StampaPeriodica ,
Ormai
la
polemica
,
nata
dall
'
intelligente
articolo
di
Angioletti
,
ha
dato
più
d
'
un
frutto
,
e
non
sembra
acquetarsi
.
Il
suo
significato
non
è
più
soltanto
letterario
,
ma
culturale
,
sociale
e
,
finalmente
,
filosofico
,
grazie
,
specialmente
,
alla
decisa
posizione
antiromantica
di
Galvano
della
Volpe
(
vedi
«
Antiromanticismo
»
in
Primato
del
15
maggio
e
«
Da
un
programma
antiromantico
»
in
Studi
filosofici
n
.
4
)
.
Tutti
noi
sentiamo
con
Angioletti
,
che
,
«
come
un
vento
tiepido
e
leggero
»
qualcosa
di
nuovo
nasce
intorno
a
noi
,
ma
di
questo
qualcosa
di
nuovo
non
sappiamo
,
e
forse
è
un
bene
,
dare
una
definizione
.
In
ogni
modo
non
a
caso
è
stata
pronunciata
la
parola
«
Romanticismo
»
.
Essa
indica
,
io
credo
,
uno
stato
di
malessere
e
di
scontentezza
,
un
senso
di
sfiducia
e
di
sazietà
verso
atteggiamenti
troppo
controllati
e
troppo
«
distaccati
»
della
nostra
cultura
.
Un
amore
freddo
e
contenuto
per
la
precisione
di
ciò
che
è
intellettualmente
perfetto
ci
trattiene
da
ogni
abbandono
,
ed
ora
sentiamo
il
valore
dell
'
abbandono
,
la
fecondità
di
certe
ingenuità
e
di
certi
errori
,
ma
un
timore
ci
trattiene
,
ed
è
quello
che
non
venga
abbandonato
troppo
facilmente
ciò
che
abbiamo
conquistato
,
la
disciplina
su
ogni
forma
di
lirica
intemperanza
,
quella
precisione
del
senso
della
parola
che
è
certo
una
delle
conquiste
più
alte
della
letteratura
e
della
poesia
italiana
contemporanea
.
La
finitezza
della
parola
è
divenuta
quasi
il
segno
della
moralità
del
letterato
e
dell
'
uomo
di
cultura
e
,
forse
,
qualcosa
di
più
,
il
segno
della
moralità
dell
'
uomo
,
come
una
volontà
di
non
falsare
il
valore
della
realtà
e
della
vita
,
sempre
concretamente
finita
e
puntuale
,
sempre
determinata
,
sempre
richiedente
una
responsabilità
ed
una
scelta
,
senza
evasioni
e
senza
fughe
,
appunto
,
romantiche
.
Ma
,
tale
finitezza
,
ci
appare
ora
come
l
'
estrema
conquista
,
una
conquista
che
presuppone
tutto
un
passato
e
,
in
noi
,
tutto
un
lungo
cammino
o
travaglio
inespresso
,
di
cui
la
parola
è
come
la
conclusione
,
il
traguardo
raggiunto
.
E
scopriamo
il
valore
di
ciò
che
in
noi
è
stato
disciplinato
,
come
se
,
senza
quel
profondo
e
scontento
agitarsi
di
tutto
il
nostro
destino
,
la
parola
perdesse
ogni
sua
tensione
,
ogni
sua
moralità
:
è
questa
scoperta
che
ci
fa
parlare
,
oggi
,
di
romanticismo
.
Romanticismo
sì
,
ma
romanticismo
del
finito
,
accettazione
senza
riserve
del
limite
inerente
alla
vita
ed
alla
cultura
:
la
morte
non
è
più
un
tema
poetico
,
ma
la
condizione
della
nostra
esistenza
:
non
vogliamo
falsare
il
senso
del
nostro
esistere
e
trasportarlo
nel
mito
di
un
egualitarismo
liberale
o
di
un
illuministico
storicismo
in
cui
tutti
i
contendenti
assolvono
la
loro
eguale
funzione
storica
:
no
,
nella
vita
e
nella
storia
ci
sono
vincitori
e
vinti
,
ogni
epoca
vive
nel
suo
orizzonte
e
nega
l
'
altra
:
la
civiltà
europea
non
ci
sembra
più
ottimisticamente
svilupparsi
nella
linea
di
un
mitico
progresso
.
La
nostra
epoca
rinuncia
a
soluzioni
troppo
facili
ed
ereditarie
,
ha
la
sua
dura
realtà
da
imporre
e
sa
che
la
sua
vita
è
legata
alle
sue
possibilità
di
vittoria
.
