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Gli Indi boliviani ( Moravia Alberto , 1970 )
StampaQuotidiana ,
La Paz . La Paz è una città in gran parte india , costruita , però , dai bianchi per i bianchi . In altri termini la divisione sociale a La Paz si raddoppia di una divisione razziale o se si preferisce culturale . La classe dirigente è bianca o meticcia ; il popolo è indio . Questa divisione che riflette la più vasta divisione del paese ( quattro milioni di abitanti di cui soltanto quattrocentomila bianchi e meticci ) è l ' eredità più vistosa del colonialismo spagnolo . La Paz è una bellissima e strana città costruita in una specie di crepaccio dell ' altipiano . Monti scoscesi ed erosi simili alle pareti interne di un cratere circondano e si innalzano da ogni parte intorno la città . La parte bassa dell ' angusta vallata è occupata dalla città bianca ; sui fianchi dei monti si arrampicano invece i quartieri popolari , cioè indi , composti di case di fango seccato . Gli Indi , naturalmente , si vedono dappertutto , gli uomini coi ponci infilati nel collo e drappeggiati davanti e dietro come ferraioli ; le donne con la bombetta nera o marrone , la gonnella succinta e sospesa su una crinolina , lo scialle intorno le spalle che il più delle volte avvolge un bambino portato a cavalcioni sulle reni . Dire che gli Indi sono attraenti sarebbe deformare la verità . Mentre esiste certamente una bellezza africana , non esiste una bellezza india . E colpisce , nel confronto con gli africani ( il paragone è inevitabile , se non altro per la somiglianza delle situazioni economiche e sociali ) l ' eleganza dei vestiti dei primi rispetto alla goffaggine dei costumi " nazionali " dei secondi . Con gli Indi si ha continuamente l ' impressione del " già visto " , corretto però , in maniera ambigua e il più delle volte non troppo estetica , da modificazioni che si è tentati di attribuire al clima e all ' isolamento . Si pensa , vedendoli , subito , a dei mongoli ; poi , in un secondo momento si notano differenze curiose che , però , non riescono a scacciare l ' idea dell ' origine asiatica : un colore bruno che tira al rosso ; una lunghezza insolita del volto che congiunta alla larghezza mongolica fa sì che le facce risultino sproporzionatamente grandi : una specie di caduta dei tratti l ' uno sull ' altro , la fronte sul naso , il naso sulla bocca e la bocca sul mento . Invincibilmente , non si può fare a meno di pensare ad un ' emigrazione asiatica preistorica abbastanza numerosa da permettere gli insediamenti americani ; ma troppo scarsa per fomentare sviluppi decisivi , somatici e altri . Bruciati dal sole e dal vento degli altipiani , senza rapporti con altri popoli , si direbbe che gli Indi siano rimasti a metà strada , non più mongoli , non ancora americani . Così che , a ben guardare , il termine " indio " coniato per sbaglio dagli spagnoli , si rivela , nella sua ambiguità , assai espressivo della ambiguità fisica delle popolazioni indigene dell ' America . Per osservare gli Indi bisogna recarsi al mercato , su su , nella parte alta di La Paz . Nelle straducce che portano al mercato , le donne stanno accovacciate sui marciapiedi , le une contro le altre , come galline infreddolite e torpide . Davanti a loro , sui lastroni , è esposta la merce : minimi mucchietti di peperoncini , pochi sacchetti di foglie verdi di coca , qualche frittella fatta in casa . Guardano a questa misera roba con indifferenza , come se non gli appartenesse . Più su , tra le bancarelle del mercato , l ' atmosfera è in apparenza quella dei mercati di tutto il mondo : compratori che circolano lentamente guardando ed esaminando ; venditori che se ne stanno immobili dietro i banchi . Ma ad un esame più attento , ci si rende conto che in quella folla mancano l ' allegria , la confusione e anche la promiscuità e la sporcizia proprie dei mercati . Il mercato boliviano è grave , poco rumoroso , pulito e senza contatti e spintoni . Certo , si potrebbe attribuire questo carattere al temperamento poco vivace della gente di montagna . Ma forse la ragione è più profonda . Forse , in maniera inconscia , fra venditori e compratori c ' è una tacita intesa per non dare importanza al mercato in quanto occasione sociale , luogo di comunicazione e di incontro . In altri termini , bisognerebbe ravvisare nella riserva e compostezza degli Indi un aspetto tra i tanti del " rifiuto sociale " che in tutta l ' America Latina gli indigeni hanno opposto , fin dai tempi della conquista , al sistema colonialista . Questo rifiuto sociale degli Indi , cioè rifiuto di comunicare , di partecipare , di integrarsi , è una delle cose che colpisce di più in Bolivia . Certo per gli Indi , come per gli africani , è difficile passare da un ' economia autarchica e di mera sussistenza al produttivismo e al consumismo del mondo moderno . Ma al contrario degli africani che mostrano un vivo e manifesto desiderio di partecipare alla civiltà industriale , gli Indi oppongono a questa stessa civiltà una resistenza passiva fatta di cocciuta fedeltà alla tradizione e di assoluta mancanza di ambizione . Negli Indi si avverte se non proprio ostilità , cattiva volontà ; non tanto forse per diffidenza verso la novità quanto per nostalgia inconscia e rancorosa di un passato defunto e migliore . Insomma , mentre dietro l ' africano si sente un ' antica simbiosi con la natura rispetto alla quale neppure la schiavitù può considerarsi una soluzione di continuità , nell ' indio invece si intuisce il trauma di una civiltà originale bruscamente e spietatamente distrutta . La sensazione di un ripiegamento , di un rifiuto , di una rinunzia non soltanto imposta ma anche voluta , è del resto confermata dall ' archeologia . A cento chilometri da La Paz , le rovine stupende del tempio di Tiahuanaco con le loro muraglie fatte di enormi blocchi incastrati a secco fanno guardare con stupore alle figure goffe degli Indi , mascherati secondo il rozzo folklore dell ' oppressione europea . Si stenta a credere che quei contadini in costume appartengano allo stesso popolo che ha costruito il tempio . E vien fatto di pensare che nessun gruppo umano può impunemente retrocedere ad uno stato primitivo , dopo aver creato una civiltà . Esso apparirà non già tornato alla natura ma regredito , umiliato , decaduto . La civiltà , a quanto pare , è un ' esperienza incancellabile . Naturalmente i responsabili della situazione odierna degli Indi , cioè gli spagnoli , sono oggi acutamente consapevoli del problema costituito da questa massa inerte e frustrata di cittadini di secondo grado che oltre tutto incide per l ' ottanta per cento sulla popolazione della Bolivia . Si distinguono diverse maniere di affrontare il problema indio . Prima di tutto i colonialisti tradizionali . Per loro l ' indio refrattario all ' educazione , privo di ambizioni consumistiche e sociali , attaccato alle sue tradizioni , dedito alla coca e all ' alcool , sarebbe irrecuperabile . Non c ' è bisogno di molto acume , tuttavia , per capire che i colonialisti trasformano in caratteri razziali gli effetti della catastrofe storica dell ' indio . In secondo luogo vengono coloro che basandosi su una certa letteratura di rivalutazione degli Indi , il cui massimo rappresentante è stato D.H. Lawrence , si sono costruiti il mito di una civiltà india di gran lunga superiore a quella occidentale in quanto tuttora attaccata ai valori del sangue e della terra . D.H. Lawrence si era servito di queste idee per polemizzare con la civiltà industriale dell ' Occidente . Ma in Bolivia , paese agrario , simili teorie sembrano nient ' altro che l ' altra faccia del colonialismo con il quale , infatti , condividono , sia pure per motivi diversi , la convinzione che l ' indio sta bene come sta e che di conseguenza niente va cambiato . Infine i socialisti di vario genere , sia i gruppi socialnazionalisti oggi al potere sia i castristi all ' opposizione , considerano l ' indio come il risultato di un processo storico di degenerazione dovuta a quattro secoli di spietato e imprevidente sfruttamento . I rimedi proposti dai socialisti variano secondo che pongono l ' accento piuttosto sul dato culturale e nazionale o sull ' economico . Ma tutti sono d ' accordo in fondo nel considerare l ' integrazione dell ' indio nella vita sociale , economica e culturale del paese come il problema massimo della Bolivia . Abbiamo visto gli Indi in due occasioni , l ' una , diciamo così , privata , l ' altra pubblica . La prima è stata durante una gita al lago Titicaca , l ' immenso lago sacro alla cultura india , ai confini col Perù . In un villaggio sulla strada , in un grande spazio terroso , in pendio , limitato , in fondo , da un muro bianco sul quale a grandi lettere nere si leggeva scritto : " Cristo unica esperanza " , aveva luogo un ballonzolo rusticano . Un gruppo di suonatori girava di qua e di là saltellando e intonando certe ariette discordi e agre con pifferi di canne , bidoni di benzina e tamburelli . Gli Indi gravi , goffi , malsicuri e rozzi entravano nella danza tenendosi per mano , in una lunga fila che pian piano si trasformava in una specie di pesante e orsino girotondo . Veniva fatto di ricordare il quadro celebre della festa contadina di Breughel , ma senza allegria , senza prosperità , senza slancio , in un ' aria triste , frustrata e misera anche se certamente autentica . L ' occasione pubblica è stata durante uno spettacolo di balli folcloristici al palazzo del governo , davanti al miglior pubblico della capitale e il più ufficiale . In prima fila sedevano tutti i ministri e il presidente della repubblica Ovando . Danzatori indi di diverse tribù , nei costumi tradizionali , hanno eseguito danze tradizionali assai pittoresche , al suono dei soliti striduli pifferi e dei soliti cupi tamburi . Finito lo spettacolo il presidente si è alzato e i danzatori , uno per uno , sono sfilati e hanno stretto la mano al presidente ricevendone in cambio una specie di fraterno abbraccio . C ' era un ' aria strana come di riconciliazione difficile e comunque non del tutto sincera tra due gruppi nemici . Si avvertiva l ' impaccio di una distanza sociale e culturale che permaneva nonostante la buona volontà di ambedue le parti . La Bolivia non è un paese unitario ma dualistico . E per molto tempo ancora sarà difficile che cambi .
