StampaQuotidiana ,
Tarquinia
,
quando
vi
nacque
il
primo
maggio
del
1887
Vincenzo
Cardarelli
,
si
chiamava
ancora
come
ai
tempi
dello
Stato
di
Santa
Romana
Chiesa
,
con
il
bonario
nome
agricolo
di
Corneto
perché
nei
suoi
poggi
solitari
cresceva
spontaneamente
l
'
arbusto
del
corniolo
che
copre
tutto
l
'
alto
Lazio
con
quella
vegetazione
cui
si
dà
il
nome
di
«
macchia
»
,
propizia
un
tempo
ai
briganti
che
sulle
strade
dirette
verso
Roma
aspettavano
di
far
pagare
duri
pedaggi
alle
diligenze
.
Cardarelli
nacque
da
madre
marchigiana
e
da
padre
«
etrusco
»
,
come
egli
amò
sempre
dire
.
Il
cognome
di
famiglia
era
Caldarelli
,
il
bambino
fu
battezzato
con
un
nome
assai
diffuso
in
tutta
quella
che
adesso
è
la
provincia
di
Viterbo
:
Nazareno
.
Nella
adolescenza
vissuta
a
Roma
,
quel
Caldarelli
,
adattandosi
alla
pronuncia
romana
che
trasforma
coltello
in
cortello
e
caldo
in
cardo
,
diventò
Cardarelli
.
In
quanto
a
Nazareno
,
nome
non
molto
adatto
per
un
giovane
letterato
che
vantava
idee
vagamente
sovversive
,
fu
cambiato
con
quello
di
Vincenzo
,
che
era
il
secondo
di
battesimo
.
La
famiglia
di
Cardarelli
conduceva
al
paese
una
vita
umile
.
Se
non
sbagliammo
su
quanto
lasciava
intendere
,
ma
senza
troppe
precisazioni
,
il
poeta
dei
Prologhi
quando
,
ragazzi
,
lo
conoscemmo
a
Roma
,
il
padre
aveva
cercato
inutilmente
di
assicurarsi
una
vita
pacifica
conducendo
un
'
osteria
nei
pressi
della
stazione
di
Corneto
.
Anche
Cardarelli
era
dunque
figlio
di
un
oste
,
come
lo
era
stato
a
Siena
,
Federigo
Tozzi
.
Nel
ricordo
,
o
,
per
meglio
dire
,
nel
mondo
di
favola
epica
che
Cardarelli
costruì
sulle
memorie
del
paese
della
sua
infanzia
,
il
posto
della
madre
è
minore
di
quello
del
padre
.
Tra
l
'
ascendenza
marchigiana
e
quella
etrusca
,
Cardarelli
scelse
e
sostenne
sempre
la
seconda
.
Egli
era
infatti
sceso
a
Roma
con
tutti
i
complessi
di
inferiorità
del
ragazzo
di
provincia
e
addirittura
di
campagna
,
senza
titoli
di
studio
e
con
le
tasche
imbottite
solamente
di
volumetti
della
Universale
Sonzogno
.
Dichiarandosi
etrusco
,
egli
iniziava
quella
che
gli
sembrava
dovesse
essere
la
sua
lunga
e
ininterrotta
polemica
fra
due
civiltà
.
Arrivò
a
Roma
nei
primi
anni
del
Novecento
,
in
una
città
ancora
intellettualmente
infatuata
di
D
'
Annunzio
e
del
tutto
assomigliante
a
quella
descritta
nei
capitoli
del
Piacere
.
Campava
di
piccoli
impieghi
:
fu
,
tra
l
'
altro
,
segretario
di
una
cooperativa
socialista
di
scalpellini
,
di
quei
«
selciaioli
»
che
lastricavano
Roma
con
blocchetti
quadrati
di
granito
.
La
povertà
e
una
naturale
tendenza
al
disdegno
,
tipica
quasi
sempre
dei
timidi
,
lo
tenevano
lontano
dal
pur
ristretto
mondo
intellettuale
romano
dei
Diego
Angeli
,
dei
Domenico
Gnoli
,
dei
Fausto
Salvatori
e
da
quello
dialettale
e
ironico
di
Trilussa
.
Entrato
come
cronista
all
'
«
Avanti
!
»
di
Leonida
Bissolati
,
cominciò
a
pubblicare
qualche
breve
prosa
firmata
con
lo
pseudonimo
dannunzianeggiante
di
Simonetto
.
