StampaQuotidiana ,
26
luglio
.
Quante
volte
in
questa
rubrica
ho
già
narrato
ciò
che
ricordo
d
'
Eleonora
Duse
?
Oggi
ho
finito
di
leggere
il
libro
d
'
Olga
Signorelli
su
lei
.
A
ogni
pagina
altri
ricordi
mi
apparivano
davanti
agli
occhi
.
È
un
libro
copioso
,
come
ha
detto
Alfredo
Panzini
lodandolo
;
ma
certo
è
il
libro
più
cordiale
e
probante
finora
scritto
su
quella
memorabile
donna
.
È
infatti
il
solo
libro
che
ce
la
mostra
dall
'
interno
,
non
dall
'
esterno
.
Eleonora
Duse
è
stata
un
'
attrice
stupenda
e
cordiale
,
ma
quieta
anche
nella
tragedia
,
di
pochi
gesti
e
di
poche
grida
,
tutta
misura
e
ritegno
,
e
solo
con
uno
sguardo
senza
nemmeno
muovere
il
volto
otteneva
ciò
che
altre
non
ottenevano
con
un
balzo
e
con
un
urlo
;
ma
come
donna
è
stata
complicata
,
irrequieta
ed
ansiosa
,
spesso
stonata
e
sfasata
,
ogni
anno
più
schiava
delle
parole
così
da
scambiarle
per
realtà
,
e
innamorata
del
dolore
,
vero
o
immaginario
,
proprio
o
altrui
,
come
l
'
ape
è
innamorata
del
fiore
.
Del
dolore
aveva
la
curiosità
e
,
oserei
dire
,
il
desiderio
.
Era
la
sua
nobiltà
:
il
suo
solo
snobismo
.
L
'
arte
è
dolore
;
l
'
amore
è
dolore
;
la
gloria
è
dolore
;
la
ricchezza
è
dolore
;
la
potenza
è
dolore
;
la
vita
,
insomma
,
è
dolore
.
Ed
ella
era
colma
di
vita
.
La
prima
volta
che
vidi
la
signora
Duse
fuori
di
scena
,
quando
cioè
le
fui
presentato
(
e
deve
essere
stato
verso
il
1895
)
,
la
trovai
per
terra
,
distesa
sopra
un
bel
tappeto
,
tra
molti
cuscini
.
Mi
invitò
a
sedermi
accanto
a
lei
su
un
altro
tappeto
:
che
,
in
Oriente
forse
,
ma
dalle
parti
nostre
non
è
un
esercizio
comodo
,
specie
quando
ci
s
'
ha
da
rialzare
.
Vedendo
che
titubavo
,
m
'
offrì
a
braccio
teso
uno
dei
suoi
cuscini
.
S
'
era
in
casa
di
fedeli
e
sottomesse
amiche
sue
,
in
via
Gregoriana
:
due
tedesche
,
Elena
Oppenheim
e
Maria
Zernitz
,
l
'
una
magra
e
l
'
altra
grassa
;
amiche
anche
di
molti
musicisti
,
Sgambati
,
Consolo
,
Gulli
,
Bossi
,
Baiardi
,
e
d
'
uno
scultore
,
Chiaradia
,
quello
della
statua
dorata
di
Vittorio
Emanuele
in
mezzo
al
monumento
capitolino
.
Spesso
,
se
veniva
a
Roma
e
non
recitava
,
la
Duse
scendeva
da
quelle
amiche
,
padrona
dispotica
d
'
ogni
loro
minuto
,
gesto
e
pensiero
.
Esse
dovevano
averle
mostrato
i
titoli
d
'
uno
o
due
articolucci
miei
di
letteratura
inglese
.
Supina
,
poggiando
la
nuca
sopra
le
palme
delle
mani
raccolte
a
conchiglia
:
Chi
è
il
maggior
poeta
inglese
vivente
?
mi
domandò
guardando
il
soffitto
.
Swinburne
,
risposi
.
So
che
avete
tradotto
qualche
cosa
di
lui
.
Recitatemelo
.
Non
lo
ricordo
a
memoria
.
Mi
guardò
di
traverso
,
un
occhio
su
e
l
'
altro
giù
,
come
per
misurare
la
mia
statura
,
seduto
.
Era
tale
e
quale
alla
Duse
in
scena
,
senza
tinture
;
ma
da
vicino
gli
anni
,
trentasei
o
trentasette
,
le
si
vedevano
tutti
.
