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AQUILEIA. ( OJETTI UGO , 1923 )
StampaQuotidiana ,
Aquileia , 21 aprile . Natale di Roma . Dopo Terzo entro sulla strada romana che arriva diritta fino a Belvedere , a pochi passi dall ' imbarco per Grado , e m ' appare il campanile d ' Aquileia quasi nero contro il cielo basso e piovoso . Ai suoi piedi la pianura è tutta verde d ' un verde schietto e lavato , nato da un mese . Non avevo più riveduto il campanile dai giorni dell ' armistizio . No , non è un campanile da chiesa : è una torre da fortezza , così alta e quadrata e imperiale e incrollabile che le campane stanno appese lassù come un amuleto al collo d ' un gigante . E attorno per miglia non c ' è di vivo che lui . È stato per tre anni di guerra una di quelle cime cui dalle trincee e dalle retrovie , dai monti e dalla palude , convergevano col sole cento e centomila sguardi e speranze , come le onde elettriche alle antenne d ' una radio : il castello rotondo di Gorizia , la vetta precipite del monte Santo , le gobbe gialle del San Michele , la rocca bigia di Monfalcone , il campanile d ' Aquileia . Quando giungevi lassù , non scorgevi anima viva , ma ti pareva d ' essere alla ribalta e che compagni e nemici te solo guardassero . Soffia scirocco , e pioviggina . Nei canali l ' acqua che pel vento rigurgita dalla laguna , viene coprendo le sponde , ne accarezza per un poco l ' erba tenera , la fa oscillare quasi già fosse alga , poi la sommerge . In questa bassura , appena piove , l ' acqua si mette a pullulare su dal suolo come se quella che cade dal cielo non sia che un richiamo al mare nascosto sotto i giunchi e le canne , da punta Sdobba a Treporli . Sembra di stare sopra una gran zattera tra le cui travi s ' oda sempre lo sciacquio dell ' onda . Aquileia è pallida e solitaria . Da vicino , la sua torre , le rotte colonne , le arche , tutte le sue pietre hanno sotto la livida luce il colore delle nubi . Dalla cella della torre pende un tricolore sbiadito , una ancóra di quelle bandiere lunghe quanto orifiamme che improvvisavamo in guerra con tre quadrati tagliati da tre teli di cotonina troppo bassi : come s ' erano trovati dal merciaio di Cervignano , di Cormons , di Gorizia . Il cuore mi batte come se dovessi dopo anni e anni ritrovare un amico e temessi di non essere riconosciuto , di non toccare più il suo cuore . Che hai fatto in questi anni ? Hai pensato a me ? Sei stato fedele a me ? Io sì , sono sempre quello . Vorrei già aver riveduto tutto , e invece resto titubante nel mezzo della via . Per questo non vado súbito alla basilica e al cimitero . Comincio da più lontano . Quel che m ' ha sempre , anche prima della guerra , innamorato d ' Aquileia è stata l ' ombra di Roma , quanto vi resta di Roma , ed è ancora per tre quarti sepolto sotto le strade , le piazze , le vigne , le biade . Perciò l ' Austria teneva questo villaggio in sospetto come fosse una popolosa città , silenziosa ma ostile : una città di morti che a un tócco rivivevano e gridavano Roma . Appena un rudere affiorava dal suolo , lasciava che fosse distrutto e su vi passasse l ' aratro . Quello che di più prezioso era rimasto dentro il piccolo museo , monete d ' oro imperiali , bronzi , vetri , gioielli , ambre lavorate , tutto fu nell ' aprile del 1915 ficcato frettolosamente in poche casse : mille e seicento pezzi . E spedito a Vienna . In quei giorni , per tenerci a bada , l ' Austria fingeva d ' offrirci anche l ' Aquileiese fino all ' Isonzo . Pur qualcosa rimase . E bastò a provare che l ' Austria con quei sospetti mirava giusto . Bisogna avere veduto nei primi mesi di guerra i soldati italiani entrare nella basilica o nel museo d ' Aquileia , riconoscere stupefatti in quelle distese di mosaici , in quelle statue togate , in quei rocchi di colonne membrute come atleti , Roma , Napoli , Pompei , Venezia , per sapere quanto possa l ' arte nella storia e nel cuore d ' un popolo . Erano i documenti tangibili del loro diritto ad essere lì , armati e vincitori . E la fede dei più incolti più commoveva , perché non si perdeva in raffronti minuti ma sorrideva sicura come di chi in terra lontana rioda all ' improvviso la propria favella e il proprio dialetto . Il museo è quello d ' allora . L ' Italia non ha ancora danari per riordinarlo , per ingrandirlo , nemmeno per rafforzarne le finestre contro i ladri , così che molti dei gioielli , delle monete , dei cammei finalmente tornati da Vienna devono restare chiusi nella cassaforte . Giovanni Brusìn che vigila con sollecito amore sul museo , sulla basilica , sui pochi scavi , e che è anche sindaco di Aquileia , ha la bontà di mostrarmi di sala in sala il tesoretto ricuperato . È un uomo dotto , cordiale e compito che non so come abbia fatto a sapere tutto quello che è accaduto qui tra il maggio del '15 e l ' ottobre del '17 mentre egli era di là , sospettato , internato e sorvegliato . Mi parla di Cadorna e del Duca , di d ' Annunzio e di don Celso Costantini come se li avesse allora veduti tra questi cipressi e questi ruderi cogli occhi del desiderio ; e di Benito Mussolini mi parla che l ' autunno scorso venne qui di volata dopo il discorso di Udine . ( Così ho trovato uno dei due