StampaQuotidiana ,
Viktor
Frankl
,
un
medico
psichiatra
che
passò
parecchi
anni
nel
campo
di
concentramento
di
Auschwitz
,
racconta
che
il
desiderio
di
riscrivere
un
libro
il
cui
manoscritto
gli
era
stato
confiscato
e
distrutto
al
suo
ingresso
nel
campo
,
fu
il
fattore
decisivo
che
gli
consentì
di
sopravvivere
,
mentre
intorno
a
lui
soccombevano
molti
suoi
compagni
di
prigionia
dotati
di
robustezza
fisica
maggiore
.
Questo
fatto
,
che
non
è
isolato
,
sembra
mostrare
che
,
quando
la
vita
ha
un
significato
,
è
più
facile
per
l
'
uomo
sopportarne
i
pericoli
e
le
durezze
e
che
perciò
il
problema
del
significato
della
vita
è
,
per
ogni
uomo
,
il
problema
fondamentale
,
quello
da
cui
dipendono
la
sua
sopravvivenza
,
il
suo
equilibrio
e
la
sua
felicità
.
Ma
questo
problema
ha
,
rigorosamente
parlando
,
un
«
significato
»
?
In
un
libro
recente
Huston
Smith
,
professore
di
filosofia
nel
Massachusetts
Institute
of
Technology
(
Condemned
to
Meaning
,
New
York
,
1965
)
,
ha
messo
in
luce
la
situazione
paradossale
in
cui
si
trova
oggi
la
filosofia
di
fronte
a
questo
problema
.
Da
un
lato
gli
antropologi
,
gli
psicologi
,
i
teologi
e
i
filosofi
esistenzialisti
riconoscono
l
'
autenticità
del
problema
e
lo
ritengono
ineludibile
,
anche
se
le
soluzioni
da
essi
apprestate
sono
diverse
e
non
convincenti
.
Dall
'
altro
lato
(
e
soprattutto
nei
paesi
anglosassoni
)
i
filosofi
analisti
ritengono
che
il
problema
del
significato
della
vita
sia
uno
pseudo
-
problema
derivante
dall
'
uso
improprio
della
parola
«
significato
»
:
la
quale
appartiene
alla
sfera
linguistica
,
per
cui
si
può
parlare
del
significato
di
un
termine
o
di
una
espressione
,
non
della
vita
nel
suo
complesso
.
I
primi
considerano
solo
il
significato
esistenziale
,
i
secondi
solo
il
significato
linguistico
:
i
primi
si
occupano
delle
situazioni
della
vita
,
dei
problemi
che
esse
presentano
e
delle
soluzioni
che
prospettano
;
i
secondi
si
occupano
delle
situazioni
linguistiche
,
delle
loro
confusioni
e
delle
possibilità
di
chiarirle
.
Il
libro
di
Huston
Smith
vuole
in
qualche
modo
mediare
i
due
punti
di
vista
che
abitualmente
rimangono
separati
e
non
entrano
neppure
in
dialogo
:
intende
mostrare
che
una
trattazione
analitica
è
possibile
,
entro
certi
limiti
,
anche
nella
sfera
del
problema
che
concerne
il
significato
della
vita
.
Ovviamente
,
questo
tentativo
suppone
che
tale
problema
sia
autentico
,
cioè
che
non
si
riduca
a
una
confusione
linguistica
.
Huston
Smith
ritiene
che
l
'
autenticità
di
esso
risulta
provata
dall
'
importanza
che
il
problema
riveste
nella
vita
di
ogni
uomo
:
perché
la
perdita
o
l
'
assenza
di
significato
,
cioè
di
uno
scopo
per
cui
valga
la
pena
di
vivere
,
lottare
e
soffrire
,
determina
spesso
(
come
psicologi
e
antropologi
mettono
in
luce
)
squilibri
,
infelicità
e
pazzia
o
,
nel
migliore
dei
casi
,
la
perdita
o
la
diminuzione
del
gusto
di
vivere
.
Egli
ha
perciò
dato
al
suo
libro
il
titolo
Condannato
al
significato
:
una
espressione
di
Merleau
-
Ponty
,
riferita
all
'
uomo
,
che
significa
l
'
impossibilità
per
l
'
uomo
di
vivere
senza
dare
un
significato
alla
vita
.
Ma
Smith
ritiene
pure
che
il
significato
della
vita
l
'
uomo
deve
in
qualche
modo
costruirlo
:
cioè
che
esso
non
è
un
dato
,
ma
un
risultato
da
ottenere
attraverso
un
'
attività
che
investe
le
manifestazioni
della
vita
e
le
porta
a
ordinarsi
e
organizzarsi
in
modo
da
costituire
modelli
significanti
.
E
come
Kant
parlò
di
categorie
intellettuali
che
presiedono
alla
nostra
costruzione
del
mondo
conoscitivo
,
così
Smith
parla
di
categorie
di
significati
che
permettono
all
'
uomo
di
organizzare
la
struttura
delle
sue
esperienze
,
che
altrimenti
rimarrebbero
caotiche
e
prive
di
scopo
.
Queste
categorie
di
significato
sono
:
l
'
inquietudine
o
angoscia
;
h
speranza
;
lo
sforzo
,
cioè
la
capacità
di
trascendersi
e
di
tendere
a
qualcosa
che
non
esiste
ma
può
esistere
;
la
fiducia
,
cioè
il
senso
di
essere
aiutato
o
garantito
nello
sforzo
dall
'
ordine
delle
cose
;
e
infine
il
mistero
,
cioè
il
senso
di
una
realtà
che
non
può
essere
attinta
attraverso
le
vie
normali
della
conoscenza
.
