StampaQuotidiana ,
Quando
a
Socrate
,
che
era
in
carcere
in
attesa
del
processo
,
gli
amici
proposero
la
fuga
da
Atene
,
egli
rifiutò
perché
fuggire
sarebbe
stato
azione
ingiusta
nei
confronti
delle
leggi
ateniesi
che
avevano
presieduto
alla
sua
nascita
,
alla
sua
educazione
e
all
'
intera
sua
vita
.
«
Giusto
»
è
,
in
modo
tipico
,
il
comportamento
di
Socrate
:
cioè
,
in
generale
,
di
chi
si
ispira
al
rispetto
delle
leggi
anche
quando
esse
si
rivolgono
contro
il
suo
interesse
privato
.
Ma
che
cosa
accade
quando
le
leggi
stesse
,
cui
si
dovrebbe
obbedire
per
essere
giusti
,
si
ritengono
«
ingiuste
»
?
E
come
si
fa
a
giudicare
,
in
generale
,
se
una
legge
è
«
giusta
»
o
non
lo
è
?
Gli
uomini
hanno
presto
fatto
l
'
amara
esperienza
che
non
tutte
le
leggi
sono
giuste
.
E
per
valutare
la
giustizia
delle
leggi
,
hanno
fatto
appello
a
una
legge
più
alta
,
data
dalla
natura
o
da
Dio
,
che
sarebbe
il
fondamento
di
tutte
le
leggi
umane
.
In
un
passo
famoso
del
De
Republica
,
Cicerone
esaltava
la
legge
eterna
,
razionale
e
conforme
a
natura
che
è
immutabile
in
tutti
i
luoghi
e
in
tutti
i
tempi
ed
è
l
'
espressione
stessa
della
divinità
che
governa
il
mondo
.
E
già
Aristotele
,
in
un
'
illustrazione
rimasta
classica
del
concetto
di
«
equità
»
,
mostrava
come
questa
fosse
la
correzione
che
i
giudici
apportano
alle
imperfezioni
della
legge
positiva
,
mediante
il
ricorso
alla
legge
eterna
della
giustizia
.
Per
duemila
anni
circa
,
questi
fondamenti
del
giusnaturalismo
sono
stati
i
principi
incontestabili
di
ogni
dottrina
del
diritto
.
Quando
,
nel
'600
,
la
ragione
umana
cominciò
a
rivendicare
la
sua
autonomia
nei
confronti
dell
'
ordine
cosmico
e
della
stessa
divinità
,
la
legge
naturale
apparve
come
la
manifestazione
della
ragione
e
Grozio
affermava
che
essa
aveva
la
stessa
necessità
dei
principi
della
matematica
.
Con
ciò
,
essa
non
perdeva
,
ovviamente
,
la
sua
certezza
assoluta
,
ma
mutava
soltanto
il
suo
fondamento
:
che
non
veniva
più
riconosciuto
nell
'
ordine
naturale
o
divino
,
ma
nella
infallibilità
dell
'
umana
ragione
.
La
consolante
credenza
in
un
'
unica
,
immutabile
legge
di
giustizia
ha
continuato
a
permeare
,
anche
dopo
il
tramonto
del
giusnaturalismo
razionalistico
del
'700
,
la
maggior
parte
delle
teorie
filosofiche
del
diritto
,
che
ne
hanno
dato
ora
questa
ora
quella
giustificazione
o
l
'
hanno
in
molti
modi
camuffata
o
mistificata
.
Soltanto
negli
ultimi
decenni
,
ad
opera
di
quella
corrente
che
suol
chiamarsi
«
positivismo
giuridico
»
ma
che
non
ha
niente
a
che
fare
con
il
vecchio
positivismo
e
perciò
meglio
si
chiamerebbe
«
neoempirismo
giuridico
»
,
quella
certezza
è
stata
messa
in
crisi
.
La
crisi
è
il
riflesso
,
nel
campo
della
teoria
del
diritto
,
della
crisi
generale
della
metafisica
cioè
della
credenza
in
elementi
assoluti
,
soprannaturali
,
trascendenti
per
spiegare
il
mondo
della
realtà
umana
.
Quali
sono
le
ragioni
specifiche
della
crisi
?
Il
diritto
naturale
è
stato
invocato
a
fondare
le
leggi
più
disparate
.