Diventò
,
come
giornalista
,
frequentatore
della
terza
saletta
di
Aragno
:
ma
forse
più
che
altro
perché
i
suoi
guadagni
,
molto
aleatori
e
sottili
,
non
gli
permettevano
spesso
di
nutrirsi
altro
che
di
caffellatte
.
Oltretutto
,
Aragno
era
l
'
evasione
dal
chiuso
delle
piccole
camere
in
qualche
modesta
pensione
di
famiglia
dove
era
obbligato
a
vivere
,
spesso
con
un
tavolino
traballante
come
tutta
scrivania
.
Sui
tavolini
di
marmo
del
caffè
,
nei
pomeriggi
solitari
,
quando
i
giornalisti
si
trasferivano
nella
tribuna
stampa
di
Montecitorio
o
nella
sala
al
pianoterra
del
palazzo
delle
Poste
a
San
Silvestro
dove
avevano
i
loro
uffici
di
corrispondenza
,
Cardarelli
scriveva
le
sue
prime
prose
e
lungamente
le
correggeva
e
le
limava
,
sino
a
impararle
addirittura
a
memoria
.
Aragno
fu
per
molti
anni
la
sua
«
casa
»
,
il
luogo
delle
sue
«
declamazioni
»
e
delle
sue
indispettite
rampogne
.
Da
Aragno
conobbe
il
giovanissimo
pittore
Amerigo
Bartoli
,
che
gli
fu
amico
fedelissimo
per
tutta
la
vita
,
e
che
a
lui
e
agli
amici
letterati
del
tempo
della
«
Ronda
»
doveva
dedicare
il
quadro
degli
Amici
al
caffè
.
Vi
appariva
abitualmente
alle
due
del
pomeriggio
perché
si
alzava
molto
tardi
per
evitare
la
spesa
di
una
colazione
regolare
,
e
si
tratteneva
quasi
l
'
intera
giornata
,
spesso
ne
era
l
'
ultimo
cliente
nottambulo
.
I
camerieri
,
cominciando
dal
vecchio
Forina
che
sembra
avesse
fatto
,
in
gioventù
,
qualche
piccolo
prestito
a
D
'
Annunzio
e
dall
'
eternamente
biondo
Leonetti
che
teneva
chilometrici
conti
di
tazze
di
caffè
pagate
con
lunghi
ritardi
,
avevano
per
lui
,
per
quanto
ancora
ignoto
,
un
singolare
affettuoso
rispetto
.
Era
,
fisicamente
,
uno
di
quegli
uomini
che
le
donne
definiscono
«
interessanti
»
.
Pallido
,
quasi
esangue
in
volto
,
assomigliava
vagamente
a
Ruggero
Ruggeri
.
Vestito
poveramente
ma
,
con
un
aggettivo
che
gli
piacque
,
sempre
in
modo
«
decente
»
anche
se
il
suo
guardaroba
fu
spesso
composto
solamente
di
abiti
smessi
dai
suoi
amici
,
nascondeva
con
un
fiero
pudore
una
sua
menomazione
fisica
:
aveva
un
braccio
rinsecchito
e
quasi
paralizzato
da
un
attacco
di
poliomielite
che
da
fanciullo
l
'
aveva
portato
vicino
alla
morte
.
Questo
problema
fisico
aveva
forse
influito
su
certe
asprezze
del
suo
carattere
e
acuito
in
lui
un
senso
di
difesa
che
poteva
essere
affidato
solamente
alla
parola
,
e
alla
polemica
talvolta
bruciante
.
Parlava
con
una
bella
voce
lievemente
velata
,
talvolta
come
trasognato
,
talvolta
irridente
e
tagliente
:
per
l
'
eleganza
della
parola
e
per
la
lucidità
della
sua
polemica
,
lo
chiamavano
scherzosamente
«
l
'
incantatore
di
serpenti
»
.
I
suoi
primi
amici
letterari
-
al
tempo
della
giovinezza
dei
poco
più
che
ventenni
Antonio
Baldini
e
Umberto
Fracchia
e
degli
incontri
con
Emilio
Cecchi
e
con
Armando
Spadini
-
furono
conquistati
,
forse
più
che
dai
suoi
rarissimi
scritti
,
dal
misterioso
incantesimo
della
sua
parola
.
