficilmente
potrebbero
essere
considerati
tali
.
Il
culto
della
personalità
,
come
abbiamo
visto
,
si
basa
sul
partito
unico
,
e
dunque
sulla
assenza
dei
partiti
di
opposizione
.
Da
questo
,
all
'
intolleranza
verso
gli
oppositori
esterni
e
interni
,
il
passo
non
è
lungo
.
È
un
fatto
accertato
che
in
alcuni
Stati
africani
retti
a
partito
unico
,
secondo
l
'
ultimo
rapporto
dell
'
Amnesty
International
molti
oppositori
di
varie
tendenze
politiche
si
trovano
in
carcere
senz
'
altro
motivo
che
il
loro
dissenso
dal
leader
.
L
'
imprigionamento
degli
oppositori
dimostra
,
secondo
me
,
più
di
qualsiasi
acritico
fanatismo
popolare
,
il
prevalere
del
culto
della
personalità
.
Allo
stesso
modo
che
l
'
esistenza
legale
di
un
'
opposizione
è
l
'
indizio
più
sicuro
di
segno
contrario
.
Insomma
,
il
leader
africano
militare
o
civile
,
borghese
-
nazionale
o
socialista
-
si
ammanta
spesso
di
un
potere
che
bisogna
pur
chiamare
carismatico
.
Al
carattere
sacrale
del
potere
politico
contribuisce
probabilmente
anche
la
particolare
religiosità
delle
masse
.
Le
religioni
,
tutte
le
religioni
,
sia
quelle
autoctone
e
tribali
sia
quelle
a
sfondo
universalistico
,
non
sembrano
spesso
avere
in
Africa
limiti
sociali
e
psicologici
precisi
.
Come
i
grandi
fiumi
africani
che
alla
stagione
delle
piogge
escono
dai
loro
alvei
e
inondano
immensi
territori
,
la
religiosità
africana
,
pur
di
fronte
a
novità
sconvolgenti
come
il
socialismo
e
il
nazionalismo
,
non
tanto
scompare
quanto
trapassa
dalle
vecchie
alle
nuove
istituzioni
tutte
sommergendole
nella
sua
irresistibile
onda
mitica
.
Il
leader
africano
prim
'
ancora
che
un
militare
o
un
civile
,
che
un
borghese
nazionale
o
un
socialista
,
è
spesso
un
padre
spirituale
,
una
guida
morale
,
un
maestro
di
saggezza
,
un
capo
religioso
,
un
tutore
ideologico
,
un
messia
politico
.
I
leaders
si
chiamano
"
Osagyefo
"
(
redentore
)
e
"
Mwalimu
"
(
maestro
)
;
parlano
di
"
Ujamaa
"
(
spirito
della
famiglia
)
e
di
"
Harambee
"
(
cooperazione
)
oppure
informano
il
partito
ad
"
un
umanismo
cristiano
"
affinché
"
il
servizio
incondizionato
dei
nostri
compagni
sia
la
più
pura
forma
del
servizio
di
Dio
"
.
Sugli
autobus
in
gran
parte
dell
'
Africa
nera
,
al
di
sopra
della
scritta
che
ne
indica
il
percorso
,
si
leggono
frasi
edificanti
di
questo
genere
:
"
Dio
è
la
mia
guida
"
;
"
L
'
onestà
è
il
migliore
sistema
"
;
"
Con
Dio
mi
sento
sicuro
"
;
"
Onora
tuo
padre
e
tua
madre
"
,
ecc.
ecc.
L
'
idea
soggiacente
al
potere
carismatico
sembra
essere
che
la
società
è
tutta
una
grande
famiglia
affettuosa
in
cui
si
viene
istruiti
,
educati
,
assistiti
,
guidati
e
,
alla
fine
,
premiati
o
puniti
.
Naturalmente
tutto
questo
non
impedisce
al
potere
di
essere
il
potere
,
alla
politica
di
essere
la
politica
,
alle
classi
di
essere
le
classi
.
Si
tratta
,
insomma
,
soprattutto
di
una
questione
di
linguaggio
connessa
a
sua
volta
con
la
civiltà
contadina
che
è
propria
di
tutto
il
Terzo
Mondo
ma
che
in
Africa
ha
caratteri
originali
diversi
dall
'
Asia
e
dall
'
America
Latina
.
D
'
altra
parte
bisogna
avvertire
che
il
carisma
non
impedisce
affatto
una
consapevolezza
del
tutto
realistica
dei
limiti
e
dei
lati
negativi
sia
del
leader
che
del
sistema
a
partito
unico
.
Ma
la
personalizzazione
del
potere
sembra
essere
alla
fine
la
condizione
essenziale
affinché
il
carisma
si
verifichi
.
StampaQuotidiana ,
Costantinopoli
,
aprile
.
La
Conferenza
orientale
ricomincia
il
suo
lavoro
delle
Danaidi
,
che
è
,
in
lingua
povera
,
il
prestar
l
'
acqua
nel
mortaio
.