Si
è
ricorso
ad
esso
per
giustificare
l
'
autorità
assoluta
dello
Stato
come
per
giustificare
la
lotta
e
l
'
insurrezione
contro
lo
Stato
.
Si
è
fondata
su
di
esso
la
divisione
naturale
tra
schiavi
e
liberi
(
come
fecero
Platone
e
Aristotele
)
e
l
'
uguaglianza
naturale
di
tutti
gli
uomini
(
come
fecero
gli
Stoici
,
i
Cristiani
e
gli
Illuministi
)
.
Si
è
ritenuta
legge
di
natura
che
il
più
forte
prevalga
sul
più
debole
(
come
dicevano
gli
antichi
Sofisti
e
alcuni
moderni
)
e
che
tutti
gli
uomini
debbano
comportarsi
come
fratelli
.
Se
ne
è
vista
l
'
espressione
nella
guerra
belluina
di
tutti
contro
tutti
e
nella
«
solidarietà
»
che
lega
tutti
gli
uomini
fra
loro
.
Si
è
«
dedotto
»
da
esso
l
'
assolutismo
politico
(
Hobbes
)
come
il
liberalismo
(
Locke
e
molti
moderni
)
.
Ma
a
che
può
servire
una
«
legge
unica
ed
eterna
»
che
consente
di
giustificare
le
leggi
positive
più
contrastanti
e
non
permette
di
scegliere
razionalmente
tra
esse
?
È
questo
l
'
interrogativo
che
domina
il
libro
recente
di
una
lancia
spezzata
del
neoempirismo
giuridico
,
il
danese
Alf
Ross
(
Diritto
e
giustizia
;
l
'
edizione
italiana
è
del
1965
)
.
«
Il
diritto
naturale
»
scrive
Ross
«
cerca
l
'
assoluto
,
l
'
eterno
,
ciò
che
deve
rendere
il
diritto
qualcosa
di
più
di
una
creazione
dell
'
uomo
e
che
esonera
il
legislatore
dalle
penose
responsabilità
della
decisione
...
Ma
l
'
esperienza
mostra
che
le
dottrine
costruite
dagli
uomini
su
questo
fondamento
,
ben
lungi
dall
'
essere
eterne
e
immutabili
,
sono
mutate
a
seconda
dei
tempi
,
dei
luoghi
e
delle
persone
.
La
nobile
sembianza
del
diritto
naturale
è
stata
usata
per
difendere
o
combattere
ogni
possibile
tipo
di
richieste
nascenti
da
una
specifica
situazione
di
vita
o
determinate
da
interessi
politici
ed
economici
di
classe
,
dalla
tradizione
culturale
,
dai
suoi
pregiudizi
e
dalle
sue
aspirazioni
.
»
Sotto
quelle
nobili
sembianze
si
cela
perciò
,
secondo
Ross
,
«
una
sgualdrina
che
è
a
disposizione
di
tutti
»
.
Il
risultato
di
quest
'
atteggiamento
è
la
dissociazione
totale
tra
i
concetti
di
«
diritto
»
e
di
«
giustizia
»
.
Le
parole
«
giusto
»
e
«
ingiusto
»
sono
interamente
prive
di
significato
se
riferite
,
non
ad
un
comportamento
,
ma
ad
una
norma
generale
o
ad
un
ordinamento
giuridico
.
L
'
ideologia
della
giustizia
conduce
solo
al
fanatismo
e
al
conflitto
perché
pretende
dar
valore
assoluto
a
interessi
che
si
oppongono
ad
altri
interessi
e
chiude
la
strada
alla
discussione
diretta
a
trovare
una
soluzione
razionale
dei
conflitti
.
Pertanto
dichiarare
ingiusta
una
norma
o
un
riordinamento
giuridico
non
è
un
atto
di
ragione
ma
l
'
espressione
di
una
reazione
emotiva
,
cioè
di
atteggiamenti
o
di
interessi
che
sono
in
contrasto
con
quella
norma
o
non
trovano
in
essa
una
sufficiente
difesa
.
Sembrerebbe
con
ciò
che
ogni
critica
del
diritto
vigente
,
ogni
tentativo
di
modificarlo
o
correggerlo
,
appartenesse
al
dominio
dell
'
irrazionale
e
consistesse
solo
in
una
cieca
lotta
di
interessi
.
Ma
Ross
non
spinge
sino
a
questo
punto
la
sua
coerenza
.