È
probabile
-
nella
sua
camera
ammobiliata
aveva
ben
pochi
libri
,
gettati
alla
rinfusa
in
un
cassetto
del
comò
con
la
sua
scarsa
biancheria
-
che
la
sua
cultura
di
autodidatta
fosse
racchiusa
nella
lettura
di
poche
opere
,
che
lo
fecero
vivere
nel
clima
di
Nietzsche
e
soprattutto
in
quello
di
Leopardi
:
quando
fondò
«
La
Ronda
»
,
lo
indicò
come
il
maggiore
fra
quelli
che
la
rivista
,
indicando
i
maestri
dell
'
alto
stile
italiano
,
chiamava
i
«
convitati
di
pietra
»
.
Cultura
non
molto
diffusa
,
in
una
intelligenza
però
assai
profonda
.
Gran
parte
di
lui
si
esauriva
nei
suoi
colloqui
con
gli
amici
,
e
soprattutto
in
quella
specie
di
lungo
monologo
che
fu
la
sua
vita
.
Le
sue
prime
prose
-
le
pagine
liriche
che
intitolò
poi
I
Prologhi
-
apparvero
poco
prima
della
Grande
Guerra
nella
rivista
«
Lirica
»
,
in
cui
debuttarono
con
lui
giovani
scrittori
come
Antonio
Baldíni
,
Fracchia
,
Rosso
di
San
Secondo
.
La
rivista
doveva
durare
pochi
numeri
:
il
conflitto
portò
alla
sua
sospensione
.
Cardarelli
rimase
quasi
del
tutto
solo
a
Roma
,
nel
caffè
Aragno
reso
deserto
dalla
mobilitazione
.
Il
dannunzianesimo
letterario
decadeva
nell
'
interesse
dei
giovani
,
il
Futurismo
non
aveva
avuto
una
particolare
risonanza
romana
.
Cardarelli
era
rimasto
appartato
nei
confronti
dei
movimenti
di
«
Lacerba
»
e
della
«
Voce
»
.
Scrittore
lentissimo
,
componeva
le
poesie
che
più
tardi
sarebbero
state
riunite
in
sottili
volumi
e
finalmente
raccolte
tutte
da
Mondadori
.
La
salute
sempre
malferma
,
qualche
vicissitudine
d
'
amore
-
nel
piccolo
mondo
delle
Lettere
certe
sue
giovanili
passioni
rimasero
,
per
così
dire
,
storiche
-
l
'
inquietudine
di
uno
spirito
inappagabile
lo
portarono
a
viaggiare
verso
climi
più
propizi
di
quello
degli
inverni
romani
,
a
Venezia
e
in
Riviera
.
Tentò
anche
un
soggiorno
milanese
:
ma
la
nostalgia
di
A
ragno
gli
fece
ben
presto
riprendere
il
treno
.
Egli
era
,
in
verità
,
assai
simile
all
'
enfant
malade
apparentemente
cinico
e
crudele
,
sostanzialmente
melanconico
,
caro
a
certi
romanzieri
crepuscolari
francesi
.
L
'
uomo
era
affascinante
;
per
lui
il
mecenatismo
nasceva
spontaneo
anche
e
soprattutto
da
parte
di
gente
non
ricca
.
Cardarelli
ebbe
sempre
amici
segretamente
pronti
,
e
affettuosi
,
anche
se
il
suo
carattere
era
assai
difficile
.
Appartenendo
alla
razza
dei
déracinés
o
dei
poètes
maudits
,
si
comprendeva
che
la
sua
apparente
infingardaggine
derivava
da
latenti
stati
di
depressioni
melanconiche
.
Le
donne
che
lo
amarono
lo
considerarono
appartenente
alla
razza
degli
«
angeli
caduti
»
,
lievemente
demoniaci
.
Diventava
vanitoso
come
un
fanciullo
,
quando
una
famosa
diva
del
«
muto
»
lo
mandava
a
prendere
con
una
carrozza
padronale
a
due
cavalli
per
conversare
con
lui
di
letteratura
nelle
poltrone
di
un
albergo
romano
a
via
Veneto
.
Poi
capitava
di
vederlo
silenzioso
e
assorto
quando
,
al
crepuscolo
o
alla
notte
,
percorreva
il
lungotevere
per
soffermarsi
a
tentar
di
declamare
a
qualche
venere
vagante
il
Canto
del
pastore
di
Leopardi
,
con
una
aspirazione
tolstoiana
di
redenzione
attraverso
alla
poesia
.
