StampaPeriodica ,
Il
libro
di
Edmondo
de
Amicis
è
l
'
ultima
manifestazione
letteraria
di
un
problema
che
ha
molto
occupato
le
menti
degli
italiani
attraverso
i
secoli
:
il
problema
della
lingua
.
Se
i
soli
eruditi
ricordano
i
periodi
più
remoti
di
quella
grande
controversia
(
dal
De
vulgari
eloquentia
alle
polemiche
cinquecentesche
,
e
giù
giù
ai
libri
del
Cesarotti
e
del
Napione
dell
'
ultimo
Settecento
,
e
a
quelli
del
Monti
e
del
Perticari
e
di
tanti
altri
dei
primi
dell
'
Ottocento
)
,
tutti
hanno
fresca
la
memoria
della
più
recente
guerra
provocata
dalla
lettera
del
Manzoni
al
Di
Broglio
,
e
variamente
combattuta
tra
manzoniani
,
antimanzoniani
e
moderati
.
Quelle
dispute
,
considerate
sotto
l
'
aspetto
rigorosamente
teorico
e
scientifico
,
non
mancano
di
pregio
e
d
'
importanza
.
Entrano
in
gruppo
con
altre
dispute
letterarie
(
sul
poema
epico
,
sulla
tragedia
,
sulla
tragicommedia
,
sul
melodramma
,
sulla
commedia
in
prosa
,
sulle
varie
forme
dello
stile
,
sull
'
imitazione
,
e
via
dicendo
)
,
che
nei
tempi
moderni
l
'
Italia
,
prima
di
ogni
altra
nazione
,
formolò
e
agitò
,
e
che
dall
'
Italia
passarono
agli
altri
paesi
neolatini
e
germanici
.
Senza
codeste
dispute
sulle
regole
e
sui
generi
della
poesia
e
della
letteratura
,
non
si
sarebbe
svolta
la
teoria
filosofica
della
poesia
e
dell
'
arte
che
si
disse
poi
Estetica
;
e
senza
le
dispute
intorno
alla
lingua
non
sarebbe
sorta
quella
che
si
disse
più
particolarmente
Filosofia
del
linguaggio
.
Nello
sforzo
per
dominare
col
pensiero
la
massa
dei
fatti
e
penetrarne
la
natura
,
la
mente
umana
non
può
non
urtare
e.impigliarsi
dapprima
nelle
comuni
e
volgari
classificazioni
,
e
provarsi
a
sistemarle
e
a
renderle
razionali
,
proponendosi
problemi
insolubili
;
fintanto
che
non
si
accorge
come
,
per
intendere
davvero
la
verità
dei
fatti
che
indaga
,
convenga
abbandonare
del
tutto
quelle
categorie
empiriche
,
e
collocarsi
in
un
punto
di
vista
affatto
diverso
.
Sarebbe
perciò
da
intelletti
superficiali
considerare
con
dispregio
quegli
sforzi
del
passato
,
i
quali
,
per
falliti
che
siano
,
rappresentano
uno
stadio
di
progresso
,
un
errore
in
cui
giovò
essersi
dibattuti
per
qualche
tempo
,
perché
ebbe
efficacia
esemplare
,
e
a
suo
modo
contribuì
all
'
avvenimento
della
verità
.
Dalla
contradizione
nasce
la
soluzione
;
dalla
indifferente
quiete
non
nasce
nulla
.
E
opportunamente
gl
'
indagatori
della
storia
delle
idee
vanno
rivolgendo
la
loro
attenzione
alle
dottrine
letterarie
e
grammaticali
italiane
dei
secoli
passati
,
le
quali
a
noi
sembrano
,
come
sono
in
effetto
,
pedantesche
,
ma
che
,
pur
con
la
loro
pedanteria
,
si
dimostrano
feconde
.
Quei
pedanti
furono
,
se
non
i
nostri
padri
,
certamente
i
nostri
antenati
spirituali
.
