StampaQuotidiana ,
12
aprile
.
ROMA
.
Da
quasi
un
anno
per
l
'
esposizione
mondiale
del
1942
hanno
cominciato
a
spianare
di
là
dalla
basilica
di
San
Paolo
le
collinette
verso
il
bosco
d
'
eucalitti
che
una
volta
difendeva
dalla
malaria
l
'
abazia
delle
Tre
Fontane
.
Tempi
preistorici
:
allora
,
quando
eravamo
ragazzi
,
andare
alle
Tre
Fontane
era
un
'
escursione
per
la
quale
si
partiva
da
casa
con
la
colazione
o
la
merenda
nel
tascapane
.
Era
un
'
escursione
e
quasi
un
'
esplorazione
perché
a
chi
di
noi
s
'
allontanava
dalla
strada
Laurentina
gli
anziani
annunciavano
pericoli
addirittura
di
morte
per
le
buche
e
le
frane
delle
cento
vecchie
cave
di
pozzolana
,
nascoste
tra
cardi
e
pruni
,
popolate
di
serpi
e
,
alle
prime
piogge
,
di
rospi
e
raganelle
.
Il
mondo
s
'
è
fatto
più
piccolo
e
,
dicono
,
più
sicuro
.
Per
uguagliare
questo
pianoro
di
cinquecento
ettari
,
lungo
,
presso
a
poco
,
quanto
dal
Campidoglio
a
piazza
del
Popolo
,
anzi
fino
al
Ministero
della
Marina
,
e
largo
altrettanto
,
si
dovranno
smuovere
cinque
milioni
e
mezzo
di
metri
cubi
;
e
già
se
n
'
è
smossa
quasi
la
metà
.
Ma
l
'
importante
è
che
,
spenta
e
chiusa
dopo
sei
mesi
l
'
esposizione
,
là
non
tornerà
un
arido
deserto
di
calcinacci
di
cemento
,
con
altrettanti
trabocchetti
e
buche
come
quelle
di
terra
che
spianatori
e
costruttori
trovano
adesso
e
cólmano
.
Là
resterà
una
città
,
un
altro
grande
e
comodo
e
monumentale
quartiere
di
Roma
,
col
suo
lago
,
le
sue
strade
,
piazze
,
giardini
,
alberate
,
fontane
,
con
la
sua
chiesa
,
i
suoi
musei
,
teatri
,
uffici
e
alberghi
,
a
sette
od
otto
minuti
dal
Colosseo
:
Roma
nuova
,
come
nella
suddetta
preistoria
chiamavamo
la
Roma
da
via
Nazionale
in
su
.
Insomma
adesso
il
cómpito
dato
da
Mussolini
a
Vittorio
Cini
è
di
preparare
,
sì
,
una
grande
e
ricca
e
piacevole
esposizione
dove
la
gente
abbia
da
imparare
e
da
divertirsi
senza
affaticarsi
,
ma
anche
lo
schema
e
l
'
ossatura
d
'
una
bella
città
.
Il
durevole
,
prima
di
succedere
all
'
effimero
,
deve
intanto
dargli
,
poiché
siamo
a
Roma
e
si
ragiona
da
romani
,
forma
,
comodità
e
maestà
:
problema
,
prima
di
tutto
,
d
'
architettura
.
Per
adesso
,
tutti
d
'
accordo
,
perché
v
'
è
soltanto
il
nudo
terreno
,
anzi
il
luogo
dove
uomini
e
macchine
vanno
preparando
il
terreno
.
A
settentrione
di
là
d
'
un
gran
prato
verde
s
'
intravvede
di
Roma
un
quartiere
nuovo
nuovo
,
non
propriamente
monumentale
,
ma
una
nebbiola
bassa
e
azzurrina
lo
vela
gentilmente
;
e
dietro
il
Gianicolo
appare
la
cima
della
cupola
di
San
Pietro
,
d
'
argento
opaco
,
come
una
luna
che
sorge
.
Il
silenzio
è
rotto
da
fischi
di
locomotive
,
da
brevi
ànsiti
di
macchine
scavatrici
,
fondi
talvolta
come
ruggiti
quando
il
raffio
addenta
terra
e
sassi
e
le
catene
cigolano
.