Tant
'
è
,
ben
provvede
l
'
Intesa
alla
propria
dignità
presentandovisi
con
figure
di
secondo
piano
:
non
Garroni
,
ma
Montagna
,
non
Curzon
,
ma
Campbell
,
non
Bompard
,
ma
Pellé
.
Ed
è
significante
;
ma
più
significante
il
«
messaggio
»
di
Riza
Nur
,
secondo
delegato
turco
,
violino
di
spalla
,
a
Ismet
Pascià
,
il
qual
Riza
Nur
,
in
un
'
intervista
al
giornale
«
Vakid
»
si
esprime
in
sostanza
così
:
«
L
'
Unione
e
Progresso
,
l
'
eterno
prevaricatore
,
è
in
amorosa
stretta
col
capitale
europeo
;
noi
invece
,
noi
d
'
Angora
la
Santa
,
noi
gl
'
invitti
e
i
puri
,
noi
,
vero
popolo
turco
,
nulla
vogliamo
di
comune
con
codesto
partito
europeizzante
di
corruttori
e
di
corrotti
»
.
Il
«
grido
dell
'
anima
»
di
Riza
Nur
va
rilevato
e
pesato
a
giuste
bilance
.
Già
è
l
'
epifonema
della
missione
Giambullat
.
Chi
dice
Giambullat
Ismail
Bey
,
dice
Giavid
,
Kara
Kemal
,
Giaid
,
Faik
Nuscet
e
tutto
l
'
«
Unione
e
Progresso
»
.
Questo
partito
è
ancora
una
formidabile
organizzazione
d
'
uomini
abili
,
intelligenti
,
capaci
e
,
a
prova
,
la
sua
recente
vittoria
nelle
elezioni
municipali
di
Costantinopoli
,
e
,
vi
si
può
contare
certamente
,
quella
prossima
futura
delle
elezioni
politiche
in
tutta
la
Turchia
europea
.
Mustafa
Kemal
,
già
«
unionista
»
al
tempo
della
prima
rivoluzione
,
quando
,
tenentino
,
serviva
da
ufficiale
di
scorta
a
una
delle
più
forti
teste
del
partito
,
non
può
ignorare
qual
conto
debba
farsi
di
un
'
organizzazione
che
dispone
della
testa
stessa
della
nazione
ed
è
l
'
unica
adatta
a
intendersi
eventualmente
con
l
'
Europa
.
Il
Gazi
,
veramente
,
non
aveva
mai
perduto
i
contatti
col
suo
partito
della
prima
ora
e
gli
fu
agevole
provocare
la
missione
Giambullat
.
Giambullat
,
dunque
,
indettatosi
uno
di
questi
giorni
coi
suoi
buoni
amici
di
Cospoli
e
assestati
gli
occhiali
sulla
simpatica
faccia
,
è
partito
sorridendo
per
Angora
.
Qui
la
vita
del
Gazi
è
tutt
'
altro
che
lieta
;
difficile
anzi
il
suo
stato
e
non
senza
pericolo
.
Circonfuso
del
nimbo
di
una
vittoria
strepitosa
,
di
cui
niuno
più
di
lui
è
giudice
di
merito
,
ben
cerca
di
tenersi
alto
e
come
librato
al
di
sopra
delle
competizioni
violente
dei
partiti
;
alto
,
che
non
senta
le
fucilate
dei
disertori
alla
macchia
o
i
pianti
dei
contadini
immiseriti
dalle
requisizioni
continue
;
alto
,
per
tentare
di
svincolarsi
dai
tentacoli
moscoviti
(
oh
,
misteri
profondi
della
scomparsa
di
Enver
!
)
;
alto
per
dominare
il
caos
.
Ma
le
grazie
incomparabili
di
Latifé
Hanun
(
come
chi
dicesse
la
signora
Latifé
,
la
signora
Amabile
,
semplicemente
)
,
non
valgono
a
celargli
la
vista
dal
sangue
.
Si
sgozzano
accanto
a
lui
,
gli
insozzano
il
talamo
.
Ecco
Sciukry
Bey
,
uno
che
tenta
di
fargli
opposizione
.
Ebbene
,
Osman
Agà
,
amico
zelante
del
Gazi
,
lo
ammazza
come
un
cane
;
ma
i
gendarmi
del
Governo
,
i
gendarmi
del
Gazi
stesso
,
più
o
meno
,
assediano
Osman
in
casa
e
lo
accoppano
a
sua
volta
.
Come
mai
,
se
è
amico
del
Gazi
?
Non
importa
,
il
Gazi
stesso
non
sarà
per
provarne
troppa
pena
.
E
intanto
il
monosillabico
Giambullat
se
ne
va
a
trovare
il
Gazi
ad
Angora
,
ove
proprio
di
questi
giorni
divino
simbolismo
delle
umane
cose
!
la
cupola
del
tempio
onde
Augusto
annunziò
or
è
duemila
anni
al
mondo
la
pace
in
terra
,
si
è
sprofondata
.
