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Belluno , 19 febbraio - Nel cimitero di Sedico è stato sepolto oggi il minatore Angelo Casanova , accompagnato all ' ultima dimora da una grande folla in lutto . Appena cinque mesi fa la stessa folla aveva accompagnato al medesimo cimitero altri tre compaesani , morti a Mattmark . Un dolore che si rinnova È un dolore che si rinnova per tragedie purtroppo ricorrenti non solo a Sedico , ma in tutti i paesi della provincia : non ce n ' è uno che non abbia emigranti all ' estero , soprattutto nei luoghi dove si costruiscono dighe e bacini idroelettrici . I nostri lavoratori sono ormai specializzati in questi impieghi : in parte per la tradizione ereditata dai padri minatori , in parte per l ' esperienza acquisita nei loro paesi d ' origine a lavorare nelle gallerie per la costruzione dei numerosi bacini idroelettrici , realizzati nel Bellunese . Realizzazioni grandiose , ma pericolosissime e lo sanno bene le società costruttrici tanto da preventivare il rischio delle vite umane sul conto della spesa complessiva dell ' opera . Quanti dei nostri concittadini hanno finito la loro vita dentro una galleria , sotto una frana , o cadendo da una impalcatura ? In appena venti anni certamente diverse centinaia . È del giorno dopo la sciagura del Canton Ticino la notizia pervenuta dal Ghana che annunciava la morte , avvenuta in seguito a una esplosione in galleria , di Angelo Zangrando , da Perarolo . Anche lui lavorava in un cantiere idroelettrico . Tre emigranti morti sul lavoro in due giorni . Spesso la notizia di un decesso passa quasi inosservata , a meno che non coinvolga un gruppo numeroso di vittime . Si sente dire che un operaio del tal paese è morto all ' estero e la ribellione avviene solo nell ' ambito della famiglia interessata ; spesso l ' opinione pubblica non lo viene nemmeno a sapere e anche quando ne ha notizia l ' accetta come una « fatalità » derivata dalla condizione stessa dell ' emigrazione ; dalla fortuna o dalla sfortuna personale di trovarsi nel momento della disgrazia in un posto della galleria invece che in un altro . Poche volte si va al di là di questo semplice ragionamento anche perché la condizione dell ' emigrante poggia sulla leggenda - simbolo del bravo e operoso lavoratore che rende alla patria ed è il benemerito di una vasta schiera che all ' estero contribuisce al progresso della civiltà . Commozione tardiva Agli emigranti che tornano si preparano d ' inverno festose accoglienze , con messe , banchetti e discorsi , dove i deputati democristiani hanno modo di commuoversi per i sacrifici degli emigranti , sperando nei voti futuri . Ultimamente è nata perfino un ' Associazione degli emigranti , che ha per fondatori tutte le organizzazioni cattoliche e paragovernative della città , unite allo scopo di « sollevare » le condizioni di questi lavoratori attraverso comitati all ' estero e in Italia , affinché l ' emigrante « viva nel proprio ambiente » e non senta con troppa nostalgia la lontananza del paese e della patria . Tra tutte le clausole inserite nello statuto di questa associazione non ce n ' è una che abbia l ' unico significato importante e umano per gli emigranti e cioè quello di farsi promotrici di una battaglia concreta affinché i lavoratori trovino , in quella patria sempre indicata con la iniziale maiuscola , il necessario per vivere accanto alla famiglia . Oggi dietro la bara di Angelo Casanova ( la salma dell ' altro bellunese perito nella sciagura del Canton Ticino , Valerio Chenet , è stata sepolta in Svizzera ) pensavamo a queste cose e al veramente triste destino di questo operaio . Cacciato dalla valle del Mis dalla società elettrica che gli aveva espropriato la terra e la casa per poter costruire un lago artificiale , Angelo Casanova ha finiti col morire all ' estero , nel cantiere di un ' altra società elettrica , quasi che il suo destino di uomo fosse quello di servire , fino alla morte , le grandi società che nel mondo capitalista agiscono da padrone di tutto e di tutti . Ancora una volta le autorità « ufficiali » diranno di lui , come hanno detto di tanti , che il suo sacrificio è stato utile al progresso . Come quello di Valerio Chenet che ha speso tutta la sua vita a fare l ' emigrante . La realtà dell ' emigrante verrà ancora una volta camuffata dal pietismo . E gli emigranti continueranno a morire soffocati nelle gallerie mentre le autorità italiane piangeranno la loro sorte senza peraltro adoperarsi sul serio , fino in fondo , per cambiarla .
IL MOMENTO SUBLIME ( Buzzati Dino , 1969 )
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Ciò che è avvenuto lascia in tutti , io penso , un sentimento strano e potente , che non era previsto . Dopo il decollo dalla Luna , il ricongiungimento e il rientro dei due nella navicella principale , la tensione è caduta , ogni pauroso dubbio è stato superato dalla forza degli uomini e dalla perfezione delle macchine . Si può dire che iersera sia già cominciato il trionfo . Sull ' altare della gloria tutte le iperboli , tutti i superlativi , tutto il repertorio della nomenclatura epica e apologetica , finalmente usati a proposito , sono stati ormai bruciati . E ritentarli qui ancora una volta sarebbe vano . Nel cielo immenso e nero , rimane quella scatoletta solitaria con dentro i tre uomini , che corre verso casa . La precisione pressoché sovrumana con cui si è realizzato , parola per parola , un programma che fino a ieri sembrava utopia ci ha perfino risparmiato gli spasimi di una vera suspense . Ma un rintocco nuovo e fortissimo riecheggia , e continuerà a riecheggiare per sempre , nell ' animo di chi ha visto : soltanto di chi ha visto la scena sullo schermo del televisore , poiché le fotografie , i film e i resoconti , per quanto assai più perfetti , non riusciranno a dare neppure un centesimo di quel brivido misterioso . Dopo l ' atterraggio dell ' " Aquila " , che si sperava in qualche modo di vedere e invece non si è visto , la veglia , almeno qui in Italia , si era fatta lunga e pesante . La discesa di Armstrong sulla Luna era stata promessa per le ore tre . Poi si è parlato delle tre e tre quarti , delle quattro , delle quattro e mezzo . C ' è stato sì una mezzora di incertezza abbastanza tormentosa perché sembrava che dalla Luna nessuno più rispondesse . Quindi i nervi si erano di nuovo afflosciati , era subentrata una stanchezza sudaticcia , una specie di opaco intorpidimento mentale , complici forse certe trasmissioni di contorno per cui queste ore solenni minacciavano di trasformarsi in una stentata sagra , in una " Canzonissima " di serie C . Quand ' ecco , sullo schermo dietro lo speaker , è comparsa una immagine nuova , un confuso intreccio di sagome nere oscillanti , simile ai quadri di Kline ; era , rovesciato , il primo piano della scaletta e dei tralicci della capsula lunare , con Armstrong che scendeva gradino per gradino lentamente : di per sé incomprensibile . Eppure tutti di colpo hanno capito , tutti , anche gli scettici , sono stati presi da uno sgomento sconosciuto . Si è avuta la sensazione di essere passati oltre una porta fatale e proibita , di avere varcato una delle ultime frontiere : del mondo ? della conoscenza ? della vita ? Come quando - il paragone può suonare falso , lo so , ma è tipico - durante una seduta spiritica , dopo una lunga attesa , all ' improvviso , con energia selvaggia , si rivela lo spirito , o meglio ciò che si usa chiamare spirito , e ai presenti par di oltrepassare il confine della comune esistenza , a contatto col regno delle ombre . Sì , Armstrong e Aldrin ci avevano portati in una sorta di aldilà che vedevamo coi nostri occhi e in cui tuttavia la nostra mente si smarriva . Sì , era una visione simile a quelle degli iniziati e dei santi . Tutto però stava a dimostrare che era vera . E la favola , il mito , la poesia , anziché venir distrutti dai " computers " , dai transistor , dai sapienti ordigni tecnologici , rinascevano in proporzioni gigantesche . La sensazione , ripeto , di essere condotti in un aldilà arcano , da cui potranno scendere , sulla Terra , smisurate cose avvenire . Ecco , secondo me , il motivo della scossa viscerale e struggente che gli uomini , per la prima volta nella storia del mondo , hanno provato l ' altra notte alle ore 4.57 dinanzi ai televisori , che non può immaginare chi non ha visto , e che non si ripeterà mai più nel futuro .