RITEMPRATE LA NOSTRA FEDE! ( FARINACCI , 1924 )
StampaQuotidiana ,
Duce , Sentiamo il bisogno di parlare a nome di una moltitudine di fascisti che da alcune settimane sopporta pazientemente gli insulti più atroci da parte del blocco antifascista . Ci avete gridato la disciplina ad ogni costo , ci avete comandato di seguire un programma di normalizzazione , e noi , pur sapendo che per una reale pacificazione OCCORREVA l ' accordo di due parti , animate di buona fede , e pur sapendo inoltre che le richieste avversarie non sono che manovre per guadagnare terreno , vi abbiamo seguito con quella devozione che vi dobbiamo . Voi , o Duce , che non avete esitato un solo istante ad ordinare l ' arresto di coloro che col delitto Matteotti ci tradirono come Giuda , voi , che , senza pietà , ma con energica risolutezza , ordinaste l ' arresto dei colpevoli di idiote violenze , sacrificaste valorosi Prefetti , avete dato prova che , ad ogni costo , condannate severamente quel certo illegalismo che si agita in margine al Partito , e che noi , nelle nostre Provincie , reprimemmo da tempo . Ma oggi , la vostra e la nostra sincerità , le vostre e le nostre preoccupazioni di carattere nazionale ed internazionale , vengono ritenute dagli avversari sintomi di debolezza ! La stampa d ' opposizione ha ripreso un linguaggio pari a quello del '19 e del '20 . Duce ! Gli avversari non si accontentano dei vostri provvedimenti , e , come dice il proverbio che l ' appetito viene mangiando , domandano ben altro ! Si vuole la vostra testa perché così si sa di poter abbattere il regime e colpire al cuore il fascismo . Si chiede lo scioglimento della Camera e , per logica conseguenza , anche lo scioglimento di tutti i Consigli comunali e provinciali fascisti . Quando , domani , si arrivasse a questo , credete , voi , che l ' opposizione sarebbe soddisfatta ? No ! Essa si sentirebbe in diritto di fare il processo alla nostra rivoluzione , prenderebbe le sue vendette condannandoci chi alla morte e chi al carcere ! La qual cosa non ci spaventa . Quel che ci affliggerebbe immensamente sarebbe il ritorno della Nazione a quello stato di anarchia dal quale l ' abbiamo sottratta mediante titaniche lotte che ci costarono grandi sacrifici . Possiamo ammettere che ciò avvenga col nostro consenso ? Siamo o non siamo noi i vittoriosi ? Non ha , forse , la Nazione affidato al Fascismo il suo presente e il suo avvenire ? E allora non ne siamo noi , forse , gli arbitri ? Non fu creata la Milizia per difendere da tutti gli assalti e le manovre avversarie la nostra rivoluzione e quindi l ' attuale regime ? Riteniamo , o Duce , che come nel 1921 denunciammo il trattato di pacificazione , rispettato da noi , infranto dagli altri , così oggi noi dobbiamo dire agli avversari : ritorniamo sulle nostre posizioni : con gli uomini e coi partiti in malafede non può sussistere alcuna convivenza ! Continuando a discorrere di normalizzazione , quando questa offre argomento agli avversari per sostenere e difendere un programma di grave illegalismo , non rendiamo un servizio né alla Nazione della quale ci sentiamo difensori né a noi stessi . Perciò , o Duce , dite alla moltitudine fascista la vostra fiera parola , ditela , che essa è attesa anche dalla Nazione , la quale già ha potuto valutare gli effetti di un , sia pur minimo , disarmo del fascismo . Noi , per imporre all ' Italia la disciplina e consentirle quel lavoro fecondo , che invano il gruppo di opposizione tenta di infrangere e di paralizzare , abbiamo sofferto , abbiamo più volte incrociato i polsi alle manette , abbiamo versato il nostro miglior sangue ! Sparse nei Cimiteri delle nostre provincie riposano le eroiche Camicie Nere assassinate . Numerose sono le vedove e le madri dei nostri caduti fascisti che in questi giorni ci chiedono conto del loro sacrificio e del nostro atteggiamento . Non è possibile sopportare più oltre la tracotanza avversaria : noi non possiamo rinunciare al nostro passato ; noi che non abbiamo rimorsi , perché nulla abbiamo tralasciato di quel che era necessario per portarvi a Roma , vi chiediamo una parola forte contro quegli avversari , che , nel pantano politico ove si agitano , vanno prendendo ogni giorno sempre maggior coraggio ! Duce ! Noi siamo la vostra forza ! Non vi preoccupate del gracidio di tutta quella gente che ha dimostrato in questi giorni di non curarsi degli interessi del Paese , ma solo di quelli della propria fazione ! Non si parli più di normalizzazione , fino a quando non cesserà dall ' infausta azione tutto quell ' illegalismo sovversivo che si ammanta di patriottismo , fino a quando continuerà il dolo ricattatore di tutte le opposizioni ! Duce ! Dite la vostra parola , ritemprate la nostra fede , intensificate il nostro entusiasmo !
StampaQuotidiana ,
Non mi ricordo esattamente quando ho cominciato ad occuparmi del Vajont . Probabilmente sette anni fa , quando sono cominciati gli espropri da parte della SADE . Era il mio lavoro normale di tutti i giorni . I proprietari - tutti piccoli coltivatori che dal loro pezzetto di terra ricavavano un aiuto in natura che serviva ad integrare il loro magro bilancio - si rifiutavano di cedere al monopolio , a un prezzo irrisorio , la loro terra . Era terra ricavata molte volte dai pendii e bonificata con il lavoro di generazioni . Rappresentava un valore materiale e affettivo insieme . Ogni lotta dei montanari contro il monopolio elettrico cominciava da qui . Non era lotta contro il progresso , ma contro chi in nome del progresso si riempiva il portafoglio a spese altrui . Occuparmi del Vajont non era stato perciò che continuare quello che facevo da quando , lasciata la mia Brigata partigiana , cominciai a lavorare per il Partito . Dopo la Liberazione la SADE costruì in provincia di Belluno diversi bacini idroelettrici : a Pieve di Cadore , ad Arsiè , a Forno di Zoldo e nella Valle del Mis . Per ogni impianto mi era capitato di scrivere qualcosa contro la SADE . I soprusi , le prepotenze della società elettrica erano , come si dice , il pane quotidiano di ogni giornalista che avesse voluto parlare di ciò che stava a cuore dei montanari di queste vallate . Non rivelavo segreti , non svelavo fatti misteriosi per il gusto di dare addosso ai capitalisti , riferivo quel che vedevo , quel che sentivo accadere intorno a me . Chiunque facesse questo mestiere avrebbe potuto scrivere le stesse cose . Anche altri ci hanno provato ma senza riuscire mai a leggere sul loro giornale quello che avevano scritto . E qualcuno ha passato dei guai per essersi occupato della SADE senza ascoltare i consigli della società . Il coraggio e l ' onestà di un giornalista non bastano per poter scrivere la verità su un giornale . Ricordo un episodio accaduto a Vallesella di Cadore . Due anni fa la popolazione di questo paese si rifiutò in massa di recarsi a votare in segno di protesta contro il governo che non aveva fatto rispettare alla SADE i propri impegni , per le case rovinate nelle acque del lago . Il sindaco convocò allora una conferenza stampa per chiedere a tutti i corrispondenti locali dei giornali italiani di scrivere le ragioni di questa singolare protesta . Ma alla conferenza stampa ci andammo solo in due , io e il corrispondente del Giorno . Gli altri preferirono ignorare la cosa . I primi pezzi su Erto e sul Vajont li ho scritti per raccontare come venivano portati avanti gli espropri . La SADE ricattava i contadini : o accettare le cifre stabilite dal monopolio oppure subire gli espropri di autorità : il denaro intanto veniva versato in banca all ' intestatario catastale del terreno che magari era morto o espatriato . Chi in effetti lavorava il pezzo di terra espropriato rischiava di non aver mai in mano quei soldi o di ottenerli dopo pratiche che sarebbero durate degli anni e a prezzo di spese non indifferenti . In queste condizioni i contadini , uno dopo l ' altro , hanno ceduto . In seguito sorse un altro problema . Alcune frazioni di Erto venivano tagliate fuori dal centro con l ' invaso . Esse erano collegate al capoluogo da sentieri che attraversavano la valle . I contadini li percorrevano come scoiattoli . Molti ertani possedevano i terreni sull ' opposto versante . Come si sarebbero trovati dopo la realizzazione del lago ? Chiesero una passerella che collegasse i due versanti . In un primo tempo la SADE disse che l ' avrebbe costruita . Poi , attraverso le leve di potere che possedeva , si fece dare un ' altra concessione dal ministero che la esonerava dal costruire la passerella . Al suo posto avrebbe fatto una strada di circonvallazione . Per gli ertani significava un lungo e accidentato percorso , soprattutto d ' inverno : per i bambini delle frazioni che dovevano recarsi a scuola al capoluogo ; per le vecchie , che all ' alba andavano a messa ; per i contadini che dovevano percorrere oltre tre chilometri per lavorare i loro terreni . E poi c ' era il pericolo di frane in una zona dove queste cadevano in continuazione nei mesi del disgelo ; più di 6 chilometri tra andata e ritorno per le provviste , per il medico e per tutti i casi di emergenza che si potevano verificare . L ' amministrazione comunale di Erto inoltrò un pro - memoria all ' ufficio del Genio Civile di Belluno perché il ministero dei Lavori Pubblici fosse informato . Non ottenne nulla e la SADE cominciò a costruire la strada . Non si preoccupò neppure di avvisare i proprietari dei terreni . Andava avanti coi bulldozer . I valligiani erano esasperati . Un mattino gli operai dell ' impresa vennero affrontati da un contadino che brandiva un ' accetta . « Se fate ancora un passo avanti la uso » , disse . Chi l ' aveva ridotto alla disperazione ? Anche per questo episodio scrissi una corrispondenza . Raccontai i fatti . La polemica era nelle cose . La strada , comunque , si fece . Nel frattempo nel bacino di Forno di Zoldo franò un grosso lembo di montagna . La popolazione di Erto si allarmò . Se a Forno aveva fatto precipitare la montagna cosa sarebbe accaduto del loro paese che poggiava tutto su terra argillosa ? Queste cose i contadini le sapevano da sempre , ma vollero interrogare i famosi geologi . E il parere dei tecnici e degli scienziati confermò le loro paure : era pura follia costruire un bacino sul luogo . Le perizie geologiche diedero esca a nuove polemiche e le proteste si fecero più vivaci . Si arrivò a costituire un « Consorzio per la difesa della valle ertana » al quale aderirono 136 capi famiglia . In quella occasione scrissi l ' articolo per il quale mi processarono . Raccontai quanto avevano detto i montanari all ' assemblea costitutiva del Consorzio . Avevo commesso il « reato » di registrare i fatti e un vice brigadiere dei carabinieri mi accusò di aver diffuso « notizie false e tendenziose atte a turbare l ' ordine pubblico » . Fossi veramente riuscita a turbarlo l ' ordine della SADE , oggi non saremmo qui a piangere i nostri morti e a maledire i responsabili ! Qualcuno molto più in alto di un funzionario di polizia sperava di tappare la bocca , di intimorire e mettere a tacere i valligiani . Tra la denuncia e il processo scrissi altri pezzi . E furono probabilmente quelli che contribuirono a farmi assolvere . Nel frattempo , infatti , sul monte Toc si erano prodotte fenditure e successivamente una frana era precipitata giù dalla montagna . Parlai del pericolo di nuovi smottamenti e crolli , parlai di una massa di 50 milioni di metri cubi che minacciava di piombare a valle . E sbagliai solo per difetto . Venne il giorno del processo . I montanari di Erto si presentarono davanti ai giudici di Milano in qualità di testi . « Qui ci sono le prove . Se non ci credete venite voi stessi a vedere . Signori giudici , fate qualcosa perché non succeda di peggio » . Della SADE al processo non si fece vivo nessuno . Neppure il brigadiere che stese la denuncia si presentò . Il Tribunale fece il possibile . Sentenziò che i fatti denunciati erano veri , che il pericolo c ' era . Ma chi considerava un articolo sull ' Unità più pericoloso di una frana grossa come una montagna restò inerte . Chi doveva trarre le conseguenze dalla sentenza non mosse un dito , anzi autorizzò la SADE a costruire al diga mortale . Ora che l ' irreparabile è accaduto , c ' è ancora chi ha il coraggio di affermare che a Roma nessuno sapeva . Come se la Camera , il Senato , dove le mie , le nostre denuncie sono state portate dinanzi ai ministri responsabili non stessero a Roma , ma nella capitale del Tanganika . C ' è poi l ' ipotesi che invoca il silenzio di fronte ai lutti e alle devastazioni , che incolpa di tutto le forze della natura . E c ' è chi ci considera soltanto dei giornalisti più bravi e più coraggiosi degli altri ed è disposto a riconoscere che , sì , qualche straccio di tecnico può essere buttato all ' aria purché non si tocchi il sistema , purché non si arrivi alla radice . Non sono né più brava né più coraggiosa di tanti miei colleghi . Non volevo certo diventare famosa per un fatto così tragico quando scrivevo contro la SADE . Volevo semplicemente impedire che questo disastro colpisse i montanari della terra dove sono nata , dove ho fatto la guerra partigiana , dove ho vissuto tutta la mia vita . E ora non riesco neanche a esprimere la mia collera , il mio furore per non esserci riuscita .
