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LA LINGUA UNIVERSALE ( CROCE BENEDETTO , 1905 )
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L ' idea di una lingua universale è la sublimazione del falso concetto che si è avuto per il passato e si ha ancora d ' ordinario circa il linguaggio . Questo falso concetto consiste nel credere che il linguaggio sia un congegno che l ' uomo si è foggiato per comunicare ai suoi simili il proprio pensiero . Secondo siffatto modo di vedere , il pensiero starebbe dapprima , nella mente dell ' uomo , senza linguaggio : il linguaggio gli si aggiungerebbe poi , per atto pratico , in vista dell ' utile e del comodo . E poiché i congegni nascono rozzi e si perfezionano via via nel corso dei secoli , non è maraviglia che , assimilato a essi , il parlare effettivo degli uomini , cioè il linguaggio quale si è storicamente formato , appaia quasi un lavorare con istrumenti vecchi o addirittura barbarici , riadattati alla meglio ma sempre pesanti e incomodi , e sorga il desiderio di sostituire a quei vecchi strumenti o di possedere accanto a quelli uno strumento nuovo , costruito di sana pianta . Pel quale si farà tesoro , sì , delle esperienze secolari , ma ci si atterrà a criterî razionali che permettano di raggiungere più facilmente e meglio il fine della comunicazione . I fucili a ripetizione hanno sostituito quelli a pietra ; i treni - lampo le vecchie diligenze : perché mai il linguaggio ultimo - modello non sostituirebbe il rappezzato neolatino , il frondoso tedesco e l ' ibrido inglese ? Il falso concetto del linguaggio è evidente in tutti i vagheggiatori e promotori di una lingua universale : dal Cartesio e dal Leibniz , giù giù fino al dottor Zamenhof , inventore dell ' Esperanto , e ai signori Couturat e Léau , membri della " Delegazione per l ' adottamento di una lingua internazionale ausiliare " e autori della Histoire de la langue universelle . A Cartesio ( com ' è noto ) pareva cosa agevole foggiare una lingua universale , nella quale si avesse un modo solo di declinare , di coniugare e di costruire le parole , e non fossero verbi difettivi o irregolari , " qui sont toutes choses venues de la corruption de l ' usage " . Il dottor Zamenhof , fin dal tempo che seguiva gli studi letterarî nel ginnasio di Varsavia , si persuase che " la complexité des grammaires naturelles était une richesse vaine et encombrante , et se mit à élaborer une grammaire simplifiée " . I signori Couturat e Léau accettano in proposito la conclusione a cui pervenne già nel 1855 il Renouvier : che una lingua internazionale debba essere " empirique par son vocabulaire et philosophique ( c ' est - à - dire , rationnelle ) par sa grammaire " . Ed ecco che cosa essi pensano dei linguaggi esistenti : " toute langue littéraire est , plus ou moins , artificielle " . E della poesia : " qu ' y a - t - il de plus artificiel , en tout cas , que la poésie ? et dans quel pays est - il naturel de parler en vers ? " . Dinanzi a codeste affermazioni si rimane sbalorditi . Che Cartesio e Leibniz non avessero ancora inteso la natura del linguaggio , si spiega per le condizioni del pensiero ai tempi loro . Ma , sulla fine del secolo decimonono o sui principi del ventesimo , udire ripetere ancora che le lingue sono irrazionali , che contengono elementi inutili , che possono venir semplificate per mezzo della logica , che la poesia è un fatto artificiale , è cosa non sopportabile . I moderni dissertatori intorno al linguaggio universale , che si valgono di concetti come quelli dei quali si è dato saggio , dovrebbero , a mio parere , non già essere ammessi alla discussione , ma rimandati puramente e semplicemente a studiare che cosa il linguaggio sia . È chiaro che sulla Filosofia del linguaggio non debbono aver mai meditato sul serio . L ' hanno creduta facile , di quelle cognizioni che si posseggono come per buon senso naturale ; ed è invece difficile e di faticoso acquisto . I promotori della lingua universale dichiarano di avere ormai affatto abbandonato l ' antica pretesa di una lingua filosofica , rispondente ai concetti esattamente determinati delle cose : quella lingua filosofica della quale Cartesio diceva per l ' appunto : " l ' invention de cette langue dépend de la vraye philosophie " . E non hanno difficoltà a riconoscere che , non essendo ancora la scienza bella e fatta , e mutando anzi di continuo , una lingua di tal sorta è impossibile . Ma con ciò non si è superato l ' errore , il quale non nasceva già dal presupposto della scienza perfetta : la lingua desiderata sarebbe stata certamente tanto più perfetta quanto più perfetta la scienza che le servisse di base , ma avrebbe , anche nell ' ipotesi di una scienza imperfetta , rappresentato pur sempre un progresso grande rispetto al linguaggio volgare , perché la scienza degli scienziati , imperfetta che sia , vale sempre meglio delle credenze del volgo . L ' errore , invece , in quella idea di una lingua filosofica era né più né meno il medesimo in cui s ' incorre ora con l ' idea della lingua universale ; vale a dire , concepire