Le
mani
(
l
'
ombra
di
Gabriele
d
'
Annunzio
mi
perdoni
)
non
erano
belle
;
ma
i
piedi
sì
,
piccoli
,
fini
,
ben
calzati
,
e
non
stavano
mai
fermi
.
Si
sa
quanto
è
spietato
lo
sguardo
d
'
un
giovane
appena
si
posa
sopra
una
donna
matura
,
specialmente
se
fino
allora
egli
ha
potuto
vederla
solo
da
lontano
su
un
trono
o
su
una
ribalta
,
e
lodata
e
applaudita
.
Per
capire
la
grande
poesia
bisogna
avere
sofferto
.
Voi
siete
troppo
giovane
per
avere
sofferto
.
Io
,
zitto
,
perché
ero
tentato
di
rispondere
:
«
Grazie
,
per
fortuna
»
,
con
una
punta
di
impertinenza
romanesca
.
Sentivo
su
me
gli
sguardi
delle
due
tedesche
,
le
quali
abbozzavano
un
sorriso
per
suggerirmi
che
dovevo
sorridere
anch
'
io
.
Nella
pausa
avevo
preso
una
sigaretta
.
La
signora
Duse
,
sempre
volta
al
soffitto
,
ricominciò
l
'
interrogatorio
:
Siete
innamorato
?
Me
lo
domandò
con
una
voce
bassa
e
grave
,
che
stillava
con
fatica
le
meste
sillabe
.
Un
confessore
che
mi
avesse
domandato
:
Quante
volte
?
o
un
medico
che
avvicinando
al
lume
il
termometro
scaldato
dalla
mia
ascella
,
m
'
avesse
detto
:
Trentanove
,
e
passa
,
non
avrebbero
avuto
un
tono
così
caldo
,
di
compassione
e
insieme
di
conforto
.
Ma
vedi
l
'
indifferenza
e
anche
il
pudore
della
gioventù
:
io
ero
seccato
non
lusingato
.
Risposi
:
Sarebbe
,
signora
mia
,
un
discorso
molto
lungo
,
e
accesi
la
sigaretta
.
La
Duse
si
rizzò
a
sedere
d
'
un
colpo
.
Qui
non
si
fuma
,
comandò
.
Le
due
amiche
accorsero
.
Una
portò
in
un
'
altra
camera
la
sigaretta
irriverente
.
L
'
altra
aprì
la
finestra
perché
quel
niente
di
fumo
svanisse
nel
cielo
di
Roma
.
Io
ero
in
piedi
.
Udii
da
terra
una
voce
fievole
quanto
un
sospiro
:
Che
ore
sono
?
,
e
poco
dopo
:
Tornate
presto
.
M
'
ha
fatto
piacere
conoscervi
.
Me
ne
andai
.
Ogni
parola
e
ogni
gesto
di
quel
nostro
primo
colloquio
sul
pavimento
mi
sono
rimasti
nella
memoria
perché
se
ne
parlò
e
riparlò
con
le
due
ospiti
della
signora
Duse
e
coi
loro
amici
.
Che
cosa
avrei
mai
dovuto
rispondere
a
simili
domande
,
inaspettate
e
,
soggiungevo
,
materne
?
Quelli
m
'
assicuravano
che
le
indagini
sulla
capacità
di
patire
e
d
'
amare
erano
in
lei
una
palese
prova
di
simpatia
.
L
'
anno
dopo
,
se
non
sbaglio
,
tornò
a
Roma
per
recitare
al
Valle
:
Fedora
,
Denise
,
Moglie
di
Claudio
,
Frou
-
Frou
,
Locandiera
,
Signora
delle
camelie
.
Non
perdevo
una
recita
,
non
perdevo
una
parola
di
lei
.
Li
davvero
ella
era
schietta
,
attenta
a
scarnire
e
a
semplificare
la
sua
recitazione
,
così
che
l
'
anima
del
personaggio
fosse
nuda
,
e
anche
quando
il
personaggio
mentiva
,
capace
di
farci
sentire
che
,
timido
o
spavaldo
,
mentiva
.
Anche
nella
menzogna
perciò
la
amavamo
,
così
lealmente
ce
la
confidava
.
