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Leo Longanesi ( Vergani Orio , 1959 )
StampaQuotidiana ,
Il mio primissimo ricordo di Longanesi risale lontano , ai tempi , attorno al 1925 , di una gita notturna da Bologna a Ferrara . Quanti anni aveva ? Una ventina . Non credo avesse terminato gli studi regolari : era piccolo di statura - i tre « piccoli » di Roma , quando vi si trasferì , erano , con lui , il pittore Bartoli e il pittore Maccari , che allora si arrangiava a far della modesta « cucina » giornalistica - , aveva , nel viso pallido di autodidatta , due occhi che sembravano pronti solamente all ' ironia o alla rissa . Il braccio , entro la manica dell ' abito scuro , lo sentii solido : la mano gentile , ma , nella stretta , dura . In sei dentro l ' automobile che ci portava a Ferrara con gran rumore di ferraglia e inquietanti sobbalzi , non s ' era sentito parlare che lui , il ragazzaccio seduto su uno strapuntino . A Ferrara ci aspettava l ' Alfonsa , un ' ostessa che pareva la sorella dell ' Esopo di Velázquez , cucinando una salama da sugo e , sulla soglia dell ' osteria , un candido ottuagenario , il professor Agnelli che qualche decennio prima aveva ricevuto dalle mani di Giosuè Carducci l ' autografo dell ' ode che dice : «...o Ferrara bella ne la splendida ora d ' Aprile - : ama il memore sole tra solitaria pace ... » ; avvenimento che aveva reso tremulo e orgoglioso per tutta la vita il buon umanista ferrarese . Subito dopo la salama da sugo , il vecchio professore ci aveva portato davanti al palazzo della Biblioteca , aveva tirato fuori un mazzo di chiavi , ci aveva fatto salire al primo piano alla luce di una lanterna cieca , e , aperto con una minuscola chiavetta un armadio vetrato , ne aveva tirato fuori un ' ampolla entro la quale galleggiava in un misterioso liquido brodoso , un « precordio » , il cuore di Vincenzo Monti . Apparizione macabra che il ventenne bolognese mi commentò con un furtivo colpo di gomito . Letterato , in quegli anni , Longanesi non lo era affatto e , del resto , non lo fu mai : ma , fra i primi libri che aveva pubblicato , Dio sa a costo di quali debiti e di quali prestiti che gli faceva la mamma , c ' era stato un volume di Bacchelli , litteratissimo . Pittore non era - le sue prime caricature avevano ancora una grafia studentesca - ma aveva « scoperto » Giorgio Morandi . Anche come artista grafico era alle prime esperienze : aveva stampato , a sedici anni , una rivistina con la copertina di carta azzurrina , di quelle leggere e lievemente spugnose , che si usavano per stampare i « pianeti » della fortuna . Aveva meno di vent ' anni ed era in corrispondenza con Ardengo Soffici . Si era salvato , per la minore età , dal contagio di certo futurismo provinciale . Non era ancora nato all ' epoca dei trionfi di De Carolis e di Sartorio . Sua mamma l ' aveva messo al mondo in tempo sicuro per salvarlo dalle suggestioni del michelangiolismo e del liberty . Quando buona parte dei ragazzi italiani che prendevano la penna in mano pitigrilleggiavano , Longanesi aveva probabilmente letto gli elzeviri di Alfredo Oriani ritagliati da suo padre nel « Carlino » . Nel suo mondo non c ' era nessun residuo di « pascoliamo » , nessuna tendenza all ' intenerimento e alla poetica melanconia professionale dei minori pascoliani . Questo straordinario improvvisatore maturò alla letteratura molto lentamente , intento , prima di tutto , a scoprire il proprio mondo e la scala dei suoi sentimenti e il suo talvolta stridente movimento di contraddizioni . Intanto , la sua vocazione era soprattutto quella del lettore : non avendo la possibilità di scrivere « L ' Italiano » tutto da solo , trovò i suoi compagni e anche i suoi maestri , talvolta scrittori di una certa pigrizia : e gli uni e gli altri stimolava a scrivere , sino a creare sotto agli occhi della gente , senza che quasi nessuno in principio se ne accorgesse , non solo uno « stile Longanesi » ma addirittura una « scuola » che poteva portare il suo nome , quando , in pratica , egli non aveva scritto ancora che un piccolo mucchio di paginette quasi clandestine . Per non vivere a carico dei genitori che aveva trascinato a trasferirsi a Roma , si « arrangiava » in ogni maniera e in ogni mestiere affine alle Lettere , alla tipografia , alla Pittura , al Teatro . Disegnò anche , fra l ' altro , i caratteri per le scatole e le bustine di sigarette del Monopolio di Tripoli . Fra gli scrittori che s ' era portati avanti