StampaPeriodica ,
L
'
idea
di
una
lingua
universale
è
la
sublimazione
del
falso
concetto
che
si
è
avuto
per
il
passato
e
si
ha
ancora
d
'
ordinario
circa
il
linguaggio
.
Questo
falso
concetto
consiste
nel
credere
che
il
linguaggio
sia
un
congegno
che
l
'
uomo
si
è
foggiato
per
comunicare
ai
suoi
simili
il
proprio
pensiero
.
Secondo
siffatto
modo
di
vedere
,
il
pensiero
starebbe
dapprima
,
nella
mente
dell
'
uomo
,
senza
linguaggio
:
il
linguaggio
gli
si
aggiungerebbe
poi
,
per
atto
pratico
,
in
vista
dell
'
utile
e
del
comodo
.
E
poiché
i
congegni
nascono
rozzi
e
si
perfezionano
via
via
nel
corso
dei
secoli
,
non
è
maraviglia
che
,
assimilato
a
essi
,
il
parlare
effettivo
degli
uomini
,
cioè
il
linguaggio
quale
si
è
storicamente
formato
,
appaia
quasi
un
lavorare
con
istrumenti
vecchi
o
addirittura
barbarici
,
riadattati
alla
meglio
ma
sempre
pesanti
e
incomodi
,
e
sorga
il
desiderio
di
sostituire
a
quei
vecchi
strumenti
o
di
possedere
accanto
a
quelli
uno
strumento
nuovo
,
costruito
di
sana
pianta
.
Pel
quale
si
farà
tesoro
,
sì
,
delle
esperienze
secolari
,
ma
ci
si
atterrà
a
criterî
razionali
che
permettano
di
raggiungere
più
facilmente
e
meglio
il
fine
della
comunicazione
.
I
fucili
a
ripetizione
hanno
sostituito
quelli
a
pietra
;
i
treni
-
lampo
le
vecchie
diligenze
:
perché
mai
il
linguaggio
ultimo
-
modello
non
sostituirebbe
il
rappezzato
neolatino
,
il
frondoso
tedesco
e
l
'
ibrido
inglese
?
Il
falso
concetto
del
linguaggio
è
evidente
in
tutti
i
vagheggiatori
e
promotori
di
una
lingua
universale
:
dal
Cartesio
e
dal
Leibniz
,
giù
giù
fino
al
dottor
Zamenhof
,
inventore
dell
'
Esperanto
,
e
ai
signori
Couturat
e
Léau
,
membri
della
"
Delegazione
per
l
'
adottamento
di
una
lingua
internazionale
ausiliare
"
e
autori
della
Histoire
de
la
langue
universelle
.
A
Cartesio
(
com
'
è
noto
)
pareva
cosa
agevole
foggiare
una
lingua
universale
,
nella
quale
si
avesse
un
modo
solo
di
declinare
,
di
coniugare
e
di
costruire
le
parole
,
e
non
fossero
verbi
difettivi
o
irregolari
,
"
qui
sont
toutes
choses
venues
de
la
corruption
de
l
'
usage
"
.
Il
dottor
Zamenhof
,
fin
dal
tempo
che
seguiva
gli
studi
letterarî
nel
ginnasio
di
Varsavia
,
si
persuase
che
"
la
complexité
des
grammaires
naturelles
était
une
richesse
vaine
et
encombrante
,
et
se
mit
à
élaborer
une
grammaire
simplifiée
"
.
I
signori
Couturat
e
Léau
accettano
in
proposito
la
conclusione
a
cui
pervenne
già
nel
1855
il
Renouvier
:
che
una
lingua
internazionale
debba
essere
"
empirique
par
son
vocabulaire
et
philosophique
(
c
'
est
-
à
-
dire
,
rationnelle
)
par
sa
grammaire
"
.
Ed
ecco
che
cosa
essi
pensano
dei
linguaggi
esistenti
:
"
toute
langue
littéraire
est
,
plus
ou
moins
,
artificielle
"
.
E
della
poesia
:
"
qu
'
y
a
-
t
-
il
de
plus
artificiel
,
en
tout
cas
,
que
la
poésie
?
et
dans
quel
pays
est
-
il
naturel
de
parler
en
vers
?
"
.
Dinanzi
a
codeste
affermazioni
si
rimane
sbalorditi
.
Che
Cartesio
e
Leibniz
non
avessero
ancora
inteso
la
natura
del
linguaggio
,
si
spiega
per
le
condizioni
del
pensiero
ai
tempi
loro
.