L'altipiano dei fallimenti ( Moravia Alberto , 1970 )
StampaQuotidiana ,
La Paz . Da La Paz al lago Titicaca si va in macchina in meno di due ore . Si corre per una pista di pietrisco attraverso la steppa che ha un colore uniforme fra il marrone e il bruno , con striature gialle e grigie : il colore dei cespugli bassi e spinosi che riescono a resistere ai venti , al freddo , all ' aridità , alla rarefazione dell ' aria dell ' altipiano . Poiché è la stagione delle piogge , un ' immobile nuvolaglia nera pende a mezz ' aria , simile ad una catena di montagne capovolte , con la base in su e le punte in giù , lasciando sereno l ' azzurro scuro e gelato degli orizzonti . L ' altipiano non è così piatto come sembra : ogni tanto file di colline pietrose e sgretolate si sollevano di poco sulla steppa . Valichiamo una di queste collinette ed ecco , sotto di noi , allargarsi la distesa diafana del lago Titicaca . Ha un ' estensione di novemila chilometri quadrati ; ma le numerose isole e promontori che ne emergono e l ' aspetto paludoso , incerto , informe delle rive lo fanno parere un ' immensa pozzanghera sparsa di pietre , che si stia prosciugando al sole . Quest ' impressione è esatta , del resto . Il lago sta morendo ; perde per assorbimento del terreno e per evaporazione più acqua di quanto ne riceva . Eppure il lago Titicaca così informe , così deserto , così privo di tracce umane , è stato il centro di una delle due sole culture originali ( l ' altra è quella del Messico ) dell ' America precolombiana . Al lago Titicaca sono collegati i miti delle origini del mondo secondo la religione india ; e gli inizi della dinastia imperiale degli Incas . In una delle sue trentasei isole , chiamata , per il culto a cui era votata , l ' Isola del Sole , è apparso per la prima volta , secondo il mito , Viracocha , creatore dell ' uomo , della donna , degli animali , del cielo e della terra . In quella stessa isola sono nati í figli del Sole , Manco Capac e sua sorella nonché coniuge alla maniera faraonica Mama Ocllo , capostipiti della dinastia che in linea diretta , attraverso quindici monarchi , arriva fino ad Atahualpa , l ' ultimo imperatore , ucciso a tradimento da Francisco Pizarro . Di queste leggende e di questi eventi il lago Titicaca , naturalmente , non conserva nulla . La memoria atavica degli indi e le ricerche archeologiche degli europei qui si scontrano con il vuoto assoluto e maestoso di una natura forse originariamente abitata dalla storia ma che la storia ha abbandonato per sempre . Poco lontano dal lago Titicaca , in un immenso anfiteatro naturale formato da basse colline nude ed erose , si trovano le rovine del santuario di Tiahuanaco , il centro religioso più importante della civiltà india prima degli Incas . A Tiahuanaco si esasperano i caratteri dell ' altipiano : solitudine , luminosità , vastità , vuoto , silenzio . Il tempio affondato per metà sottoterra , ha muraglie costruite con enormi blocchi di pietra grigia incastrati a secco con grande ingegnosità e perfezione . La celebre Porta del Sole , con la sua divinità dalla testa felina e la stele chiamata dagli Spagnoli el fraile ( il frate ) , in realtà un dio anch ' esso , in forma umana , con caratteri tipici indi ( busto lungo , gambe corte , testone , facciona ) sono le parti del tempio in cui , oltre alle capacità tecniche ed architettoniche , si rivela il talento propriamente artistico degli indi . È ammirevole , attraente , bella quest ' arte ? Diremmo piuttosto che è strana e che ispira un curioso senso di malessere , diciamo così , estetico . Paragonata ai prodotti artistici dei veri primitivi ( arte negra , polinesiana , greca arcaica ecc. ecc . ) rivela una stilizzazione , una cifra per niente ingenue , di tipo tardo e decadente che dà un ' impressione sgradevole come di frutto per metà acerbo e per metà già putrefatto . Che c ' è in fondo a quest ' impressione ? Il senso di una civiltà isolata , senza possibilità di prestiti , di confronti , di apporti , che arriva alla decadenza direttamente dalla primitività senza passare per la fase della maturità . Quel non so che di crudele e di tetro che emana da quest ' arte sembra alludere al destino proprio delle cose predestinate al fallimento in quanto fin dagli inizi avviate per la strada sbagliata . L ' individuo può correggere i propri errori attraverso una presa di coscienza ; ma le nazioni , le società , le collettività , poiché non vivono a livello morale ma storico , non si accorgono di sbagliare e in realtà non " possono " sbagliare . Possono soltanto fallire , ossia avere una storia breve , una storia catastrofica , una storia in forma di vicolo cieco . Nell ' erba , presso la muraglia del santuario , giacciono alla rinfusa molti blocchi di pietra . Si pensa che siano caduti giù per opera del tempo o delle devastazioni degli spagnoli . Ma non è così . Il santuario di Tiahuanaco , a quanto sembra , è stato abbandonato prima di essere finito . Quei blocchi semi - lavorati erano già interrati nell ' erba prima della conquista . Chissà , forse gli indi si erano accorti di aver " sbagliato " ; di essere stati traditi dai propri dei ; ossia di aver creato una civiltà predestinata al fallimento . Sull ' altipiano , però , non sono stati soltanto gli indi a fallire ; ma anche i loro oppressori , gli spagnoli . La croce cristiana è graffita sulla spalla del / rade ; e dietro la collina spunta la cupola di una chiesa fabbricata , a quanto ci dicono , con materiale portato via dal santuario del Sole ; ma il fallimento spagnolo è visibile dappertutto nell ' abbandono in cui giacciono gli antichi palazzi viceregali , le monumentali chiese barocche , e ancor più nella miseria , nell ' ignoranza , nell ' arretratezza della popolazione india , dopo quattro secoli di cultura europea . Dalla chiesa , adesso , giungono suoni agri e discordi di musiche , tonfi cupi di tamburo , scoppi secchi di petardi . È la fiesta india , rozzamente e poveramente folcloristica la quale , tra la morte del santuario pagano e lo squallore della chiesa cristiana , dà il senso acuto e straziante del fallimento congiunto delle due culture . La civiltà india originaria ( chiamata collas dal nome della tribù più importante ) era di tipo comunitario , libera e democratica . Ma all ' arrivo degli spagnoli , questa civiltà già da quattro secoli è stata trasformata dagli Incas in impero schiavistico . D ' altra parte , gli spagnoli conquistano l ' America in piena fase controriformistica , quando tutto ciò che c ' è di vivo e di nuovo in Europa si trova schierato contro la Spagna . Così la conquista si potrebbe definire la fusione di due fallimenti , quello indio e quello spagnolo , l ' innesto mostruoso della decadenza europea sul tronco della decadenza india . Ma qual è il motivo profondo del momentaneo successo di questa operazione teratologica ? Come mai un centinaio di avventurieri si sono impadroniti di un impero di dieci milioni di indi ? Forse l ' evoluzione singolare dell ' istituzione della mita può fornire , in maniera simbolica , la chiave del mistero . Originariamente , ai tempi della civiltà comunitaria preincaica , la mita era un servizio pubblico al quale le comunità indie si assoggettavano volontariamente e gratuitamente . Si trattava di coltivare le terre della comunità , di irrigarle , di imbrigliare í corsi d ' acqua , di mantenere i sentieri ecc. ecc. La mita era insomma un lavoro collettivo in cui si manifestava l ' alto grado di senso " associativo " degli indi . Poi con l ' impero degli Incas , la libera organizzazione comunitaria , si trasforma in struttura rigidamente centralizzata e statale ossia , in sostanza , in servitù della gleba inquadrata e diretta da una burocrazia di tipo religioso . Si trattava , però , di una servitù della gleba di un genere particolare , non tanto basata sullo sfruttamento a scopo di lucro , quanto sulle necessità reali di un ' agricoltura estensiva che dipendeva in gran parte dai vasti e complessi sistemi di irrigazione . Il passaggio dalla servitù della gleba degli Incas alla franca e orrenda schiavitù mineraria imposta dagli spagnoli , sembra dovuto alla forza . In realtà , è reso possibile dal senso sociale degli indi , che già a suo tempo aveva consentito la trasformazione dell ' economia comunitaria in economia statale . Intendiamoci : il senso sociale non è un difetto ma una qualità . Sempre , però , che non distrugga l ' istinto individuale , come sembra essere avvenuto nella civiltà india . La mancanza di individualismo fa sì che la mita da servizio pubblico libero e spontaneo si trasformi con gli Incas e poi con gli spagnoli in corvée . Gli indi erano soprattutto e soltanto " sociali " ossia docili , sottomessi alle leggi , disciplinati e ligi . Gli Incas si sono serviti di questa socialità per avviare gli indi allo statalismo teocratico ; gli spagnoli per farne degli schiavi . In un secolo la popolazione india cade da dieci milioni ad un solo milione . La mita diventa una condanna a morte . Tanto è vero che quando un indio veniva reclutato per la mita mineraria , i compagni gli facevano i funerali in anticipo . Il mitayo era sinonimo di indio morto . All ' atrofia del sentimento di individualità degli indi fa riscontro l ' ipertrofia dell ' individualismo degli spagnoli . I conquistadores sono avventurieri intrepidi ma senza neppure l ' ombra di quel cristianesimo di cui tuttavia alzano il vessillo . Spietati , fedifraghi , sanguinari , insaziabili , dicono di rappresentare la società spagnola ; ma in realtà rappresentano soltanto se stessi , anche perché la società spagnola individualista e feudale , è stata lei a farli così come sono . Anche a giudicarli col metro morale molto particolare del Rinascimento , difficilmente possono essere giustificati e tanto meno assolti . Sterminano gli indi , si sterminano tra di loro ; e questo pur sempre per motivi di potere e di bottino . È vero che la Corona di Spagna e la Chiesa cercano di proteggere le disgraziate popolazioni indigene ; ma sono lontane mentre i feudatari sono presenti sul luogo . Il fallimento spagnolo è già in germe in questo individualismo efferato e imprevidente . Come , d ' altra parte , il fallimento indio era già in germe nell ' eccessivo senso comunitario , nella mancanza di spirito individuale degli indi .
