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I VINTI (I MALAVOGLIA) ( L'ANGELO I. , 1881 )
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Finalmente abbiamo un romanziere . Questo romanziere è Giovanni Verga : ma non più il Verga dell ' Eva , della Storia d ' una capinera , e neanche della Vita dei campi ; bensì un Verga di seconda maniera , o più tosto di terza , il quale ci si erge dinanzi , a un tratto , armato di tutt ' altre armi , con altro stile , altri concetti , altro ideale quasi viaggiatore che torni improvviso da una terra non esplorata ancora prima di lui , e che , per appagare la curiosità dei dolci amici , cui disse addio al partire , non trovi di meglio che mettere loro sott ' occhio il suo diario , dicendo : « Leggete . Questo vid ' io » . Finalmente abbiamo un romanziere . Non dico : un romanzo mica perché i Malavoglia non meritino assai più del nome modestissimo di racconto che dà loro l ' autore nella sua prefazione ma perché i Malavoglia non sono che un sotto - titolo , cioè il primo volume di un ciclo romanzesco dal titolo I Vinti , a voler giudicare il quale con fondamento e giustizia , pare a me necessario attendere , se non la serie intera degli altri vinti , almeno un secondo volume o un terzo . Io non voglio qui cercare se il romanzo ciclico sia cosa bella o nuova o utile , in arte ; né spargere la lagrimetta d ' obbligo sulle misere condizioni del romanzo da noi , rispetto alle altre nazioni ; né spiare , per rapportare agli sfaccendati maligni della platea grossa , quanto sangue di papà Balzac scorra nelle vene di Flaubert e dei Goncourt , quanto di questi in quelle di Emilio Zola , e men che meno , quanto ne sia filtrato , di tutti costoro , nelle vene del gentile e forte scrittore siciliano . Che il ciclo stia al romanzo , più o meno , come alla commedia la tesi , parmi : se più ardua o men giovevole questa , di quello , non so . So che l ' arte per l ' arte ( domando mille perdoni ) , mi sdegna : e io amo quanti strappano a Natura Dea un sospiro che la dimostri viva , né sempre quella , un grido che sia umano ; e amo anche chi scrive : Io soffro , ma amo assai più chi mi dice : Osserva , quanti dolori ! « Questo racconto è lo studio sincero e spassionato del come probabilmente devono nascere e svilupparsi , nelle più umili condizioni , le prime irrequietudini pel benessere ; e quale perturbazione debba arrecare in una famigliola vissuta sino allora relativamente felice , la vaga bramosia dell ' ignoto , l ' accorgersi che non si sta bene , o che si potrebbe star meglio » . Ciò sono , con le parole medesime dell ' autore e salvo un piccolo strappo alla sintassi i Malavoglia . In questi , non è ancora che la lotta pe ' bisogni materiali . Soddisfatti i quali , la « ricerca del meglio » diviene avidità di ricchezze , e s ' incarnerà in un tipo borghese , Mastro don Gesualdo , incorniciato nel quadro ancora ristretto di una piccola città di provincia , ma del quale i colori cominceranno ad essere più vivaci , e il disegno a farsi più ampio e variato . Poi diventerà vanità aristocratica nella Duchessa di Leyra , e ambizione nell ' Onorevole Scipioni , per arrivare all ' Uomo di lusso , il quale riunisce tutte codeste bramosie , tutte codeste vanità , tutte codeste ambizioni , per comprenderle e soffrirne , se le sente nel sangue , e ne è consunto . Tutti costoro « sono altrettanti vinti che la corrente ha deposti sulla riva , dopo averli travolti e annegati , ciascuno colle stimmate del suo peccato , che avrebbero dovuto essere lo sfolgorare della sua virtù . Ciascuno , dal più umile al più elevato , ha avuto la sua parte nella lotta per l ' esistenza , pel benessere , per l ' ambizione ... » « Chi osserva questo spettacolo » conchiude l ' autore « non ha il diritto di giudicarlo ; è già molto se riesce a trarsi un istante fuori dal campo della lotta per studiarlo senza passione , e rendere la scena nettamente , coi colori adatti , tale da dare la rappresentazione della realtà come è stata , o come avrebbe dovuto essere » . Non sogno neanche di riassumere questo meraviglioso racconto , dove la splendida semplicità della forma è agguagliata soltanto da una potenza d ' osservazione e da una finezza di sentimento a cui il Verga non ci aveva ancora assuefatti . Parlano , soffrono , imprecano per lo scrittore , i suoi personaggi : egli non li presenta punto ; si presentano da loro stessi , con le loro virtù ignorate e sublimi , come co ' loro vizi ; e si disegnano nel quadro della loro misera vita , e tramontano , e passano , non come ombre vane , o come attori su la manchevole scena , ma come persone vere e vive . Luigi Capuana , che disse da pari suo di questo nuovo romanzo del Verga , dopo notato che « certi eccessi di forma minuta , certe sproporzioni di parti potevano forse evitarsi senza che l ' evidenza della rappresentazione dovesse soffrirne , e con profitto del libro e dei lettori » , aggiunge queste parole : « Ma mi pare di vedere il Verga che , dal fondo della sua coscienza d ' artista , modestamente mi fa osservare : Forse no » . Parole più savie ancora , che gentili ; ed io , per me , francamente , leverei anche il forse . Eziandio a costo di trovarmi , col mio giudizio , opposto per diametro , al ch . dottor Renier del Preludio ; pel quale , il massimo difetto di questi Malavoglia è la forma che « se non arriva alla barbarie dell ' Eva , è per altro una forma sciolta ( ? ) , sbilenca , monotona , illogica » : e nulla , per lui , è « « più monotono e pesante che il ritorno continuo di quei medesimi concetti , di quei medesimi proverbi in persone diverse » ; ché « la personalità » egli nota « ha un certo sviluppo » , né « una società di pescatori siciliani è da mettersi a paragone con una tribù di Cafrii o di Polinesiani » ... « Ma questo non ci mis ' io ! » potrebbe qui sclamare con tutta ragione Giovanni Verga . Io so che , se volessi fare un tantino il pedante , ben poco troverei da riprendere in queste 460 pagine , per la ragione - probabilissimamente , che ben poca è pure la mia competenza e , sovra tutto , che io pedante non sono . Troverei , per esempio , che alcuni proverbi - per quanto saggezza di popolo - bastava benissimo citarli una volta , o due , che repubblicano o coniglio , liberale o birba , prete e vittima , sindaco o bestia , sono combinazioni infinitamente meno comuni di quello ch ' è diventato di moda voler far credere , che l ' eroismo della Mena , come la subita rassegnazione di compare Alfio , sono un po ' inverosimili ; che la brutta fine della Lia riesce più inesplicabile ancora , massime ch ' è accennata appena e con soverchio mistero . Né mi verrebbe scritto , ad esempio : « Ci avrebbe voluto l ' argano » ( pag . 9 ) ; « gran sbalordimento » ( ivi ) ; « si doveva ajutarsi » ( 13 ) ; « ce la dareste » per gliela ( 24 ) ; « sentite a me » ( 38 , 153 e altrove ) ; « ve lo dico io cos ' è ! Cosa volete ! Ecco cos ' è » in una parlata di quattro linee ; « La Mena si sentiva il cuore che gli sbatteva e gli voleva scappare dal petto » ( 62 ) ; « se dassero retta a voi » ( 78 ) ; « la poveretta , sgomenta da quelle attenzioni insolite , li guardava in faccia sbigottita » . Eviterei l ' onde con l ' infinito , anzi con due ( « Onde spiattellare » , « onde poter spadroneggiare » ecc . ) ; e , da ultimo , abuserei meno di quel collocamento un po ' strano del che nelle frasi seguenti : « Col pretesto del suo fuso , che lo teneva sempre in aria perché ... » ; « il primo che glielo disse fu il Mosca , dinanzi al rastrello dell ' orto , che tornava allora da Aci Castello » ; « e vedendo Luca lì davanti , che gli avevano messo il giubbone del babbo , e gli arrivava alle calcagna ... » ; « e se il Mosca ci aveva qualcheduna per la testa , era piuttosto comare Mena di padron ' Ntoni , che la vedeva ogni giorno » ; « come quando era morto Bastianazzo , che nessuno ci pensava più » .