il linguaggio come qualcosa d ' estrinseco e di fissabile . Questo errore non è stato punto superato . Supposti due individui i quali abbiano gli stessissimi pensieri intorno a un oggetto , non per ciò essi potranno mai parlare una lingua comune a entrambi , identica in entrambi . Ciascuno dei due parlerà a modo suo , cioè in modo corrispondente al proprio animo e alla propria fantasia ; ciascuno con certe immagini , certi suoni , certi giri di periodi , certi gesti e certe enfasi , che non possono essere identici alle immagini , ai suoni , ai periodi , ai gesti e alle enfasi , con cui si esprime l ' altro . Il linguaggio , insomma , cioè il parlare , è nella sua realtà spontaneo , individuale , variabile ; e il linguaggio , che si domandava , quel linguaggio comune , sarebbe dovuto essere artificiale , universale e fisso , negando così la natura universale del linguaggio , contradicendo con l ' aggettivo il sostantivo . E ( si noti bene ) la diversità del parlare secondo gl ' individui e le . situazioni psicologiche in cui ciascuno di essi si trova , non esclude il reciproco intendersi ; perché intendere vuol dire appunto adeguarsi alla psicologia altrui movendo dalla propria e a questa tornando . Se gli uomini potessero parlare tutti allo stesso modo , sarebbero tutti identici ; con che non s ' intenderebbero già meglio , ma si scioglierebbero tutti insieme nell ' indistinto , e il mondo non esisterebbe . Per le ragioni che ho esposte o ricordate , l ' idea di una lingua universale resterà sempre un ' utopia della specie più stolta , perché utopia del contradittorio . Essa non cesserà di esercitare un certo fascino su qualche spirito irriflessivo ; così come vi sarà sempre taluno che si domanderà perché mai , consistendo la musica in combinazioni di note , e la pittura in combinazioni di colori , e la poesia in combinazioni di parole , non si possono ottenere nuove e meravigliose musiche , pitture , poesie mercé macchine combinatorie , facendo a meno di quella rara e costosa materia prima , che si chiama la genialità dell ' artista . E come vi sarà sempre qualche fanciullo che si domanderà perché mai i popoli facciano le guerre distruggendo pazzamente vite umane e ricchezze con tanta fatica prodotte , laddove potrebbero decidere le loro contese con duelli singolari , al modo di quello degli Orazi e dei Curiazi e degli altri , che non poterono avere effetto , tra Pietro d ' Aragona e Carlo d ' Angiò , tra Francesco I e Carlo V . Ma , ai giorni nostri , sembra che la ricerca del linguaggio universale abbia mutato carattere . Una lingua universale , o , come volentieri la chiamano , una " lingua internazionale sussidiaria " , viene richiesta da politici e commercianti , da scienziati ( di quelli che girano per tutti i congressi ) , da logici matematici ( inventori di specifici pel retto e comodo pensare ) , e da altri di simigliante genìa ; e la richiesta è confortata dall ' osservazione di certi fatti che già esistono e che si approssimano a quel che si desidera : quali sarebbero le lingue franche o i sabir della costa mediterranea e di altri paesi , la fortuna e la diffusione prima del Volapük e ora dell ' Esperanto , la crescente quantità di parole comuni che si osserva nei linguaggi della civiltà europea , le terminologie e notazioni scientifiche internazionali ; e altrettali . Perché mai un autorevole consesso , come l ' Accademia delle accademie ( bel nome , che par modellato su quello del Cantico dei cantici ) , o altro che sia , composto di delegati dei varî Stati , non potrebbe fissare un complesso di segni fonici , scelti con pratico buon senso , e agevolare con tale deliberato la comunicazione dei pensieri tra persone di diverso linguaggio ? Qual ' è l ' impossibilità intrinseca di questo desiderio ? Non si vede . Senza dubbio , l ' enunciato desiderio non ha alcuna impossibilità intrinseca , e anzi si è già in parte effettuato e si potrà effettuare in séguito anche più largamente . Ma , in ogni caso , quel che si ottiene a questo modo ( ecco il punto importante ) o non è lingua o non è universale . Mettere in corrispondenza certi suoni , arbitrariamente foggiati , con certe idee ed espressioni non è propriamente parlare , ma formare una convenzione . Si può convenire , per es . , che quel che gl ' italiani chiamano " pane " , e i francesi " pain " , e i tedeschi " brot " , e gl ' inglesi " bread " , sia indicato col suono " puk " ; quel che si dice " voglio , je veux , ich will , I will " , sia indicato col suono " ro " ; onde " ro puk " si tradurrà nelle rispettive lingue : " io voglio un pezzo di pane " . Ma con questa convenzione non si è data vita a nessun linguaggio : il linguaggio è l ' uomo che parla , nell ' atto che parla . La convenzione può avere pretese di universalità ed essere universalmente imposta o universalmente accettata ; ma l ' aggettivo " universale " cerca qui invano il sostantivo " linguaggio " . Perché questo sostantivo sia al suo posto , perché si abbia linguaggio , è necessario che i vari individui , che compongono l ' ipotetica società aderente