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Di Giacomo Salvatore ( Vergani Orio , 1949 )
StampaQuotidiana ,
Cerco di ritrovare , per le vie di Napoli , la figura di Salvatore Di Giacomo . Mi dice un amico : « Sta nell 'aria...» . Si guarda attorno , fa un cenno , indica qualcosa con un gesto circolare . È vero . Sta nell ' aria , il suo monumento è la strada di Napoli , il vicolo di Napoli , è la « tavernella » , è il « munasterio » è il « funndeco » di Napoli : è il sole , è l ' acqua , è lo scoglio , è il pino di Napoli . Bellissima convinzione : un po ' retorica . Napoli non ha fatto molto per il suo poeta . Gli ha dedicato una strada verso Posillipo e una lapide sotto alla finestra di « Marechiare » in ricordo di quella canzone tanto bella , scritta a diciotto anni , e la cui fama , mi hanno detto , un po ' lo infastidiva . Le proposte per onorare Di Giacomo non sono mancate : intelligenti , affettuose , entusiastiche . Si partì dalla semplice idea di un busto , si arrivò a quella di dedicare al suo ricordo un boschetto o una esedra arborea sul colle di Posillipo . Altri propose che le sue spoglie fossero collocate accanto a quelle di Giacomo Leopardi ; e subito qualcuno ricordò , sia pure a bassa voce , i dubbi sull ' autenticità delle ossa di Leopardi , di quel povero scheletro cui mancherebbe addirittura la testa . Città , più dolorosa che lieta , mi pare Napoli , piena di crucci , di affanni , di disastri cui è difficile rimediare . Le perle e le melanconie dei vivi sono tante che forse non si ha tempo di pensare a quelle dei morti , che forse vivono già nell ' eterna serenità . Un anno dopo la morte del poeta una lapide , è vero , fu collocata sulla casa dove era nato . Poi venne la guerra e vennero le incursioni aeree . Quella casa è stata colpita , è crollata , per un miracolo era rimasto in piedi il pezzo di muro dove era collocata la lastra di marmo . In mezzo a quello sfacelo e sotto le altre incursioni , la lapide restava , alla meglio , appiccicata a quel rudere . Poi cadde anche lei ; sparì : non si sa , naturalmente , dove sia andata a finire . Anche al numero 107 di via Santa Lucia , dove abitò gli ultimi anni della sua vita , di fronte a quella chiesa della Madonna della Catena dove vanno a pregare tutte le donnette del quartiere , il cui nome ricorre in ogni poesia e in ogni canzone napoletana , non c ' è un segno di ricordo . Forse era fatale che fosse così . Non si possono trasformare in musei degli appartamenti piccolo - borghesi , come quello in cui visse Di Giacomo , come tutti gli altri scrittori del suo tempo e non solamente napoletani . Non avevano , quegli scrittori , ville , eremi , Capponcine e Vittoriali . In una casa con cento finestre , come si può « eternare » la finestra di un poeta ? Mi dicono : « È nell 'aria...» . Di Giacomo ha i suoi fedeli , che credo siano tutti , o quasi , gente fra i cinquanta e gli ottant ' anni , legati al suo ricordo , oltre che dalla grandezza della sua poesia , anche da una certa nostalgia per la Napoli della loro gioventù , la « vecchia Napoli » , la cui vita intellettuale dava ancora dei punti a quelle di tutte le altre città italiane . Leopardi l ' aveva esaltata , moribondo , con il canto della Ginestra : Francesco De Sanctis aveva fatto da Napoli il dono all ' Italia intera di quella Storia della letteratura che , all ' Italia unita da pochi anni , aveva fatto per la prima volta intendere l ' unità dello spirito italiano attraverso i secoli . A suo modo , l ' Ottocento intellettuale di Napoli assomigliava , nella varietà e nella fecondità dei suoi aspetti , all ' Ottocento di Parigi , a quello che fu chiamato lo « stupido » Ottocento ' e che era invece - ce ne accorgiamo adesso a metà del Novecento - il prodigioso Ottocento . È probabile che Di Giacomo debba essere spogliato di un suo fogliame ottocentesco , liberato da una sorta di macchiaiolismo per far venire in luce tutto ciò che giustamente di virgineo e di greco fu trovato nella sua arte ed in talune sue illuminate sillabazioni di fremiti e sussurri . Fatto il lavoro di cernita , spogliata l ' ammirazione per lui del fatto affettuoso , il poeta resterà , e certamente in molte parti grandissimo e di misura italiana fra le più nobili . Segno di questa sua vitalità e di questa sua insostituibilità è il fatto che , a Napoli , per chi arriva da fuori , il suo nome e la sua opera sono ancora il miglior punto di orientamento quando ci si accorge subito che , dopo di lui , non è più il caso di parlare di « poesia napoletana » , essendo ormai spenti anche tutti i suoi rivali e i suoi epigoni . È nell ' aria anche un ' eredità non raccolta nel paese dove i Russo , i Bovio , i Murolo non hanno avuto una discendenza , né si pretende che possano averla , poiché anche la poesia ha le sue stagioni e non si può farla rinverdire artificialmente . Quella cara stagione è finita , quel giardino è chiuso : ma lo sentite come , dietro al muricciolo , profumano ancora i fiori della poesia di Di Giacomo ? Sono andato , una sera dopo il tramonto , a salutare la vedova del poeta , donna Elisa Di Giacomo , nella sua casa affacciata sui giardini della Riviera di Ghiaia . Donna Elisa era di almeno vent ' anni più giovane del poeta - bibliotecario quando , studentessa di lettere , andò da lui , in biblioteca , per chiedergli alcuni consigli su una tesi di laurea . Fu lei che , furtiva , depose sul tavolo del poeta un mazzolino di viole o di ciclamini . Salvatore viveva con la madre , era un vecchio ragazzo sentimentale e inquieto , molto timido forse sotto il suo largo cappello alla guappa . La studentessa dovette attendere assai prima che il poeta riuscisse a compiere il gran passo . Passeggiavano al sole , per via Caracciolo . Ad una parete della stanza c ' è un ' istantanea in cui la signorina Elisa ha tutta la grazia di un tempo in cui il sorriso della donna che si teneva a braccio del suo futuro sposo aveva la luce di un sentimento che oggi può sembrare ottocentesco e che si chiama Fiducia . Prima di diventare la sposa , fu la donna della poesia di Don Salvatore , quella dei malinconici struggimenti e degli inquieti sospiri , quella che a maggio saliva alla tavernella ' ncopp ' Antignano . Stamno a na tavulclla / tutte e dduie . Chiavo chiano / s ' allunga sta manella / e m ' accarezza ' a mano ... Adesso la signorina Elisa di un tempo è Donna Elisa , la professoressa che è andata quest ' anno in pensione , sottile nella figura , arguta nel volto . Vive sola al secondo piano di uno dei tanti vecchi solenni palazzi nobili di Napoli che hanno tutti , nel cortile e negli scaloni semibui , non so quale aria conventuale . In un nobile silenzio , vive con le finestre aperte su questa Napoli molto affettuosa ma - penso io - un po ' distratta , la buona signora che si vide morire fra le braccia , con lunghi anni di malattia , il vecchio poeta intristito . Questa è la Madonna di Di Giacomo : e quello lì , in quel disegno a penna di Paolo Vietri , il genero di Morelli , è lui , come era a diciotto anni .