Riconosciuto
tutto
ciò
,
non
è
men
vero
che
così
le
dispute
sulla
lingua
come
quelle
sulle
regole
letterarie
,
hanno
perduto
da
lungo
tempo
ogni
valore
positivo
.
Il
sistema
delle
regole
letterarie
venne
rotto
e
spazzato
via
dal
moto
intellettuale
del
romanticismo
,
che
abbozzò
la
nuova
idea
della
poesia
e
dell
'
arte
;
e
il
suo
proprio
romanticismo
ebbe
anche
la
teoria
del
linguaggio
col
Vico
,
con
lo
Hamann
,
con
lo
Herder
,
con
lo
Humboldt
,
pensatori
dopo
i
quali
non
sarebbe
stato
più
lecito
ragionare
intorno
a
quella
materia
coi
vecchi
criterî
.
Sotto
questo
aspetto
,
la
posizione
manzoniana
del
problema
linguistico
non
può
non
apparire
anacronistica
e
retriva
,
perché
il
Manzoni
non
si
liberò
mai
,
nelle
sue
teorie
sul
linguaggio
,
da
certe
idee
da
intellettualista
ed
enciclopedista
del
secolo
decimottavo
:
come
si
può
desumere
in
ispecie
dai
frammenti
,
pubblicati
alcuni
anni
orsono
,
del
suo
libro
sulla
lingua
,
che
meriterebbero
di
essere
studiati
con
cura
.
Qual
'
era
la
fallacia
del
vecchio
concetto
del
linguaggio
,
quale
il
contrasto
tra
esso
e
il
concetto
nuovo
,
formolato
o
almeno
adombrato
nei
filosofi
dei
quali
abbiamo
fatto
cenno
?
-
Si
potrebbe
delineare
questo
contrasto
brevemente
così
:
il
vecchio
concetto
considerava
il
linguaggio
come
segno
;
il
nuovo
lo
considera
come
rappresentazione
.
Secondo
la
prima
concezione
,
la
lingua
è
quasi
una
raccolta
di
utensili
che
ciascuno
adopera
a
volta
a
volta
per
comunicare
agli
altri
il
proprio
pensiero
;
secondo
la
concezione
nuova
,
la
lingua
non
è
già
mezzo
per
comunicare
le
idee
o
le
rappresentazioni
,
ma
è
l
'
idea
o
la
rappresentazione
stessa
,
qualcosa
che
non
si
può
concepire
mai
distinto
o
staccato
dal
moto
del
pensiero
.
Secondo
la
prima
,
bisogna
mettersi
alla
ricerca
della
lingua
ottima
,
concordare
segni
ben
definiti
,
di
significato
preciso
e
non
equivoco
,
costanti
per
tutti
gl
'
individui
della
comunione
linguistica
;
secondo
l
'
altra
,
siffatta
ricerca
è
vana
,
perché
ciascun
individuo
si
crea
,
volta
per
volta
,
la
sua
propria
lingua
,
e
quella
che
io
parlo
e
scrivo
oggi
non
è
quella
di
ieri
,
e
quella
che
conviene
a
me
,
non
conviene
ad
altri
.
Secondo
la
prima
,
è
possibile
giudicare
un
parlante
o
uno
scrivente
in
modo
oggettivo
,
confrontando
il
suo
parlare
e
scrivere
col
modello
linguistico
,
e
determinando
con
questo
confronto
se
egli
adoperi
lingua
buona
o
cattiva
;
secondo
l
'
altra
,
questo
giudizio
è
impossibile
,
perché
il
preteso
modello
linguistico
è
un
'
astrazione
,
e
ogni
prodotto
linguistico
ha
la
propria
legge
e
il
proprio
modello
in
sé
stesso
.
Tra
le
due
concezioni
chiunque
abbia
qualche
coscienza
del
modo
moderno
d
'
intendere
l
'
arte
,
non
esiterà
nel
prendere
partito
.