VERSO LO STATO FASCISTA ( FARINACCI , 1924 )
StampaQuotidiana ,
Quando noi , molti mesi prima , invocavamo le leggi eccezionali per il controllo sulla stampa perché si prevenissero certi illegalismi fascisti a danno dei giornali sovversivi , tutta la stampa antifascista e anche filofascista qualificava pazzesche le nostre richieste . Il provvedimento preso dal Consiglio dei Ministri viene a darci ragione in pieno , ed esso non può essere che il primo di quella serie di mezzi efficaci a statizzare il fascismo , a rendere lo Stato forte come era ed è nell ' anima rivoluzionaria del nostro partito . A che cosa sono valsi i richiami ufficiali ed ufficiosi a certa stampa che per puro scopo demagogico e commerciale , inventava od esagerava notizie che avvelenavano l ' anima del popolo italiano e che menomavano il prestigio della Nazione all ' estero ? Con certa gente in malafede , non si possono usare che provvedimenti coattivi ! Infatti , ieri , la stampa in genere e quella romana in special modo , ha riacquistato un tantino di serietà . Quando si è tolto di mezzo la testa di legno del gerente e quando vi è un responsabile cosciente , certe notizie tendenziose e menzognere non si pubblicano più per non doverne assumere la responsabilità di fronte all ' autorità politica e all ' autorità giudiziaria . Noi siamo e rimaniamo del parere che la normalizzazione non si patteggia , ma è lo Stato forte che deve imporla . Il decreto sulla stampa ha il duplice scopo di richiamare alla realtà la stampa avversaria e di distruggere l ' illegalismo fascista . Saremo ora i primi noi ad intervenire energicamente contro quei fascisti che osassero incendiare una sola copia del giornale avversario o che ne ostacolassero la vendita . Quando domani in una provincia la stampa avversaria oltrepassasse quei limiti consentiti dal decreto , il fascismo può ricorrere all ' autorità politica che ha ampi poteri per provvedere . Come vedesi , adunque , non siamo illegalisti per professione , ma soltanto vogliamo che lo Stato legalizzi il nostro illegalismo . La stampa cosidetta mussoliniana non osa accodarsi alle proteste dei giornali sovversivi e si conforta col dire che il provvedimento è temporaneo . Non vediamo le ragioni di questa temporaneità . Come il cittadino onesto non si preoccupa del Codice Penale , così il giornalista onesto non deve preoccuparsi del Decreto sulla stampa . La Sera di Milano , dopo aver parlato sfavorevolmente del provvedimento del Consiglio dei Ministri , si consola nella speranza che anche i giornali fascisti dovranno modificare il loro linguaggio . A noi sembra che non vi sia nulla da modificare nella nostra linea di condotta giornalistica . Il nostro programma è di difendere il regime , difendere il Capo del Governo , assicurare tranquillità , disciplina e lavoro fecondo alla Nazione , valorizzare l ' Italia di fronte a tutto il mondo , attaccare tutti i nemici di dentro e di fuori della rivoluzione fascista , che deve essere inserita nello Stato . Nessun Prefetto potrà intralciarci il cammino . Stabilito ora il principio che salus rei publicae suprema lex , noi chiediamo al Governo che , come s ' è limitato l ' abuso di libertà a certi giornali , così bisogna controllare l ' attività degli avversari della Nazione , siano essi all ' interno , siano essi all ' estero . Per quelli di dentro insistiamo per il domicilio coatto ; per gli italiani all ' estero che , facendo gli interessi di altre Nazioni ordiscono congiure e oltraggiano la propria Patria , chiediamo la perdita della cittadinanza italiana . È nostra intenzione arrivare alla vera normalizzazione ; vogliamo lo Stato forte per poter sciogliere il nostro Partito , e perché ognuno di noi possa dedicare la sua attività , non a polemiche e lotte fratricide , ma ai supremi interessi del nostro Paese .
In picchiata sopra i Vietcong ( Corradi Egisto , 1965 )
StampaQuotidiana ,
Saigon , luglio - Mi presento all ' ingresso della base di Bien Hoa dieci minuti prima di mezzogiorno , proprio mentre una cinquantina di paracadutisti in esercitazione scende ondeggiando nel cielo a qualche chilometro . Ho portato con me una cinepresa elettrica da otto millimetri , ci tengo a portare a casa un ricordo personale del volo che mi accingo a compiere . Qualche minuto dopo di me arrivano i due operatori della televisione germanica Schalk e Condé ; anch ' essi sono stati avvertiti che il loro volo prenderà il via verso le quattordici . Voleremo dunque noi tre insieme , ognuno a bordo di un diverso apparecchio della medesima squadriglia di Skyraiders . Schalk indossa una tuta grigiazzurra americana da aviatore con gli stemmi del 34° Gruppo , ossia del reparto di cui siamo ospiti . « L ' ho comprata al mercato nero di Saigon » dice scusandosi . Il capitano americano Holsinger ci conduce a prendere un panino alla mensa degli enlisted men e poi , sempre : t bordo di una sua sgangherata camionetta , all ' ufficio operazioni del gruppo , una baracca prefabbricata gelida d ' aria condizionata . Sopra una lavagna c ' è scritto col gesso : « Missione 94213 , partenza ore 14.10 . Posizioni : 1 ) maggiore pilota O ' Gorman , comandante ; 2 ) capitano Graf / Corradi ; 3 ) tenente Georges / Condé ; 4 ) tenente Ford / Schalk » . Quattro Skyraiders , dunque . Entrano il maggiore O ' Gorman e i tre piloti . Il « mio » Roderic Graf , è nato ventotto anni fa a Claremont in California ; avendo compiuto qui nel Vietnam dieci mesi di servizio e quattrocento ore di missione di guerra , tra due mesi rimpatrierà . Venti minuti prima delle quattordici , un ufficiale consegna al comandante O ' Gorman l ' ordine di missione . « A rapporto » dice O ' Gorman . Piloti e giornalisti entriamo in una stanza ancor più refrigerata , ci sediamo di fronte a O ' Gorman che , in piedi dietro un piccolo podio , prende a leggere con voce grave : « Tempo eccezionalmente bello , solo qualche rovescio temporalesco . Obiettivo duecentodue miglia a sud - ovest di Bien Hon , al confine tra le province di Bac Lieu e Ba Xuyen . Carta : quadretto BF-432 . Da stamane è in corso un ' azione contro il battaglione Vietcong che ha il nome di battaglione " Dynamic " . Le ultime missioni di un ' ora fa sono state fatte segno a fuoco di mitragliatrici antiaeree . Volo di andata cinquanta minuti , venti minuti sugli obiettivi , volo di ritorno cinquanta minuti . Munizionamento : ogni apparecchio quattordici bombe dirompenti da duecentosessanta libbre . Sganciamento su ordine del FAC » . I1 FAC ( Forward Air Command ) è l ' ufficiale che da terra , sul luogo del combattimento , fornirà le indicazioni per l ' individuazione dei bersagli e darà , lui , l ' ordine di sgancio . O ' Gorman dà altre indicazioni tecniche , a lungo e minuziosamente . « Occorrono chiarimenti ? » domanda . Nessun chiarimento . « Regolare gli orologi » conclude , « tra dieci secondi saranno esattamente le tredici e cinquantasei . Meno cinque , meno quattro , meno tre , meno due . Tredici e cinquantasei . Agli apparecchi . » Roderic Graf mi spiega che al momento dell ' attacco voleremo alla quota di duemilacinquecento piedi e che picchieremo per mille o milleduecento piedi con una inclinazione che non supererà di molto i quaranta gradi . Le bombe potranno essere sganciate , secondo l ' ordine che verrà , tutte quante insieme o anche una sola per picchiata . « Sempre » dice Graf « che durante il volo non veniamo dirottati su altri obiettivi . Può capitare . » Stiamo per lasciare la sala dei briefings , quand ' ecco entrare un colonnello con scritto sul giubbotto « Knight » , un cognome che non dimenticherò per un bel pezzo . Knight ha in mano una lattina di birra , ne beve un sorso e dice , scandendo una parola ogni due o tre secondi : « Ho il dovere di avvertire i giornalisti che la situazione sull ' obiettivo si va aggravando . Poco fa alcuni nostri apparecchi sono stati colpiti da mitragliatrici antiaeree Vietcong » . Ho un tuffo al cuore . « Per questa ragione » continua tetro dopo essersi portato un ' altra volta la lattina alla bocca « vorrei consigliare loro di non partire con questa missione ed attenderne un ' altra che si prospetti meno pericolosa , tra qualche ora . Io avverto , dicano loro se vogliono partire o rimandare . » « Parto » dice Schalk , « Parto » dice rauco Condé . Immaginarsi se dei giovani tedeschi come Schalk e Condé potrebbero rispondere di no . Immaginarsi , sentiti i tedeschi , cosa posso rispondere io . « Grazie . Parto » dico . La testa mi bolle . Paracadute , panciotti , salvagente e caschi sono sulla rastrelliera dov ' erano stati messi ieri con i nostri nomi . Firmiamo , al momento di ritirarli , un foglio a stampa con il quale esimiamo tutti i governi passati , presenti e futuri degli USA , e tutti i ministeri e l ' aviazione e la marina e l ' esercito e chissà chi altri da qualsiasi responsabilità penale , civile , morale e materiale che possa derivare dal volo . Dentro un furgone , con i piloti che scherzano sulla convenienza di tornare a dormire stasera in branda a Bien Hoa piuttosto che non in qualche risaia piena di zanzare , arriviamo ai limiti di una grandissima piattaforma . Tutt ' intorno è pieno di Skyraiders , in parte con le ali ripiegate all ' insù a occupare meno spazio . Sul cemento il calore è di fornace , insopportabile . Graf ed io scendiamo a pochi passi dal nostro apparecchio . È bianco argento come tutti gli altri , con dei baffi di fumo di scappamento lungo la corta e tozza fusoliera . Le quattordici bombe dirompenti da centoventi chili l ' una sono già fissate sotto le ali , sette da una parte e sette dall ' altra . Dall ' ogiva di ogni bomba parte , puntato in avanti , un tubo grosso poco più di una canna da bicicletta e lungo un metro e mezzo . « I tubi » mi spiega Graf mentre riempiono di benzina il serbatoio supplementare a siluro « sono collegati alle spolette . » Queste orrende bombe che vedo sono dunque bombe adattate , bombe da risaia , o stagno , o terra molle di fango . Senza tubi , queste bombe scoppierebbero dentro l ' acqua o il terriccio , farebbero un cratere e pochi danni ; con i tubi che si conficcano , invece , le bombe scoppiano in superficie o a mezzo metro da terra , migliaia di schegge per chiunque vi sia attorno . Indosso panciotto e giberne di salvataggio , salgo a bordo , m ' infilo a fatica nello strettissimo pozzo del mio seggiolino . Holsinger , in piedi sull ' ala , mi aiuta a indossare il paracadute . Poi un aviere mi stringe inguini e spalle e vita con una braca di canapa , un altro ancora mi mette un collare dal quale esce , sotto la nuca , il cavetto d ' acciaio di sicurezza del paracadute . Sono pronto . « OK » dico a Graf congiungendo pollice e indice . Il motore viene avviato , lo Skyraider rulla . Salvo le braccia e le gambe dal ginocchio in giù , sono del tutto immobilizzato , inchiodato all ' apparecchio . Per tre o quattro secondi cerco e non trovo , sgomento , la maniglia di apertura del paracadute . Vedo allora Graf sorridere e sento la sua voce rimbombare dentro il mio casco : « Non si preoccupi . Se occorrerà buttarsi le farò segno io , l ' aiuterò » . « Mango Tree , Mango Tree » sento ancora dentro il casco . « Mango Tree » è il nominativo radio della nostra squadriglia . Tutto motore , filiamo sulla pista cento metri dietro l ' apparecchio del comandante O ' Gorman . Ci solleviamo , nell ' abitacolo entra una deliziosa aria fresca . Di colpo , inaspettatamente , mi sento del tutto tranquillo , senza la più microscopica ombra di paura . Voliamo in formazione di due apparecchi davanti alla pari e due dietro , un po ' più distanti tra loro . Quando gli Skyraiders si avvicinano , a dieci o quindici metri , premo il bottone della cinepresa . Poi metto una bobina nuova , dovrà essere pronta per il gran momento . Dopo cinquanta minuti arriviamo nella zona degli obiettivi e giriamo intorno a cerchio volando sugli ottomila piedi di quota . Sento la voce di O ' Gorman nel casco : « Sugli obiettivi è in corso un ' azione di F-104 . Aspettare volando in circuito dietro di me » . « Non potremo arrivare a sganciare prima delle 15.45» commenta Graf . Sotto di noi , contro lo sfondo verde giada delle risaie , vedo guizzare come se fosse raso terra la sagoma nera di un F-104 , poi le ali rettangolari e bianche di due ricognitori Mohawks che sembrano immobili , poi tre o quattro elicotteri che pare volino di sghimbescio portati via dal vento . Qui e là qualche fumo di esplosione . Ora ci siamo allontanati e voliamo in tondo su terra e mare , facciamo sei , otto , dieci giri su paludi sterminate e risaie verdi e la striscia color caffelatte lungo la costa e il mare di Cina azzurro . Beviamo del tè da una borraccia , è gelato . Finalmente Graf mi fa segno che si va . Nel casco risuona una voce nuova , dolce e pastosa . È dell ' ufficiale del IFAC . « Roger , sta bene » risponde più volte Graf . Filiamo in leggera picchiata in direzione di un massiccio fronte temporalesco , in fila indiana , come falchi . Davanti è lo Skyraider di O ' Gorman , secondo il nostro . L ' altimetro a orologio gira velocissimo a rovescio . Seimila piedi , cinquemila , quattromila , tremila , duemilacinquecento , duemilatrecento . Vedo un fumo nero con dentro dei punti incandescenti levarsi dal bordo di una risaia , vicino ad un gruppo di capanne , due delle quali ardono , e poco oltre , già profondo sotto di noi , lo Skyraider di O ' Gorman guizzare via e poi stagliarsi contro l ' orizzonte lontanissimo . Noto che il mio Skyraider si piega sul fianco sinistro , vedo la lancetta dell ' indicatore di sbandamento in posizione perfettamente verticale , entriamo per un attimo in una nube , il parabrezza si riga di rapidissimi rivoli di pioggia . " A questo sbandamento resisto bene " penso compiaciuto . Ma ho appena il tempo di pensarlo che sento un peso enorme premermi sulla sinistra , testa e corpo . Capisco che stiamo picchiando , cerco di alzare la cinepresa che ho tra le ginocchia . È diventata straordinariamente greve , riesco a sollevarla soltanto di due dita . Poi mi sento schiacciare contro il seggiolino e vedo cielo e risaie e nubi e fumo mescolarmisi davanti agli occhi come se fossi dentro un caleidoscopio furiosamente scosso . Graf mi guarda , ora voliamo lisci e senza scosse già alti sul circuito . « OK » gli dico . Invece che sette , i tubi delle bombe sporgenti sotto l ' ala sinistra sono ora sei , ne abbiamo scaricate due . Torniamo verso il fronte temporalesco , verso i fumi che fiammeggiano . Per impedire che succeda come al primo tuffo , pongo la cinepresa sopra il cruscotto , proprio vicino al plexiglas , il pollice sul tasto . " Qualcosa verrà pur fotografato " rifletto . Durante la picchiata stringo i denti , le braccia tese nello sforzo di protendere la cinepresa . Stavolta vedo la destra inguantata di Graf spostare la leva dello sgancio e tornare alla cloche . Alla terza picchiata piombiamo dentro un arcobaleno scintillante , la cabina si riempie di una vivida luce rosa azzurra . Poi la quarta picchiata , poi la quinta , poi la sesta . Il rombo ed il frastuono sono tali che non si sentirebbero né raffiche di mitraglia e forse nemmeno cannonate ; se si fosse colpiti sarebbe questione di dieci secondi o anche meno , finito tutto . Tra la sesta e la settima picchiata , Graf mi mostra con la mano i resti di un bianco Mohawk da ricognizione che bruciano dentro un bosco sprigionando un fumo giallo . Alla fine dell ' ultima picchiata vengo preso da una leggera nausea . « OK » dico un po ' meno saldo . Graf mi batte affettuoso una mano sulla spalla . Siamo rimasti sull ' obiettivo una dozzina di minuti . Rotta di ritorno . Penso che non ho visto né Vietcong né comunque figure umane vicino o sotto i punti bombardati . « Nemmeno io » dice Graf . « Però è chiaro che sotto gli attacchi si nascondono come possono , cercano di mimetizzarsi anche quelli che tirano con le mitragliatrici contraeree . Fino a dieci minuti prima del nostro sgancio , le mitragliatrici antiaeree sparavano ; sono stati gli F104 a farle tacere , forse a spazzarle via . » Voliamo sopra Saigon , ci abbassiamo su Bien Hoa . Quando atterriamo sono le diciassette , il nostro volo è durato due ore e cinquanta minuti . Rientrato a Saigon , la sera , leggo il bollettino della giornata . L ' operazione di Bac Lieu è la più importante tra quelle di domenica 4 luglio . « Il battaglione Vietcong " Dynamic " è stato impegnato a fondo da unità vietnamite . Apparecchi statunitensi sono intervenuti con sessantacinque uscite ... I ricognitori hanno stimato in settanta le perdite Vietcong ... Un ricognitore Mohawk è stato abbattuto , il pilota è deceduto ... La battaglia continua . » Il giorno dopo , lunedì , leggo : « Battaglia continuata con intervento aviazione , sono state effettuate ottantuno uscite ... Advisors statunitensi hanno oggi contato sul terreno duecentododici morti . Sono stati inoltre fatti diciannove prigionieri e catturati due mortai , una mitragliatrice contraerea , tre treppiedi per contraerea , varie armi individuali . Le forze vietnamite hanno avuto tredici morti e trenta feriti . Due piloti statunitensi di elicotteri sono rimasti feriti » .
L'Africa ha il suo Marx ( Moravia Alberto , 1974 )
StampaQuotidiana ,
Libreville . Un nuovo Machiavelli , oggi , certo abbandonerebbe la figura del Principe , nutrito di letture umanistiche , da Tito Livio a Plutarco e a Tacito e disegnerebbe invece quella del rivoluzionario moderno , assurto o no al potere . Questo rivoluzionario , naturalmente , sarebbe anche lui un uomo di cultura ; ma la sua cultura non sarebbe più quella dell ' umanesimo rinascimentale bensì una mescolanza di ideologia e di scienza . Come Marx , come Lenin , come Trotzki , come Stalin , come Mao , il rivoluzionario moderno sarebbe , oltre che un uomo politico portatore di una determinata ideologia , un cultore di quelle scienze che si occupano del fatto sociale . Frantz Fanon , il medico martinicano creatore del " fanonismo " ossia della sintesi più potente , più complessa e più vasta elaborata finora da tutti i motivi della rivoluzione anticolonialista nel Terzo Mondo , non costituisce un ' eccezione alla regola che oggi vuole l ' uomo politico anche uomo di scienza . Frantz Fanon era , infatti , un sociologo acuto e lucido , oltre che un uomo d ' azione e un poeta della palingenesi del Terzo Mondo . Ma quello che rende Fanon diverso dagli altri rivoluzionari e probabilmente unico nel suo genere , è il fatto che fosse anche uno psichiatra . Quanto a dire che egli si interessava attivamente non soltanto all ' uomo come animale politico e sociale ma anche alla persona umana vista nella sua inconfondibile e singolare interiorità . Immaginiamo un Marx che non solo ci descriva , nei suoi effetti sociali ed economici , il lavoro infantile nelle fabbriche inglesi del suo tempo ma anche esamini i riflessi di questo lavoro nell ' animo di una particolare bambina o di un particolare ragazzo ; e avremo il senso preciso della situazione centrale rispetto alla cultura moderna di Frantz Fanon ideologo della lotta anticolonialista e della " negritudine " , personaggio di primo piano della rivoluzione africana , medico psichiatrico , scrittore ormai classico . La sua originalità , come sempre avviene , va soprattutto ravvisata nella sua capacità di conciliare senza sopprimerle le contraddizioni estreme . Frantz Fanon è fautore a oltranza del nazionalismo come l ' arma più efficace contro il colonialismo e il mezzo migliore per creare o recuperare le culture nazionali ; ma al tempo stesso sembra rendersi conto che il nazionalismo europeo è stato il padre del colonialismo e del razzismo e che , invece di creare o recuperare le culture nazionali , il nazionalismo , strumentalizzandole , ne arresta lo sviluppo e ne uccide i germi più fecondi . È sostenitore del ricorso alla violenza sistematica e spietata nella lotta contro il colonialismo ; ma al tempo stesso , ne I dannati della Terra , nel capitolo " Guerra coloniale e disturbi mentali " studia con lucidità e delicatezza gli effetti distruttivi di questa stessa violenza nell ' intimità dell ' animo umano ( a proposito , cosa avrebbe detto Fanon dei killers di Fiumicino che si sono dichiarati " fieri " di aver bruciato vivi trenta innocenti , lui che , tra i casi clinici della guerra totale in Algeria , include quello dei due ragazzi arabi , assassini alienati e automatici di un loro amichetto francese ? Avrebbe riscontrato in quella " fierezza " un tratto psicopatico oppure l ' avrebbe approvata ? ) . Infine egli odia le cosiddette borghesie nazionali africane ( " la fase borghese nei paesi sottosviluppati è una fase inutile " ) ; ma al tempo stesso si palesa estimatore della borghesia europea anche se colonialista e imperialista ( " questa borghesia dinamica , colta , laica è riuscita pienamente nella sua impresa di accumulazione del capitale e ha dato alla nazione un minimo di prosperità " ) . Frantz Fanon è morto nel 1961 . L ' Algeria , alla cui rivoluzione ha partecipato in qualità di militante , la maggior parte delle colonie africane alla cui liberazione ha contribuito potentemente con la sua opera