Essa
sa
che
la
cultura
aperta
ed
infinita
è
la
fine
di
un
'
Europa
e
sa
che
l
'
Europa
non
esiterebbe
più
se
non
avesse
il
coraggio
di
rinunciare
a
ciò
che
finora
si
è
chiamato
europeo
:
essa
vuol
dimenticare
l
'
indulgenza
dei
vecchi
,
per
cui
ogni
affermazione
ha
il
suo
diritto
,
e
sa
che
bisogna
saper
non
vedere
,
non
giustificare
,
non
accettare
,
vivere
e
morire
per
qualcosa
di
determinato
e
di
finito
,
ingiusto
forse
,
ma
solo
in
nome
di
una
astratta
giustizia
e
di
un
'
astratta
moralità
.
Non
saprei
non
dar
ragione
,
in
tal
senso
,
alla
profonda
rivalutazione
del
finito
e
del
determinato
,
su
cui
tanto
insiste
,
come
filosofo
e
come
uomo
di
cultura
,
Galvano
della
Volpe
.
No
,
la
nostra
epoca
non
deve
e
non
può
essere
umanitaristica
.
Ed
ha
ragione
Mario
Alicata
:
è
troppo
equivoco
il
termine
«
simpatia
umana
»
:
«
ridurre
l
'
amore
ed
il
desiderio
degli
altri
a
...
caute
possibilità
di
perdono
,
di
soccorso
...
non
significa
rischiare
di
nuovo
la
propria
libertà
spirituale
in
un
accomodamento
utilitario
dei
nostri
rapporti
umani
,
al
servizio
di
un
plebeo
e
farisaico
demagogismo
che
cerchi
di
salvare
,
nella
ottenuta
e
rimunerata
comprensione
degli
altri
verso
noi
,
dei
molti
verso
i
pochi
,
la
pigrizia
morale
e
la
fervida
coscienza
degli
egoisti
?
»
(
Primato
15
giugno
)
.
Eppure
,
con
tutto
questo
,
l
'
esigenza
di
Angioletti
e
di
Lupinacci
,
conteneva
forse
più
di
quanto
si
è
in
essa
voluto
vedere
e
di
quanto
ha
saputo
dire
.
Gli
uomini
non
si
incontrano
nella
conclusione
della
loro
esperienza
.
La
disciplina
della
parola
ci
rimanda
alle
nostre
inespresse
vicende
,
tanto
espresse
invece
dai
romantici
:
la
virile
accettazione
del
finito
,
così
nostra
,
ci
rimanda
ad
una
condizione
comune
di
finitezza
,
ad
una
comprensione
più
profonda
dove
ognuno
di
noi
comprende
l
'
altro
proprio
perché
sa
che
il
finito
esclude
ogni
possibilità
di
assolutizzare
,
secondo
il
vecchio
egocentrismo
romantico
,
perché
sa
che
ogni
orizzonte
è
limitato
,
che
ogni
dogmatismo
è
una
falsificazione
di
noi
stessi
e
degli
altri
.
L
'
accettazione
del
finito
come
finito
,
il
rifiuto
di
ogni
evasione
e
di
ogni
fuga
,
non
allontana
gli
uomini
,
ma
,
proprio
,
li
riavvicina
,
nell
'
unico
riavvicinamento
che
è
davvero
possibile
:
il
riconoscimento
del
limite
del
proprio
destino
e
dell
'
altrui
,
diverso
,
opposto
al
nostro
.
Il
vecchio
romanticismo
credeva
di
poter
raggiungere
la
possibilità
di
una
comunicazione
attraverso
la
fuga
dalle
precise
condizioni
della
nostra
esistenza
o
attraverso
la
mitica
assolutizzazione
ed
universalizzazione
di
un
'
esperienza
fatalmente
particolare
e
limitata
:
noi
,
nella
nostra
nuova
esigenza
romantica
,
sappiamo
che
possiamo
davvero
comprendere
gli
altri
se
sappiamo
accettare
la
nostra
condizione
e
non
mitologizzare
noi
stessi
.
«
Andare
incontro
agli
altri
»
dice
anche
Mario
Alicata
.
Ma
gli
altri
li
sapremo
trovare
solo
sperimentando
ed
accettando
il
limite
della
nostra
esperienza
:
così
sapremo
andare
verso
gli
altri
,
anche
se
,
per
avventura
,
le
condizioni
finite
della
nostra
vita
ci
porranno
contro
di
loro
:
saremo
allora
,
per
ripetere
ancora
la
parola
di
Karl
Jaspers
in
comunicazione
con
loro
.
