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Le parole e la musica ( Montale Eugenio , 1949 )
StampaQuotidiana ,
Le parole messe in musica , le parole cantate non piacciono ai più raffinati cultori dell ' arte dei suoni . Fra coloro che ancora le sopportano , molti preferiscono le forme corali , in cui la parola sparisce , altri amano che della voce giunga solo l ' arabesco sonoro , senza che alcuna sillaba si distingua , altri ancora ( i meno ) vorrebbero che la parola musicata giungesse a noi sempre scandita , chiara , intelligibile . Sono i partitanti del così detto « recitar cantando » , italianissimo precetto . Mi unirei volentieri a questi ultimi se il gioco valesse come suol dirsi la candela , se fossi certo che la musica può in certi casi far sprizzare dalla poesia , che in se stessa è già musica , una musica di secondo grado degna , o non indegna , della prima . So di sfiorare un problema sul quale esiste tutta una letteratura , che purtroppo conosco solo in minima parte . È musicabile la poesia ? E qual genere di poesia ? E fino a che punto ? E in quale misura le parole dovranno conservare la loro autonomia e lasciarsi intendere dall ' ascoltatore ? In genere la recente tradizione operistica ha ignorato il problema e ha considerato la parola come il necessario pretesto a far sì che lo strumento « voce umana » possa entrare nel gioco degli altri strumenti e farsi valere . Ma esiste anche una scuola che va dai nostri grandi cinquecentisti fino a Debussy e magari fino allo Schönberg di Pierrot lunaire , e che pretende di avere un rispetto assoluto della parola , di creare ad essa il giusto prolungamento o alone sonoro , senza distruggerne l ' individualità . Questi teorici , più o meno consapevoli , del canto recitato hanno però finito con l ' ammettere che solo una « certa poesia » è musicabile e la scelta dei loro testi rivela chiaramente ch ' essi si sono quasi sempre posti sulla via del compromesso . Musicavano una volta ballatette , poesiole d ' Arcadia , strofette scritte apposta per la musica ; affrontano oggi drammi di scarso valore poetico ( Pelléas et Mélisande ) o liriche di una vacuità addirittura inconcepibile , come la suite del Pierrot lunaire , opera di un Albert Giraud che deve al musicista viennese il suo insperato repéchage . Il peggior partito fu quello preso dai musici che scrissero da sé i propri testi o libretti : incerti fra la doppia vocazione , poetica e musicale , essi si lasciarono ipnotizzare da parole orrende e solo si salvarono permettendo che le voci andassero sommerse nella selva del grande golfo mistico . Fa eccezione , parzialmente , Riccardo Wagner , ma ciò avviene per la superba natura del suo genio , e non perché in lui non si avverta una soverchiante prepotenza subìta dalla parola . Se dal piano delle scuole e delle teorie ci spostiamo all ' osservazione dei fatti , noi vediamo che almeno dall ' Ottocento in poi un sapiente compromesso regola tutte le esecuzioni di musica vocale . Fatta eccezione per moltissimi Lieder o romanze da camera , o per qualche recitativo d ' opera comica , o per alcuni superbi frammenti del Boris , la soluzione pratica del difficile problema è sempre la stessa ; le parole ci sono e non ci sono , si sentono e non si sentono , aiutano o danneggiano l ' effetto , a seconda dei casi . Si è formata , anche in questo campo , una tradizione che i migliori interpreti rispettano quasi d ' istinto . È doveroso far sentire le parole in certi miracolosi « attacchi » che anche poeticamente hanno una freschezza primaticcia degna del nostro Duecento ( « Casta Diva che inargenti ... » , « La rivedrà nell ' estasi / raggiante di pallore ... » ) o all ' inizio di qualche incalzante proposta tematica ( « Fuggi fuggi , per l ' orrida via / sento l ' orma dei passi spietati ... » ) . In altri casi tutto è affidato all ' intuizione e alle possibilità dell ' artista . I ghirigori acrobatici di Rosina non possono essere pronunciati come le sillabe di un Lied di Schubert ; è giusto che Vasco de Gama liberi dal vago tremolo orchestrale le suggestive parole « O paradiso dall ' onde uscito » , ma è altrettanto lecito che il grande navigatore ci nasconda gli ulteriori sviluppi della sua sorpresa , specie quand ' essi restano affidati alla sola forza di