Ed
è
appena
necessario
soggiungere
che
,
accettando
che
alcuni
,
troppo
facili
a
confondersi
e
a
spaurirsi
,
temono
:
quasi
che
si
venga
ad
abolire
in
forza
di
essa
ogni
distinzione
tra
scriver
bene
e
scriver
male
,
parlar
bene
e
parlar
male
.
Il
parlare
bene
o
male
si
giudica
non
con
la
misura
estrinseca
della
lingua
oggettiva
,
ma
con
quella
intrinseca
e
affatto
intuitiva
del
gusto
.
Così
si
è
fatto
e
si
farà
sempre
:
da
che
il
mondo
è
mondo
,
vi
sono
stati
scrittori
buoni
,
scrittori
cattivi
e
scrittori
mediocri
,
e
sempre
vi
saranno
:
la
concezione
individualistica
o
estetica
del
linguaggio
non
cancella
la
loro
differenza
,
che
è
affatto
intuitiva
.
Scriver
bene
è
nient
'
altro
che
una
forma
d
'
intensità
spirituale
;
scriver
male
è
debolezza
spirituale
.
Le
questioni
intorno
alla
lingua
si
convertono
nelle
altre
intorno
alla
vivezza
e
coerenza
estetica
della
rappresentazione
,
guardata
nella
sua
individualità
.
Perciò
la
teoria
moderna
accetta
autori
e
modi
di
scrivere
che
i
vecchi
grammatici
e
critici
consideravano
ibridi
,
rozzi
,
scorretti
,
o
che
accettavano
collocandoli
nella
comoda
quanto
irrazionale
categoria
delle
eccezioni
.
Sotto
il
dominio
del
vecchio
concetto
del
linguaggio
è
ancora
il
De
Amicis
.
Tutto
il
suo
libro
è
informato
al
pensiero
che
la
lingua
si
studî
o
,
com
'
egli
dice
,
che
non
basti
"
amare
"
la
lingua
del
proprio
paese
,
ma
convenga
"
studiarla
"
.
E
già
lo
stesso
amore
per
la
lingua
nazionale
è
in
lui
non
bene
ragionato
e
alquanto
rettoricamente
declamato
,
affermando
egli
che
si
ami
dagli
italiani
la
lingua
italiana
e
per
le
memorie
gloriose
che
reca
con
sé
e
perché
essa
è
bellissima
,
ricchissima
,
potentissima
,
e
altre
cose
siffatte
.
E
non
è
vero
:
io
sfido
a
trovare
un
uomo
che
ami
la
lingua
,
cioè
che
faccia
all
'
amore
con
un
'
astrazione
.
Ciò
che
si
ama
è
la
parola
nella
sua
concretezza
,
la
poesia
,
la
pagina
eloquente
.
Dante
,
Ariosto
,
Machiavelli
;
e
perciò
quest
'
amore
supera
i
limiti
della
regione
e
della
nazione
,
e
,
secondo
la
varia
cultura
di
cui
si
dispone
,
abbraccia
Orazio
o
Sofocle
,
Goethe
o
Shelley
,
la
lingua
latina
,
la
greca
,
la
tedesca
o
l
'
inglese
.
Ma
non
insisterò
su
questo
punto
,
perché
mi
preme
insistere
sull
'
altro
:
sulla
raccomandazione
di
studiare
la
lingua
.
Che
cosa
significa
studiare
la
lingua
?
L
'
uomo
intelligente
studia
quanto
aiuta
il
suo
svolgimento
mentale
e
morale
,
ma
non
ciò
che
gli
è
inutile
a
questo
fine
.