Ma
l
'
aria
immobile
ingoia
d
'
un
colpo
ogni
suono
e
il
silenzio
torna
padrone
:
un
silenzio
d
'
eternità
.
Il
suolo
vulcanico
su
cui
i
re
e
la
repubblica
fondarono
e
aggrandirono
Roma
,
è
simile
a
questo
,
falda
a
falda
:
al
sole
un
palmo
o
due
di
terra
buona
da
seminare
;
sotto
questo
po
'
di
terra
,
pozzolana
bigia
o
rossa
e
tufo
,
buoni
per
murare
e
per
costruire
.
Dove
una
volta
le
frane
e
adesso
le
macchine
hanno
tagliato
il
terreno
,
questi
filoni
orizzontali
appaiono
netti
,
sovrapposti
regolarmente
come
gli
strati
di
fondazione
d
'
un
grande
edificio
.
Poco
da
mangiare
,
molto
da
lavorare
;
poco
da
godere
,
molto
da
costruire
:
non
sono
queste
le
basi
morali
dell
'
antica
Roma
?
E
senza
questa
miracolosa
pozzolana
laziale
che
con
poco
grassello
di
calce
fa
presa
anche
sott
'
acqua
,
compatta
per
millenni
più
d
'
una
roccia
,
l
'
architettura
romana
,
la
forma
cioè
e
il
volto
di
Roma
,
e
l
'
incrollabile
prova
della
sua
durata
non
esisterebbero
.
Bisogna
diffidare
,
lo
so
,
delle
similitudini
;
ma
gli
acquedotti
e
il
Colosseo
sono
insieme
fatti
e
idee
.
L
'
aratro
che
adopera
il
senatore
Cini
non
è
per
fortuna
quello
che
adoperò
Romolo
tracciando
il
solco
quadrato
.
È
meccanico
,
va
giù
col
vomere
fino
a
settanta
centimetri
,
rovescia
terra
e
pezzi
di
tufo
;
e
la
trattrice
che
lo
trascina
,
sobbalza
come
un
carro
armato
all
'
assalto
d
'
una
trincera
.
Talvolta
lo
sforzo
è
tanto
che
la
corda
d
'
acciaio
si
strappa
.
Sùbito
dietro
l
'
aratro
,
i
badilanti
caricano
sui
vagoncini
la
terra
sconvolta
,
e
appena
i
venti
vagoncini
sono
colmi
,
la
piccola
locomotiva
se
li
trascina
via
fischiettando
,
laggiù
dove
il
terreno
s
'
ha
da
alzare
e
non
da
abbassare
.
Mille
e
cento
sono
adesso
questi
operai
;
scamiciati
,
impolverati
e
contenti
,
nella
certezza
d
'
avere
lavoro
per
quattr
'
anni
.
Uno
s
'
è
ficcato
tra
l
'
orecchio
e
la
tempia
una
di
queste
piccole
orchidee
selvatiche
,
bianche
e
verdi
come
il
fiore
dell
'
aglio
,
e
mentre
il
rosario
dei
vagoncini
parte
con
un
fracasso
di
ferraglie
sulle
verghe
malconnesse
della
decoville
,
s
'
appoggia
con
le
due
mani
sul
manico
del
badile
,
guarda
lontano
e
a
mezza
voce
canta
:
Vivere
senza
malinconia
,
Vivere
senza
più
gelosia
...
Mentre
canta
,
è
più
solo
lui
dei
compagni
silenziosi
che
allineati
aspettano
un
'
altra
fila
di
vagoncini
,
vuoti
.
Un
minuto
:
arriva
,
e
i
manovali
le
si
mettono
a
fianco
.
Una
goccia
di
saliva
sulla
palma
delle
mani
,
e
il
lavoro
ricomincia
,
così
puntuale
che
si
coglie
il
ritmo
delle
pale
ficcate
nella
terra
,
della
terra
rovesciata
nel
carrello
,
del
lampo
bianco
della
pala
in
aria
.
Così
ordinato
fosse
il
lavoro
di
tutti
noi
,
con
quella
pausa
del
fiore
e
del
canto
.