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Sofia , agosto . È lungo il tratto di strada romana , dalla Porta di Trajano e Tatar - Pasargik , che si è svolto l ' ultimo atto del dramma sanguinoso , e i villaggi di Masomen , di Vietrena , di Golak e di Giangarlj , che fiancheggiano da dritta e da sinistra la strada , serbano ancora qualche segno del tristo epilogo . Prendete Giangarlj , per esempio . La sua stazione è nuova nuova , montata e intonacata di fresco , ché si chiamava appunto Stambulisky , in omaggio alla famiglia del Dittatore , stabilitasi da poco al villaggio , ma , dopo la tragedia , ha cambiato nome e si chiama Sroboda ( libertà ) , non tanto però che le nuove lettere appena stampigliate non lasciano scorgere di sotto il vecchio nome . Qui appunto , sulla porta d ' uscita , Vassili Stambulisky ha revolverato , a bruciapelo , tre gendarmi che vi erano di guardia il 10 giugno , domenica , due giorni dopo il colpo di Stato di Zankof , e qui è stato ucciso egli stesso il giorno dopo , lunedì , quando la partita era già perduta . Quattro piccoli segni di croce , sul muro bianco di calce . Di sangue non è più traccia , la terra ha bevuto tutto . " Doveva essere così ! " . Il villaggio di Giangarlj è a un chilometro a nord della stazione ; un villaggio nuovo anch ' esso , casupole e alberi carichi di pere , di susine chermisine , mature . Intorno , grossi campi di frumento e i mietitori che vi menano la falce . Dei mietitori , laggiù , è il padre stesso di Stambulisky , un duro vecchio di ottant ' anni , un po ' curvo , un po ' lento , che maneggia la sua arma da buon guerriero ancora . Il vecchio è sceso nella bastera or è quindici anni , con altri consorti suoi , a dissodarvi i prati della Maritza , poi che la sua piccola terra di Slavoviza , sulle colline leggere , a 15 chilometri in su , rendeva magro e a stento . Così ci racconta lui stesso , a sera , nel piccolo caffè di Giangarlj davanti a un bicchiere di raki : e si scusa il vecchio di non poterci accogliere in casa , dove le donne si destano al pianto appena si nomina Alessandro . Quanto a lui , non già d ' ora , ma l ' aveva sempre tenuto per un uomo perduto : la sua fine non l ' ha sorpreso : doveva essere così . Non era più un contadino , ma non era neanche un signore . Che era dunque ? La carne è carne e Dio sa che punta ci ha , lui , il vecchio , là sotto il costato ; ma Alessandro aveva veramente stancato tutti , persino i contadini , e lui , il vecchio , glielo aveva pur detto tante volte . Dicono che fosse malato e dev ' essere così , dev ' essere così . Lì , nel caffeuccio di Giangarlj , carta in tavola e testimoni presenti , si ricostituisce il dramma . La notte dal venerdì al sabato , 9 giugno , si fece il colpo a Sofia . Ufficiali della riserva , mal pagati e sprezzati , proprietari minacciati dai rigori della legge agraria e dal capriccio del Dittatore , intellettuali tenuti in remora , si sono stretti a un professore di economia politica , lo Zankof , e , profittando dell ' assenza di Stambulisky che si spassava a Slavoviza , si sono impadroniti del Governo . Aspra difesa . Del colpo di Sofia seppero subito , come avviene , trasmesso da posto a posto , i telefonisti dei villaggi attorno a Slavoviza , Vietrena , Golak , e dieder voce a quei di Slavoviza . Stambulisky si preparò alla difesa e alla riscossa . Munì la villa di uomini in arme , un trecento dei dintorni . Vi appostò tre mitragliatrici e attese gli eventi . Da Sofia si era già dato ordine a uno squadrone di gendarmeria di Filippopoli di procedere all ' arresto del Dittatore ; ma i quaranta uomini dello squadrone inoltratosi verso Slavoviza , già prima di giungervi , furono assaliti , decimati e costretti a ripiegare a Tatar - Pasargik , inseguiti dallo stormo di Stambulisky e dal Dittatore in persona che , fra i primi al fuoco , incalzò i resti dello squadrone fino alle porte di Pasargik , dove fece di sua mano ben otto vittime fra i cittadini corsi a rinforzo dei gendarmi . Ma da Filippopoli giungevano due battaglioni di fanteria e due cannoni a tiro rapido , e la battaglia si accese violentissima , ad occidente di Pasargik , nello stretto angolo di colline , fra la strada romana e il fiumicello di Topolniza . Stambulisky distese i suoi cresciuti di numero , a mille circa , in fronte , poggiandosi da dritta alla strada romana e da sinistra alla Topolniza , lungo una catena di trincee scavate in fretta , mentre un ' ardita mano di partigiani cercava , valicando Topolniza , di aggirare gli avversari e di tagliare le comunicazioni da Filippopoli . Ma i cannoni a tiro rapido ebbero ragione di tutti . Piantati sulla strada romana , uno di questi , maneggiato a dovere , prese d ' infilata le trincee e le evacuò . Inseguito come una belva . I contadini si dispersero sui monti , vi si rintanarono sconfessando il tiranno , celando e distruggendo ogni traccia di solidarietà con la belva inseguita . Però che i gendarmi non davano tregua , e li spronavano e li eccitavano quei di Pasargik , soprattutto le donne dei superstiti , ululanti e conclamanti alla vendetta . Abbandonato il lunedì , vagò Stambulisky , due giorni , di rifugio in rifugio , senza tregua né cibo , sin che necessità di alimenti , non lo sforzò a battere alla porta di un mercante di legna a Golak . Era il mercoledì sera tardi , e si presentò lo sciagurato , in sembianze di mercante di legna egli stesso , e protestava di volerne comprare molta , della legna . L ' altro lo riconobbe , comprese e , per trattenerlo , cominciò a trastullarlo di buone parole , fingendo di entrare nel giuoco del mercato . Chiese anzi una caparra di trecento leva , ma inviò sotto mano un suo garzoncello ad avvertire i gendarmi , che frugavano appunto i dintorni . Giunsero e Stambulisky fu preso , senza resistenza . Era disfatto , portava addosso il solo revolver , e gli fu tolto . Fu avviato a Pasargik , ma la folla , le donne volevano giustizia sommaria . Fu disposto di allontanarlo subito e partì per Sofia , in auto , scortato da un ufficiale e tre gendarmi . Percorreva la strada romana e chiese , presso Vietrena , di deviare a Slavoviza , alla sua villa , per togliervi , diceva , alcune carte importanti , e fu concesso . Gli usavano riguardi . Era stato il Presidente e che Presidente ! Ma ecco , fra Kara Mussal e Slavoviza , presentarsi una mano di partigiani e tentare di liberarlo . La scorta è impegnata , ma l ' ufficiale ha ordine di non lasciare il suo uomo se non morto ; e poiché Stambuliskj reagisce coi suoi , diviene il punto di mira della scorta ed è presto abbattuto da una fucilata alla tempia .
Atto di nascita ( Silone Ignazio , 1946 )
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Nessuno di noi potrà mai dimenticare questa notte di giugno . La nascita della Repubblica Italiana non è sorta da un assalto alla Bastiglia monarchica , né da alcuna altra forma di intervento improvviso di forze rivoluzionarie ; e pertanto il suo annunzio non si è prodotto come un grido dell ' impeto creatore del popolo , ma secondo un meccanismo elettorale affidato ad una vecchia burocrazia che pure nei momenti più solenni non dimentica la sua virtù principale : la prudenza . L ' intervento burocratico ha potuto evitare che la attesissima notizia fosse , come di dovere , subito promulgata e che al primo annuncio seguisse la naturale esplosione di una gioia di popolo troppo a lungo tenuta a freno . Noi abbiamo dunque dovuto sopportare , in pochi e in silenzio , durante un certo numero di ore , l ' eccezionale notizia ; e l ' indicibile emozione , a stento dissimulata , ha occupato tutta la nostra anima , acquistando una dimensione di vastità e profondità irraggiungibili agli ordinari fatti politici . Non potendo subito lanciare la lietissima notizia ai vivi , ci siamo messi allora a pensare , senza enfasi retorica , ma semplicemente e naturalmente , in obbedienza ad un bisogno irresistibile di comunione , ai nostri più cari , agli amici e compagni che per la libertà sono morti e che oggi non sono qui , tra noi , per rallegrarsi assieme a noi . L ' impressione più precisa e vicina alla nuova realtà è legata alla nozione stessa di nascita : la vittoria della Repubblica è cioè innegabilmente un atto di vita . Non è un fatto occasionale , non un ' improvvisazione , non un gesto fortuito , o arbitrario , ma un atto necessario , impellente , improrogabile ; è un avvenimento preparato da una lunga , oscura , dolorosa gestazione , nel più intimo della storia d ' Italia . È un atto di vita ; un atto di buona salute , un atto di liberazione , un atto di creazione , una forma nuova per una realtà nuova . È una nascita ; una presenza , una rivelazione , un ' apparizione , « qualche cosa che viene da lontano e va lontano » . Ma è anche , e soprattutto , un atto di modernità : la società italiana si è liberata da una parassitaria sovrastruttura di origine feudale , e se n ' è liberata per merito prevalente delle classi lavoratrici , le quali sono le forze motrici principali di ogni vero progresso nella nostra epoca ; e per questo noi siamo poco inclini , oggi , alle reminiscenze retoriche , classiche o risorgimentali , o le tolleriamo quel tanto che può essere lecito , presso la culla di un neonato , parlare di morti . La vittoria della Repubblica è un fatto di vita e non di ideologia ; è la risposta improrogabile ad alcuni bisogni acuti ed essenziali della società italiana . È un vero atto di nascita , un atto di festa . È la giornata più lieta della lunga storia della nostra patria .