scritta , sono Stati indipendenti . Ora , cosa direbbe Frantz Fanon oggi del Terzo Mondo e in particolare dell ' Africa nera come si è venuta assestando a livello politico negli ultimi anni ? Nell ' opera di Frantz Fanon , vorrei distinguere due parti . La prima è quella in cui Fanon definisce la situazione del negro nel mondo creato dai bianchi e , conseguentemente , incita gli africani alla violenza per distruggere il colonialismo razzista . La seconda , che chiamerei testamentaria e profetica , è quella in cui Fanon critica le nuove società africane e i loro sistemi politici e suggerisce i modi , " per l ' Europa , per noi stessi e per l ' umanità " coi quali sarà possibile " rinnovarsi , sviluppare un pensiero nuovo , tentare di metter su un uomo nuovo " . La prima parte contiene una requisitoria folgorante contro il colonialismo e il razzismo e va considerata fondamentale per tutto quanto riguarda il Terzo Mondo : ma occorre dirlo , essa ormai " data " senza per questo perdere il suo valore ideologico e letterario , come è proprio in genere dei classici , appunto perché ha determinato in maniera irreversibile e definitiva la presa di coscienza da parte degli africani e degli europei nei riguardi del colonialismo . Il quale , è vero , è ancora attivo in Africa , ma appare , ormai , anche per merito di Fanon , del tutto anacronistico e svuotato di contenuto . La seconda parte , quella che ho chiamato testamentaria e profetica , è e sarà invece per lungo tempo di attualità non soltanto nel Terzo Mondo . È chiaro infatti che quando Fanon , nella conclusione dei Dannati della Terra , dice : " Cerchiamo di inventare l ' uomo totale che l ' Europa è stata incapace di far trionfare " egli si rivolge indistintamente a tutti gli uomini . Ma accanto a questa attualità , diciamo così , universale , ce n ' è un ' altra che riguarda direttamente e unicamente la nuova Africa . Vediamo adesso perché e in che modo . Come ho già accennato , Frantz Fanon è prima di tutto , per le esigenze della lotta anticolonialista , un nazionalista convinto . Ma egli non crede alla possibilità e tanto meno alla necessità di una borghesia nazionale in Africa . Logicamente , quindi , Fanon finisce per orientarsi verso il socialismo cioè verso quella democrazia " dal basso » che si esprima nell ' istituzione del partito unico , depositario dell ' ideologia " progressista " ( per distinguerlo , come si vedrà , dal partito unico " reazionario " ) . Il pluripartitismo di specie parlamentare è , infatti , inconcepibile senza una borghesia forte e colta e abbiamo già visto che per Fanon questa borghesia in Africa non è né possibile né desiderabile . Non c ' è dubbio , insomma , che se Fanon non fosse morto nel 1961 , avrebbe accolto , pochi anni dopo , molte delle istanze sociali e politiche della contestazione . Adesso guardiamo all ' Africa , oggi . Il fenomeno politico che colpisce a prima vista è il trionfo del partito unico e del suo indispensabile complemento , quello cioè che Fanon chiama il leader . Quasi dappertutto , insomma , il pluripartitismo parlamentare , con le sue appendici indispensabili di libertà individuali e di diritti dell ' uomo , è stato annullato da rivoluzioni , colpi di Stato militari e no , dissoluzioni delle opposizioni . Forse nessuno è più idoneo , oggi , a spiegarci i motivi , diciamo così , " interni " di questa crisi del pluripartitismo in Africa , di un uomo come Kenneth Kaunda , attuale presidente dello Zambia . Questo paese per dieci anni dopo l ' indipendenza è stato governato da Kaunda col sistema pluripartitico . L ' anno scorso , Kaunda ha proclamato lo Zambia paese a partito unico . In una intervista a " Newsweek " , alla domanda di come sono andate le elezioni basate per la prima volta sul partito unico , Kaunda risponde con una certa quale ingenuità : " Sono state le elezioni più tranquille che abbiamo mai avuto in questo paese . In passato , tutte le volte che scioglievo il parlamento , letteralmente mi aspettavo la morte di molti dei miei concittadini . La burocrazia , l ' esercito , la polizia , tutte le istituzioni della nazione erano spaccate dalle linee politiche dei partiti . D ' altronde questi partiti erano a loro volta basati sulle tribù e così , qualsiasi cosa si facesse , portava alla divisione . " A questo quadro desolante degli effetti del pluripartitismo , il giornalista americano fa seguire la logica domanda : " Ma il partito unico può realmente essere democratico ? " . Al che Kaunda risponde : " In Occidente , quando si parla di partito unico , i più pensano immediatamente a tirannie , repressioni , dittature ... Io non accetto questo punto di vista . Noi abbiamo tentato il pluripartitismo qui nello Zambia . Sinceramente , abbiamo cercato di farlo funzionare . Ma ci siamo trovati sommersi dai risentimenti tribali , religiosi , razziali e così via . Questo sistema qui non funziona ; avrebbe distrutto la nazione ... allora alla fine abbiamo deciso di creare un sistema nuovo " . Non c ' è molto da aggiungere a queste parole così illuminanti sulla crisi del pluripartitismo e sul passaggio alla " democrazia " del partito unico . Naturalmente il carattere politico e sociale di questi partiti unici varia grandemente . Una prima suddivisione sarebbe quella tra partiti unici legati alle borghesie nazionali e partiti unici socialisti dalle varie sfumature , dal " socialismo africano " al marxismo di stretta osservanza . Una seconda , quella tra leaders militari e leaders civili . Una terza potrebbe essere basata sulle tendenze politiche di questi leaders : vi sono militari che si proclamano socialisti , e civili che si appoggiano alle borghesie nazionali , e viceversa . Ma c ' è un tratto comune che sovrasta a tutte queste differenze ; ed è la personalizzazione del potere o , se si preferisce , il culto della personalità . Quest ' ultima definizione è diventata ormai un luogo comune il cui significato , appunto perché ovvio , quasi sfugge all ' attenzione . Ma in Africa il culto della personalità è proprio il culto della personalità , né più né meno . Nei nuovi Stati africani tutto sembra contribuire al culto della personalità : la dittatura del proletariato come la dittatura militare , il partito unico socialista come il partito unico borghese nazionale , il centralismo urbano e industriale come il decentramento tribale e contadino . Ciò che si vede , nella sua ingenuità e autenticità , ha un valore altrettanto probante di ciò che si potrebbe scoprire con indagine approfondita . Per esempio i perizomi vivaci in cui si avvolgono le donne africane , dovunque e coi più diversi partiti unici , mostrano spesso sul dorso e sul ventre il ritratto in grandezza naturale del leader con il titolo che gli compete ( quasi sempre " presidente " , in alcuni casi " presidente a vita " ) circondato di slogan e motti di propaganda . D ' altra parte , bisognerebbe essere ciechi e sordi per non accorgersi , viaggiando in Africa , dell ' atmosfera di timore reverenziale , di devozione intransigente , di rispetto protocollare che circonda la personalità del leader , nonché dei modi più o meno autoritari del suo predominio . Accanto a questi caratteri che si possono ancora chiamare positivi , ve ne sono altri che difficilmente potrebbero essere considerati tali . Il culto della personalità , come abbiamo visto , si basa sul partito unico , e dunque sulla assenza dei partiti di opposizione . Da questo , all ' intolleranza verso gli oppositori esterni e interni , il passo non è lungo . È un fatto accertato che in alcuni Stati africani retti a partito unico , secondo l ' ultimo rapporto dell ' Amnesty International molti oppositori di varie tendenze politiche si trovano in carcere senz ' altro motivo che il loro dissenso dal leader . L ' imprigionamento degli oppositori dimostra , secondo me , più di qualsiasi acritico fanatismo popolare , il prevalere del culto della personalità . Allo stesso modo che l ' esistenza legale di un ' opposizione è l ' indizio più sicuro di segno contrario . Insomma , il leader africano militare o civile , borghese - nazionale o socialista - si ammanta spesso di un potere che bisogna pur chiamare carismatico . Al carattere sacrale del potere politico contribuisce probabilmente anche la particolare religiosità delle masse . Le religioni , tutte le religioni , sia quelle autoctone e tribali sia quelle a sfondo universalistico , non sembrano spesso avere in Africa limiti sociali e psicologici precisi . Come i grandi fiumi africani che alla stagione delle piogge escono dai loro alvei e inondano immensi territori , la religiosità africana , pur di fronte a novità sconvolgenti come il socialismo e il nazionalismo , non tanto scompare quanto trapassa dalle vecchie alle nuove istituzioni tutte sommergendole nella sua irresistibile onda mitica . Il leader africano prim ' ancora che un militare o un civile , che un borghese nazionale o un socialista , è spesso un padre spirituale , una guida morale , un maestro di saggezza , un capo religioso , un tutore ideologico , un messia politico . I leaders si chiamano " Osagyefo " ( redentore ) e " Mwalimu " ( maestro ) ; parlano di " Ujamaa " ( spirito della famiglia ) e di " Harambee " ( cooperazione ) oppure informano il partito ad " un umanismo cristiano " affinché " il servizio incondizionato dei nostri compagni sia la più pura forma del servizio di Dio " . Sugli autobus in gran parte dell ' Africa nera , al di sopra della scritta che ne indica il percorso , si leggono frasi edificanti di questo genere : " Dio è la mia guida " ; " L ' onestà è il migliore sistema " ; " Con Dio mi sento sicuro " ; " Onora tuo padre e tua madre " , ecc. ecc. L ' idea soggiacente al potere carismatico sembra essere che la società è tutta una grande famiglia affettuosa in cui si viene istruiti , educati , assistiti , guidati e , alla fine , premiati o puniti . Naturalmente tutto questo non impedisce al potere di essere il potere , alla politica di essere la politica , alle classi di essere le classi . Si tratta , insomma , soprattutto di una questione di linguaggio connessa a sua volta con la civiltà contadina che è propria di tutto il Terzo Mondo ma che in Africa ha caratteri originali diversi dall ' Asia e dall ' America Latina . D ' altra parte bisogna avvertire che il carisma non impedisce affatto una consapevolezza del tutto realistica dei limiti e dei lati negativi sia del leader che del sistema a partito unico . Ma la personalizzazione del potere sembra essere alla fine la condizione essenziale affinché il carisma si verifichi .