Che
cosa
si
siano
detti
i
due
vecchi
auguri
non
è
precisamente
noto
;
ma
si
sa
che
non
si
sono
accordati
.
E
non
era
possibile
,
che
non
esiste
terreno
d
'
intesa
fra
Unionismo
e
Dittatura
,
poi
che
voler
cumulati
in
un
'
assemblea
legislativa
tutti
i
poteri
,
l
'
esecutivo
compreso
,
è
un
mirare
coscientemente
alla
Dittatura
,
traverso
il
caos
.
Giambullat
,
ai
propositi
del
Gazi
,
deve
aver
risposto
sorridendo
del
più
equivoco
dei
suoi
sorrisi
egli
che
è
stato
prefetto
di
polizia
,
e
,
raggiustati
gli
occhiali
sul
naso
,
è
tornato
a
Costantinopoli
:
«
Rien
à
faire
»
!
E
torniamo
finalmente
a
Riza
Nur
,
il
quale
giusta
le
benemerenze
del
suo
riverito
nome
(
«
Nur
»
vuol
dire
«
luce
»
)
ci
illumina
sufficientemente
per
riconoscere
perfettamente
la
situazione
.
Il
suo
squillo
di
tromba
contro
l
'
«
Unione
e
Progresso
»
è
in
sostanza
diretto
verso
l
'
Europa
(
Lausanne
lo
proverà
ancora
una
volta
)
ed
ha
,
chi
ben
intenda
,
accento
moscovita
,
là
dove
esalta
quel
povero
popolo
turco
,
che
sa
,
è
vero
,
battersi
e
morire
,
ma
preferirebbe
vivere
e
prosperare
;
ma
più
ancora
quando
fulmina
il
capitalismo
europeo
nei
suoi
amoreggiatori
di
Costantinopoli
.
Conclusione
:
Angora
è
con
Mosca
e
contro
l
'
Intesa
.
Non
è
sede
questa
giudicare
qual
parte
di
torto
ha
l
'
Intesa
se
si
è
giunti
a
questo
;
ma
se
i
Turchi
leggessero
ancora
il
Corano
,
caduto
in
disuso
,
si
vorrebbe
indicar
loro
la
bellissima
«
sura
»
che
parla
della
tentazione
orando
,
a
deprecarla
,
quasi
a
modo
di
paternostro
,
dov
'
è
detto
:
non
ci
indurre
a
tentazione
!
ché
è
tentazione
,
badino
,
lo
bonomia
inglese
nell
'
abbandono
della
polizia
di
Cospoli
;
tentazione
parziale
e
discreto
allontanamento
della
flotta
;
tentazione
quel
lasciar
passare
,
quel
lasciar
correre
,
onde
s
'
informa
ora
la
politica
e
la
diplomatica
inglese
nell
'
Oriente
Turco
.
Male
affiderebbero
un
popolo
meditativo
e
veramente
intelligente
certe
arie
di
viola
mammola
modesta
e
schiva
!
Ma
Angora
s
'
illude
che
l
'
Europa
è
veramente
e
definitivamente
impegnata
in
Europa
e
nulla
può
quindi
imprendere
in
Oriente
.
Noi
osserviamo
però
che
,
se
anche
la
Francia
«
s
'
enfonce
»
in
Germania
il
che
potrebbe
anche
non
avvenire
vi
è
pur
chi
ha
le
mani
libere
e
lunghe
e
pronte
a
ghermire
.
E
osserviamo
che
se
i
Turchi
,
ricondotti
ai
campi
materni
dell
'
Asia
e
riabbeverati
alle
mammelle
dell
'
antica
nutrice
di
lor
schiatta
,
vi
han
riscosso
virtù
da
scacciare
gli
invasori
,
ben
può
il
fenomeno
riprodursi
sui
campi
di
Tracia
,
ma
per
altra
gente
e
a
lor
danno
.
I
Greci
sono
in
armi
sulla
Maritza
rovinati
e
disperati
;
Mosca
è
lontana
,
ma
Londra
è
vicina
e
la
moschea
non
è
con
Angora
,
né
il
Halifa
,
né
il
popolo
anatolico
è
tutto
per
Angora
,
né
tutto
l
'
esercito
;
né
è
senza
esempio
nel
mondo
,
e
più
in
Turchia
,
l
'
attingere
il
sommo
fastigio
e
...
perire
.
StampaQuotidiana ,
Belluno
-
Arrivare
ad
Erto
di
notte
in
questo
periodo
dell
'
anno
,
col
vento
che
soffia
e
la
luna
-
come
quella
sera
-
che
illumina
l
'
immobile
paesaggio
della
frana
del
Toc
,
serpeggiato
da
stradine
tracciate
sulla
sabbia
,
fa
l
'
impressione
di
entrare
in
un
mondo
di
fantasmi
,
le
cui
porte
si
aprono
all
'
altezza
della
diga
del
Vajont
.
O
forse
ancora
prima
,
a
Fortogna
,
sulla
strada
di
Alemagna
.