Il
De
Amicis
consiglia
d
'
imparare
i
nomi
di
tutte
le
cose
che
accade
ogni
giorno
di
vedere
o
adoperare
,
e
di
mandarli
a
mente
;
di
meditare
i
prontuarî
,
dove
sono
registrati
i
vocaboli
degli
oggetti
di
uso
domestico
;
di
fare
la
nomenclatura
della
roba
che
si
porta
addosso
,
per
passare
via
via
a
quella
degli
oggetti
che
si
maneggiano
,
ai
mobili
della
propria
camera
,
alla
mensa
,
allo
scrittorio
,
agli
arredi
e
utensili
di
tutta
la
casa
,
alle
varie
parti
della
casa
stessa
;
di
leggere
e
spogliare
il
vocabolario
.
E
rafforza
i
suoi
consigli
col
mostrare
quanto
sia
vasta
l
'
ignoranza
che
ordinariamente
si
trova
anche
nelle
persone
colte
intorno
alla
terminologia
esatta
delle
più
modeste
occupazioni
della
vita
:
per
es
.
,
del
riempire
e
vuotare
un
fiasco
di
vino
.
Ma
ha
egli
pensato
che
cosa
importi
questo
consiglio
?
Ecco
un
giovane
nel
tempo
in
cui
il
suo
cuore
si
gonfia
di
passioni
gagliarde
e
la
sua
mente
si
viene
travagliando
sui
problemi
più
alti
della
vita
e
della
realtà
;
un
giovane
,
che
sarà
poeta
,
filosofo
,
uomo
d
'
azione
.
E
a
questo
giovane
,
che
ha
tanta
materia
di
lavoro
nel
suo
spirito
(
e
che
per
ciò
stesso
,
si
noti
bene
,
ha
tutto
il
linguaggio
che
gli
occorre
,
tutto
il
linguaggio
che
è
correlativo
a
quel
lavoro
,
non
essendo
concepibile
pensiero
senza
linguaggio
)
,
a
questo
poeta
,
filosofo
o
uomo
pratico
in
germe
e
in
formazione
,
si
vuole
imporre
,
o
almeno
consigliare
,
di
baloccarsi
a
imparare
le
cento
denominazioni
delle
cento
parti
di
un
vestito
,
e
le
dugento
della
stanza
da
studio
,
o
le
trenta
e
quaranta
delle
svariate
e
minute
operazioni
che
si
compiono
per
riempire
e
vuotare
un
fiasco
di
vino
?
Che
cosa
interessa
a
quell
'
uomo
,
che
forse
infilerà
distrattamente
il
suo
soprabito
,
e
tracannerà
il
suo
vino
,
e
maneggerà
quasi
macchinalmente
gli
oggetti
del
suo
scrittorio
,
soffermarsi
col
pensiero
nella
contemplazione
e
nell
'
analisi
di
quelle
piccinerie
?
Se
alcuno
gliene
dice
i
vocaboli
,
li
ascolterà
con
fastidio
,
e
li
dimenticherà
poco
dopo
.
E
se
non
prova
fastidio
,
se
si
lascia
sedurre
dal
giochetto
,
cattivo
segno
:
segno
di
spirito
non
serio
,
non
concentrato
,
non
fervido
,
ma
frivolo
o
passivo
.
Leggere
il
vocabolario
,
è
"
passatempo
piacevole
"
(
ripete
ancora
una
volta
il
De
Amicis
)
.
Sarà
;
ma
è
anche
perditempo
.
C
'
è
di
meglio
da
fare
che
leggere
vocabolarî
e
imparare
a
mente
nomenclature
.
C
'
è
da
studiare
e
leggere
il
mondo
;
verba
sequentur
,
e
non
potranno
non
seguire
.
Il
sarto
o
chi
parli
del
mestiere
del
sarto
,
la
massaia
o
chi
descriva
un
cervello
di
massaia
,
un
servitore
che
spazzi
la
casa
o
chi
descriva
un
servitore
in
quell
'
operazione
,
si
rappresenteranno
insieme
le
parole
rispondenti
alle
cose
che
concernono
quei
vari
personaggi
:
le
parole
dei
vestiti
,
dei
fiaschi
di
vino
,
delle
parti
e
dei
mobili
della
stanza
.