IL PAESE E LA PALUDE ( VERTONE SAVERIO , 1995 )
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Può darsi che il rinvio a giudizio di Berlusconi rafforzi in Parlamento la convergenza verso Dini ormai in atto presso alcune schegge della destra e della sinistra . Ma è sicuro che nel Paese questa convergenza verso la palude centrale genera una divergenza eguale e contraria , e cioè divarica le posizioni . D ' altronde il Parlamento sembra aver dimenticato assai più degli elettori il voto del 18 aprile , che ha sicuramente condannato il centrismo pur senza scegliere fra destra e sinistra . Da allora il dilemma della politica italiana è " avanti o indietro " sulla strada della trasformazione , assai più che " di qua o di là " rispetto ai punti cardinali della tradizione . Purtroppo questo trapasso risulta illeggibile se si seguono soltanto le intenzioni e il destino degli eletti . Infatti : Berlusconi non si accorge che una stessa ondata porta lui al successo del 27 marzo e Andreotti all ' umiliazione di un processo ; mentre la stampa sembra ignorare che il medesimo sommovimento consente a Berlusconi di insediarsi a Palazzo Chigi e a Mani pulite di rinviarlo a giudizio . E , anche prima : Segni non capisce che il plebiscito sul maggioritario , da lui così appassionatamente voluto , è destinato a travolgere il bastione centrista sul quale si arrocca ; Occhetto non vede nell ' esplosione di Tangentopoli la premessa di un ' alternativa radicale al sistema dei partiti anziché una semplice alternanza della sinistra al Caf ; Buttiglione provoca la crisi di dicembre per strappare a Forza Italia la direzione del Polo , ma perde per strada il suo esercito ; D ' Alema entra alla cieca nel ribaltone e constata , alla fine , di aver lavorato per Dini ; e Dini rinuncia andreottianamente a governare per stare al governo , trascurando la perdita dello strumento ( l ' erario ) con il quale Andreotti aveva tacitato le innumerevoli clientele in cui era stata scomposta la cittadinanza . A intenzioni così imprecise non possono che corrispondere destini incompiuti : Berlusconi azzoppato , Prodi abbandonato , Dini sospeso a una presidenza fondata su un Parlamento screditato e sprofondato nello Stige ; la transizione ferma , il vortice bloccato . Da tre anni gli eletti interpretano balbettando le spinte che vengono dagli elettori senza riuscire a comporre un ' offerta politica che corrisponda alla domanda civile . Ed è ormai inutile ribadire l ' equazione che mette sullo stesso piano governanti e governati , perché nel movimento a tentoni dei primi si esprime un istinto di conservazione collettivo che nei secondi si sminuzza nel respiro corto della sopravvivenza propria , personale o di parte . Certo , l ' elettorato non ha soluzioni , ma sente sia pure confusamente i problemi . Ha capito che i favori accordati nel presente dal centrismo precludono il futuro ; che la crisi delle città , dei servizi , dell ' ordine pubblico , della legalità e dello Stato è una conseguenza della paralisi amministrativa , la quale discende dall ' incapacità di decidere , a sua volta dovuta all ' impossibilità di scegliere tra opzioni chiare e responsabili . Insomma , il pubblico sa che il labirinto delle clientele , delle mediazioni e degli interessi corporativi ha prodotto una situazione paradossale in cui la crescita economica è contraddetta dal regresso civile ; e sa che è ormai impossibile conservare il benessere se continua il regresso . Per questo ha scelto plebiscitariamente il maggioritario e cioè il rifiuto dell ' imbuto centrale nel quale spariscono , si sovrappongono o si neutralizzano le scelte e si accampa la dissoluzione inarrestabile dello Stato e dei princì pi stessi della convivenza . Invece , almeno fino a oggi , Parlamento e governi hanno offerto soluzioni che scavalcano i problemi , o li ignorano , e sembrano orientati adesso a rifugiarsi nel gorgo della Prima Repubblica , dal quale li ha fatti uscire il sommovimento elettorale . La superiorità degli elettori sugli eletti è tutta in questo divario . Per il resto non bisogna dimenticare che è in crisi una democrazia fondata sul consenso , e che il consenso coinvolge , anche quando è comprato e venduto . In un Paese deragliato , forse non restava che la ramazza del Codice per farla tornare in sé . Ma non esiste un Codice che preveda l ' incriminazione , la punizione e il riscatto di una società intera , anche se accanto alla centralità del Parlamento si è istituita una anomala centralità della Magistratura . In ogni caso il nostro linguaggio politico è troppo abituato ad attribuire centri geometrici a figure sociali che non hanno circonferenza . Per il momento l ' Italia resta come pizzicata nella chiusura lampo della legge , che si apre e si chiude tra garanzie costituzionali e avvisi di garanzia . E questa sensazione di impotenza prelude a una rabbia cupa e insaziabile . Cupa perché afflitta da un oscuro senso di colpa . Insaziabile perché la rabbia non sfama , se non al modo di Filippo Argenti , che " in sé medesmo si volgea co ' denti " . Il mondo assiste incredulo all ' annaspare di un Paese che per liberarsi di un esiziale sistema politico non sa e non può fare altro che incriminare , dal primo all ' ultimo , i suoi rappresentanti vecchi e nuovi , tornando però indietro alla vecchia ammucchiata centrista che ha prodotto la corruzione . La Magistratura applica le leggi e dunque arresta i timonieri . E la nave entra nella mareggiata europea con la plancia di comando vuota e le sentine piene dei suoi ex capitani . Un Paese economicamente importante come l ' Italia non può restare a lungo politicamente inconsistente senza diventare un pericolo per sé e per gli altri , perché nel divario tra la ricchezza dell ' economia e la povertà della politica si insinuano fatalmente appetiti e timori molteplici , e dunque rischi di lacerazioni sempre più gravi . Per ridurre questo scompenso è però necessario eliminarne un altro : quello tra la domanda civile del popolo e l ' offerta politica del Parlamento . La crisi italiana è illeggibile se si seguono solo le intenzioni degli eletti e le soluzioni che ci offrono . Ma è leggibilissima se si guarda agli elettori e alla lunga marcia che hanno intrapreso per uscire dal labirinto in cui il corso impazzito della politica li ha chiusi insieme ai problemi del Paese . Nella grande confusione resta un punto fermo che non si può ribaltare : il 18 aprile .