Ma
,
sulla
fine
del
secolo
decimonono
o
sui
principi
del
ventesimo
,
udire
ripetere
ancora
che
le
lingue
sono
irrazionali
,
che
contengono
elementi
inutili
,
che
possono
venir
semplificate
per
mezzo
della
logica
,
che
la
poesia
è
un
fatto
artificiale
,
è
cosa
non
sopportabile
.
I
moderni
dissertatori
intorno
al
linguaggio
universale
,
che
si
valgono
di
concetti
come
quelli
dei
quali
si
è
dato
saggio
,
dovrebbero
,
a
mio
parere
,
non
già
essere
ammessi
alla
discussione
,
ma
rimandati
puramente
e
semplicemente
a
studiare
che
cosa
il
linguaggio
sia
.
È
chiaro
che
sulla
Filosofia
del
linguaggio
non
debbono
aver
mai
meditato
sul
serio
.
L
'
hanno
creduta
facile
,
di
quelle
cognizioni
che
si
posseggono
come
per
buon
senso
naturale
;
ed
è
invece
difficile
e
di
faticoso
acquisto
.
I
promotori
della
lingua
universale
dichiarano
di
avere
ormai
affatto
abbandonato
l
'
antica
pretesa
di
una
lingua
filosofica
,
rispondente
ai
concetti
esattamente
determinati
delle
cose
:
quella
lingua
filosofica
della
quale
Cartesio
diceva
per
l
'
appunto
:
"
l
'
invention
de
cette
langue
dépend
de
la
vraye
philosophie
"
.
E
non
hanno
difficoltà
a
riconoscere
che
,
non
essendo
ancora
la
scienza
bella
e
fatta
,
e
mutando
anzi
di
continuo
,
una
lingua
di
tal
sorta
è
impossibile
.
Ma
con
ciò
non
si
è
superato
l
'
errore
,
il
quale
non
nasceva
già
dal
presupposto
della
scienza
perfetta
:
la
lingua
desiderata
sarebbe
stata
certamente
tanto
più
perfetta
quanto
più
perfetta
la
scienza
che
le
servisse
di
base
,
ma
avrebbe
,
anche
nell
'
ipotesi
di
una
scienza
imperfetta
,
rappresentato
pur
sempre
un
progresso
grande
rispetto
al
linguaggio
volgare
,
perché
la
scienza
degli
scienziati
,
imperfetta
che
sia
,
vale
sempre
meglio
delle
credenze
del
volgo
.
L
'
errore
,
invece
,
in
quella
idea
di
una
lingua
filosofica
era
né
più
né
meno
il
medesimo
in
cui
s
'
incorre
ora
con
l
'
idea
della
lingua
universale
;
vale
a
dire
,
concepire
il
linguaggio
come
qualcosa
d
'
estrinseco
e
di
fissabile
.
Questo
errore
non
è
stato
punto
superato
.
Supposti
due
individui
i
quali
abbiano
gli
stessissimi
pensieri
intorno
a
un
oggetto
,
non
per
ciò
essi
potranno
mai
parlare
una
lingua
comune
a
entrambi
,
identica
in
entrambi
.
Ciascuno
dei
due
parlerà
a
modo
suo
,
cioè
in
modo
corrispondente
al
proprio
animo
e
alla
propria
fantasia
;
ciascuno
con
certe
immagini
,
certi
suoni
,
certi
giri
di
periodi
,
certi
gesti
e
certe
enfasi
,
che
non
possono
essere
identici
alle
immagini
,
ai
suoni
,
ai
periodi
,
ai
gesti
e
alle
enfasi
,
con
cui
si
esprime
l
'
altro
.
Il
linguaggio
,
insomma
,
cioè
il
parlare
,
è
nella
sua
realtà
spontaneo
,
individuale
,
variabile
;
e
il
linguaggio
,
che
si
domandava
,
quel
linguaggio
comune
,
sarebbe
dovuto
essere
artificiale
,
universale
e
fisso
,
negando
così
la
natura
universale
del
linguaggio
,
contradicendo
con
l
'
aggettivo
il
sostantivo
.
E
(
si
noti
bene
)
la
diversità
del
parlare
secondo
gl
'
individui
e
le
.
situazioni
psicologiche
in
cui
ciascuno
di
essi
si
trova
,
non
esclude
il
reciproco
intendersi
;
perché
intendere
vuol
dire
appunto
adeguarsi
alla
psicologia
altrui
movendo
dalla
propria
e
a
questa
tornando
.