Tanto
schietta
,
leale
e
nuda
era
in
scena
che
fuori
di
scena
,
in
un
salotto
o
in
una
gita
,
in
contatto
con
noi
laici
si
sentiva
che
era
impacciata
,
quasi
provasse
il
pudore
di
non
poter
esser
schietta
e
leale
e
nuda
come
quando
recitava
,
cioè
come
quando
era
Margherita
,
Fedora
,
Magda
o
Cesarina
.
E
si
metteva
a
parlare
difficile
con
parole
d
'
oracolo
,
prodigando
a
tutti
consigli
e
conforti
,
e
dimenticandosene
un
'
ora
dopo
.
Fuori
di
scena
,
insomma
,
la
Duse
veramente
recitava
.
Cogli
anni
,
i
capelli
bianchi
,
l
'
addio
all
'
amore
e
la
solitudine
,
fu
un
'
altra
cosa
;
e
certo
ammirevole
.
In
quella
stagione
,
nel
senso
che
alla
parola
stagione
danno
i
teatranti
,
abitava
al
Grand
Hôtel
e
il
suo
salotto
luminoso
era
sull
'
angolo
tra
la
via
delle
Terme
e
la
piazza
delle
Terme
.
Sopra
ogni
tavola
,
fiori
e
libri
:
libri
di
pensiero
,
molto
Nietzsche
e
molto
Maeterlinck
quell
'
anno
,
segnati
sui
margini
da
una
matita
impetuosamente
ammirativa
.
L
'
edizione
Bocca
di
Così
parlò
Zaratustra
,
ricordo
di
averla
veduta
segnata
con
la
matita
turchina
in
tutte
,
dico
tutte
,
le
pagine
,
da
capo
a
fondo
:
che
doveva
essere
stata
una
bella
fatica
.
Una
mattina
s
'
andò
a
Tivoli
.
Ernesto
Consolo
e
io
salimmo
a
prendere
la
signora
Duse
all
'
albergo
.
Ci
accolse
con
questo
ammonimento
:
Badate
,
oggi
non
voglio
soffrire
,
e
lo
disse
serrando
labbra
e
mascelle
come
avrebbe
potuto
dirlo
sedendosi
dal
dentista
.
Consolo
mi
guardò
.
Sapevamo
che
spesso
era
inutile
risponderle
perché
ella
già
pensava
ad
altro
.
Fu
gaia
,
giovanile
,
maliziosa
:
diciamo
,
Mirandolina
.
Dopo
colazione
si
pensò
,
naturalmente
,
d
'
andare
a
Villa
d
'
Este
.
Ve
l
'
ho
dichiarato
.
Oggi
non
voglio
soffrire
.
A
Villa
d
'
Este
?
Non
capite
niente
:
a
Villa
d
'
Este
io
ci
sono
già
stata
,
e
sillabò
le
parole
come
dicesse
che
non
bisognava
destare
i
morti
.
Né
l
'
uno
né
l
'
altro
si
osò
domandarle
:
Con
chi
?
Aveva
mutato
faccia
,
s
'
era
alzata
e
ci
aveva
voltato
le
spalle
perché
non
le
leggessimo
il
volto
.
Deve
avere
riveduto
Gabriele
d
'
Annunzio
in
quel
tempo
(
la
Signorelli
precisa
,
nell
'
autunno
del
1896
)
;
ma
non
è
vero
che
andando
a
salutarla
sul
palcoscenico
del
Valle
dopo
la
Signora
delle
camelie
D
'
Annunzio
la
apostrofasse
con
queste
parole
:
Oh
grande
amatrice
!
Fu
una
delle
tante
facezie
dei
romani
sciccosi
,
oziosi
e
invidiosi
contro
D
'
Annunzio
trionfante
e
contro
quello
che
allora
essi
stimavano
il
pomposo
parlare
di
lui
.
Amatrice
è
un
paesotto
dell
'
Aquilano
presso
Cittaducale
,
e
matriciani
allora
erano
chiamati
a
Roma
gl
'
incettatori
e
i
venditori
di
erbaggi
,
dalle
carote
alle
cipolle
.
Nemmeno
credo
che
molti
anni
dopo
,
spento
il
fuoco
,
ritrovandola
a
Milano
per
caso
in
un
albergo
egli
le
dicesse
come
s
'
afferma
in
questo
libro
:
Quanto
mi
avete
amato
!