Egli
si
preoccupa
di
stabilire
anche
il
compito
della
«
politica
del
diritto
»
cioè
della
disciplina
di
trasformazione
del
diritto
.
La
politica
del
diritto
concerne
problemi
che
non
sono
,
o
non
sono
soltanto
,
giuridici
perché
appartengono
all
'
economia
,
alla
finanza
,
pubblica
o
privata
,
al
commercio
,
all
'
educazione
,
ai
rapporti
con
gli
Stati
esteri
,
alla
difesa
e
via
dicendo
.
Questi
problemi
devono
ovviamente
essere
trattati
o
elaborati
con
le
tecniche
specifiche
del
campo
cui
appartengono
e
in
base
a
tali
tecniche
vanno
trovate
le
soluzioni
di
essi
.
La
considerazione
giuridica
interviene
soltanto
per
prevedere
,
nei
limiti
del
possibile
,
quali
sono
le
possibilità
di
influenzare
,
nel
senso
previsto
da
quelle
soluzioni
,
le
azioni
umane
mediante
sanzioni
giuridiche
.
E
in
questo
senso
la
politica
del
diritto
è
«
sociologia
giuridica
applicata
»
o
«
tecnica
giuridica
»
.
In
tal
modo
all
'
ideale
di
una
unica
norma
di
giustizia
valida
come
criterio
o
fondamento
di
tutte
le
leggi
si
sostituisce
come
criterio
per
la
valutazione
e
la
correzione
delle
leggi
il
pluralismo
delle
tecniche
invalse
nei
vari
campi
che
sono
,
o
possono
essere
,
oggetto
di
regolamentazione
giuridica
.
Soltanto
queste
tecniche
potranno
infatti
dirci
quali
sono
i
fini
che
nei
campi
rispettivi
è
conveniente
,
o
utile
o
indispensabile
realizzare
;
mentre
la
dottrina
giuridica
ci
dirà
se
,
e
in
quale
misura
,
questa
regolamentazione
,
agendo
sui
comportamenti
,
potrà
condurre
alla
realizzazione
di
quei
fini
.
Ma
se
così
stanno
le
cose
,
può
ancora
dirsi
,
come
vuole
Ross
,
che
dichiarare
«
ingiusta
»
una
legge
significa
semplicemente
abbandonarsi
ad
una
«
reazione
emotiva
»
?
Mettendo
tra
parentesi
l
'
appello
all
'
ideale
assoluto
di
giustizia
del
vecchio
giusnaturalismo
,
affermare
che
una
legge
è
«
ingiusta
»
può
avere
proprio
il
significato
chiarito
da
Ross
,
che
essa
non
risponde
alle
tecniche
del
campo
che
dovrebbe
regolamentare
o
alla
tecnica
causale
delle
sanzioni
.
Se
per
esempio
l
'
esperienza
prova
che
la
pena
di
morte
non
è
un
deterrente
più
efficace
di
altri
,
la
sua
abolizione
diventa
«
razionale
»
perché
fra
l
'
altro
evita
le
conseguenze
fatali
di
un
possibile
errore
giudiziario
.
Norme
legislative
che
aggravano
i
conflitti
invece
di
evitarli
o
risolverli
o
che
impediscono
,
limitano
o
inceppano
attività
che
è
interesse
comune
garantire
e
sviluppare
o
che
negano
ai
cittadini
,
o
a
gruppi
di
cittadini
,
possibilità
che
sono
a
loro
stessi
o
ad
altri
utili
,
convenienti
o
indispensabili
,
possono
ben
dichiararsi
«
irrazionali
»
nel
senso
ristretto
e
specifico
di
questo
termine
.
E
se
per
razionale
s
'
intende
,
non
già
il
dettato
di
una
ragione
infallibile
,
ma
ogni
tecnica
efficace
,
convalidata
e
correggibile
,
di
un
campo
qualsiasi
,
il
vecchio
ideale
della
giustizia
trascendente
e
normativa
si
converte
in
quello
della
razionalizzazione
delle
norme
giuridiche
,
mediante
l
'
adeguazione
a
queste
tecniche
.
Un
compito
limitato
e
fallibile
quanto
si
vuole
,
ma
profondamente
umano
e
impegnativo
,
perché
consente
agli
uomini
di
guardare
con
più
fiducia
al
loro
avvenire
.