StampaQuotidiana ,
Costantinopoli , aprile . La Conferenza orientale ricomincia il suo lavoro delle Danaidi , che è , in lingua povera , il prestar l ' acqua nel mortaio . Tant ' è , ben provvede l ' Intesa alla propria dignità presentandovisi con figure di secondo piano : non Garroni , ma Montagna , non Curzon , ma Campbell , non Bompard , ma Pellé . Ed è significante ; ma più significante il « messaggio » di Riza Nur , secondo delegato turco , violino di spalla , a Ismet Pascià , il qual Riza Nur , in un ' intervista al giornale « Vakid » si esprime in sostanza così : « L ' Unione e Progresso , l ' eterno prevaricatore , è in amorosa stretta col capitale europeo ; noi invece , noi d ' Angora la Santa , noi gl ' invitti e i puri , noi , vero popolo turco , nulla vogliamo di comune con codesto partito europeizzante di corruttori e di corrotti » . Il « grido dell ' anima » di Riza Nur va rilevato e pesato a giuste bilance . Già è l ' epifonema della missione Giambullat . Chi dice Giambullat Ismail Bey , dice Giavid , Kara Kemal , Giaid , Faik Nuscet e tutto l ' « Unione e Progresso » . Questo partito è ancora una formidabile organizzazione d ' uomini abili , intelligenti , capaci e , a prova , la sua recente vittoria nelle elezioni municipali di Costantinopoli , e , vi si può contare certamente , quella prossima futura delle elezioni politiche in tutta la Turchia europea . Mustafa Kemal , già « unionista » al tempo della prima rivoluzione , quando , tenentino , serviva da ufficiale di scorta a una delle più forti teste del partito , non può ignorare qual conto debba farsi di un ' organizzazione che dispone della testa stessa della nazione ed è l ' unica adatta a intendersi eventualmente con l ' Europa . Il Gazi , veramente , non aveva mai perduto i contatti col suo partito della prima ora e gli fu agevole provocare la missione Giambullat . Giambullat , dunque , indettatosi uno di questi giorni coi suoi buoni amici di Cospoli e assestati gli occhiali sulla simpatica faccia , è partito sorridendo per Angora . Qui la vita del Gazi è tutt ' altro che lieta ; difficile anzi il suo stato e non senza pericolo . Circonfuso del nimbo di una vittoria strepitosa , di cui niuno più di lui è giudice di merito , ben cerca di tenersi alto e come librato al di sopra delle competizioni violente dei partiti ; alto , che non senta le fucilate dei disertori alla macchia o i pianti dei contadini immiseriti dalle requisizioni continue ; alto , per tentare di svincolarsi dai tentacoli moscoviti ( oh , misteri profondi della scomparsa di Enver ! ) ; alto per dominare il caos . Ma le grazie incomparabili di Latifé Hanun ( come chi dicesse la signora Latifé , la signora Amabile , semplicemente ) , non valgono a celargli la vista dal sangue . Si sgozzano accanto a lui , gli insozzano il talamo . Ecco Sciukry Bey , uno che tenta di fargli opposizione . Ebbene , Osman Agà , amico zelante del Gazi , lo ammazza come un cane ; ma i gendarmi del Governo , i gendarmi del Gazi stesso , più o meno , assediano Osman in casa e lo accoppano a sua volta . Come mai , se è amico del Gazi ? Non importa , il Gazi stesso non sarà per provarne troppa pena . E intanto il monosillabico Giambullat se ne va a trovare il Gazi ad Angora , ove proprio di questi giorni – divino simbolismo delle umane cose ! – la cupola del tempio onde Augusto annunziò or è duemila anni al mondo la pace in terra , si è sprofondata . Che cosa si siano detti i due vecchi auguri non è precisamente noto ; ma si sa che non si sono accordati . E non era possibile , che non esiste terreno d ' intesa fra Unionismo e Dittatura , poi che voler cumulati in un ' assemblea legislativa tutti i poteri , l ' esecutivo compreso , è un mirare coscientemente alla Dittatura , traverso il caos . Giambullat , ai propositi del Gazi , deve aver risposto sorridendo del più equivoco dei suoi sorrisi egli che è stato prefetto di polizia , e , raggiustati gli occhiali sul naso , è tornato a Costantinopoli : « Rien à faire » ! E torniamo finalmente a Riza Nur , il quale giusta le benemerenze del suo riverito nome ( « Nur » vuol dire « luce » ) ci illumina sufficientemente per riconoscere perfettamente la situazione . Il suo squillo di tromba contro l ' « Unione e Progresso » è in sostanza diretto verso l ' Europa ( Lausanne lo proverà ancora una volta ) ed ha , chi ben intenda , accento moscovita , là dove esalta quel povero popolo turco , che sa , è vero , battersi e morire , ma preferirebbe vivere e prosperare ; ma più ancora quando fulmina il capitalismo europeo nei suoi amoreggiatori di Costantinopoli . Conclusione : Angora è con Mosca e contro l ' Intesa . Non è sede questa giudicare qual parte di torto ha l ' Intesa se si è giunti a questo ; ma se i Turchi leggessero ancora il Corano , caduto in disuso , si vorrebbe indicar loro la bellissima « sura » che parla della tentazione orando , a deprecarla , quasi a modo di paternostro , dov ' è detto : non ci indurre a tentazione ! ché è tentazione , badino , lo bonomia inglese nell ' abbandono della polizia di Cospoli ; tentazione parziale e discreto allontanamento della flotta ; tentazione quel lasciar passare , quel lasciar correre , onde s ' informa ora la politica e la diplomatica inglese nell ' Oriente Turco . Male affiderebbero un popolo meditativo e veramente intelligente certe arie di viola mammola modesta e schiva ! Ma Angora s ' illude che l ' Europa è veramente e definitivamente impegnata in Europa e nulla può quindi imprendere in Oriente . Noi osserviamo però che , se anche la Francia « s ' enfonce » in Germania – il che potrebbe anche non avvenire – vi è pur chi ha le mani libere e lunghe e pronte a ghermire . E osserviamo che se i Turchi , ricondotti ai campi materni dell ' Asia e riabbeverati alle mammelle dell ' antica nutrice di lor schiatta , vi han riscosso virtù da scacciare gli invasori , ben può il fenomeno riprodursi sui campi di Tracia , ma per altra gente e a lor danno . I Greci sono in armi sulla Maritza rovinati e disperati ; Mosca è lontana , ma Londra è vicina e la moschea non è con Angora , né il Halifa , né il popolo anatolico è tutto per Angora , né tutto l ' esercito ; né è senza esempio nel mondo , e più in Turchia , l ' attingere il sommo fastigio e ... perire .
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Belluno - Arrivare ad Erto di notte in questo periodo dell ' anno , col vento che soffia e la luna - come quella sera - che illumina l ' immobile paesaggio della frana del Toc , serpeggiato da stradine tracciate sulla sabbia , fa l ' impressione di entrare in un mondo di fantasmi , le cui porte si aprono all ' altezza della diga del Vajont . O forse ancora prima , a Fortogna , sulla strada di Alemagna . La vallata del Vajont non è cambiata dalla notte della tragedia . È stato detto ormai tante volte , ma bisogna ripeterlo , gridarlo , perché chi porta la responsabilità del « dopo » non si lamenti se qualcosa succede da queste parti , in questo villaggio di fronte al Toc , dove 104 famiglie , oltre 300 persone , vivono ormai da anni un ritorno al paese che ha il significato della protesta . Un ritorno che è stato amaro , ma assai meno umiliante della carità di un affitto in casa altrui , a Cimolais o Claut , quando una casa propria esisteva nel vecchio villaggio , disabitata e in preda di topi . Trecento persone che non hanno creduto e non credono alle promesse di ministri e di « autorità responsabili » . Alla luce della realtà esistente , quelli che allora sono ritornati ad Erto contro la legge che li aveva scacciati , e che ci vivono tuttora in un isolamento che soltanto una testarda volontà può sopportare , dimostrano polemicamente di aver avuto ragione sul futuro della comunità . Non è sorto niente , infatti , in nessun luogo , che possa dare adito a speranze , che tanti ertani del resto credevano realizzabili a Maniago , per esempio . Non è sorta ancora nessuna casa , tranne le fondamenta della solita fatidica prima pietra in quella landa , espropriata per pochi soldi ai contadini locali per essere trasformata nel nuovo paese di Erto a valle . L ' Erto a monte , a quota 830 , per quelli che avevano scelto di rimanere nella valle del Vajont , è anch ' esso una speranza ormai abbandonata da chi ci credeva . Sostenere ancora queste illusioni è lecito ? È possibile , è giusto - la domanda è da porsi - alimentare speranze che dopo tre anni e mezzo sono ancora soltanto segni sulla carta ? E differentemente , come pensa il Governo di sistemare la comunità ? * * * Lo Stato ha speso per gli ertani , dal 9 ottobre 1963 ad oggi , oltre tre miliardi di sussidi . Di lavoro sul posto non ce n ' è ; andare all ' estero significa abbandonare la cura di interessi familiari , una necessità creata dalla tragedia e che nessuno ha ancora risolto . È più facile , oltretutto , scegliere la via sulla quali li ha istradati il governo : sussidio a tempo indeterminato . È un risultato voluto dai governanti . Con tre miliardi si poteva ricostruire , o quasi , un piccolo paese come Erto . Allora , per quale determinazione , per quale assurdo disegno si è preferito disgregare una comunità , mettere i suoi abitanti gli uni contro gli altri , perseguitare chi non crede più alle promesse , in definitiva creare dei ribelli al posto degli uomini che un tempo coltivavano questa valle con pazienza e sacrificio ? * * * All ' imbocco del paese di Erto , all ' altezza del cimitero , c ' è un cartello che vieta il transito causa il terreno franoso . Il divieto dura fino alla piazzetta , che un tempo non aveva nome essendo l ' unica piazza del paese che dopo il Vajont è stata intitolata «9 ottobre » . Tra la piazza e il cimitero le case sono abitate . Sulla strada è vietato passare , ma non è vietato agli ertani abitare in quella zona dove si asserisce esservi pericolo . Non è vietato celebrare le funzioni religiose nella chiesa - il prete arriva una volta ogni tanto - situata dentro il perimetro franoso . Ricercare una logica negli avvenimenti del Vajont , di prima , di dopo , di adesso , è come ricercare un ago in un pagliaio . Nei giorni prima della tragedia si era imposto agli ertani di sfollare le bestie della zona del Toc , ma non la gente . Adesso si fa altrettanto , si blocca la strada , ma ci si può abitare sopra . Qualche ertano ride amaramente , qualche altro si infuria . Ben presto il cartello scompare . Arrivano i carabinieri e vanno difilati da un membro del comitato locale , che per non avere peli sulla lingua è considerato il più « sovversivo » di tutti . Lo tirano fuori di casa e gli chiedono : « Chi è stato ad asportare il cartello ? » . E lui risponde rivolgendo alla forza pubblica un ' altra domanda : « Chi è stato ad ammazzarmi la famiglia ? » . Malgrado la vita da primitivi che sono costretti a fare , questi ertani serbano ancora una logica invidiabile . Chi è stato , infatti , a provocare la tragedia ? Ancora ufficialmente non si sa . Ogni piccola cosa che succede , anche la rivendicazione di un diritto normale da parte di coloro che abitano il vecchio paese , è vista come una sollevazione . Gli ertani sono pedinati se escono dal paese , se vanno in montagna , se si riuniscono ; sorvegliati come confinati . E confinati lo sono , anche se volontari . La sensibilità delle autorità non arriva a comprendere lo stato d ' animo , la psicologia che si è creata in questa gente , distrutta , rovinata , prima dal monopolio elettrico , poi dall ' incapacità dei pubblici poteri . Per ogni cosa che accade , gli ertani sono chiamati a Cimolais dai carabinieri . Frasi come : « Questa volta ti sbatto dentro » sono all ' ordine del giorno . « Siamo trattati come delinquenti , dopo che ci hanno ridotti in questo stato . La colpa è ancora nostra , capisci ? » . * * * Quella sera era il venerdì santo . Un tempo , per tradizione popolare , veniva realizzata una bellissima passione di Cristo . Quest ' anno la tradizione non è stata rispettata , e sarebbe stata una notte adatta , col vento che ululava nella valle sotto lo splendore di una luna che illuminava la parete bianca del Toc , la sua enorme ferita lasciata dalla montagna precipitata dentro il lago . In chiesa si celebrava la funzione religiosa , ma l ' unica osteria del paese era piena di gente e parlare di qualcosa che avesse attinenza con i problemi del Vajont era come accendere una miccia . Perciò uscimmo con un gruppo , che poi s ' ingrossò dentro l ' abitazione di uno di quei « desperes » . Disperati di tutto e per tutto . Si parlò a lungo , di case , di persone , della politica . Un ex socialista ci disse : « Qui hanno restituito 140 tessere del PSU per protesta . I socialisti sono al governo e ci lasciano in queste condizioni » . « Ma cosa avete intenzione di fare per smuovere le acque stantie dell ' indifferenza o quanto meno della lentezza con cui si affrontano i vostri problemi ? » . Ormai gli ertani sono diventati sospettosi di tutti , stentano ad esprimere le loro intenzioni per paura che qualcuno faccia la spia alle autorità o al sindaco , che non va mai a visitarli ad Erto . « Stai pur sicura che qualcosa faremo , ormai ci hanno preso in giro fin troppo » . Ma non dicono cosa . Anche questi misteri sono perfettamente intonati all ' ambiente . Sulla strada del ritorno , caracollando con la macchina sopra la frana del Toc - un gran canyon che attraversa la valle del Vajont per diversi chilometri - ci sembrava di essere stati dentro un incubo assurdo , come nei sogni . Soltanto che dai sogni ci si risveglia rallegrandoci di riaffiorare in una diversa realtà . Quelli di Erto il loro incubo lo vivono da tre anni e passa , e se da esso non li si fa uscire presto , rischiano di non essere più recuperabili per una vita diversa
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Gustavo Adolfo Rol ( 1903-1994 ) - considerato da molti parapsicologi il più grande sensitivo del Novecento . - continua a far discutere da morto come avveniva quando era vivo . Sul Corriere della Sera del 12 marzo 2000 lo scrittore Alberto Bevilacqua ha tratto spunto dall ' uscita di un volume di scritti di Rol curato da Caterina Ferrari per prendersela con le " squallide denigrazioni " di certi " signori " - tra cui un " noto divulgatore " ( con ogni evidenza Piero Angela , che lo scrittore però non nomina ) - i quali , chiusi in uno scetticismo miope , avrebbero attaccato e umiliato Rol . L ' argomento non è semplice come può sembrare . I fenomeni paranormali di Rol hanno affascinato intere generazioni , hanno commosso e stupito molti grandi del mondo , ed è difficile credere che si sia trattato sempre e soltanto di mistificazioni . I molti che lo hanno conosciuto bene portano con sé il ricordo di un uomo onesto , disinteressato , che non ha mai chiesto denaro , anzi ha contribuito generosamente del suo alle cause benefiche che gli stavano a cuore . Gran signore , Rol si è mantenuto ai margini della ricerca parapsicologica accademica , così che oggi non abbiamo studi scientifici su Rol sul tipo di quelli condotti all ' Università della California e altrove su altri sensitivi del ventesimo secolo . Leggendo l ' introduzione di Giuditta Dembech agli Scritti per Alda - una raccolta di testi di Rol indirizzati a una misteriosa donna amata - si ha l ' impressione che il mancato incontro tra Rol e la parapsicologia universitaria non sia dipeso soltanto dal sensitivo torinese . Secondo la Dembech , quando Rol chiese al fisico Tullio Regge che gli venisse affiancato un ricercatore , ne ebbe in cambio l ' invito a sottomettersi ai controlli di un illusionista . Più tardi , un " giovane ricercatore dell ' Università di Torino " , che aveva cominciato a interessarsi a Rol , avrebbe ricevuto dai suoi superiori universitari il consiglio di non continuare la ricerca . Certo , però , Rol preferiva vivere nella discrezione , e per altri sensitivi la strada della collaborazione con la ricerca scientifica è stata pubblica , faticosa e spesso anche umiliante . Così , la possibilità di " risolvere " il mistero di Rol è morta con lui . Né coloro che credono dogmaticamente a tutto quanto riferiscono i suoi sostenitori , né gli scettici di professione - che , non meno dogmaticamente , considerano a priori qualunque fenomeno paranormale come illusorio o fasullo - possono oggi veramente pensare di " provare " all ' altra parte di avere ragione . Rol era infastidito da coloro che si interessavano esclusivamente ai suoi " fenomeni " . Nel 1975 scriveva : " Dopo tanto tempo non ho costruito nulla in voi ; ho soltanto colmato molte ore della vostra noia , vi ho dato spettacolo (...) Almeno un piccolo tentativo avreste pur potuto farlo , quello di muovervi verso di me o almeno verso le cose altissime che mostro a voi ciechi , egoisti , indifferenti a quel che succede " . Ma quali erano le " cose altissime " che Rol " mostrava " ? Spesso amava dire che il suo insegnamento sarebbe stato reso noto soltanto dopo la morte , ed è in effetti in questi anni che documenti inediti cominciano ad affiorare , anche se molto resta ancora da pubblicare . Rol si diceva credente e praticante , e certamente tra i suoi ammiratori si annoverano molti cattolici ( alcuni dei quali noti e illustri ) . Quello che si sa delle sue idee lascia però molte perplessità . Trascuriamo pure il suo atteggiamento nei confronti dell ' amore e del matrimonio - che prevedeva " matrimoni celesti " , ma non puramente platonici , in presenza di legami matrimoniali preesistenti e del tutto validi - che potrebbe attenere al semplice privato di Rol . Si potrebbe anche considerare non decisivo l ' atteggiamento sulla reincarnazione , perché - scrive Giuditta Dembech - " a volte l ' accettava completamente , lanciandosi a raccontare episodi che ci stupivano sull ' uno o sull ' altro personaggio storico , o addirittura sui presenti ... A volte invece accampava forti riserve , modificando o contraddicendo quanto aveva affermato in precedenza . Altre ancora pareva respingerla apertamente " . Sembrerebbe dunque che non si possa ascrivere con certezza Rol al campo oggi vasto dei reincarnazionisti , anche se molti ammiratori lo considerano la reincarnazione di Carlo Magno e di Napoleone , e se la Dembech ritiene che " ( … ) Rol credesse fermamente nella reincarnazione " e si smentisse occasionalmente sul punto soprattutto " ( … ) per non urtare la suscettibilità della Chiesa " . Ma è il messaggio centrale che sembra emergere da quanto si va pubblicando di Rol a essere estraneo alla visione del mondo cattolica . L ' insegnamento di Rol è incentrato sulla nozione di " spirito intelligente " come realtà che è nel senso più vero " quello che siamo " , e che rimane sulla terra anche dopo la morte . Il sensitivo torinese disprezzava certamente le sedute spiritiche comuni e " volgari " , e tanto più i medium che operano per denaro . Tuttavia , non escludeva che gli " spiriti intelligenti " potessero manifestarsi dai " regni invisibili " , e partecipava a " sedute " se riteneva che fossero immuni dai pericoli dello spiritismo volgare . Talora ne distruggeva la documentazione , proprio per non favorire la diffusione di quello spiritismo che riteneva pericoloso . Ma qualche cosa rimane . Giuditta Dembech riproduce per esempio a proposito di una poesia del sensitivo , La ruelle des chats , una annotazione manoscritta di Rol che la definisce " poesia scritta dallo spirito intelligente di uno studente afgano , vivente a Parigi . Seduta in casa Visca , 11-12 gennaio 1975 " . E a proposito di questa " seduta " , Rol annota che " contemporaneamente , come nella precedente seduta ( pochi giorni innanzi ) , si ottenne dallo spirito intelligente di Francisco Goya il disegno di una donna sdraiata ( nella seduta di prima Goya disegnò il ritratto della duchessa d ' Alba ) " . Sarebbe sbagliato definire Rol semplicemente uno spiritista ; e non solo per la sua reiterata presa di distanze dallo spiritismo ( in cui , affermava , " vi è del vero ( … ) ma ancora troppo poco per farne una ' dottrina ' " ) . La sua nozione di " spirito intelligente " si ritrova , al di fuori della tradizione propriamente spiritista , nell ' ambiente teosofico e in vari filoni del New Thought anglo - americano . Lo " spirito intelligente " per Rol continua a esistere in una sorta di eterno presente : " La mela che Sempronio mangiava il 16 luglio 1329 , esiste tuttora , non meno di quando era attaccata ai rami dell ' albero e prima ancora che l ' albero esistesse né col 16 luglio 1329 la sua funzione venne a cessare , poiché nel tutto che si accumula , ogni cosa rimane operante , Dio e i suoi pensieri essendo la medesima cosa e non potendo un aspetto separato di questa cosa modificare la natura della cosa stessa . Dio è eterno e inconsumabile , onnipotente e multiforme e noi , parte di Dio , siamo la stessa cosa che Dio " . L ' affinità con il mondo " akashico " di Rudolf Steiner ( 1861-1925 ) - più ancora che con la Teosofia , le cui affinità con il pensiero di Rol erano state notate già dal fratello Carlo ( 1897-1978 ) , frequentatore a Buenos Aires della Società Teosofica Argentina - sembra particolarmente evidente . Rol , del resto , definisce Steiner " forse il primo uomo che sia riuscito a farsi libero " e l ' antroposofia " scienza pura dello spirito nella stessa guisa che la scienza naturale è scienza della natura " . E questo anche se Steiner , " l ' inventore della scienza antroposofica " , secondo Rol aprì " ( … ) solamente uno spiraglio ( … ) della massiccia porta di granito che separa l ' uomo che vive dal mondo delle rivelazioni alle quali è destinato " . Questi riferimenti culturali di Rol sono a filoni certamente importanti nella storia culturale dell ' Occidente , ma dove la visione del destino dell ' anima ( e non solo ) è diversa e inconciliabile rispetto alla dottrina cattolica . Quest ' ultima - nelle sue espressioni magisteriali , che non vanno confuse con le affermazioni di singoli sacerdoti talora entusiasti di presunti fenomeni di contatto con i defunti - ripudia qualunque tipo di " seduta " e di medianità . I cattolici hanno imparato fin dall ' Ottocento a diffidare di chi propone scorciatoie per " provare " l ' immortalità dell ' anima - o dello " spirito intelligente " - e , con tutto il rispetto per l ' onestà di Rol , le manifestazioni dello spirito di Goya , che disegna la duchessa d ' Alba oltre cento anni dopo essere morto , o la " scienza pura dello spirito " di Steiner veramente non c ' entrano con la fede cristiana . Tutto questo non è , né vuole essere , una presa di posizione nella polemica sul carattere reale o simulato dei " fenomeni " di Rol . Una soluzione soddisfacente per tutti ai quesiti sollevati da questa polemica , per i motivi accennati , è allo stato impossibile . E ' tuttavia importante distinguere fra i " fenomeni " e la dottrina di chi dei " fenomeni " è protagonista . La Chiesa cattolica insegna che la dottrina è ben più importante dei fenomeni apparentemente miracolosi nel giudicare della santità di un candidato alla beatificazione , o dell ' attendibilità di una apparizione mariana . Certamente per un cattolico è sulla base della dottrina che si deve giudicare il significato di " fenomeni " apparentemente straordinari , e non viceversa . Gustavo Adolfo Rol è ora affidato alla misericordia infinita di Dio , e ci piace credere che questa saprà apprezzare le sue intenzioni , presumibilmente buone . Le dottrine cui fatalmente si accosta chi approfondisce la sua figura appartengono invece - al di là dei suoi personali desideri - a una tradizione metaphysical ( nel senso anglosassone del termine ) ed esoterica certo meritevole di essere studiata come componente importante della cultura occidentale moderna , ma altrettanto certamente alternativa rispetto alla fede della Chiesa .