La
ragione
sarà
che
io
purtroppo
non
riesco
a
diventare
ancora
il
vero
uomo
moderno
,
homo
occidentalis
mechanicus
neobarbarus
;
ma
il
fatto
è
che
il
lavoro
d
'
una
macchina
mi
piace
quando
assomiglia
nei
gesti
al
lavoro
umano
,
centuplicato
,
s
'
intende
,
nella
forza
,
e
senza
rischio
mai
di
stanchezza
perché
la
macchina
con
un
poco
di
lubrificante
è
sempre
giovane
e
sempre
attenta
.
Insomma
per
me
il
modello
del
mondo
resta
ancora
l
'
uomo
,
e
la
macchina
non
è
ancora
diventata
il
modello
dell
'
uomo
:
difetto
grave
,
e
il
peggio
è
che
talvolta
me
ne
vanto
.
Ora
delle
oneste
macchine
le
quali
lavorano
qui
,
le
più
simpatiche
mi
sembrano
le
scavatrici
.
Una
me
la
sono
goduta
stamane
da
vicino
,
e
il
soprastante
che
me
ne
spiegava
i
congegni
,
le
sorrideva
affettuoso
come
a
un
bel
cavallo
da
circo
,
docile
e
lustro
,
e
aveva
ragione
quando
diceva
:
Le
manca
la
parola
,
le
manca
.
Quella
infatti
alzava
il
braccio
con
la
benna
,
l
'
avvicinava
al
greppo
da
mordere
,
contro
gli
puntava
quattro
lucide
zanne
d
'
acciaio
aguzze
come
pugnali
,
e
oscillando
un
poco
per
lo
sforzo
gliele
conficcava
dentro
fino
in
fondo
.
Poi
le
quattro
zanne
si
rizzavano
,
e
zolle
,
sassi
,
schegge
,
terriccio
entravano
nella
benna
giusto
giusto
,
ché
la
scavatrice
non
ne
aveva
afferrato
un
pugno
di
troppo
.
Allora
il
braccio
si
girava
e
si
fermava
preciso
sopra
un
carrello
del
trenino
.
La
benna
s
'
apriva
ed
empiva
il
carrello
;
e
la
macchina
tornava
a
puntare
i
denti
contro
il
costone
da
abbattere
.
L
'
omino
che
era
il
cervello
della
macchina
,
maneggiava
due
leve
con
più
leggerezza
d
'
un
cavaliere
quando
tira
a
destra
o
a
sinistra
la
briglia
.
Il
soprastante
accanto
a
me
fissava
l
'
orologio
:
La
benna
contiene
un
metro
cubo
e
venti
.
In
ventisette
secondi
si
riempie
e
si
scarica
.
Dieci
di
queste
macchine
scavatrici
lavorano
a
preparare
il
pianoro
per
l
'
esposizione
;
ma
tanto
pesano
che
bisogna
saggiare
bene
il
terreno
prima
di
collocarle
,
non
abbiano
a
sprofondare
in
uno
di
questi
grottoni
.
Quando
nel
1885
sul
fianco
settentrionale
del
Campidoglio
si
tentò
di
piantare
le
fondazioni
del
monumento
a
re
Vittorio
Emanuele
,
non
s
'
incontrarono
che
tane
e
cunicoli
tagliati
per
cavar
tufo
o
per
difendere
l
'
arce
;
e
la
somma
che
s
'
era
stanziata
per
erigere
tutto
il
Vittoriano
,
bastò
appena
a
riempire
e
consolidare
quell
'
alveare
.
Così
qui
.
Il
suolo
traditore
è
provato
continuamente
dalle
sonde
,
le
quali
ogni
poco
incontrano
il
vuoto
.
Quando
s
'
è
determinato
così
il
luogo
d
'
una
caverna
nascosta
,
si
cinge
subito
con
una
stecconata
quadra
,
perché
carri
o
macchine
non
s
'
avventurino
là
sopra
.
Sono
chilometri
e
chilometri
di
gallerie
da
cavar
pozzolana
,
alcune
praticabili
dai
carretti
,
anche
se
adesso
ostruite
dagli
scoscendimenti
.
A
guardarle
dall
'
alto
,
profonde
e
cupe
tra
rovi
e
sterpi
,
sembrano
rifugi
di
trogloditi
o
di
banditi
o
,
nei
primi
secoli
dopo
Cristo
,
di
cristiani
perseguitati
.
Talune
catacombe
sono
infatti
nate
così
,
in
questi
antri
.