INTERVISTA COL MINISTRO GENTILE ( TINO ADOLFO , 1923 )
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I problemi della scuola e la riforma universitaria . Giovanni Gentile è uno di quegli uomini , che nel traffico d ' ogni giorno , tra il continuo sopraffarsi di vanità e presunzioni , ha la segreta e incomparabile virtù di tenersi in disparte , e quasi nascondersi . Così , ieri , nella operosa solitudine dei suoi studi : così oggi , al governo della Pubblica Istruzione . E se , per caso , l ' eco della quotidiana battaglia riesce a raggiungerlo , egli le oppone un suo fresco sorriso bonario , che gli illumina gli occhi e tutto il volto di una linea di cordiale e saggia tranquillità . E lo stesso immancabile sorriso ch ' egli offre con dolce umiltà ai suoi visitatori , anche se questi sono due giornalisti ... male intenzionati . Musacchio si dà subito da fare ed io avvio la conversazione . Eccellenza , i padri di famiglia sono in grande allarme ... Capisco . La questione se pel prossimo anno scolastico vi saranno posti sufficienti per tutti gli alunni , a me pare utile e benefica , soprattutto perché ha contribuito a schiarire le idee attorno ai concetti fondamentali , o meglio attorno allo spirito della mia riforma . Alla domanda , un po ' irosa : Come si fa a trovar posto per tutti gli alunni ? , io rispondo : Non si deve trovar posto per tutti . E mi spiego . Lo spirito della riforma tende proprio a questo : a diminuire e ridurre la popolazione scolastica , che , negli ultimi anni , per universale riconoscimento , s ' era accresciuta sino a diventare pletorica con evidente danno , così degli studenti come degli stessi insegnanti . Poco fa leggevo in un giornale notizie statistiche significative : quest ' anno si sono laureati a Milano ben 1.500 ingegneri . Che cosa devono essi fare e dove possono impiegarsi ? Sino all ' anno scorso , la media annuale dei diplomi per maestri elementari era di 15.000 mentre il fabbisogno era per 2.000 o 3.000 . Naturalmente il numero esorbitante non faceva che premere nelle Amministrazioni pubbliche per trovare , comunque , impiego . Ora il criterio fondamentale della mia riforma è diretto proprio ad evitare simili perniciosi inconvenienti . Ma v ' è di più : c ' è anche una ragione didattica . Col « caos » delle classi aggiunte non esistevano più istituti che avessero un loro vero organismo . Non v ' era un liceo , un ginnasio che avesse un corpo di insegnanti proprio , perché , in genere , l ' insegnamento , date le necessità delle divisioni e suddivisioni delle classi aggiunte , finiva per essere affidato a un personale fluttuante . Sono fermamente convinto , che la fondazione dei nuovi istituti , ciascuno dei quali avrà un corso ben disciplinato di classi , e l ' inevitabile allontanamento della parte esuberante della popolazione scolastica , risolveranno il problema . La cui soluzione , d ' altra parte , comincia ad essere avviata anche per opera diretta dei padri di famiglia . Mai , come in quest ' anno , il problema dell ' educazione ha interessato così vivamente il nostro paese . Il Ministero è un continuo pellegrinaggio di sindaci , assessori , deputati , senatori che chiedono l ' istituzione di nuove scuole o la trasformazione di quelle vecchie e che , oltre particolari motivi , si mostrano veramente solleciti , con iniziative e proposte , del nuovo assetto scolastico . E pensare che , sino a ieri tutti si sono affidati all ' azione paterna dello Stato ! ... – E a proposito della riforma universitaria , Eccellenza , quali ne sono i criteri informatori ? – Spero nella prossima sessione del Consiglio dei Ministri di presentare lo schema della riforma universitaria . La quale mira ad attuare il più ampio e rigoroso sistema di autonomia didattica e amministrativa , riducendo il numero delle Università di Stato a circa una decina , o poco più , senza , peraltro , spegnere nessuno di quei focolari di cultura superiore che si sono storicamente formati da secoli nelle varie regioni . Anzi mi son deciso a crearne uno nuovo a Bari che , sia nell ' interesse proprio , sia nell ' interesse dell ' Università di Napoli , che sembra travagliata da un numero eccessivo di studenti , sia nello stesso interesse nazionale , che richiede , di fronte all ' altra sponda dell ' Adriatico un centro di attrazione di cultura superiore e professionale , merita una sua Università . La quale , per altro , non potrà da principio essere completa ma , son sicuro , è destinata , per le virtù morali e le capacità economiche della regione , a svilupparsi mirabilmente . Quanto alla riduzione degli Istituti superiori , io mi propongo di fare in modo che quelli che saranno scelti a continuare la loro preziosa attività vengano dotati più riccamente e possano avere quelle specializzazioni che sono condizioni indispensabili per il progresso scientifico della Nazione . Pertanto il nuovo sistema universitario renderà possibile una vita sana e prospera alle Università libere , le quali saranno messe in grado di gareggiare con quelle statali , senz ' essere , peraltro , sottratte ad ogni controllo dello Stato stesso , cui spetterà sempre una funzione superiore di garanzia e di eccitamento della vita scientifica della Nazione . – Ma quali sono i criteri della riforma ? – E in breve detto . Ciascuna Università , statale o libera , potrà organizzarsi in piena autonomia , anche per il quadro degli studi costitutivi di ciascuna facoltà . E basterà che le proposte , dai singoli corpi locali , siano esaminate e approvate dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione . Saranno aboliti gli esami speciali , i quali , d ' ordinario , si riducevano a prove di esercitazione mnemonica , sopra la materia dei corsi impartiti annualmente dai rispettivi professori ; e saranno sostituiti da esami per gruppi di materie , diretti ad accertare la cultura organica , dei giovani nei singoli rami della scienza . Questo sistema di ampia libertà esporrebbe , certamente , la cultura scientifica e professionale della Nazione ai più gravi rischi , senza l ' introduzione d ' un esame di Stato per l ' abilitazione all ' esercizio delle singole professioni . E come è evidente che l ' esame di Stato potrebbe minacciare gravemente la serietà degli studi , inducendo studenti e professori a considerare la propria funzione universitaria come una semplice preparazione alla prova dell ' esame di Stato , così è chiaro che questo sistema avrà un importante correttivo nella disposizione che pone come condizione imprescindibile per adire all ' esame di Stato , la laurea o il diploma scientifico conseguito nelle Università . Questo è in breve il complesso della riforma che presenterò al Consiglio e mi lusingo di aver cercato con essa di organizzare su basi nuove e più rispondenti all ' ambiente spirituale e morale della Nazione , i nostri studi universitari . Naturalmente si solleveranno critiche e polemiche : ma io non amo i pieni consensi . E nessuna cosa al mondo mi distrarrà dall ' opera , che mi sono imposta , e colla quale io aspiro a dare all ' Italia una scuola degna del suo avvenire e del suo destino . – Mi perdoni , Eccellenza , ma quale sarà la sorte delle Università abolite ? – Le Università attualmente di Stato e che cesseranno di esserlo , conserveranno un notevole contributo finanziario da parte dello Stato , col quale verrà assicurato il funzionamento di quelle facoltà , che nell ' ordinamento generale degli studi , si possano realmente considerare come utili strumenti di coltura e non pure e semplici sopravvivenze di antiche se pur gloriose tradizioni locali . L ' intervista è finita ed anche Musacchio dà gli ultimi colpi al lavoro , che Giovanni Gentile ammira lungamente , non tanto con complimentose parole di elogio , quanto con quel suo chiaro leggero sorridere , mirabilmente colto dalla « matita » di Musacchio .