La
vallata
del
Vajont
non
è
cambiata
dalla
notte
della
tragedia
.
È
stato
detto
ormai
tante
volte
,
ma
bisogna
ripeterlo
,
gridarlo
,
perché
chi
porta
la
responsabilità
del
«
dopo
»
non
si
lamenti
se
qualcosa
succede
da
queste
parti
,
in
questo
villaggio
di
fronte
al
Toc
,
dove
104
famiglie
,
oltre
300
persone
,
vivono
ormai
da
anni
un
ritorno
al
paese
che
ha
il
significato
della
protesta
.
Un
ritorno
che
è
stato
amaro
,
ma
assai
meno
umiliante
della
carità
di
un
affitto
in
casa
altrui
,
a
Cimolais
o
Claut
,
quando
una
casa
propria
esisteva
nel
vecchio
villaggio
,
disabitata
e
in
preda
di
topi
.
Trecento
persone
che
non
hanno
creduto
e
non
credono
alle
promesse
di
ministri
e
di
«
autorità
responsabili
»
.
Alla
luce
della
realtà
esistente
,
quelli
che
allora
sono
ritornati
ad
Erto
contro
la
legge
che
li
aveva
scacciati
,
e
che
ci
vivono
tuttora
in
un
isolamento
che
soltanto
una
testarda
volontà
può
sopportare
,
dimostrano
polemicamente
di
aver
avuto
ragione
sul
futuro
della
comunità
.
Non
è
sorto
niente
,
infatti
,
in
nessun
luogo
,
che
possa
dare
adito
a
speranze
,
che
tanti
ertani
del
resto
credevano
realizzabili
a
Maniago
,
per
esempio
.
Non
è
sorta
ancora
nessuna
casa
,
tranne
le
fondamenta
della
solita
fatidica
prima
pietra
in
quella
landa
,
espropriata
per
pochi
soldi
ai
contadini
locali
per
essere
trasformata
nel
nuovo
paese
di
Erto
a
valle
.
L
'
Erto
a
monte
,
a
quota
830
,
per
quelli
che
avevano
scelto
di
rimanere
nella
valle
del
Vajont
,
è
anch
'
esso
una
speranza
ormai
abbandonata
da
chi
ci
credeva
.
Sostenere
ancora
queste
illusioni
è
lecito
?
È
possibile
,
è
giusto
-
la
domanda
è
da
porsi
-
alimentare
speranze
che
dopo
tre
anni
e
mezzo
sono
ancora
soltanto
segni
sulla
carta
?
E
differentemente
,
come
pensa
il
Governo
di
sistemare
la
comunità
?
*
*
*
Lo
Stato
ha
speso
per
gli
ertani
,
dal
9
ottobre
1963
ad
oggi
,
oltre
tre
miliardi
di
sussidi
.
Di
lavoro
sul
posto
non
ce
n
'
è
;
andare
all
'
estero
significa
abbandonare
la
cura
di
interessi
familiari
,
una
necessità
creata
dalla
tragedia
e
che
nessuno
ha
ancora
risolto
.
È
più
facile
,
oltretutto
,
scegliere
la
via
sulla
quali
li
ha
istradati
il
governo
:
sussidio
a
tempo
indeterminato
.
È
un
risultato
voluto
dai
governanti
.
Con
tre
miliardi
si
poteva
ricostruire
,
o
quasi
,
un
piccolo
paese
come
Erto
.
Allora
,
per
quale
determinazione
,
per
quale
assurdo
disegno
si
è
preferito
disgregare
una
comunità
,
mettere
i
suoi
abitanti
gli
uni
contro
gli
altri
,
perseguitare
chi
non
crede
più
alle
promesse
,
in
definitiva
creare
dei
ribelli
al
posto
degli
uomini
che
un
tempo
coltivavano
questa
valle
con
pazienza
e
sacrificio
?
*
*
*
All
'
imbocco
del
paese
di
Erto
,
all
'
altezza
del
cimitero
,
c
'
è
un
cartello
che
vieta
il
transito
causa
il
terreno
franoso
.
Il
divieto
dura
fino
alla
piazzetta
,
che
un
tempo
non
aveva
nome
essendo
l
'
unica
piazza
del
paese
che
dopo
il
Vajont
è
stata
intitolata
«9
ottobre
»
.
Tra
la
piazza
e
il
cimitero
le
case
sono
abitate
.
Sulla
strada
è
vietato
passare
,
ma
non
è
vietato
agli
ertani
abitare
in
quella
zona
dove
si
asserisce
esservi
pericolo
.
Non
è
vietato
celebrare
le
funzioni
religiose
nella
chiesa
-
il
prete
arriva
una
volta
ogni
tanto
-
situata
dentro
il
perimetro
franoso
.
Ricercare
una
logica
negli
avvenimenti
del
Vajont
,
di
prima
,
di
dopo
,
di
adesso
,
è
come
ricercare
un
ago
in
un
pagliaio
.