musei da lui visitati ; e s ' ha da dire che almeno questo l ' ha scelto bene ) . Intanto io guardo e ammiro . Del grande emporio per cui tutto l ' Oriente comunicava con l ' Italia settentrionale e con l ' Europa centrale , della fastosa residenza imperiale dove Augusto venne ad incontrare Erode , quel che resta proprio d ' intatto , d ' ancora vivo , non sono che gingilli da donne : reticelle e catenelle d ' oro e di perle ; vaselli da profumi e da unguenti , questo d ' avorio con due putti che aizzano un cane al laccio , quello di vetro a vene d ' oro , di viola , di verde e d ' azzurro che trema se gli respiri da presso ; una lucernetta di terra con Cupido addormentato nel giro d ' una conchiglia ; un anello d ' ambra col ritrattino d ' una bionda che tra le due bende della chioma ti spalanca addosso gli occhi stupefatti ; una cicala di cristallo di rocca ; un cammeo d ' agata con l ' Amore sulla biga ; un pettine d ' avorio ; il serpe d ' oro d ' un ' armilla ; uno specchietto d ' argento inserito nel rovescio d ' un ' ambra larga quanto la mano d ' un bimbo , scolpita a raffigurare l ' Amore giovinetto accanto alla sua Psiche tremante . Quando alzo gli occhi da quei vezzi e da quelle grazie , vedo dietro i vetri le magnolie e i cipressi del giardino piegarsi sottola tempesta dello scirocco . Se entrasse qui una folata sola di vento , rapirebbe tutto in un attimo . Ma che il vento per un minuto s ' acqueti , ecco gli uccelli cinguettare , trillare , fischiare , garrire come allora , quando le donne di queste gemme erano vive e giovani , e anch ' esse ridevano . L ' agro intorno a Roma , la pianura e la laguna intorno a Aquileia ci dànno con lo spazio vuoto la misura del tempo da allora trascorso ; ci riducono cioè alla nostra misura , tanto breve al confronto che ci sgomenta e raddoppia l ' amore per queste rare fragili reliquie superstiti , quasi che scampate alla morte e toccate dal miracolo abbiano ormai qualcosa di sacro e di taumaturgico . Non piove più . Andiamo a vedere il mosaico scoperto in questi giorni , appena fuori del paese , in un campo di viti e di grano . È il pavimento d ' una sala di terme . In uno dei riquadri salvi , una naiade siede sulla coda squamata d ' un gran tritone e s ' abbandona dolcemente al navigare . Il tritone barbuto reca nelle mani una cesta stillante colma di pesci d ' argento e d ' alghe smeraldine . Ma più m ' attirano i ritratti di tre atleti , chiusi in un cerchio a greche e a volute . Uno è d ' un giovane nudo , pingue , tronfio e roseo , il collo tozzo , i capelli neri , rasi e , dritto sulla fronte , il solito ciuffo , cirrus in vertice , come la cresta sulla testa del gallo ; ma nei grandi occhi tondi e fissi , cerchiati di viola e di rosso , nella bocca schiusa egli ha un che di doloroso come il ginnasta che viene ansando a ringraziare il pubblico con una smorfia per sorriso . Un altro è d ' un ginnasta a barba nera ricciuta , più maturo ed umano , la testa piegata con nobiltà sulla spalla destra quasi ad allontanarsi un poco da chi lo guarda . E il terzo ritratto è d ' un placido vecchio , forse un maestro o il magistrato preposto alle terme , a barba bianca , con tunica e toga , sul capo una ghirlanda . La tecnica del mosaico semplice e dura e netta , che non sbaglia un colpo , è fatta per questi volti energici , per questi sguardi diritti . Lo scavo è appena a due metri sotto il piano arato , e un operaio ricopre i mosaici , man mano che li ho ammirati , con lembi di quel feltro incatramato che faceva in guerra da tetto alle baracche . Il gran vento scuote questi cenci , li fa volar via finché un gran sasso non li inchiodi ; e nella vicenda i tre volti imperiosi , più grandi del vero , appaiono e scompaiono , fissi al cielo . Finalmente m ' avvio alla basilica e al cimitero . Un gran folto di allori , di bossi , di rose è sorto su dalle tombe nostre . Adesso il pieno scarmigliato rigoglio primaverile nasconde croci , arche , stele , iscrizioni . È come un ' offerta tumultuosa di virgulti , di fronde , di bocci che sotto i loro gran cipressi i sepolti ci fanno : una folla , una calca , un confuso ondeggiare nel quale noi superstiti ancora non sappiamo trovare la via : e su tutto , un odor d ' acre e d ' amaro che la pioggia fa più acuto . Lo respiro , tra i lauri e le mortelle , lo sento nella bocca , nel petto , sulle mani con cui ho scostato due frasche per rileggere le parole scritte sulla tomba di chi ho veduto morto . Cerco le salme dei dieci ignoti venuti da tutti i campi di battaglia , quelle che nell ' ottobre del 1921 rimasero qui nell ' ombra e nel silenzio quando l ' undicesimo s ' involò verso Roma e il Campidoglio e la gloria . Seguendo il desiderio di don Gelso Costantini , dietro l ' abside , su due scalinate , al colmo del muro di cinta sotto cui fluisce al mare il verde Natissa , è stato alzato qui un altare di pietra . Chi v ' officia , alza il calice e l ' ostia su tutta la pianura dell ' Isonzo , verso tutte le vette della guerra carsica dal San Michele a Sei Busi . Adesso sotto la nuvolaglia , quei monti non sono che una riga di cupo turchino come se , quando svaniranno le nubi , tutto il cielo abbia da essi a riprendere colore e vigore .