Pavese si è ucciso ( Fortini Franco , 1950 )
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Pavese si è ucciso in un albergo di Torino . Ci hanno insegnato che la vita non testimonia della letteratura . Che cosa può contare questa saggezza , queste distinzioni , quando noi siamo vivi , faccia a faccia col medesimo mondo e con le medesime ragioni che l ' hanno fatto morire ; e quando la presenza o la sparizione di un viso amico può essere decisiva per resistere , per non perdersi ? La gente si domanderà perché , e non terrà conto del suo amorevole e ironico ammonimento : « Non fate troppi pettegolezzi » . Conosceva la gente e il pettegolezzo , il ricamo , lo svago della « gente che si lava tutti i giorni » , com ' ebbe a scrivere . Non ci sono mai definitivi « perché » , quando un uomo si uccide ; ma quando si tratta di uno scrittore come Pavese è impossibile che a ciascuno di noi quel gesto non appaia come una conclusione razionale ; e vien tanto di dirci che , sì , lo sappiamo da tanto , è da tanto che le cose ci hanno logorati e uccisi dentro , e lui non ha fatto che essere più coerente . Ma , si dirà dai mercanti di ottimismo e di quelle speranze « onde consola / sé coi fanciulli il mondo » , ma Pavese aveva una fede in cui credere , il suo comunismo ; aveva il successo ; aveva riuscita una espressione di sé . Ma , diranno coloro che sono preoccupati sempre del lieto fine , ma ... E allora diciamo chiaro che , per noi , Pavese è il primo caduto della nuova guerra ; ne aveva vista venire una , sapeva che cos ' era . Avete letto La casa in collina ? O credete davvero che lo scrittore sia quella maschera di cinismo che si pone per poter resistere a vivere ? Io ricordo che , intorno al 1938 , molti giovani si uccisero - a Firenze - per quello che sentivano venire . E noi scrittori , che pensiamo di sapere con maggiore delicatezza degli altri uomini che cosa sia la morte , dobbiamo riconoscere un segno dei tempi , non solo o non appena un evento personale , nel corpo dello scrittore piemontese , in un albergo della sua Torino ; come Toller nell ' albergo di Nuova York , come Majakovskij . ( Ho sul tavolo una lettera per lui , già chiusa , da spedire . E pochi giorni fa avevo mandato una replica al suo scritto sul « mito » che apriva il 1° numero di « Cultura e Realtà ».) Solo negli ultimi tempi ci si era avveduti di come il passo tranquillo , campagnolo , di Pavese avesse una sicurezza più grande di quello di nomi più noti del suo . Aveva lavorato con una ostinazione , una caparbietà eccezionali ; e raccoglieva i frutti del suo lavoro . Ci si era avveduti che Pavese non era più ai secondi posti . I neo - populisti , che credono di averlo scoperto loro il proletariato , avevano ancora tutto da imparare da Lavorare stanca . E di quale anno lontano è Paesi tuoi ? Erano venuti poi Feria d ' Agosto e , dopo l ' intervallo della guerra e il lavoro di traduzione che ci aveva dato Melville e Joyce , De Foe e Faulkner , il Compagno , i Dialoghi con Leucò , i due racconti di Prima che il gallo canti , í tre romanzi brevi di La Bella Estate e , ultimo , quel La Luna e i falò che per noi è il suo più bel libro , un libro che abbiamo letto con una commozione inaspettata , noi avvezzi al Pavese scontroso e irto degli altri scritti ; un libro la cui prima metà almeno possiamo contare già consegnata alla storia della nostra letteratura in questo secolo . I fanatici della salute a ogni costo , che avevano rimproverato a Pavese di essersi compiaciuto a descrivere il mondo di perversione e di corruzione de La Bella Estate - ed era invece , scrivevo mesi fa , solo l ' immagine di « una vita irreale , culturalistica , alienata ; dalla quale si sfugge solo col cinismo o coi barbiturici » - leggano questo libro puro e forte . Pochi mesi fa , quando gli dissi che cosa ne pensavo , Pavese mi ascoltò sogghignando , come faceva , contento di « avercela fatta » ; e con una specie di furbo sarcasmo verso la critica di amici e avversari che « avrebbero visto » finalmente , dopo avergli fatta fare una così lunga anticamera di riserve . Ma non ora e qui posso parlare da critico del suo lavoro . Di tutta la letteratura di sinistra di questo dopoguerra , di quella letteratura che aveva sentito dilemmaticamente la durezza della lotta di classe e la speranza di una umanità diversa , antifascista , il compagno comunista Pavese ( la cosa che odiava di più al mondo , scrisse una volta per sue note biografiche , era la Spagna di Franco ) è stato il più conseguente scrittore , quello che non ha mai sacrificato all ' improvvisazione e alla commozione , che ha voluto tagliar sodo e in fondo . Il Piemonte e la Torino che egli ci ha dato sono ormai una provincia dell ' anima , un luogo morale . E dobbiamo , oggi , ricordare anche l ' uomo di cultura , quel suo modo umano e antico di alternare una bevuta fuori porta con una lettura di Omero nel testo , la curiosità scientifica e la passione che avevano fatto di lui un degno continuatore di Ginzburg presso l ' editore Einaudi . Voleva , lui così silenzioso e asciutto , che fosse possibile parlare e discutere per non tradire « prima che il gallo canti » ; che gli uomini , i compagni operai e intellettuali , non fossero inchiodati ai dogmi . Non so se li avesse letti , questi versi recenti di Eluard : né so se li amasse , lui che un sospetto di eloquenza doveva ammutolire : « Camarades mineurs je vous le dis ici / Mon chant n ' a pas de sens si vous n ' avez raison . / Si l ' homme doit mourir avant d ' avoir son heure / Il faut que les poètes meurent les premiers » ; bisogna che i poeti muoiano per i primi se gli uomini debbono morire prima di aver avuto la loro ora umana . Facciamo in modo che i compagni di Pavese , gli operai di Torino e i vignaioli di Santo Stefano Belbo , dov ' era nato quarantadue anni fa , « abbiano ragione » , perché la sua poesia , per loro e per noi , abbia sempre più senso , parli sempre più percettibili verità .
L'addio a Mao ( Terzani Tiziano , 1976 )
StampaQuotidiana ,
Hong Kong , 18 . La Cina si è fermata . Per tre commoventi minuti , ottocento milioni di cinesi , un quarto dell ' umanità , sono rimasti immobili , sull ' attenti , la testa china , moltissimi in lacrime , a rendere l ' ultimo omaggio a Mao Tse tung . Il lavoro , il traffico e tutte le attività si sono bloccate in ogni città , in ogni villaggio del paese . L ' immenso silenzio caduto sulla Cina , unita nel ricordo del suo Presidente , è stato rotto dall ' unisono , funereo ululare delle sirene dei treni , delle fabbriche , delle navi . A Pechino un milione di persone , scelte dalle varie organizzazioni rivoluzionarie , hanno assistito sulla piazza della Pace celeste alla cerimonia che ha concluso i dieci giorni di lutto . Sulla spianata di cemento nel centro della capitale , coperta da uno sterminato tappeto di teste immobili , spalla a spalla , soldati dell ' esercito popolare nelle loro uniformi verdi , lavoratori nelle tute blu , operaie con le cuffie bianche , studenti coi fazzoletti rossi attorno al collo , hanno seguito le istruzioni di tacere ed inchinarsi date dal giovane vicepresidente del Partito comunista Wang Hung - wen che presiedeva il rito ed hanno ascoltato il discorso commemorativo pronunciato dal primo ministro e primo vicepresidente del PCC , Hua Kuo - feng . Al loro fianco , su un rostro costruito significativamente un piano più basso di quello dal quale era solito parlare Mao , stavano allineati gli altri capi del partito e dello Stato . In sesta posizione , uniforme e sciarpa in testa , stava la vedova Ciang Cing . Dal pennone sul quale Mao nell ' ottobre 1949 issò per la prima volta i colori della Repubblica popolare sventolava a mezz ' asta la bandiera rossa a cinque stelle , mentre gli altoparlanti spandevano sull ' intero paese le note della marcia funebre , dell ' inno nazionale ed infine quelle dell ' Internazionale . Nelle ore precedenti la cerimonia il partito , l ' esercito e la milizia popolare - incaricata del servizio d ' ordine - avevano messo in guardia contro eventuali provocazioni o incidenti . Non ce ne sono stati . Nella accoppiata Wang Hung - wen , il giovane « radicale » di Shangai , e Hua Kuofeng , primo ministro non identificato con nessuna delle due correnti in cui si dividerebbe il partito , la leadership del paese ha mostrato per il momento la sua unità . È stato questo un tema che Hua ha ripetuto nel suo discorso durato venti minuti . Citando una vecchia frase di Mao l ' attuale primo ministro e numero uno del paese ha detto : « Dobbiamo praticare il marxismo e non il revisionismo , dobbiamo unirci e non dividerci . Non dobbiamo perderci in complotti o congiure » . Hua Kuo - feng ha concluso il suo discorso con quello che pur in termini generali sembra essere il programma politico della Cina dopo Mao . Questi i punti principali : sul piano interno : - continuare la lotta di classe e la rivoluzione sotto la dittatura del proletariato ; - approfondire la critica di Teng Hsiao - ping , respingere i tentativi di deviazionismo di destra e combattere il revisionismo ; - lavorare per fare del paese un forte Stato socialista ; - liberare Taiwan . Sul piano esterno : - perseguire l ' internazionalismo proletario senza cercare l ' egemonia ; - rafforzare l ' unione coi popoli del Terzo mondo e le nazioni oppresse ; - formare il più vasto « fronte unito » possibile contro l ' imperialismo , in particolare contro l ' egemonia delle due superpotenze , Unione Sovietica e Stati Uniti . Hua Kuo - feng ha concluso dicendo « dobbiamo unirci con tutti i partiti genuinamente marxisti - leninisti ed altre organizzazioni nel mondo per condurre una lotta comune per l ' abolizione del sistema di sfruttamento dell ' uomo sull ' uomo , la realizzazione del comunismo nel mondo , e per la liberazione di tutta l ' umanità » . Pur in questa fraseologia standard di ogni leader cinese sembra emergere una nota di moderazione ed una indicazione di eventuali novità nei rapporti con l ' URSS ed i partiti « revisionisti » occidentali . Gli osservatori di cose cinesi fanno notare che Unione Sovietica e Stati Uniti vengono di nuovo citati come nemici dello stesso livello ( e non più l ' URSS « nemico numero uno » come avveniva in passato ) ; inoltre il riferimento ad altre « organizzazioni » potrebbe indicare l ' inizio di un ripensamento sul ruolo che possono svolgere nel mondo occidentale i partiti che non sono , almeno nella valutazione cinese , « genuinamente marxisti - leninisti » . Ed è presto per tirare delle conclusioni . Dal discorso di Hua - che certo è stato preventivamente approvato dall ' intero Politburo nelle sue componenti « radicale » e « moderata » - per il momento neppure il destino della salma di Mao è chiaro . Sembra che il Presidente avesse espresso il desiderio di essere cremato , come è stato fatto con tutti gli altri leaders storici del paese che lo hanno preceduto nella morte , compreso Ciu En - lai . L ' urna delle sue ceneri però non era oggi ( come avvenne nel caso degli altri ) sul rostro della piazza della Pace celeste , e ciò potrebbe indicare che ci sono stati ripensamenti sull ' esecuzione della volontà di Mao su questo punto . Con una decisione che potrebbe venir giustificata con « la volontà del popolo » , la sua salma potrebbe essere conservata così come l ' abbiamo vista nei giorni scorsi in una urna di vetro e potrebbe divenire la meta di future generazioni in un mausoleo eretto in suo nome , come è avvenuto per Lenin a Mosca e per Ho Ci - min ad Hanoi .