Nei
giorni
prima
della
tragedia
si
era
imposto
agli
ertani
di
sfollare
le
bestie
della
zona
del
Toc
,
ma
non
la
gente
.
Adesso
si
fa
altrettanto
,
si
blocca
la
strada
,
ma
ci
si
può
abitare
sopra
.
Qualche
ertano
ride
amaramente
,
qualche
altro
si
infuria
.
Ben
presto
il
cartello
scompare
.
Arrivano
i
carabinieri
e
vanno
difilati
da
un
membro
del
comitato
locale
,
che
per
non
avere
peli
sulla
lingua
è
considerato
il
più
«
sovversivo
»
di
tutti
.
Lo
tirano
fuori
di
casa
e
gli
chiedono
:
«
Chi
è
stato
ad
asportare
il
cartello
?
»
.
E
lui
risponde
rivolgendo
alla
forza
pubblica
un
'
altra
domanda
:
«
Chi
è
stato
ad
ammazzarmi
la
famiglia
?
»
.
Malgrado
la
vita
da
primitivi
che
sono
costretti
a
fare
,
questi
ertani
serbano
ancora
una
logica
invidiabile
.
Chi
è
stato
,
infatti
,
a
provocare
la
tragedia
?
Ancora
ufficialmente
non
si
sa
.
Ogni
piccola
cosa
che
succede
,
anche
la
rivendicazione
di
un
diritto
normale
da
parte
di
coloro
che
abitano
il
vecchio
paese
,
è
vista
come
una
sollevazione
.
Gli
ertani
sono
pedinati
se
escono
dal
paese
,
se
vanno
in
montagna
,
se
si
riuniscono
;
sorvegliati
come
confinati
.
E
confinati
lo
sono
,
anche
se
volontari
.
La
sensibilità
delle
autorità
non
arriva
a
comprendere
lo
stato
d
'
animo
,
la
psicologia
che
si
è
creata
in
questa
gente
,
distrutta
,
rovinata
,
prima
dal
monopolio
elettrico
,
poi
dall
'
incapacità
dei
pubblici
poteri
.
Per
ogni
cosa
che
accade
,
gli
ertani
sono
chiamati
a
Cimolais
dai
carabinieri
.
Frasi
come
:
«
Questa
volta
ti
sbatto
dentro
»
sono
all
'
ordine
del
giorno
.
«
Siamo
trattati
come
delinquenti
,
dopo
che
ci
hanno
ridotti
in
questo
stato
.
La
colpa
è
ancora
nostra
,
capisci
?
»
.
*
*
*
Quella
sera
era
il
venerdì
santo
.
Un
tempo
,
per
tradizione
popolare
,
veniva
realizzata
una
bellissima
passione
di
Cristo
.
Quest
'
anno
la
tradizione
non
è
stata
rispettata
,
e
sarebbe
stata
una
notte
adatta
,
col
vento
che
ululava
nella
valle
sotto
lo
splendore
di
una
luna
che
illuminava
la
parete
bianca
del
Toc
,
la
sua
enorme
ferita
lasciata
dalla
montagna
precipitata
dentro
il
lago
.
In
chiesa
si
celebrava
la
funzione
religiosa
,
ma
l
'
unica
osteria
del
paese
era
piena
di
gente
e
parlare
di
qualcosa
che
avesse
attinenza
con
i
problemi
del
Vajont
era
come
accendere
una
miccia
.
Perciò
uscimmo
con
un
gruppo
,
che
poi
s
'
ingrossò
dentro
l
'
abitazione
di
uno
di
quei
«
desperes
»
.
Disperati
di
tutto
e
per
tutto
.
Si
parlò
a
lungo
,
di
case
,
di
persone
,
della
politica
.
Un
ex
socialista
ci
disse
:
«
Qui
hanno
restituito
140
tessere
del
PSU
per
protesta
.
I
socialisti
sono
al
governo
e
ci
lasciano
in
queste
condizioni
»
.
«
Ma
cosa
avete
intenzione
di
fare
per
smuovere
le
acque
stantie
dell
'
indifferenza
o
quanto
meno
della
lentezza
con
cui
si
affrontano
i
vostri
problemi
?
»
.
Ormai
gli
ertani
sono
diventati
sospettosi
di
tutti
,
stentano
ad
esprimere
le
loro
intenzioni
per
paura
che
qualcuno
faccia
la
spia
alle
autorità
o
al
sindaco
,
che
non
va
mai
a
visitarli
ad
Erto
.
«
Stai
pur
sicura
che
qualcosa
faremo
,
ormai
ci
hanno
preso
in
giro
fin
troppo
»
.
Ma
non
dicono
cosa
.
Anche
questi
misteri
sono
perfettamente
intonati
all
'
ambiente
.
Sulla
strada
del
ritorno
,
caracollando
con
la
macchina
sopra
la
frana
del
Toc
-
un
gran
canyon
che
attraversa
la
valle
del
Vajont
per
diversi
chilometri
-
ci
sembrava
di
essere
stati
dentro
un
incubo
assurdo
,
come
nei
sogni
.