penetrazione del si naturale o del do sopra le righe . L ' invettiva di Rigoletto « Solo per me l ' infamia » è un suono di gong più che un suono di sillabe umane : guai a pronunciare troppo , guai a turbare la piena rotondità di quel rombo da giorno del Giudizio . Viceversa , tutte le volte che un tema è annunciato in anticipo da uno o più strumenti , l ' attacco delle prime parole deve riuscire nitidissimo . Quando il vecchio Sir Giorgio , nei Puritani , incide a gran voce « Il rivale salvar tu puoi ... » , il pubblico è felice di sentire incarnarsi in parole un disegno melodico a lui già noto : ma subito dopo le acque si intorbidano e il tema , ripreso da una voce troppo uguale , quella di Sir Riccardo , non riesce a far corpo con le parole come « Fu voler del Parlamento » , che fanno veramente cascar l ' asino . Non che sia un verso peggiore di tanti altri ; ma le parole troppo astratte o troppo tecniche o troppo specifiche sopportano male la musica ; ed evidentemente questo quasi carducciano parlamento non fa eccezione . ( È una delle tante meritate disgrazie dell ' istituto parlamentare ; ma lasciamo correre ... ) I problemi della parola in musica , del recitar cantando o del cantare non recitando affatto restano dunque aperti e insolubili : Mussorgski , Debussy e alcuni autori di canti negri sembrano , fra i moderni , coloro che meglio sono riusciti a legare il suono alla parola , ma la loro personalissima soluzione non può valere per tutti . Sono esistiti , e speriamo ne sorgano altri in avvenire , grandissimi musicisti del teatro che si servono della parola scritta come d ' un semplice punto d ' appoggio : Mozart , Bellini e Verdi , per esempio . Il loro ideale non era quello di Strawinski , una lingua morta , un testo latino quasi indecifrabile al gran pubblico , ma un discorso chiaro e neutro al quale si potesse far violenza . Ciò resta vero anche se Mozart amò i libretti dell ' abate Da Ponte e Bellini quelli di Felice Romani . E Verdi ? Si è un poco esagerato sugli orrori delle parole da lui musicate . « L ' orma dei passi spietati » , tristamente famosa , non riesce a muovermi a sdegno . Guai se leggessimo Shakespeare a questa stregua : non venitemi a dire , per carità ! , che l ' orma si vede e non si sente . D ' altronde anche i vecchi libretti , fatti apposta per essere musicati , confermano , quando toccano qualche espressione riuscita , che poesia e musica camminano per conto proprio e che il loro incontro resta affidato a fortune occasionali . Peggio quando raggiungono involontariamente il clima del surreale . Conoscevo un uomo ( un uomo in tutto il resto normalissimo ) che provava il bisogno di ripetere da cento a centocinquanta volte al giorno un verso che era diventato il suo intercalare favorito : « Stolto ! ci corre alla Negroni ! » . Lo diceva anche al telefono , in conversazioni di carattere commerciale . Quando gli rivelai che si trattava della Lucrezia Borgia egli impallidì , geloso del suo segreto , e mi disse che mai avrebbe sentito quell ' opera per non provare la delusione di una musica soprammessa alle sue « divine parole » . Scansato da tutti come un appestato , egli finì per stringere amicizia con un tale che ripeteva a intermittenza « La nostra tomba è un ' ara » ( variante della foscoliana « vostra tomba » ) e con un terzo maniaco che aveva scelto il più lungo intercalare ch ' io ricordi : « Speriamo di morire prima che le Pleiadi si colchino » . Doveva essere un classicista a spasso , un professore in pensione . I tre uomini , vistisi porre al bando per la loro incorreggibile , benché innocua ed epigrafica , ecolalia , finirono per incontrarsi clandestinamente in una camera d ' affitto dove potevano emettere a ripetizione il loro verso preferito ; e dove poi ( il fatto avvenne una quindicina d ' anni fa ) furono arrestati , accusati di congiurare contro il regime e proposti per il confino . Dopo tale disavventura il trio si sciolse e oggi non saprei dire se qualcuno dei suoi componenti sopravviva . Inconsapevoli testimoni della magica autosufficienza della Parola , i tre sventurati sarebbero assai sorpresi di riconoscersi in uno scritto che sfiora , ma non pretende di risolvere la vessata questione dei rapporti , coniugali ed extra - coniugali , tra il Verbo e la Musica .