Se
gli
uomini
potessero
parlare
tutti
allo
stesso
modo
,
sarebbero
tutti
identici
;
con
che
non
s
'
intenderebbero
già
meglio
,
ma
si
scioglierebbero
tutti
insieme
nell
'
indistinto
,
e
il
mondo
non
esisterebbe
.
Per
le
ragioni
che
ho
esposte
o
ricordate
,
l
'
idea
di
una
lingua
universale
resterà
sempre
un
'
utopia
della
specie
più
stolta
,
perché
utopia
del
contradittorio
.
Essa
non
cesserà
di
esercitare
un
certo
fascino
su
qualche
spirito
irriflessivo
;
così
come
vi
sarà
sempre
taluno
che
si
domanderà
perché
mai
,
consistendo
la
musica
in
combinazioni
di
note
,
e
la
pittura
in
combinazioni
di
colori
,
e
la
poesia
in
combinazioni
di
parole
,
non
si
possono
ottenere
nuove
e
meravigliose
musiche
,
pitture
,
poesie
mercé
macchine
combinatorie
,
facendo
a
meno
di
quella
rara
e
costosa
materia
prima
,
che
si
chiama
la
genialità
dell
'
artista
.
E
come
vi
sarà
sempre
qualche
fanciullo
che
si
domanderà
perché
mai
i
popoli
facciano
le
guerre
distruggendo
pazzamente
vite
umane
e
ricchezze
con
tanta
fatica
prodotte
,
laddove
potrebbero
decidere
le
loro
contese
con
duelli
singolari
,
al
modo
di
quello
degli
Orazi
e
dei
Curiazi
e
degli
altri
,
che
non
poterono
avere
effetto
,
tra
Pietro
d
'
Aragona
e
Carlo
d
'
Angiò
,
tra
Francesco
I
e
Carlo
V
.
Ma
,
ai
giorni
nostri
,
sembra
che
la
ricerca
del
linguaggio
universale
abbia
mutato
carattere
.
Una
lingua
universale
,
o
,
come
volentieri
la
chiamano
,
una
"
lingua
internazionale
sussidiaria
"
,
viene
richiesta
da
politici
e
commercianti
,
da
scienziati
(
di
quelli
che
girano
per
tutti
i
congressi
)
,
da
logici
matematici
(
inventori
di
specifici
pel
retto
e
comodo
pensare
)
,
e
da
altri
di
simigliante
genìa
;
e
la
richiesta
è
confortata
dall
'
osservazione
di
certi
fatti
che
già
esistono
e
che
si
approssimano
a
quel
che
si
desidera
:
quali
sarebbero
le
lingue
franche
o
i
sabir
della
costa
mediterranea
e
di
altri
paesi
,
la
fortuna
e
la
diffusione
prima
del
Volapük
e
ora
dell
'
Esperanto
,
la
crescente
quantità
di
parole
comuni
che
si
osserva
nei
linguaggi
della
civiltà
europea
,
le
terminologie
e
notazioni
scientifiche
internazionali
;
e
altrettali
.
Perché
mai
un
autorevole
consesso
,
come
l
'
Accademia
delle
accademie
(
bel
nome
,
che
par
modellato
su
quello
del
Cantico
dei
cantici
)
,
o
altro
che
sia
,
composto
di
delegati
dei
varî
Stati
,
non
potrebbe
fissare
un
complesso
di
segni
fonici
,
scelti
con
pratico
buon
senso
,
e
agevolare
con
tale
deliberato
la
comunicazione
dei
pensieri
tra
persone
di
diverso
linguaggio
?
Qual
'
è
l
'
impossibilità
intrinseca
di
questo
desiderio
?
Non
si
vede
.
Senza
dubbio
,
l
'
enunciato
desiderio
non
ha
alcuna
impossibilità
intrinseca
,
e
anzi
si
è
già
in
parte
effettuato
e
si
potrà
effettuare
in
séguito
anche
più
largamente
.
Ma
,
in
ogni
caso
,
quel
che
si
ottiene
a
questo
modo
(
ecco
il
punto
importante
)
o
non
è
lingua
o
non
è
universale
.
Mettere
in
corrispondenza
certi
suoni
,
arbitrariamente
foggiati
,
con
certe
idee
ed
espressioni
non
è
propriamente
parlare
,
ma
formare
una
convenzione
.