Soltanto
che
dai
sogni
ci
si
risveglia
rallegrandoci
di
riaffiorare
in
una
diversa
realtà
.
Quelli
di
Erto
il
loro
incubo
lo
vivono
da
tre
anni
e
passa
,
e
se
da
esso
non
li
si
fa
uscire
presto
,
rischiano
di
non
essere
più
recuperabili
per
una
vita
diversa
StampaQuotidiana ,
Gustavo
Adolfo
Rol
(
1903-1994
)
-
considerato
da
molti
parapsicologi
il
più
grande
sensitivo
del
Novecento
.
-
continua
a
far
discutere
da
morto
come
avveniva
quando
era
vivo
.
Sul
Corriere
della
Sera
del
12
marzo
2000
lo
scrittore
Alberto
Bevilacqua
ha
tratto
spunto
dall
'
uscita
di
un
volume
di
scritti
di
Rol
curato
da
Caterina
Ferrari
per
prendersela
con
le
"
squallide
denigrazioni
"
di
certi
"
signori
"
-
tra
cui
un
"
noto
divulgatore
"
(
con
ogni
evidenza
Piero
Angela
,
che
lo
scrittore
però
non
nomina
)
-
i
quali
,
chiusi
in
uno
scetticismo
miope
,
avrebbero
attaccato
e
umiliato
Rol
.
L
'
argomento
non
è
semplice
come
può
sembrare
.
I
fenomeni
paranormali
di
Rol
hanno
affascinato
intere
generazioni
,
hanno
commosso
e
stupito
molti
grandi
del
mondo
,
ed
è
difficile
credere
che
si
sia
trattato
sempre
e
soltanto
di
mistificazioni
.
I
molti
che
lo
hanno
conosciuto
bene
portano
con
sé
il
ricordo
di
un
uomo
onesto
,
disinteressato
,
che
non
ha
mai
chiesto
denaro
,
anzi
ha
contribuito
generosamente
del
suo
alle
cause
benefiche
che
gli
stavano
a
cuore
.
Gran
signore
,
Rol
si
è
mantenuto
ai
margini
della
ricerca
parapsicologica
accademica
,
così
che
oggi
non
abbiamo
studi
scientifici
su
Rol
sul
tipo
di
quelli
condotti
all
'
Università
della
California
e
altrove
su
altri
sensitivi
del
ventesimo
secolo
.
Leggendo
l
'
introduzione
di
Giuditta
Dembech
agli
Scritti
per
Alda
-
una
raccolta
di
testi
di
Rol
indirizzati
a
una
misteriosa
donna
amata
-
si
ha
l
'
impressione
che
il
mancato
incontro
tra
Rol
e
la
parapsicologia
universitaria
non
sia
dipeso
soltanto
dal
sensitivo
torinese
.
Secondo
la
Dembech
,
quando
Rol
chiese
al
fisico
Tullio
Regge
che
gli
venisse
affiancato
un
ricercatore
,
ne
ebbe
in
cambio
l
'
invito
a
sottomettersi
ai
controlli
di
un
illusionista
.
Più
tardi
,
un
"
giovane
ricercatore
dell
'
Università
di
Torino
"
,
che
aveva
cominciato
a
interessarsi
a
Rol
,
avrebbe
ricevuto
dai
suoi
superiori
universitari
il
consiglio
di
non
continuare
la
ricerca
.
Certo
,
però
,
Rol
preferiva
vivere
nella
discrezione
,
e
per
altri
sensitivi
la
strada
della
collaborazione
con
la
ricerca
scientifica
è
stata
pubblica
,
faticosa
e
spesso
anche
umiliante
.
Così
,
la
possibilità
di
"
risolvere
"
il
mistero
di
Rol
è
morta
con
lui
.
Né
coloro
che
credono
dogmaticamente
a
tutto
quanto
riferiscono
i
suoi
sostenitori
,
né
gli
scettici
di
professione
-
che
,
non
meno
dogmaticamente
,
considerano
a
priori
qualunque
fenomeno
paranormale
come
illusorio
o
fasullo
-
possono
oggi
veramente
pensare
di
"
provare
"
all
'
altra
parte
di
avere
ragione
.
Rol
era
infastidito
da
coloro
che
si
interessavano
esclusivamente
ai
suoi
"
fenomeni
"
.
Nel
1975
scriveva
:
"
Dopo
tanto
tempo
non
ho
costruito
nulla
in
voi
;
ho
soltanto
colmato
molte
ore
della
vostra
noia
,
vi
ho
dato
spettacolo
(...)
Almeno
un
piccolo
tentativo
avreste
pur
potuto
farlo
,
quello
di
muovervi
verso
di
me
o
almeno
verso
le
cose
altissime
che
mostro
a
voi
ciechi
,
egoisti
,
indifferenti
a
quel
che
succede
"
.
Ma
quali
erano
le
"
cose
altissime
"
che
Rol
"
mostrava
"
?