Ma
è
un
'
idea
curiosa
voler
mutare
codesti
apprendimenti
incidentali
e
relativi
alle
condizioni
e
riflessioni
di
questo
o
quell
'
individuo
in
un
obbligo
di
cultura
:
quasi
al
modo
stesso
che
si
consiglia
lo
studio
della
poesia
e
della
storia
,
delle
matematiche
e
della
filosofia
,
per
ottenere
uno
svolgimento
mentale
completo
.
Il
De
Amicis
espone
,
non
senza
esagerazioni
,
i
molti
impacci
in
cui
si
càpita
quando
non
si
conoscono
le
parole
italiane
o
toscane
degli
oggetti
di
uso
domestico
:
viaggiando
,
cangiando
paese
,
c
'
è
rischio
di
non
essere
intesi
e
di
non
intendere
.
Ma
queste
difficoltà
sono
pur
delle
tante
nelle
quali
c
'
imbattiamo
nella
vita
;
e
l
'
ovviarvi
non
è
ufficio
di
educatore
.
Altrimenti
converrebbe
spendere
qualche
semestre
di
lezioni
per
insegnare
alla
gioventù
il
gergo
dei
cuochi
e
le
corrispondenti
voci
(
posto
che
vi
siano
)
italiane
o
toscane
,
affinché
non
accada
ciò
che
accade
spesso
a
me
(
e
certamente
a
molti
altri
uomini
letterati
)
,
che
quando
siedo
a
una
tavola
di
trattoria
e
do
i
miei
ordini
al
cameriere
sulla
carta
,
non
so
precisamente
che
cosa
sarà
per
essere
la
pietanza
di
cui
ho
indicato
il
titolo
,
avendo
un
'
idea
molto
approssimativa
di
quel
che
quel
titolo
significa
.
Ma
è
preferibile
,
di
certo
,
provar
di
tanto
in
tanto
qualche
delusione
gastronomica
all
'
improba
fatica
di
studiare
le
creazioni
linguistiche
dei
cuochi
.
Un
uomo
di
buon
senso
,
come
il
De
Amicis
,
non
avrebbe
sprecato
il
fiato
in
queste
raccomandazioni
,
ora
superflue
ora
puerili
,
circa
lo
studio
della
lingua
,
se
non
fosse
stato
,
come
dicevo
,
dominato
inconsapevolmente
dalla
vecchia
e
falsa
idea
che
il
parlare
e
scrivere
bene
abbia
per
condizione
il
possesso
completo
del
cosiddetto
arsenale
dei
cosiddetti
utensili
linguistici
:
cioè
,
se
non
avesse
creduto
che
la
lingua
sia
un
utensile
.
"
Ogni
vocabolo
che
s
'
impara
(
egli
dichiara
espressamente
)
è
come
uno
di
quegli
utensili
da
nulla
,
dei
quali
non
s
'
ha
bisogno
quasi
mai
,
ma
che
,
una
o
due
volte
in
molt
'
anni
,
son
necessarî
,
e
,
se
non
si
ritrovano
,
non
si
sa
che
pesci
pigliare
"
.
"
Quel
che
più
preme
,
per
riuscire
nell
'
uno
o
nell
'
altro
modo
,
nell
'
una
o
nell
'
altra
delle
due
forme
di
stile
a
scrivere
bene
,
è
che
tu
possegga
da
padrone
la
lingua
"
.
Le
tracce
di
questo
falso
concetto
si
osservano
quasi
in
ogni
parte
del
suo
libro
.
Così
egli
biasima
il
pudore
fuori
di
luogo
,
che
ci
trattiene
dall
'
adoperare
vocaboli
bellissimi
,
efficacissimi
e
toscanissimi
,
come
"
striminzire
"
,
"
spiaccicare
"
,
"
baluginare
"
,
"
stintignare
"
:
la
paura
del
ridicolo
che
ci
fa
codardi
nell
'
uso
della
"
buona
lingua
"
.