Si
può
convenire
,
per
es
.
,
che
quel
che
gl
'
italiani
chiamano
"
pane
"
,
e
i
francesi
"
pain
"
,
e
i
tedeschi
"
brot
"
,
e
gl
'
inglesi
"
bread
"
,
sia
indicato
col
suono
"
puk
"
;
quel
che
si
dice
"
voglio
,
je
veux
,
ich
will
,
I
will
"
,
sia
indicato
col
suono
"
ro
"
;
onde
"
ro
puk
"
si
tradurrà
nelle
rispettive
lingue
:
"
io
voglio
un
pezzo
di
pane
"
.
Ma
con
questa
convenzione
non
si
è
data
vita
a
nessun
linguaggio
:
il
linguaggio
è
l
'
uomo
che
parla
,
nell
'
atto
che
parla
.
La
convenzione
può
avere
pretese
di
universalità
ed
essere
universalmente
imposta
o
universalmente
accettata
;
ma
l
'
aggettivo
"
universale
"
cerca
qui
invano
il
sostantivo
"
linguaggio
"
.
Perché
questo
sostantivo
sia
al
suo
posto
,
perché
si
abbia
linguaggio
,
è
necessario
che
i
vari
individui
,
che
compongono
l
'
ipotetica
società
aderente
alla
convenzione
,
prendano
a
parlare
,
dicendo
:
"
ro
puk
"
,
per
dire
che
vogliono
il
pane
.
Ma
,
non
appena
quella
convenzione
si
traduce
in
linguaggio
,
ecco
che
cessa
di
esser
convenzione
,
diventa
un
semplice
dato
naturale
,
un
'
impressione
,
un
fatto
psichico
,
che
lo
spirito
di
ciascun
parlante
risente
ed
elabora
a
suo
modo
:
un
dato
,
il
quale
è
entrato
con
altri
nella
psiche
del
parlante
,
che
lo
trasforma
in
linguaggio
vivo
,
facendone
la
sintesi
estetica
insieme
con
le
altre
impressioni
,
che
parimente
sono
entrate
in
lui
.
La
convenzione
cessa
per
tal
modo
di
essere
convenzione
,
perché
si
è
individualizzata
.
In
ciascun
individuo
,
e
in
ciascun
atto
del
parlare
,
quei
suoni
"
ro
puk
"
acquistano
un
particolare
significato
o
,
ch
'
è
lo
stesso
,
una
particolare
sfumatura
di
significato
.
Prima
si
aveva
l
'
universale
,
ma
non
la
lingua
;
ora
si
ha
bensì
la
lingua
,
ma
non
più
l
'
universale
.
Questa
obiezione
,
che
la
parola
convenuta
perda
la
sua
fissità
,
quando
entra
nell
'
uso
vivo
del
parlare
;
che
quel
solido
,
per
così
dire
,
caduto
nel
flusso
di
un
liquido
,
si
liquefaccia
anch
'
esso
;
-
è
stata
mossa
ai
sostenitori
della
lingua
universale
o
è
stata
in
qualche
modo
adombrata
,
quando
si
è
notato
che
la
lingua
universale
sarà
variamente
pronunciata
dai
vari
individui
,
e
che
sarà
alterata
dai
vari
popoli
secondo
le
tendenze
e
i
precedenti
di
ciascuno
e
secondo
tutte
le
circostanze
e
vicende
storiche
.
I
difensori
della
lingua
universale
,
non
avvertendo
forse
la
gravità
dell
'
obiezione
,
hanno
risposto
:
che
,
ammesso
pure
che
la
pronunzia
sia
causa
di
alterazioni
,
la
lingua
universale
resterà
sempre
utile
per
le
comunicazioni
scritte
;
che
le
alterazioni
temute
non
avranno
luogo
,
com
'
è
provato
da
esperienze
fatte
col
Volapüik
e
con
l
'
Esperanto
;
che
la
lingua
artificiale
non
sarà
sottomessa
agli
stessi
motivi
di
alterazione
,
operanti
nelle
lingue
storiche
,
perché
dovrà
servire
solo
per
certi
determinati
scambi
e
sarà
frenata
da
una
tradizione
e
da
una
letteratura
di
modelli
classici
;
che
le
mutazioni
,
riconosciute
opportune
,
potranno
essere
introdotte
,
cautamente
,
dall
'
autorità
medesima
,
costitutrice
di
quel
linguaggio
;
e
così
via
.