Spesso
amava
dire
che
il
suo
insegnamento
sarebbe
stato
reso
noto
soltanto
dopo
la
morte
,
ed
è
in
effetti
in
questi
anni
che
documenti
inediti
cominciano
ad
affiorare
,
anche
se
molto
resta
ancora
da
pubblicare
.
Rol
si
diceva
credente
e
praticante
,
e
certamente
tra
i
suoi
ammiratori
si
annoverano
molti
cattolici
(
alcuni
dei
quali
noti
e
illustri
)
.
Quello
che
si
sa
delle
sue
idee
lascia
però
molte
perplessità
.
Trascuriamo
pure
il
suo
atteggiamento
nei
confronti
dell
'
amore
e
del
matrimonio
-
che
prevedeva
"
matrimoni
celesti
"
,
ma
non
puramente
platonici
,
in
presenza
di
legami
matrimoniali
preesistenti
e
del
tutto
validi
-
che
potrebbe
attenere
al
semplice
privato
di
Rol
.
Si
potrebbe
anche
considerare
non
decisivo
l
'
atteggiamento
sulla
reincarnazione
,
perché
-
scrive
Giuditta
Dembech
-
"
a
volte
l
'
accettava
completamente
,
lanciandosi
a
raccontare
episodi
che
ci
stupivano
sull
'
uno
o
sull
'
altro
personaggio
storico
,
o
addirittura
sui
presenti
...
A
volte
invece
accampava
forti
riserve
,
modificando
o
contraddicendo
quanto
aveva
affermato
in
precedenza
.
Altre
ancora
pareva
respingerla
apertamente
"
.
Sembrerebbe
dunque
che
non
si
possa
ascrivere
con
certezza
Rol
al
campo
oggi
vasto
dei
reincarnazionisti
,
anche
se
molti
ammiratori
lo
considerano
la
reincarnazione
di
Carlo
Magno
e
di
Napoleone
,
e
se
la
Dembech
ritiene
che
"
(
)
Rol
credesse
fermamente
nella
reincarnazione
"
e
si
smentisse
occasionalmente
sul
punto
soprattutto
"
(
)
per
non
urtare
la
suscettibilità
della
Chiesa
"
.
Ma
è
il
messaggio
centrale
che
sembra
emergere
da
quanto
si
va
pubblicando
di
Rol
a
essere
estraneo
alla
visione
del
mondo
cattolica
.
L
'
insegnamento
di
Rol
è
incentrato
sulla
nozione
di
"
spirito
intelligente
"
come
realtà
che
è
nel
senso
più
vero
"
quello
che
siamo
"
,
e
che
rimane
sulla
terra
anche
dopo
la
morte
.
Il
sensitivo
torinese
disprezzava
certamente
le
sedute
spiritiche
comuni
e
"
volgari
"
,
e
tanto
più
i
medium
che
operano
per
denaro
.
Tuttavia
,
non
escludeva
che
gli
"
spiriti
intelligenti
"
potessero
manifestarsi
dai
"
regni
invisibili
"
,
e
partecipava
a
"
sedute
"
se
riteneva
che
fossero
immuni
dai
pericoli
dello
spiritismo
volgare
.
Talora
ne
distruggeva
la
documentazione
,
proprio
per
non
favorire
la
diffusione
di
quello
spiritismo
che
riteneva
pericoloso
.
Ma
qualche
cosa
rimane
.
Giuditta
Dembech
riproduce
per
esempio
a
proposito
di
una
poesia
del
sensitivo
,
La
ruelle
des
chats
,
una
annotazione
manoscritta
di
Rol
che
la
definisce
"
poesia
scritta
dallo
spirito
intelligente
di
uno
studente
afgano
,
vivente
a
Parigi
.
Seduta
in
casa
Visca
,
11-12
gennaio
1975
"
.
E
a
proposito
di
questa
"
seduta
"
,
Rol
annota
che
"
contemporaneamente
,
come
nella
precedente
seduta
(
pochi
giorni
innanzi
)
,
si
ottenne
dallo
spirito
intelligente
di
Francisco
Goya
il
disegno
di
una
donna
sdraiata
(
nella
seduta
di
prima
Goya
disegnò
il
ritratto
della
duchessa
d
'
Alba
)
"
.
Sarebbe
sbagliato
definire
Rol
semplicemente
uno
spiritista
;
e
non
solo
per
la
sua
reiterata
presa
di
distanze
dallo
spiritismo
(
in
cui
,
affermava
,
"
vi
è
del
vero
(
)
ma
ancora
troppo
poco
per
farne
una
'
dottrina
'
"
)
.
La
sua
nozione
di
"
spirito
intelligente
"
si
ritrova
,
al
di
fuori
della
tradizione
propriamente
spiritista
,
nell
'
ambiente
teosofico
e
in
vari
filoni
del
New
Thought
anglo
-
americano
.