Per
qualche
tempo
,
fu
critico
drammatico
del
«
Tempo
»
,
chiamato
da
Giovanni
Papini
che
al
giornale
di
Filippo
Naldi
aveva
voluto
Bruno
Barilli
e
Ardengo
Soffici
.
La
rapida
scrittura
notturna
,
mentre
la
tipografia
attendeva
impaziente
le
cartelle
,
gli
riusciva
penosa
:
presto
interruppe
quel
lavoro
,
dopo
aver
però
scritto
alcuni
saggi
assai
acuti
su
Shakespeare
,
Ibsen
,
Shaw
e
sul
primo
Pirandello
.
La
fine
della
guerra
gli
restituì
i
suoi
amici
.
Il
conte
Aurelio
Saffi
,
nipote
del
«
quadrumviro
»
della
repubblica
romana
,
si
fece
finanziatore
di
una
rivista
che
si
intitolò
«
La
Ronda
»
.
La
rivista
aveva
un
ufficio
vicino
all
'
Altare
della
Patria
:
Cardarelli
ebbe
finalmente
una
poltrona
,
una
scrivania
,
uno
stipendio
.
Da
Bologna
arrivava
Riccardo
Bacchelli
,
da
Verona
Lorenzo
Montano
:
Baldini
giungeva
in
tram
da
via
dei
Serpenti
,
Emilio
Cecchi
da
corso
Italia
,
Bruno
Barilli
dal
parco
di
Villa
Strolfen
,
Armando
Spadini
dalla
villetta
sul
colle
dei
Parioli
ancora
non
conquistato
dal
pubblico
dei
«
quartieri
alti
»
.
«
La
Ronda
»
ebbe
un
'
importanza
formativa
per
le
generazioni
che
seguivano
quella
«
vociana
»
;
Bacchellí
scriveva
le
tragedie
di
Spartaco
e
di
Amleto
o
saggi
di
politica
liberale
.
Barilli
vi
pubblicava
le
sue
prose
barocche
che
dovevano
influire
persino
sulla
pittura
di
Scipione
.
Comparvero
sulla
«
Ronda
»
i
primi
scritti
di
Savinio
.
Cardarelli
vi
esercitava
la
sua
predicazione
leopardiana
e
,
cercando
di
frenare
i
suoi
umori
polemici
verso
gli
amici
,
visse
comunque
la
sua
stagione
letterariamente
più
intensa
.
I
giovani
lo
guardavano
come
un
caposcuola
.
Fu
il
tempo
più
felice
della
sua
non
felice
esistenza
.
Il
giovane
Malaparte
sospirava
per
sedere
al
suo
tavolo
.
Il
ragazzo
Longanesi
lo
ascoltava
in
silenzio
.
Cardarelli
diventava
persino
gioviale
:
con
gli
amici
,
si
concedeva
qualche
cenetta
nelle
osterie
fuori
porta
e
davanti
ad
un
piatto
di
fave
e
pecorino
parlava
dei
pastori
del
suo
paese
.
Sono
di
quel
tempo
le
sue
prose
più
belle
,
quelle
che
probabilmente
meglio
affideranno
il
suo
nome
alla
storia
letteraria
del
Novecento
:
contenute
in
un
primo
tempo
in
un
piccolo
quaderno
della
Terza
pagina
con
il
titolo
di
Terra
genitrice
e
riprese
poi
quasi
integralmente
in
un
volume
edito
dal
giovane
Leo
Longanesi
con
il
nuovo
titolo
de
Il
sole
a
picco
;
prose
dedicate
alle
memorie
,
quasi
favolose
,
del
paese
della
sua
infanzia
,
evocazioni
di
quelle
terre
dove
aveva
sostato
qualche
anno
prima
,
ignoto
viaggiatore
,
lo
scrittore
inglese
D.H.
Lawrence
.
Cardarelli
aveva
trentasette
anni
:
con
quel
volumetto
longanesiano
ebbe
l
'
affettuoso
alloro
del
premio
Bagutta
di
cui
Cardarelli
attese
nervosamente
il
piccolo
vaglia
a
Roma
.
A
Milano
le
edizioni
di
Bottega
di
Poesia
stamparono
i
suoi
«
Canti
»
,
uno
dei
quali
cominciava
:
«
Domani
ho
quarant
'anni...»
.
«
La
Ronda
»
morì
presto
.
Cardarelli
fece
un
breve
viaggio
in
Russia
e
tentò
di
nuovo
il
giornalismo
che
tanto
lo
affaticava
.