alla convenzione , prendano a parlare , dicendo : " ro puk " , per dire che vogliono il pane . Ma , non appena quella convenzione si traduce in linguaggio , ecco che cessa di esser convenzione , diventa un semplice dato naturale , un ' impressione , un fatto psichico , che lo spirito di ciascun parlante risente ed elabora a suo modo : un dato , il quale è entrato con altri nella psiche del parlante , che lo trasforma in linguaggio vivo , facendone la sintesi estetica insieme con le altre impressioni , che parimente sono entrate in lui . La convenzione cessa per tal modo di essere convenzione , perché si è individualizzata . In ciascun individuo , e in ciascun atto del parlare , quei suoni " ro puk " acquistano un particolare significato o , ch ' è lo stesso , una particolare sfumatura di significato . Prima si aveva l ' universale , ma non la lingua ; ora si ha bensì la lingua , ma non più l ' universale . Questa obiezione , che la parola convenuta perda la sua fissità , quando entra nell ' uso vivo del parlare ; che quel solido , per così dire , caduto nel flusso di un liquido , si liquefaccia anch ' esso ; - è stata mossa ai sostenitori della lingua universale o è stata in qualche modo adombrata , quando si è notato che la lingua universale sarà variamente pronunciata dai vari individui , e che sarà alterata dai vari popoli secondo le tendenze e i precedenti di ciascuno e secondo tutte le circostanze e vicende storiche . I difensori della lingua universale , non avvertendo forse la gravità dell ' obiezione , hanno risposto : che , ammesso pure che la pronunzia sia causa di alterazioni , la lingua universale resterà sempre utile per le comunicazioni scritte ; che le alterazioni temute non avranno luogo , com ' è provato da esperienze fatte col Volapüik e con l ' Esperanto ; che la lingua artificiale non sarà sottomessa agli stessi motivi di alterazione , operanti nelle lingue storiche , perché dovrà servire solo per certi determinati scambi e sarà frenata da una tradizione e da una letteratura di modelli classici ; che le mutazioni , riconosciute opportune , potranno essere introdotte , cautamente , dall ' autorità medesima , costitutrice di quel linguaggio ; e così via . Ma sono tutte risposte le quali , come si vede , non giungono a eliminare l ' obiezione in quel che ha di sostanziale . Il vero è che nessuna parola è qualcosa di fissabile astrattamente , ma ciascuna attinge significato dalla connessione in cui si trova , e da cui non è separabile se non per violenta mutilazione . E quel che accade per le parole delle così dette lingue naturali , accade del pari per quelle che hanno , sì , il loro motivo extralinguistico in una convenzione , ma il cui motivo linguistico è , come per tutte le altre , nella spontaneità e naturalità del parlare , ritraente le svariate e mutabili impressioni dell ' animo umano . Non si tratta , dunque , di quelle sole alterazioni che s ' introdurrebbero saltuariamente e accidentalmente nel corso degli anni o dei secoli ; ma di quelle , continue , che s ' introducono a ogni attimo . La mutabilità incoercibile del linguaggio , e della convenzione divenuta che sia anch ' essa linguaggio , non esclude , certamente , che la convenzione , tradotta in linguaggio , possa avere qualche utilità . Per certi fini pratici , quel che importa è non la fissità rigorosa , ma quella approssimativa , nella quale si trascurano le sfumature e si considera un ' espressione all ' ingrosso . Epperò l ' Esperanto , e altre convenzioni dello stesso genere , potranno avere la loro utilità , piccola o grande che sia , per certi tempi e per certi luoghi . Ridotta la cosa in questi confini , essa è d ' interesse e di competenza dei pratici , alle cure dei quali bisogna commetterla e lasciarla . Ma , sotto l ' aspetto scientifico , conviene insistere nell ' affermazione che la così detta lingua universale si risolve in un processo diviso in due stadî , il primo dei quali ( convenzione ) è universale ma non è lingua , il secondo ( parlare effettivo ) è lingua ma non più universale . Perché , al filosofo importa che l ' umile questione pratica di un possibile espediente atto ad agevolare certi generi di scambî spirituali non faccia sorgere , o non rafforzi , idee false ( e già troppe ne vanno in giro ) intorno alla natura del linguaggio . Paris , Hachette , 1903 , 8° gr . , pp . xxx-576 . Op . cit . , p . 305 . Op . cit . , p . 514 . Op . cit . , p . 566 . Op . cit . , pp . 113-115 , 548 . Purtroppo il gran Leibniz , in conseguenza dei suoi errati concetti circa il linguaggio , fu uno di questi " taluni " e sognò di poter comporre con metodo infallibile e quasi dimostrativo poemi e canti " très beaux " ; al modo stesso che un predecessore di lui , il padre Kircher , nella Musurgia , pretendeva insegnare l ' arte di comporre arie senza sapere di musica . Si veda La logique de Leibniz , d ' après des documents inédits , par L . COUTURAT ( Paris , Alcan , 1901 ) , p . 63 . Op . cit . , pp . 559 e 565 . Cfr . la rivista " Leonardo " , fasc . di novembre 1904 , p . 37 . Op . cit . , pp . 559-569 .