Lo
"
spirito
intelligente
"
per
Rol
continua
a
esistere
in
una
sorta
di
eterno
presente
:
"
La
mela
che
Sempronio
mangiava
il
16
luglio
1329
,
esiste
tuttora
,
non
meno
di
quando
era
attaccata
ai
rami
dell
'
albero
e
prima
ancora
che
l
'
albero
esistesse
né
col
16
luglio
1329
la
sua
funzione
venne
a
cessare
,
poiché
nel
tutto
che
si
accumula
,
ogni
cosa
rimane
operante
,
Dio
e
i
suoi
pensieri
essendo
la
medesima
cosa
e
non
potendo
un
aspetto
separato
di
questa
cosa
modificare
la
natura
della
cosa
stessa
.
Dio
è
eterno
e
inconsumabile
,
onnipotente
e
multiforme
e
noi
,
parte
di
Dio
,
siamo
la
stessa
cosa
che
Dio
"
.
L
'
affinità
con
il
mondo
"
akashico
"
di
Rudolf
Steiner
(
1861-1925
)
-
più
ancora
che
con
la
Teosofia
,
le
cui
affinità
con
il
pensiero
di
Rol
erano
state
notate
già
dal
fratello
Carlo
(
1897-1978
)
,
frequentatore
a
Buenos
Aires
della
Società
Teosofica
Argentina
-
sembra
particolarmente
evidente
.
Rol
,
del
resto
,
definisce
Steiner
"
forse
il
primo
uomo
che
sia
riuscito
a
farsi
libero
"
e
l
'
antroposofia
"
scienza
pura
dello
spirito
nella
stessa
guisa
che
la
scienza
naturale
è
scienza
della
natura
"
.
E
questo
anche
se
Steiner
,
"
l
'
inventore
della
scienza
antroposofica
"
,
secondo
Rol
aprì
"
(
)
solamente
uno
spiraglio
(
)
della
massiccia
porta
di
granito
che
separa
l
'
uomo
che
vive
dal
mondo
delle
rivelazioni
alle
quali
è
destinato
"
.
Questi
riferimenti
culturali
di
Rol
sono
a
filoni
certamente
importanti
nella
storia
culturale
dell
'
Occidente
,
ma
dove
la
visione
del
destino
dell
'
anima
(
e
non
solo
)
è
diversa
e
inconciliabile
rispetto
alla
dottrina
cattolica
.
Quest
'
ultima
-
nelle
sue
espressioni
magisteriali
,
che
non
vanno
confuse
con
le
affermazioni
di
singoli
sacerdoti
talora
entusiasti
di
presunti
fenomeni
di
contatto
con
i
defunti
-
ripudia
qualunque
tipo
di
"
seduta
"
e
di
medianità
.
I
cattolici
hanno
imparato
fin
dall
'
Ottocento
a
diffidare
di
chi
propone
scorciatoie
per
"
provare
"
l
'
immortalità
dell
'
anima
-
o
dello
"
spirito
intelligente
"
-
e
,
con
tutto
il
rispetto
per
l
'
onestà
di
Rol
,
le
manifestazioni
dello
spirito
di
Goya
,
che
disegna
la
duchessa
d
'
Alba
oltre
cento
anni
dopo
essere
morto
,
o
la
"
scienza
pura
dello
spirito
"
di
Steiner
veramente
non
c
'
entrano
con
la
fede
cristiana
.
Tutto
questo
non
è
,
né
vuole
essere
,
una
presa
di
posizione
nella
polemica
sul
carattere
reale
o
simulato
dei
"
fenomeni
"
di
Rol
.
Una
soluzione
soddisfacente
per
tutti
ai
quesiti
sollevati
da
questa
polemica
,
per
i
motivi
accennati
,
è
allo
stato
impossibile
.
E
'
tuttavia
importante
distinguere
fra
i
"
fenomeni
"
e
la
dottrina
di
chi
dei
"
fenomeni
"
è
protagonista
.
La
Chiesa
cattolica
insegna
che
la
dottrina
è
ben
più
importante
dei
fenomeni
apparentemente
miracolosi
nel
giudicare
della
santità
di
un
candidato
alla
beatificazione
,
o
dell
'
attendibilità
di
una
apparizione
mariana
.
Certamente
per
un
cattolico
è
sulla
base
della
dottrina
che
si
deve
giudicare
il
significato
di
"
fenomeni
"
apparentemente
straordinari
,
e
non
viceversa
.
Gustavo
Adolfo
Rol
è
ora
affidato
alla
misericordia
infinita
di
Dio
,
e
ci
piace
credere
che
questa
saprà
apprezzare
le
sue
intenzioni
,
presumibilmente
buone
.
Le
dottrine
cui
fatalmente
si
accosta
chi
approfondisce
la
sua
figura
appartengono
invece
-
al
di
là
dei
suoi
personali
desideri
-
a
una
tradizione
metaphysical
(
nel
senso
anglosassone
del
termine
)
ed
esoterica
certo
meritevole
di
essere
studiata
come
componente
importante
della
cultura
occidentale
moderna
,
ma
altrettanto
certamente
alternativa
rispetto
alla
fede
della
Chiesa
.