INTERVISTA CON BENES ( TINO ADOLFO , 1923 )
StampaQuotidiana ,
Il Ministro Benes è infaticabile . Dopo la giornata di ieri , che fu una lunga ininterrotta serie di colloqui , visite e ricevimenti , stamane si è levato di buon ' ora , e di buon ' ora mi ha ricevuto . Piccolo , magro , bruno , vivaci occhi neri che sembrano star lì , a vigilare sul suo pensiero , e quasi sulla sua frase , parla sobrio e netto con la evidente e continua preoccupazione di riuscir chiaro e persuasivo . Qua e là , ogni tanto , un breve gesto interrompe o ravviva e sottolinea il discorso . È il primo giornalista comincia col dirmi il Ministro Benes col quale ho l ' opportunità di parlare . E colgo l ' occasione per dichiararmi veramente lieto , non solo delle cordiali accoglienze che mi sono state fatte , ma soprattutto dei risultati che negli abboccamenti di ieri sono stati raggiunti . I miei colloqui con l ' on . Mussolini e i Ministri De Stefani e Corbino sono serviti a confermare e ribadire quei vincoli di sincera e sicura amicizia che legano la Ceco Slovacchia all ' Italia . Quali sono stati gli argomenti trattati con l ' on . Mussolini ? Naturalmente il primo e più importante argomento è stato quello che riguarda direttamente , e più da vicino , i due paesi . I rapporti tra l ' Italia e la Ceco - Slovacchia sono stati largamente e minutamente esaminati , e posso con piacere affermare che essi continueranno a svolgersi in quell ' ambiente di schietta e fervida amicizia , in cui dalla fine della guerra ad oggi si sono mantenuti e sviluppati . Molti altri argomenti sono stati toccati . Sulla situazione europea , in genere , l ' accordo più completo è stato confermato . E quanto alla Piccola Intesa , io ho sostenuto e sostengo che nessuna ragione esiste la quale possa comunque dividerci dall ' Italia . Anzi , se ben si guarda , gli stessi motivi che hanno determinato la nascita della Piccola Intesa concorrono a favorire una sempre maggiore intimità di rapporti con l ' Italia . Ma quali sono le direttive attuali della Piccola Intesa dopo il governo di Sinaja ? A Sinaja i rappresentanti dei tre Stati hanno fissato chiaramente gli scopi e le finalità dell ' alleanza , la quale si propone , innanzi tutto , di difendere , contro qualsiasi tentativo e nei limiti insuperabili dei trattati , il nuovo assetto uscito dalla guerra e quindi la pace . La questione ungherese , di cui molto si parla , va appunto riguardata da questo punto di vista , che è fondamentale e da cui la Piccola Intesa non devierà . L ' applicazione dei trattati : questo è quanto noi chiediamo all ' Ungheria . Ed è anche su questo argomento l ' on . Mussolini si è mostrato pienamente consenziente . D ' altra parte , lo ripeto , io sono fermamente convito che mille sono le ragioni che contribuiscono fatalmente a far coincidere gli interessi dell ' Italia con quelli della Piccola Intesa . Oltre le ragioni geografiche , che sono a tutti evidenti , esistono insopprimibili ragioni storiche e non meno importanti ragioni politiche , che spingono l ' Italia ad essere accanto a noi , su tutti quei problemi che abbiamo ereditato dalla guerra e dalla cui soluzione dipende uno stabile assetto di pace . – Si è detto che la Piccola Intesa si allargherà , comprendendo nuovi aderenti ? – Sì , ne hanno molto parlato i giornali . Ma sinora niente v ' è , che io sappia , di deciso o di fondato . La Piccola Intesa , limitata ai tre Stati che attualmente la compongono , ha una funzione anch ' essa limitata . Noi non amiamo abbandonarci al bluff . La Piccola Intesa , come ho detto , è stata creata da profonde necessità , che hanno giustificazione e chiarimento nella attuale situazione dell ' Europa centro – orientale . E però non si illude di cambiare il corso della storia o di bouleverser il mondo . Noi viviamo nella realtà e tutti i nostri sforzi sono proprio diretti a questo scopo : non perdere mai di vista o altrimenti esagerare , i termini della realtà . La Ceco - Slovacchia , la Rumenia e la Jugoslavia hanno una base comune di interessi economici e politici , che dispersi o separati , sarebbero stati altrettante ragioni , prossime o remote , di dissidio e che , coordinati , tendono a riassestare il più presto e il più facilmente possibile , l ' equilibrio , non rotto dalla guerra . In questi limiti e per assicurare ai nostri paesi un periodo di pace e di lavoro , noi abbiamo sinora agito e ci proponiamo di agire . – E della questione di Fiume , si è fatto cenno nei colloqui ? – Direttamente no . Però io sono convinto che una soluzione , soddisfacente le esigenze dei due Stati , sarà presto concordata . L ' Italia e la Jugoslavia hanno molti interessi comuni , sui quali potrà iniziarsi un periodo di attiva e fattiva collaborazione . – Sulla questione delle riparazioni , quale è la tesi che la Piccola Intesa sostiene ? – È in breve detto . La Piccola Intesa , che nei suoi riguardi difende l ' applicazione dei trattati , segue lo stesso criterio a proposito delle riparazioni . È necessario che un accordo tra Francia e Germania sia presto definito , perché un periodo di tranquillità e di lavoro si apra in Europa , la cui economia risente ancora e fortemente degli sconquassi della guerra . Pertanto la Piccola Intesa , essendosi la discussione sulle riparazioni limitata in questi ultimi tempi , soprattutto tra l ' Inghilterra , la Francia , il Belgio e la Germania , ha creduto opportuno rimanere fuori dalle polemiche . Ha seguito , in parte , l ' esempio dell ' Italia , la quale svolge una politica saggia e accorta e che attende con vigile senso della realtà il buon momento per intervenire . È cardine fondamentale della nostra politica seguire e secondare , nei sui scopi di pace , l ' indirizzo della Grande Intesa . La quale non ha affatto esaurita la sua funzione ma deve conservarsi forte ed unita , a difendere l ' equilibrio europeo . L ' Inghilterra , la Francia e l ' Italia non possono e non debbono separarsi . Ed è mia profonda convinzione che solo da una più stretta concordia dei tre grandi Stati potranno all ' Europa venire benefici e vantaggi incalcolabili . La Piccola Intesa si riconosce un po ' figlia della Grande e la loro azione comune è la più sicura garanzia di pace contro minacce e tentativi di nuove guerre . – E , venendo a questioni di più diretto interesse quali sono i risultati dei colloqui per una più intima collaborazione tra l ' Italia e la Ceco – Slovacchia ? – Come ho detto , sono più che lieto dei risultati raggiunti . Tanto nel colloquio con l ' on . Mussolini , che io conosco sin dal 1918 quando ero in Italia esule e che io ammiro per la sua tenace volontà , quanto negli abboccamenti con i ministri De Stefani e Corbino sono state gettate le basi di nuovi accordi economici e commerciali che saranno la condizione d ' una più intima e più fervida collaborazione tra i due paesi . Sin dal giorno in cui trovai in Italia aiuti e favori per costruire e organizzare la legione ceco – slovacca , io pensai e stabilii in cuor mio , quali dovevano essere i rapporti tra l ' Italia e la nostra repubblica , ch ' era allora la mia fede e il mio sogno . Da quel giorno io non ho mai mutato e mai muterò . Ma oltre queste ragioni sentimentali , che pur servono , come nessun ' altra ragione a creare un ' atmosfera di spirituale fraternità fra i due paesi , ne esistono altre che vanno consolidate , secondate , e dirette e che riguardano la vita quotidiana . Io sono un realista e credo che tra due popoli , i quali hanno formidabili e indimenticabili vincoli sentimentali , è necessario questi vincoli ribadirli sul terreno pratico della vita economica . Ecco perché la parte più proficua dei miei colloqui ha trattato di quelle questioni attraverso le quali si potranno realizzare rapporti commerciali più fervidi e più intensi . Quando si pensa che l ' anno scorso il commercio di esportazione e d ' importazione tra i due paesi ha raggiunto il miliardo , è chiaro che esistono le condizioni elementari perché queste correnti commerciali , cui si legano tenacemente interessi di migliaia di cittadini , siano ravvivate , migliorate perfezionate e soprattutto meglio coordinate . Questo il principale risultato dei miei colloqui e credo che con esso non ho solo tutelato gli interessi del mio paese ma ho cercato di stringere , sempre più fortemente , quei rapporti che la guerra e la vittoria hanno consacrato tra l ' Italia e la Repubblica Ceco – Slovacchia .