Ma
non
si
accorge
che
ciò
che
egli
chiama
falso
pudore
e
codardia
può
pur
essere
,
a
volte
,
un
sano
senso
estetico
,
che
ci
vieta
di
usare
vocaboli
i
quali
non
sarebbero
coerenti
con
la
nostra
personalità
,
con
la
nostra
psicologia
,
con
la
fisionomia
generale
del
nostro
parlare
.
Se
un
determinato
vocabolo
suona
spiccatamente
toscano
o
fiorentino
,
io
,
napoletano
,
non
posso
,
senza
sconcezza
,
incastrarlo
in
una
mia
prosa
spontaneamente
concepita
,
dalla
quale
la
mia
napoletanità
è
tanto
ineliminabile
quanto
la
patavinità
dalla
prosa
di
Livio
o
l
'
ibericità
da
quella
di
Seneca
.
Se
mi
ostino
a
incastrarvelo
,
la
più
manzoniana
delle
teorie
sulla
lingua
non
mi
salverà
dal
senso
che
provo
in
me
(
e
che
gli
altri
proveranno
di
me
)
di
essere
caduto
in
un
peccato
d
'
affettazione
.
Per
questa
ragione
,
nelle
scuole
,
poniamo
,
del
Napoletano
sorge
spontaneo
e
irrefrenabile
tra
gli
alunni
un
coro
di
canzonature
,
quando
un
loro
compagno
si
mette
a
toscaneggiare
:
il
vocabolo
"
toscaneggiare
"
è
per
sé
stesso
canzonatorio
.
Santa
canzonatura
,
che
a
me
non
è
stata
risparmiata
e
che
io
ricordo
di
avere
a
mia
volta
spietatamente
e
beneficamente
esercitata
sopra
i
miei
compagni
.
Come
questo
sentimento
di
ripugnanza
è
inesattamente
interpretato
e
biasimato
dal
De
Amicis
,
così
egli
non
si
rende
esatto
conto
del
valore
estetico
che
hanno
talvolta
quelle
che
a
lui
sembrano
inesattezze
e
povertà
di
lingua
e
che
sono
invece
indeterminazioni
di
pensiero
,
che
debbono
restare
così
:
di
pensieri
,
cioè
,
la
cui
determinazione
estetica
è
per
l
'
appunto
quella
indeterminazione
.
Allo
stesso
modo
un
pittore
accademico
trova
mal
disegnate
o
non
disegnate
le
figure
di
un
quadro
,
la
cui
bellezza
sta
proprio
in
quel
certo
che
di
vago
e
vaporoso
,
che
a
lui
sembra
difetto
:
in
quell
'
abbozzato
,
che
è
un
finito
,
e
che
diventerebbe
una
sconciatura
,
se
fosse
disegnato
minutamente
in
conformità
dei
canoni
accademici
.
La
lingua
approssimativa
può
essere
,
senza
dubbio
,
grave
errore
d
'
arte
,
ma
può
essere
,
anche
,
forza
d
'
arte
:
secondo
i
casi
.
Per
mio
conto
,
credo
che
a
volte
parli
benissimo
anche
chi
presenti
con
frequenza
i
varî
aspetti
delle
sue
percezioni
confusi
nel
vago
vocabolo
di
"
cose
"
:
il
"
signor
Coso
"
,
del
bozzetto
satirico
del
De
Amicis
.
A
molti
,
in
certe
situazioni
,
accade
appunto
di
vedere
indistintamente
o
di
non
vedere
certi
oggetti
,
ai
quali
lo
spirito
non
s
'
interessa
,
tutto
ripiegato
com
'
è
su
sé
stesso
;
e
l
'
espressione
di
questo
disinteresse
tradirebbe
sé
stessa
,
se
si
effondesse
altrimenti
che
con
abbondanza
dell
'
indeterminato
"
cosa
"
.