sottobraccio basterà ricordare Ansaldo , Buzzati , Soldati , l ' americano Furst . Ad ogni numero , l ' uscita dell ' « Italiano » era un ' avventura . Preso nel giro di cento tentazioni dell ' intelligenza , amico della discussione al caffè , fra nuvole di fumo di sigarette , seduto sul divano foderato di tela color pulce del vecchio Aragno dove s ' era spento l ' ultimo anelito della « Ronda » e dove Malaparte aveva inutilmente tentato di ridar vita a « La Voce » , Longanesi non ebbe forse mai il tempo di fare , della letteratura , un preciso mestiere di romanziere , di novelliere o di elzevirista . Questo amico , laudatore e resuscitatore di un Ottocento rivissuto in una nostalgia di ordine e di pulizia morale , non poteva trovare i suoi maestri fra gli scrittori dell ' ultimo e del medio Ottocento , che gli aveva dato il gusto della bella tipografia al di fuori dei canoni neoclassici del Bodoni , in un clima di stampa popolaresca e clandestina come era stata quella del '48 . Dove poteva trovare , se mai , questi maestri di un impressionismo e , più di tutto , di un dramma dell ' Ottocento ? Nelle conversazioni del Doctor Veritas , nelle critiche sapienti di Panzacchi , fra i moribondi di Palazzo Carignano di Petruccelli della Gattina ; fra le complicazioni etimologiche e il breve narcisismo del Dossi ; nei monologhi di Gandolin ; nelle arguzie bonarie di Jarro ; negli acquerelli di Anton Giulio Barrili ; nel Cantoni , in Rernigio Zena , nelle novelle di Camillo Boito ? Se mai qualche tono , forse senza averli letti , poteva avvicinarlo a certe pagine garibaldine di Nino Costa e di Eugenio Checchi e dell ' Abba . Purtroppo lo spettacolo che gli offriva la patria non aveva , dal punto di vista morale , molto di eccitante , ispirando piuttosto il dissidio , il dubbio , lo scatto d ' ira anche se la giovinezza induceva allo sforzo di credere . Per impegnarsi in una precisa opera narrativa gli mancava lo specchio di una società che avrebbe forse potuto fare di lui un piccolo Balzac , tanta si rivelò poi la forza concisa di certi ritratti di piccoli o di grassi borghesi . La sua ispirazione più diretta l ' aveva , mi sembra , da certe noie e melanconie di quella giornata ispiratrice di tutto un secolo di letteratura , che è la domenica : era la solitudine in cui si ritrovava con tanto spleen quest ' uomo facondo , dalla frenetica mimica , dall ' intenso gusto dell ' imitazione caricaturale che , in altri ambienti , avrebbe fatto di lui un vivacissimo attore . Ad osservarlo bene il suo mondo fu un mondo di rovine : Longanesi si muove in uno scenario di ruderi , che non sono quelli del Foro Romano fra cui si aggirava Goethe , ma che si rivelavano al suo occhio come i ruderi di una civiltà cosiddetta moderna , con cento tare e cento vizi : come se attorno gli fosse crollata la Roma di Corso Vittorio , di Via Cavour , di Piazza Termini , le architetture dei Ministeri e dei ponti falsamente trionfali sul Tevere . Letterato di « rovine » , come di rovine vere o immaginarie erano stati pittori e incisori , il Pannini e il Piranesi . Tra quei selci , fra quei cementi armati , fra le casupole di Via del Gambero e le grigie palazzate dei Lungotevere , correvano , galoppavano , si acquattavano nel polverone piccoli uomini dai cento sotterfugi e dalle mille vanità e bugie , falsamente rigorosi , segretamente lascivi . Non ebbe mai fretta di scrivere : aveva molto più fretta di insegnare e , in silenzio , per se stesso , di provarsi e di sperimentarsi . Forse più che nel largo « Museo Grevin » del costume e della storia politica , i suoi umori desolati ed amari si filtravano più essenziali in certe note di diari che avrebbero potuto far di lui il Renard italiano . La sua vita aveva avuto ore molto dure : si stava rifacendo le ossa a Milano che gli fu amica generosa : forse credeva di avere molto , moltissimo tempo davanti a sé . Si preparava , un giorno o l ' altro , a rimboccarsi le maniche , mandando , per le Lettere e per la Pittura , ogni altra cosa a carte quarantotto . Non si accorgeva di correre su una rotaia che , ad un certo punto , si interrompeva . Si trovò , senza più un battito del cuore , su una sedia del suo ufficetto di Via Bigli . Le idee di cento libri che avrebbe suggerito di scrivere ai suoi amici restarono ferme in quella sua pallida immobilità che sembrò tanto , tanto strana , tra pacchi di ingiallite fotografie del tempo umbertino e di antiche vignette di Costantin Guys e di Daumier .