Bisogna
subito
dire
che
queste
categorie
appaiono
inadeguate
alla
funzione
,
cui
Smith
le
destina
,
di
costruire
un
mondo
di
significati
.
La
prima
,
cioè
l
'
angoscia
,
non
è
una
categoria
,
ma
piuttosto
lo
stato
o
la
condizione
di
chi
si
sente
privo
o
povero
di
possibilità
a
venire
e
pertanto
non
riesce
a
dare
un
significato
alla
vita
.
Le
altre
sembra
che
presuppongano
questo
significato
piuttosto
che
renderlo
possibile
:
giacché
,
come
si
fa
a
sperare
,
a
sforzarsi
per
uno
scopo
,
ad
aver
fiducia
nel
mondo
e
a
credere
in
una
realtà
misteriosa
,
se
già
non
si
è
certi
del
significato
che
la
vita
possiede
?
D
'
altronde
,
se
la
vita
ha
il
significato
che
noi
stessi
chiediamo
,
questo
non
implica
forse
che
essa
è
,
in
se
stessa
,
priva
di
significato
?
Smith
risponde
a
quest
'
ultima
domanda
asserendo
che
il
significato
della
vita
non
è
né
imposto
all
'
uomo
dai
fatti
,
né
imposto
dall
'
uomo
ai
fatti
stessi
:
non
è
,
in
altri
termini
,
né
oggettivo
né
soggettivo
,
ma
alcunché
di
intermedio
,
come
qualsiasi
costruzione
umana
che
,
se
utilizza
gli
elementi
e
le
leggi
della
natura
,
non
è
tuttavia
opera
totale
della
natura
ma
dell
'
uomo
.
E
questa
risposta
sarebbe
valida
se
sapessimo
qualcosa
in
più
su
ciò
che
deve
intendersi
per
«
significato
della
vita
»
.
In
realtà
il
tentativo
di
Smith
si
ferma
alla
difesa
di
un
'
esigenza
generica
,
ma
non
entra
a
esaminare
la
natura
specifica
dei
«
significati
»
che
la
vita
può
avere
.
E
di
«
significati
»
si
tratta
,
non
di
«
significato
»
.
Per
illuminante
e
tipico
che
possa
essere
il
caso
del
medico
Frankl
nel
campo
di
Auschwitz
,
nessuno
lo
generalizzerebbe
asserendo
che
,
per
qualsiasi
uomo
,
lo
scopo
della
vita
è
di
riscrivere
(
o
scrivere
)
un
libro
.
Ciò
che
per
un
uomo
è
ragione
di
vita
,
per
l
'
altro
è
motivo
di
fastidio
o
di
noia
.
Esistono
,
senza
dubbio
,
significati
partecipabili
da
gruppi
più
o
meno
estesi
di
individui
umani
,
e
sono
quelli
su
cui
fanno
leva
le
grandi
religioni
e
le
filosofie
popolari
.
Ma
è
molto
dubbio
che
esista
un
unico
,
totale
,
esauriente
significato
della
vita
ed
è
molto
dubbio
che
una
filosofia
qualsiasi
sia
in
grado
di
«
costruirlo
»
.
Ciò
che
la
filosofia
può
fare
consiste
sostanzialmente
nell
'
aiutare
l
'
uomo
,
ogni
singolo
uomo
,
a
scoprire
o
a
costruire
da
sé
il
significato
della
vita
:
chiarendo
in
forma
oggettiva
,
sulla
base
degli
elementi
positivi
del
sapere
di
cui
disponiamo
,
la
sua
situazione
nel
mondo
e
fra
gli
uomini
,
la
struttura
e
i
limiti
delle
sue
possibilità
,
le
minacce
che
incombono
su
di
lui
e
le
prospettive
di
riuscita
meno
ingannevoli
e
più
feconde
.
Essa
può
anche
delucidare
la
natura
e
i
limiti
della
scelta
che
si
offre
a
ogni
individuo
tra
i
significati
specifici
che
la
vita
può
offrirgli
;
ma
,
quanto
a
questa
scelta
,
nessuno
può
farla
per
un
altro
.
Proprio
in
ciò
sta
l
'
insegnamento
della
filosofia
esistenzialistica
,
cui
Huston
Smith
fa
troppo
imprecisi
riferimenti
.
Quando
i
filosofi
analitici
negano
(
ma
ormai
lo
negano
sempre
più
di
rado
)
che
il
problema
dell
'
esistenza
sia
autentico
,
intendono
semplicemente
asserire
che
gli
strumenti
linguistici
di
cui
l
'
uomo
dispone
non
consentono
di
parlarne
e
che
pertanto
(
come
diceva
Wittgenstein
)
«
di
ciò
di
cui
non
si
può
parlare
,
si
deve
tacere
»
.
Essi
partono
cioè
da
una
teoria
del
linguaggio
il
quale
,
considerato
come
una
specie
di
immagine
dei
fatti
del
mondo
,
non
offre
la
possibilità
di
parlare
di
altro
che
di
tali
fatti
.
La
risposta
alla
loro
negazione
non
si
può
quindi
ottenere
asserendo
l
'
importanza
generica
del
problema
dell
'
esistenza
,
ma
facendo
appello
a
un
'
altra
teoria
del
linguaggio
:
a
una
teoria
che
,
senza
sfumare
nel
vago
e
nel
mistero
,
renda
possibile
affrontare
le
condizioni
specifiche
di
quel
problema
con
ordine
e
correttezza
.
Questa
teoria
del
linguaggio
è
,
oggi
,
più
un
desiderio
che
una
realtà
;
è
tuttavia
il
presupposto
per
ridare
alla
filosofia
il
suo
carattere
umano
.