Questi i soldati con cui ho vissuto ( Uboldi Raffaello , 1957 )
StampaQuotidiana ,
Di ritorno dall ' Algeria , novembre . I soldati dell ' Armata di Liberazione Nazionale algerina erano lì ad aspettarmi ai lati della strada , ed io non me ne sono accorto . Quando la jeep si arresta silenziosamente vicino ad una catasta di legna nel bel mezzo della strada che segna il confine fra l ' Algeria e la Tunisia , sembra che non vi sia intorno anima viva . A destra , sul territorio tunisino , la montagna scende ripida fino ad un bosco di querce . A sinistra , sul territorio algerino , si apre una distesa verde punteggiata di massi biancastri e di cespugli di rovi . Dinanzi a noi la strada continua a svolgere per un breve tratto il suo nastro rossastro e poi scompare alla vista dietro un ammasso roccioso , in cima al quale si levano le rovine di un fortino abbandonato . Il capitano Laissani , che da G ... mi ha accompagnato fin quassù , lancia alcuni ordini e d ' improvviso i cespugli , le pietre , gli alberi si animano di figure , una decina di soldati , con i berretti a visiera , alcuni con le bustine nere , azzurre , grigie , prese ai soldati francesi , i fucili mitragliatori a tracolla , le uniformi di tela color senape che ricordano la tenuta di marcia dei marines americani , ai piedi calzature di tela alte fino alla caviglia e con le suole di caucciù . Sono tutti molto giovani , fra i sedici e i diciotto anni , i volti scuri , gli occhi che cercano invano di nascondere dietro una maschera di impassibilità la loro curiosità nei miei confronti . Il capitano Laissani mi indica una striscia azzurro - cupo che si intravede lontana , inquadrata fra due punte rocciose : è il mare che bagna le coste algerine fra La Calle e Bone e qui , ad oltre mille metri di altezza , si distingue ancora nitidamente . Un bagliore argenteo ci rivela la presenza di una nave francese , forse un guardiacoste incaricato di pattugliare le acque territoriali per impedire lo sbarco di armi destinate ai combattenti dell ' ALN . Sopraggiunge di corsa un giovane ufficiale . La stelletta d ' argento che porta sul petto , a sinistra , indica che egli riveste il grado di aspirante . Nello stringergli la mano mi accorgo che gli mancano due dita , l ' indice e il medio . Più tardi , dopo alcune settimane trascorse assieme fra queste montagne , sono riuscito a vincere il diffidente silenzio dell ' aspirante Ammar ( tale è il suo nome ) . Siamo anzi diventati buoni amici , ed egli mi ha raccontato come perse quelle due dita in Indocina , combattendo al servizio della Francia , nel corso di una imboscata sulla strada che da Hanoi porta a Nin Binh . Sono le due del pomeriggio . Stamane ero a G ... Ieri ho lasciato S . el A ... e ieri l ' altro ero ancora a Tunisi . Non è stato particolarmente difficile prendere contatto con i delegati « esterni » dell ' ALN . A Tunisi un amico mi fornisce un indirizzo : 42 , rue de la Corse , una strada costellata di botteghe artigiane , che si snoda in prossimità del porto , parallela alla grande Avenue Bourguiba . In rue de la Corse l ' edificio contraddistinto col numero 42 non offre caratteristiche particolari . Il piccolo portone d ' accesso , in ferro lavorato , è chiuso . Premo su un bottone sul quale qualcuno ha scritto , in minuti caratteri neri , la parola « Presse » , « Stampa » , e sento ripercuotersi all ' interno il tintinnio di una suoneria . Poco dopo un debole ronzio mi avverte che è stato azionato il comando elettrico per l ' apertura della porta . Entro , chiudo il battente dietro di me , e salgo la scala che mi sta dinanzi . Al primo piano mi trovo di fronte ad una nuova porta , premo un altro bottone , mi aprono , mi fanno entrare in una piccola stanza , e infine parlo con B . , ex consigliere dell ' Unione Francese , di recente passato nelle file dell ' ALN dopo la morte del fratello , avvenuta ad Algeri per le torture inflittegli dalla polizia . B . è un uomo alto e grosso , biondo di capelli , dal sorriso cordiale , sposato con una francese . Molto probabilmente è destinato a ricoprire incarichi importanti nell ' organizzazione politica dell ' ALN , anche se per ora si occupa di una attività marginale : i contatti con i giornalisti stranieri che desiderano essere meglio informati sul Fronte di Liberazione Nazionale ( FLN ) e sulla sua diretta emanazione , l ' Armata di Liberazione Nazionale ( ALN ) . B . ascolta le mie richieste e promette che farà quanto è possibile per mettermi a contatto con i « militari » , i quali a loro volta si incaricheranno di farmi passare in territorio algerino con una unità combattente dell ' ALN . Poi mi fissa un nuovo appuntamento per l ' indomani , al numero 24 della rue Es Sadikia . Il numero 24 della rue Es Sadikia sorge quasi di fronte all ' Ambasciata di Francia . Vi ritrovo B . : abbiamo un terzo appuntamento , al caffè di fronte , con un ufficiale dell ' ALN . Il proprietario del caffè Sadikia mi è stato presentato da un collega francese . È un tolosano , ed ha dovuto abbandonare la città natale per alcuni « dissensi » con la polizia . Ora , con i risparmi portati da Tolosa , ha aperto questo piccolo caffè , giusto lo spazio per il banco di mescita , quattro o cinque tavoli , e un paio di bigliardini elettrici . L ' ufficiale dell ' ALN ci attende ad un tavolo di fondo . È piccolo di statura , giovane , due occhi brillanti , e una ferita sul labbro superiore . Gli piace condurre il discorso con un tono leggermente enfatico , si vede che è particolarmente fiero dei progressi raggiunti dall ' ALN in campo militare e in campo organizzativo dopo tre anni di guerra , è ovvio che è sicuro , assolutamente sicuro , della bontà della propria causa , che non ha dubbi , contraddizioni o incertezze . È , in una parola , un soldato , e il suo lavoro è la guerra . Ma alla fine mi sorprende con una frase del genere : « L ' ottanta per cento di noi ama la Francia . Io stesso parlo meglio il francese che la lingua araba . È questa , se volete chiamarla così , una delle contraddizioni fondamentali della guerra » . Evidentemente l ' ho mal giudicato , evidentemente sotto questa maschera di tranquillo operaio della guerra si agitano problemi e domande più complesse e più inquietanti . Sfortunatamente non ho tempo per parlare più a lungo con lui . « Ci rivedremo » mi dice « dopodomani , al numero 26 di questa stessa via . » Due giorni dopo salgo i gradini del numero 26 in rue Es Sadikia . Sono rassegnato a sentirmi dire : « Ci vedremo domani , dopodomani , fra tre giorni , al numero tale , della via ... » . Mi dicono invece che tutto è pronto . Partirò nel pomeriggio , giungerò in serata a S . El A ... , domani sarò a G ... e là qualcuno si incaricherà di farmi passare oltre la frontiera , in territorio algerino . Lasciamo Tunisi verso le quattro del pomeriggio su una piccola Dauphine , diretti a S . El A ... Siamo in quattro sulla macchina : io , l ' autista , e due uomini di scorta , vestiti bene inteso in abiti borghesi , anche se sotto la giacca dell ' uomo che mi siede accanto intravedo il calcio di una pistola . L ' autista , che è poi il capo della piccola spedizione , ha voglia di parlare . È un ex sergente dell ' esercito francese , e come ogni ex sergente che si rispetti è malcontento di tutto e di tutti . Ha servito in Francia nel reggimento del colonnello De Mathieu , « in fede mia , un porco perfetto » . Ha fatto la guerra in Italia , a Cassino , a