Il
tramontante
liberalismo
aveva
condotto
l
'
Europa
all
'
assolutizzazione
del
finito
,
il
vecchio
umanitarismo
alla
più
ipocrita
mancanza
di
umanità
:
proprie
le
nuove
esperienze
politiche
ed
ideologiche
sapranno
ritrovare
l
'
uomo
,
senza
promettergli
nessun
mito
,
ma
dandogli
la
vera
libertà
della
sua
condizione
di
uomo
,
inevitabilmente
finita
:
da
tale
accettazione
della
finitezza
e
del
destino
,
che
tutti
limita
e
circoscrive
,
nasce
la
nuova
e
concreta
forma
di
solidarietà
umana
.
Che
è
civiltà
della
tecnica
e
del
lavoro
proprio
in
quanto
tecnica
e
lavoro
abbandonano
ogni
liberale
mitologia
fordistica
e
tayloristica
e
diventano
i
termini
essenziali
di
realizzazione
,
nel
finito
,
dell
'
esistenza
dell
'
uomo
,
con
tutta
la
sua
umanità
.
Nasce
allora
una
nuova
passione
,
la
passione
per
il
finito
,
per
ciò
che
ci
fa
restare
noi
stessi
.
È
antiromantica
perché
esclude
ogni
fuga
,
ma
è
profondamente
romantica
perché
ci
riavvicina
alla
fonte
inesauribile
di
ciò
che
in
noi
è
primordiale
.
Sentiamo
per
il
finito
e
per
la
fatalità
delle
condizioni
insostituibili
dell
'
esistenza
lo
stesso
entusiasmo
che
i
romantici
provarono
per
l
'
infinito
e
per
la
fuga
dal
mondo
.
E
la
nostra
cultura
vuol
rimanere
fedele
all
'
impossibilità
di
universalizzare
i
nostri
orizzonti
,
una
fedeltà
che
è
fedeltà
alla
concretezza
del
nostro
esistere
,
una
fedeltà
alla
morte
,
se
si
vuol
richiamare
il
termine
di
Heidegger
,
una
fede
,
profonda
come
quella
romantica
,
che
solo
il
finito
può
testimoniare
dell
'
infinito
,
che
la
trascendenza
si
può
a
noi
rivelare
solo
nell
'
accettazione
assoluta
e
totale
delle
condizioni
della
nostra
immanenza
,
se
si
vuole
,
richiamandosi
ancora
all
'
esistenzialismo
,
ricordare
la
posizione
di
Jaspers
.
Finitezza
,
destino
,
amor
fati
.
L
'
amico
Della
Volpe
non
si
allarmi
della
nuova
passione
romantica
,
che
come
una
bufera
rinnovatrice
,
l
'
esistenzialismo
ha
scatenato
su
tutta
l
'
Europa
.
Non
s
'
allarmi
perché
questa
nuova
passione
è
proprio
per
quel
finito
,
per
quel
sensibile
,
per
quel
sentimento
di
cui
la
sua
filosofia
rivaluta
,
con
tanta
acutezza
ed
intelligenza
,
i
diritti
troppo
sprezzati
.
E
l
'
amico
G
.
M
.
Bertin
,
a
cui
sono
riconoscente
dell
'
attenzione
che
ha
prestato
al
mio
pensiero
(
Cfr
.
«
Esistenzialismo
romantico
»
,
in
Studi
filosofici
,
n
.
4
)
non
si
allarmi
per
il
nuovo
irrazionalismo
che
gli
sembra
minacciare
la
tradizione
critica
di
Kant
e
di
Hegel
:
proprio
il
nuovo
romanticismo
combatte
ogni
pretesa
,
questa
davvero
romantica
nel
vecchio
senso
della
parola
,
di
assolutizzare
,
infinitizzare
,
divinizzare
l
'
universo
.
E
se
riconosce
i
diritti
dell
'
irrazionale
non
è
per
degradare
il
pensiero
a
mito
,
o
per
abbassare
ad
empirico
arbitrio
la
vita
spirituale
,
ma
invece
per
usare
criticamente
della
ragione
filosofica
e
per
avvertire
che
ogni
vita
spirituale
,
che
non
presupponga
le
condizioni
finite
del
nostro
esistere
e
del
nostro
destino
,
è
retorica
.
Ma
so
che
Bertin
mi
comprende
e
sa
che
il
mio
romanticismo
non
è
quello
a
cui
tutti
noi
ci
ribelliamo
.
La
nuova
atmosfera
romantica
è
dunque
la
scoperta
del
valore
del
finito
e
dell
'
esistenza
.
Dietro
la
nostra
fredda
disciplina
per
le
parole
ritornano
la
parola
passione
e
la
parola
destino
:
e
la
nostra
disciplina
non
sarà
conquistata
una
volta
per
sempre
,
ma
ci
richiamerà
ancora
a
noi
stessi
,
alla
continua
tensione
che
ci
conduce
a
riconquistarla
senza
posa
,
perché
non
si
inaridisca
in
vuota
forma
ed
in
pretenziosa
sufficienza
di
sé
.