Ma
sono
tutte
risposte
le
quali
,
come
si
vede
,
non
giungono
a
eliminare
l
'
obiezione
in
quel
che
ha
di
sostanziale
.
Il
vero
è
che
nessuna
parola
è
qualcosa
di
fissabile
astrattamente
,
ma
ciascuna
attinge
significato
dalla
connessione
in
cui
si
trova
,
e
da
cui
non
è
separabile
se
non
per
violenta
mutilazione
.
E
quel
che
accade
per
le
parole
delle
così
dette
lingue
naturali
,
accade
del
pari
per
quelle
che
hanno
,
sì
,
il
loro
motivo
extralinguistico
in
una
convenzione
,
ma
il
cui
motivo
linguistico
è
,
come
per
tutte
le
altre
,
nella
spontaneità
e
naturalità
del
parlare
,
ritraente
le
svariate
e
mutabili
impressioni
dell
'
animo
umano
.
Non
si
tratta
,
dunque
,
di
quelle
sole
alterazioni
che
s
'
introdurrebbero
saltuariamente
e
accidentalmente
nel
corso
degli
anni
o
dei
secoli
;
ma
di
quelle
,
continue
,
che
s
'
introducono
a
ogni
attimo
.
La
mutabilità
incoercibile
del
linguaggio
,
e
della
convenzione
divenuta
che
sia
anch
'
essa
linguaggio
,
non
esclude
,
certamente
,
che
la
convenzione
,
tradotta
in
linguaggio
,
possa
avere
qualche
utilità
.
Per
certi
fini
pratici
,
quel
che
importa
è
non
la
fissità
rigorosa
,
ma
quella
approssimativa
,
nella
quale
si
trascurano
le
sfumature
e
si
considera
un
'
espressione
all
'
ingrosso
.
Epperò
l
'
Esperanto
,
e
altre
convenzioni
dello
stesso
genere
,
potranno
avere
la
loro
utilità
,
piccola
o
grande
che
sia
,
per
certi
tempi
e
per
certi
luoghi
.
Ridotta
la
cosa
in
questi
confini
,
essa
è
d
'
interesse
e
di
competenza
dei
pratici
,
alle
cure
dei
quali
bisogna
commetterla
e
lasciarla
.
Ma
,
sotto
l
'
aspetto
scientifico
,
conviene
insistere
nell
'
affermazione
che
la
così
detta
lingua
universale
si
risolve
in
un
processo
diviso
in
due
stadî
,
il
primo
dei
quali
(
convenzione
)
è
universale
ma
non
è
lingua
,
il
secondo
(
parlare
effettivo
)
è
lingua
ma
non
più
universale
.
Perché
,
al
filosofo
importa
che
l
'
umile
questione
pratica
di
un
possibile
espediente
atto
ad
agevolare
certi
generi
di
scambî
spirituali
non
faccia
sorgere
,
o
non
rafforzi
,
idee
false
(
e
già
troppe
ne
vanno
in
giro
)
intorno
alla
natura
del
linguaggio
.
Paris
,
Hachette
,
1903
,
8°
gr
.
,
pp
.
xxx-576
.
Op
.
cit
.
,
p
.
305
.
Op
.
cit
.
,
p
.
514
.
Op
.
cit
.
,
p
.
566
.
Op
.
cit
.
,
pp
.
113-115
,
548
.
Purtroppo
il
gran
Leibniz
,
in
conseguenza
dei
suoi
errati
concetti
circa
il
linguaggio
,
fu
uno
di
questi
"
taluni
"
e
sognò
di
poter
comporre
con
metodo
infallibile
e
quasi
dimostrativo
poemi
e
canti
"
très
beaux
"
;
al
modo
stesso
che
un
predecessore
di
lui
,
il
padre
Kircher
,
nella
Musurgia
,
pretendeva
insegnare
l
'
arte
di
comporre
arie
senza
sapere
di
musica
.
Si
veda
La
logique
de
Leibniz
,
d
'
après
des
documents
inédits
,
par
L
.
COUTURAT
(
Paris
,
Alcan
,
1901
)
,
p
.
63
.
Op
.
cit
.
,
pp
.
559
e
565
.
Cfr
.
la
rivista
"
Leonardo
"
,
fasc
.
di
novembre
1904
,
p
.
37
.
Op
.
cit
.
,
pp
.
559-569
.