Perfino
il
"
signor
La
Nuance
"
,
dell
'
altro
bozzetto
satirico
del
De
Amicis
,
non
ha
tutti
i
torti
nel
sostenere
che
ogni
frase
francese
ha
una
nuance
,
che
non
si
trova
nella
corrispondente
italiana
.
Anzi
,
questa
è
appunto
la
rigorosa
verità
.
E
se
colui
aveva
appreso
a
far
l
'
amore
in
francese
,
quale
meraviglia
che
trovasse
poi
nell
'
"
au
revoir
"
una
dolcezza
,
che
non
trovava
nell
'
"
a
rivederci
"
italiano
?
Ed
è
serio
obbiettargli
che
l
'
"
au
revoir
"
è
tanto
poco
dolce
,
che
è
pieno
di
r
?
O
vogliamo
credere
ancora
all
'
onomatopea
e
all
'
armonia
imitativa
,
quali
le
concepivano
i
retori
?
Certamente
,
il
De
Amicis
conosce
criterî
più
retti
di
quelli
che
si
desumono
dai
luoghi
citati
e
da
altri
,
che
potrei
citare
.
Egli
è
scrittore
innamorato
della
sincerità
e
semplicità
:
è
manzoniano
,
non
solamente
nelle
idee
intorno
alla
lingua
,
ma
anche
in
talune
di
quelle
verità
,
che
gl
'
italiani
moderni
debbono
ad
Alessandro
Manzoni
;
e
nel
suo
libro
si
troveranno
sagge
avvertenze
sull
'
affettazione
,
sui
pericoli
dello
studiare
la
lingua
,
sul
modo
di
comporre
e
di
correggere
le
proprie
scritture
.
Vi
si
troveranno
,
perfino
,
teorie
che
sono
l
'
effettiva
negazione
di
quelle
da
noi
contrastate
,
come
:
"
Ecco
il
più
utile
dei
precetti
:
pensare
,
prima
di
mettersi
a
scrivere
"
.
Questi
criterî
,
operando
da
freno
,
hanno
evitato
che
il
libro
somministrasse
da
cima
a
fondo
una
dottrina
falsa
.
Chi
legge
i
capitoli
e
i
bozzetti
,
di
cui
esso
si
compone
,
incontra
molte
cose
alle
quali
è
portato
a
dare
pieno
assenso
;
e
altre
,
che
non
gli
paiono
accettabili
,
vede
nel
corso
stesso
del
libro
opportunamente
temperate
.
Senonché
questi
medesimi
criterî
retti
,
entrando
in
dissidio
col
criterio
generale
che
è
errato
,
hanno
impedito
che
l
'
Idioma
gentile
riuscisse
quel
che
si
dice
un
bel
libro
.
Gli
scritti
del
Manzoni
intorno
alla
lingua
sono
maraviglie
di
ragionamento
e
di
prosa
:
si
può
rifiutare
la
dottrina
,
si
ammira
lo
scrittore
,
che
sapeva
bene
quel
che
voleva
.
Ma
nel
libro
del
De
Amicis
si
sente
il
vuoto
.
"
Non
scrivo
un
trattato
(
dichiara
l
'
autore
)
:
non
scenderò
a
disquisizioni
grammaticali
minute
,
né
salirò
a
questioni
alte
di
filologia
...
Tratterò
la
materia
semplicemente
e
praticamente
...
"
E
sia
pure
.
Ma
,
se
non
quella
di
un
trattato
,
il
libro
dovrebbe
avere
un
'
altra
qualsiasi
connessione
di
idee
;
e
non
l
'
ha
.
L
'
autore
non
ha
saputo
essere
profondo
,
ma
non
ha
voluto
essere
pedante
.
E
non
vi
sono
se
non
gli
scrittori
profondi
,
o
i
pedanti
logici
e
in
buona
fede
,
che
riescano
attraenti
.
Il
"
limbo
dei
bambini
"
credo
che
non
sia
divertente
neppure
pei
bambini
.