D
'
Annunzio
,
per
quanto
sicuro
e
soddisfatto
si
mostrasse
di
sé
,
ha
avuto
sempre
,
parlando
delle
donne
che
ha
amate
,
e
specialmente
se
l
'
amore
era
tramontato
da
anni
,
e
più
verso
la
signora
Duse
,
un
riguardo
,
anzi
un
rispetto
inconciliabile
con
la
fatua
vanità
di
quella
frase
.
Può
darsi
che
a
Olga
Signorelli
l
'
abbia
ripetuta
la
stessa
Duse
immaginandosi
di
averla
proprio
udita
da
quel
crudele
,
tanto
bene
le
parole
riassumevano
l
'
abnegazione
di
lei
e
la
finale
indifferenza
di
lui
.
Così
sono
certo
che
D
'
Annunzio
mostrò
alla
Duse
il
manoscritto
del
Fuoco
molto
prima
di
pubblicarlo
,
e
la
persuase
che
ella
,
anche
se
l
'
impresario
Schurmann
e
altri
pettegoli
le
dicevano
il
contrario
,
vi
splendeva
d
'
una
bellezza
più
durevole
della
bellezza
fisica
.
Olga
Signorelli
pubblica
la
lettera
di
Eleonora
Duse
a
Schurmann
:
«
Poco
fa
non
v
'
ho
detto
la
verità
.
Conosco
il
romanzo
,
e
ne
ho
autorizzata
la
stampa
,
perché
la
mia
sofferenza
,
qualunque
essa
sia
,
non
conta
quando
si
tratta
di
dare
un
altro
capolavoro
alla
letteratura
italiana
.
E
poi
ho
quarant
'
anni
...
e
amo
!
»
(
Molte
lettere
d
'
Eleonora
Duse
sono
pubblicate
in
questo
libro
,
ansimanti
e
sgrammaticate
.
Anche
nella
scrittura
par
di
vederla
recitare
,
con
quelle
tante
sottolineature
per
dire
che
lì
alza
la
voce
,
con
quei
tanti
a
capo
,
che
corrispondono
a
gesti
recisi
,
con
quei
tanti
puntini
che
significano
le
pause
di
silenzio
o
i
sospiri
.
)
Nella
primavera
del
'97
o
del
'98
ero
a
San
Giacomo
di
Spoleto
quando
da
Francavilla
mi
telegrafò
D
'
Annunzio
d
'
andare
il
giorno
dopo
a
incontrarlo
ad
Assisi
nell
'
albergo
del
Subasio
.
Vi
arrivai
nelle
prime
ore
del
pomeriggio
in
bicicletta
(
allora
anche
D
'
Annunzio
andava
in
bicicletta
e
nel
'96
mi
scriveva
:
«
Son
tornato
da
Milano
con
una
bicicletta
!
Con
una
Humber
!
Dalla
mattina
alla
sera
vado
pedalando
.
E
verrò
nell
'
Umbria
su
questo
leggero
cavallo
d
'
acciaio
.
Ave
»
)
.
Sulla
porta
del
Subasio
trovai
Angelo
Conti
.
Anch
'
egli
era
stato
convocato
per
telegrafo
,
e
mi
spiegò
perché
.
Nell
'
albergo
era
anche
la
Duse
,
e
D
'
Annunzio
era
venuto
a
mostrarle
la
prima
parte
del
manoscritto
del
Fuoco
,
ravvolto
,
s
'
intende
,
in
un
lembo
di
damasco
rosso
.
Era
stata
lei
a
chiederglielo
,
poiché
tutti
già
possedevamo
le
chiavi
di
quel
romanzo
e
sapevamo
che
in
Stelio
era
adombrato
lo
stesso
poeta
quale
egli
sperava
d
'
essere
o
d
'
apparire
,
in
Foscarina
nomade
e
disperata
la
Duse
,
in
Daniele
Glauro
Angelo
Conti
,
in
alcuni
tratti
di
Donatella
Arvale
Giulietta
Gordigiani
,
e
via
dicendo
?
Oppure
egli
stesso
,
pensando
che
qualche
frase
sulla
bellezza
un
poco
sfiorita
dell
'
attrice
potesse
offenderla
,
e
fidando
nell
'
intelligenza
di
lei
e
nella
bellezza
del
monumento
che
con
quel
romanzo
egli
le
innalzava
e
le
offriva
,
aveva
voluto
prevenire
e
placare
ogni
risentimento
della
vanità
?