Tre
aeroplani
che
volano
alti
a
triangolo
,
mi
fanno
alzare
gli
occhi
al
cielo
.
Per
godere
un
paesaggio
la
luce
è
quello
ch
'
è
la
voce
per
capire
un
uomo
.
Anche
la
luce
ha
un
tono
.
Se
mi
trasportassero
addormentato
a
Roma
,
a
Firenze
,
a
Venezia
,
a
Milano
e
svegliandomi
spalancassero
la
finestra
sul
cielo
vuoto
,
io
mi
vanterei
di
saper
dire
,
dalla
luce
,
dove
mi
trovo
;
ma
forse
è
un
'
illusione
come
quando
,
se
odo
uno
parlare
,
mi
provo
a
non
badare
al
senso
delle
parole
ma
solo
al
suono
e
alla
modulazione
della
voce
,
e
a
giudicarlo
così
,
colui
che
parla
,
sincero
o
retore
,
affranto
o
audace
,
meschino
o
magnanimo
.
La
mia
guida
m
'
indica
il
punto
verso
Roma
dove
la
via
Imperiale
taglierà
il
viale
di
pioppi
delle
Tre
Fontane
.
La
via
Imperiale
sarà
l
'
asse
dell
'
esposizione
,
si
biforcherà
per
passare
su
due
ponti
il
lago
,
attraverserà
il
bosco
e
dalla
Porta
del
Mare
filerà
lucida
e
diritta
verso
Castel
Fusano
e
il
lido
.
Via
,
lago
,
bosco
:
tutto
è
ancora
sulla
carta
,
e
laggiù
verso
mezzodì
mi
commuove
la
sorte
d
'
un
bel
ciuffo
di
pini
a
cupola
perché
essi
sono
già
realtà
.
Si
tenterà
di
trasportarli
,
diciamo
così
,
in
vaso
.
Morranno
?
Vivacchieranno
estenuati
,
sostenuti
da
tre
puntelli
?
Siamo
venuti
dentro
una
baracca
a
guardare
la
planimetria
a
colori
dell
'
esposizione
:
opera
difficile
meditatissima
ed
equilibrata
cui
per
mesi
e
mesi
ha
atteso
Marcello
Piacentini
.
Ecco
gli
edifici
che
sopravviveranno
,
ecco
le
strade
,
ecco
i
luoghi
di
sosta
per
le
automobili
,
ecco
la
stazione
della
ferrovia
sotterranea
,
ecco
i
giardini
,
ecco
la
chiesa
,
ecco
il
lago
della
città
futura
.
Quale
altra
città
avrà
un
così
bel
lago
,
tra
sponde
di
pietra
,
con
un
teatro
aperto
all
'
uno
dei
capi
,
con
una
scalinata
di
marmo
bianco
e
oro
da
cui
l
'
acqua
scenderà
sfavillando
?
Meraviglie
.
Ma
questa
mattina
ho
anche
meno
fantasia
del
solito
.
La
carta
resta
carta
,
il
verde
non
riesce
ai
miei
occhi
a
diventare
bosco
,
né
il
turchino
acqua
.
Il
gran
vuoto
fuori
della
baracca
,
il
cielo
altissimo
e
quasi
bianco
negli
eccelsi
,
i
fischi
rauchi
delle
piccole
locomotive
,
la
collinetta
col
bosco
d
'
eucalitti
,
ai
nostri
piedi
le
grotte
nere
aperte
,
chi
sa
,
da
secoli
,
laggiù
quel
folto
di
pini
che
stanno
per
morire
;
questa
solitudine
che
abbiamo
appena
cominciato
a
sconvolgere
con
metodo
inesorabile
e
che
tra
un
anno
sarà
irta
di
bianchi
scheletri
di
case
e
di
palazzi
;
questa
solitudine
che
,
salvo
qualche
carrettiere
e
qualche
cacciatore
,
era
inviolata
,
anzi
dimenticata
da
millenni
,
ecco
quello
che
m
'
attira
stamane
,
soltanto
perché
non
lo
rivedrò
più
.
Vivere
senza
malinconia
...
cantava
il
manovale
.
Ma
no
,
un
poco
di
malinconia
aiuta
a
vivere
.
La
malinconia
non
è
che
l
'
ombra
della
memoria
.