Io
auguro
che
quest
'
ultima
manifestazione
della
questione
della
lingua
,
che
ci
è
data
dal
libro
del
De
Amicis
,
sia
anche
definitivamente
l
'
ultima
,
e
che
il
vecchio
e
vuoto
dibattito
muoia
con
l
'
Idioma
gentile
.
Morrebbe
così
tra
le
mani
di
uno
dei
nostri
più
amati
e
amabili
scrittori
.
Il
De
Amicis
nella
prefazione
alla
nuova
edizione
dell
'
Idioma
gentile
polemizza
,
senza
far
nomi
,
coi
suoi
critici
;
e
principalmente
contro
l
'
autore
del
presente
scritto
(
pubblicato
la
prima
volta
nel
"
Giornale
d
'
Italia
"
del
7
luglio
1905
)
.
Prendo
occasione
da
questa
polemica
per
aggiungere
un
'
avvertenza
,
che
dimenticai
nell
'
esame
del
libro
.
L
'
Idioma
gentile
,
oltre
a
fondarsi
sopra
un
concetto
errato
del
linguaggio
,
è
uno
schietto
prodotto
della
fissazione
linguaiola
,
triste
eredità
della
decadenza
italiana
,
e
della
decadenza
di
quella
regione
che
fu
il
cuore
dell
'
Italia
poetica
e
artistica
,
la
Toscana
.
La
fissazione
linguaiola
pone
un
interesse
esageratissimo
,
tutto
il
più
fervido
interesse
della
propria
anima
,
nel
dissertare
e
sottilizzare
sulle
denominazioni
delle
più
piccole
cose
e
più
materiali
;
e
fa
che
uno
si
reputi
letterariamente
disonorato
se
,
per
es
.
,
non
riesca
a
sapere
esattamente
come
si
dica
in
Toscana
,
o
nei
circoli
autorizzati
dei
ben
parlanti
,
la
"
granata
"
,
e
come
questa
si
denomini
variamente
secondo
che
sia
fatta
di
"
scopa
"
o
di
"
saggina
"
o
di
"
crine
di
cavallo
"
,
e
a
dare
in
ismanie
se
oda
un
napoletano
chiamare
tutte
queste
sorte
di
granate
,
indistintamente
,
"
scope
"
.
Par
che
caschi
il
mondo
!
In
compenso
,
poi
,
l
'
indifferenza
è
somma
per
quel
che
riguarda
le
distinzioni
dei
fatti
psicologici
e
morali
,
dei
concetti
filosofici
e
simili
.
Si
tratta
,
dunque
,
non
tanto
di
raffinamento
estetico
,
quanto
,
oso
dire
,
di
restringimento
mentale
.
Sulla
natura
e
la
genesi
di
questa
fissazione
ci
sarebbe
ancora
non
poco
da
notare
;
ma
i
lettori
non
avranno
forse
bisogno
delle
mie
osservazioni
e
dei
miei
ragionamenti
per
avvertire
quel
che
v
'
ha
di
comico
nelle
fatiche
e
ambasce
dei
linguai
.
All
'
effetto
del
chiarimento
ha
provveduto
lo
stesso
De
Amicis
col
promuovere
l
'
interminabile
dibattito
,
che
si
è
svolto
tra
l
'
ottobre
e
il
novembre
del
1906
nelle
colonne
del
"
Giornale
d
'
Italia
"
,
sull
'
alta
,
grave
e
profonda
questione
della
migliore
parola
che
serva
a
esprimere
il
"
rumore
del
pan
fresco
"
.
A
una
conclusione
,
veramente
,
questa
volta
non
si
è
giunti
;
e
come
si
potrebbe
concludere
in
questioni
così
alte
,
così
gravi
e
così
profonde
?
Ma
non
voglio
scherzare
:
la
verità
è
che
io
,
nel
leggere
quelle
proposte
e
risposte
e
controrisposte
,
mi
vergognavo
non
poco
.
Tanta
mollezza
e
oziosità
mentale
c
'
è
dunque
ancora
in
Italia
?
.