«
I
segni
delicati
che
partivano
dall
'
angolo
degli
occhi
verso
le
tempie
,
e
le
piccole
vene
oscure
che
rendevano
le
palpebre
simili
alle
violette
,
e
l
'
ondulazione
delle
gote
e
il
mento
estenuato
e
tutto
quello
che
non
poteva
mai
più
rifiorire
...
»
Non
le
vedevano
tutti
queste
prime
offese
degli
anni
?
E
proprio
Eleonora
Duse
che
anche
per
entrare
in
scena
rifiutava
ogni
liscio
,
ogni
rossetto
,
ogni
cipria
,
tanto
amava
la
verità
,
anzi
,
com
'
ella
diceva
,
la
sua
verità
,
si
sarebbe
offesa
?
A
quale
altra
attrice
sicura
del
proprio
valore
ma
anche
sicura
di
scomparire
tutta
dalla
memoria
degli
uomini
man
mano
che
fossero
morti
e
scomparsi
coloro
che
l
'
avevano
veduta
,
ascoltata
,
applaudita
e
avevano
per
una
sera
creduto
che
la
sua
voce
e
il
suo
volto
fossero
la
voce
stessa
e
il
volto
stesso
dell
'
amore
,
della
rivolta
,
della
gioia
,
della
fede
,
della
voluttà
,
della
speranza
,
il
destino
offriva
insieme
il
compenso
e
l
'
orgoglio
di
sapersi
salvata
per
sempre
in
pagine
tanto
ardenti
e
sonanti
?
A
queste
domande
né
quel
giorno
né
poi
ho
saputo
rispondere
.
Certo
è
che
D
'
Annunzio
pregava
Conti
e
me
di
aspettare
in
albergo
una
sua
chiamata
.
Eravamo
lì
per
calmare
l
'
ira
e
i
sospetti
della
sua
amica
,
o
per
tenere
a
lei
e
a
lui
un
'
affettuosa
e
lieta
compagnia
?
S
'
andò
in
San
Francesco
e
si
tornò
.
Hanno
chiesto
di
noi
?
No
,
hanno
ordinato
il
tè
.
S
'
andò
a
passeggio
fino
in
piazza
del
Municipio
,
e
si
tornò
.
Hanno
chiesto
di
noi
?
No
,
pranzano
in
camera
.
Conti
e
io
si
pranzò
sulla
terrazza
,
poi
si
riuscì
a
passeggiare
sul
prato
davanti
alla
basilica
superiore
,
ché
così
il
direttore
sapeva
occorrendo
dove
trovarci
.
A
mezzanotte
rientrammo
.
Non
hanno
chiamato
più
.
La
mattina
dopo
verso
le
undici
dissi
addio
ad
Angelo
Conti
:
Se
Gabriele
ti
domanda
di
me
,
digli
che
l
'
ho
aspettato
per
ventiquattr
'
ore
.
Aspettalo
fino
a
stasera
.
No
,
vado
a
colazione
a
Foligno
da
un
amico
.
Sii
buono
,
aspetta
.
Ma
io
me
ne
andai
,
ché
in
bicicletta
giù
per
la
discesa
par
di
volare
.
Il
Fuoco
me
lo
sono
letto
due
anni
dopo
,
e
della
«
sofferenza
»
della
signora
Duse
per
quelle
che
allora
le
tenere
amiche
di
lei
e
i
nemici
di
D
'
Annunzio
chiamavano
ingiurie
,
ho
pensato
e
penso
che
ella
si
sia
consolata
non
solo
in
quelle
ventiquattr
'
ore
di
clausura
assisiate
col
suo
poeta
,
ma
anche
tutte
le
volte
che
poi
,
mettendosi
una
mano
sul
cuore
,
ella
ha
potuto
parlare
del
suo
dolore
per
quell
'
affronto
.
Angelo
Conti
,
cioè
Daniele
Glauro
,
parlando
del
Fuoco
e
della
Duse
,
si
grattava
la
barba
rossa
e
bianca
:
Come
fa
la
signora
Duse
a
lagnarsi
così
?
Me
,
in
questo
libro
,
fino
dalle
prime
pagine
Gabriele
m
'
ha
chiamato
fervido
e
sterile
.
Mi
lagno
io
?
Ma
Angelo
era
filosofo
e
considerava
le
donne
dipinte
da
Giorgione
o
da
Tiziano
,
fossero
anche
state
cortigiane
,
più
sicure
e
più
costanti
delle
donne
vive
anche
illustri
.