Roma , su su fino a San Geminiano . Dopo otto anni di servizio nell ' esercito ha ottenuto la cittadinanza francese e si è stabilito a Parigi . Perché è passato nelle file dell ' ALN ? Ci tiene a farmi sapere che lui non è ricercato dalla polizia per la sua attività a favore del Fronte Nazionale , ma solo sospettato . Con tutto ciò ha ritenuto opportuno lasciare Parigi con la famiglia e raggiungere Tunisi . È ovvio che egli desidera una sola cosa al mondo : che la guerra finisca al più presto , e che egli possa tornarsene a Parigi , ai suoi amici , alla sua bottega , al suo piccolo caffè di Square Monthelon . Ma quando finirà questa guerra ? Su questa domanda cade un lungo silenzio . Infine l ' ex sergente scatta ancora , con un gesto di rabbia . « Quando hanno cominciato a sospettare che io lavorassi per 1'FLN , mi hanno detto che non ero un buon patriota . Io ? Io sono talmente buon patriota che in Francia ho votato per la destra . Prima hanno promesso l ' indipendenza . Poi hanno detto : integrazione . D ' accordo . Viva la Francia ! Ma almeno fossimo eguali , con gli stessi doveri e gli stessi diritti dei francesi . » I miei compagni di viaggio ridono fra di loro e gli dicono qualche parola in arabo . L ' ex sergente scuote la testa e aggiunge : « È difficile ... è veramente difficile per un algerino vivere a Parigi , oggi come oggi ... » . Poi tace per il resto del tragitto ( ho riferito pressoché integralmente questa conversazione , poiché mi sembra abbastanza indicativa di un certo stato d ' animo , nei confronti della Francia , diffuso fra i militanti dell ' ALN che abbiano superato i venticinque anni . Cioè a dire un misto di amore e di odio , forse gli stessi sentimenti che agitano un innamorato respinto e maltrattato . Ma su questo argomento mi fermerò più a lungo in seguito ) . È già notte quando arriviamo a S . El A ... accolti dal latrare allegro dei cani , La cittadina è vivacemente animata . Dalle innumerevoli botteghe che aprono le loro luci sulla strada giunge un brusio interrotto , la eco di una conversazione , lo squillo improvviso di una risata . Pernottiamo a S . El A ... e ripartiamo al mattino per G ... Qui , in una vecchia rimessa , mi attendono una jeep , un nuovo autista e una nuova scorta . Riprendiamo a correre sulla strada , in mezzo a campi coltivati a tabacco . A pochi chilometri dal posto di dogana tunisino la jeep sterza a destra , in mezzo ai campi , e raggiunge una strada secondaria che passa per un piccolo bosco . D ' improvviso giunge un fischio acuto e prolungato . Ci fermiamo . Una figura esce dal fitto degli alberi . Un uomo di media statura , il volto asciutto , gli occhi inquieti , che parla a scatti , con voce dura , impaziente . Indossa una impeccabile uniforme di tela , berretto a visiera , la pistola nella fondina , due stellette dorate che porta sul petto , a sinistra , indicano che egli riveste il grado di capitano . Mi porge la destra . « Sono » dice « il capitano Laissani , comandante il 1° battaglione della base est . Benvenuto fra noi . » Poi , senza aggiungere altro , sale sulla jeep , accanto all ' autista . Solo allora mi accorgo che la scorta , per fargli posto , toglie due mitra dal sedile e li ripone sul pavimento della vettura . Ovviamente non c ' è tempo per altre domande . La jeep compie un lungo giro nel bosco per evitare il posto di controllo tunisino e alla fine sbuca nuovamente sulla strada che si inoltra nella montagna . Siamo nella « terra di nessuno » che corre fra la frontiera tunisina e la frontiera algerina . La strada sale a tornanti lungo il fianco della montagna in mezzo a foreste fitte di querce , interrotta qua e là da sprazzi di verde . Dopo circa tre ore il capitano Laissani mi annuncia : « Di qua è ancora il territorio tunisino , di là , a sinistra della strada , incomincia l ' Algeria » . Mi rendo conto , ancora una volta , che i confini sono linee astratte , immateriali , tracciati che non hanno alcun rapporto con la realtà . Infatti solo alcuni frammenti di filo spinato indicano che alla nostra sinistra si apre il territorio algerino . E i francesi ? La linea Morice ? I posti di blocco ? Laissani mi spiega che tutta la regione a cavallo della frontiera algero - tunisina , per una profondità di una decina di chilometri dalla frontiera , è interamente controllata dalle unità dell ' ALN , e che i piccoli posti francesi sono stati distrutti . Qui siamo ancora ai margini della guerra . I francesi sono rinchiusi nei posti fortificati più importanti o nelle cittadine come Lacroix , La Calle , Bone , Souk Ahras , Divivier . Ne escono per attaccare le formazioni dell ' ALN , con l ' appoggio dell ' aviazione o dei carri armati . La linea Morice , questo lungo serpente di filo spinato , corre ad un centinaio di chilometri dalla frontiera , e protegge la linea ferroviaria che da Bone scende fino a Tebessa . La base est , di cui il 1° battaglione fa parte , controlla tutto il dipartimento di Bone fino ad una decina di chilometri oltre la linea Morice . I battaglioni della base est sono incaricati della distruzione sistematica della linea Morice , e di assicurare i rifornimenti di armi alle altre regioni . « Vedete » conclude Laissani , dopo questa sommaria spiegazione sui compiti della base est , « noi siamo come il mare , e i francesi come le isole . Voi ora siete nel mare , cioè a dire nella montagna , nella foresta ... » Siamo giunti a destinazione . Dopo l ' arrivo di Ammar ( dí cui ho già parlato all ' inizio di questa corrispondenza ) la jeep riparte per G ... Lasciamo la strada e ci inoltriamo sulla distesa che si apre in territorio algerino . Un debole ronzio sopra le nostre teste induce il capitano Laissani ad ordinare l ' alt . « Un B-26» annuncia laconicamente Ammar . L ' aereo si distingue appena , non è che un punto luminoso nel cielo assolato e scompare rapidamente alla vista . Ad ogni buon conto Laissani ordina di entrare nel bosco e di marciare fra gli alberi . Dopo una mezz ' ora di marcia raggiungiamo una piccola radura che si apre nella foresta . Il terreno , intriso d ' acqua , luccica come uno specchio verdastro . Tutto attorno , fra gli alberi , si intravedono le sagome coniche dei gourbi , le tipiche capanne dei contadini algerini , come berretti baschi posati fra i tronchi grigiastri delle querce . Attorno a noi soldati in divisa sono intenti a consumare il rancio , a ripulire le armi , vanno e vengono fra gli alberi , dentro e fuori i gourbi , occupati in mille faccende . « Siamo al comando del l ° battaglione » mi annuncia Laissani , con una punta di orgoglio , come un padrone di casa che faccia le presentazioni . Mi guardo attorno . Questa è dunque l ' Algeria , queste vette dal disegno dolcemente ondulato , questi pendii rocciosi bizzarramente tagliati , questa luce calda , questi tronchi contorti , questo terreno diseguale , ora arido e brullo , ora di un bel colore bruno - rossastro , queste capanne di foglie che segnano macchie più scure in mezzo agli alberi , e dalle quali giungono le voci allegre dei soldati . Questa è l ' Algeria , e questi sono gli uomini che stanno « dall ' altra parte » , i fellagha dei bollettini dell ' Alto Comando francese , la materia prima della guerra . Chi sono ? Come vivono ? Perché combattono ? Come combattono ? Quali sono le loro idee , i loro sentimenti , i loro affetti d ' uomini ? Sono tutte domande , queste , alle quali cercherò di trovare una risposta .