Era
evidente
che
a
soli
quarant
'
anni
le
scarse
forze
della
sua
gioventù
andavano
già
spegnendosi
.
Preso
nel
cerchio
di
una
inquietudine
amara
,
la
sola
forza
che
gli
restava
era
quella
della
sua
malinconica
eloquenza
,
delle
sue
ire
improvvise
.
Più
che
scrivere
pagine
nuove
,
andava
ripubblicando
quelle
vecchie
,
che
pur
non
erano
molte
.
Andava
stentatamente
d
'
accordo
con
i
vecchi
amici
,
nessuno
dei
quali
però
lo
abbandonò
.
Segretamente
aveva
paura
della
povertà
,
ora
che
una
precoce
vecchiaia
andava
avvicinandosi
.
Aspettò
la
nomina
ad
Accademico
d
'
Italia
,
e
non
l
'
ebbe
.
Viveva
in
un
«
letto
di
famiglia
»
in
casa
di
un
cameriere
di
Aragno
.
La
vita
gli
si
mostrò
sempre
più
squallida
.
La
guerra
del
'40
aprì
nel
suo
cuore
di
malato
alti
sgomenti
.
Roma
stessa
non
assomigliava
più
a
quella
della
sua
giovinezza
.
Ogni
tanto
i
compaesani
lo
volevano
con
loro
a
Tarquinia
per
celebrare
in
lui
quello
che
ormai
era
considerato
l
'
ultimo
poeta
della
Etruria
.
Sotto
ad
una
apparente
albagia
,
ammalato
,
incapace
ormai
d
'
ogni
lavoro
,
il
dopoguerra
lo
vide
trasferito
in
una
pensione
di
via
Veneto
,
per
cercare
un
po
'
di
sole
sul
marciapiede
di
destra
che
sembra
la
«
Riviera
di
Roma
»
.
Per
qualche
tempo
,
riuscì
ad
attraversare
la
strada
per
raggiungere
i
banchi
della
Libreria
Rossetti
dove
aveva
gli
ultimi
contatti
con
la
letteratura
vecchia
e
giovane
.
Riceveva
un
piccolo
stipendio
per
dare
il
suo
nome
di
direttore
alla
«
Fiera
letteraria
»
.
Da
Milano
gli
erano
arrivati
aiuti
affettuosi
.
Non
ancora
del
tutto
vecchio
,
Cardarelli
viveva
nel
timore
della
povertà
assoluta
se
la
vecchiaia
si
fosse
prolungata
e
se
la
memoria
della
sua
breve
stagione
di
poesia
si
fosse
spenta
.
Accettava
umilmente
anche
doni
segreti
di
vestiario
,
di
biancheria
,
di
maglie
,
di
scialli
.
La
sua
malattia
,
che
lo
portava
lentamente
all
'
immobilità
,
gli
gelava
le
vene
.
In
piena
estate
,
con
tre
cappotti
addosso
,
durante
lo
scirocco
romano
,
Cardarelli
aveva
freddo
come
in
Siberia
.
Quando
,
in
un
torrido
settembre
partenopeo
,
ricevette
,
assieme
a
Dino
Buzzati
,
il
Premio
Napoli
,
volle
in
albergo
una
stufa
elettrica
e
dormì
senza
levarsi
da
dosso
i
pastrani
per
non
morire
,
diceva
,
assiderato
.
Due
amici
lo
portarono
in
braccio
su
per
le
scale
e
attraverso
i
saloni
del
Palazzo
Reale
per
la
consegna
del
Premio
.
La
voce
gli
si
era
fatta
fioca
ma
aveva
ancora
qualche
soffocato
accento
di
disagio
e
di
polemica
se
non
addirittura
d
'
ira
caparbia
.
A
sentire
che
non
poteva
più
reggersi
in
piedi
,
gli
occhi
alteri
si
riempivano
di
malfrenate
lagrime
.
Bisogna
dire
che
la
morte
ha
avuto
alla
fine
pietà
di
lui
,
per
lasciare
a
noi
che
lo
ascoltammo
,
che
lo
leggemmo
,
che
lo
amammo
,
il
puro
acquetato
e
limpido
ricordo
della
sua
anima
di
poeta
,
lampeggiante
nel
mesto
profilo
di
un
'
esistenza
amara
e
melanconica
come
di
chi
avesse
troppo
a
lungo
respirato
l
'
aura
mortale
delle
tombe
trimillenarie
delle
genti
etrusche
.