IL MITO ( Abbagnano Nicola , 1967 )
StampaQuotidiana ,
Nell
'
età
della
tecnica
,
della
progettazione
scientifica
,
della
razionalizzazione
di
tutte
le
attività
umane
,
risorge
,
per
uno
strano
paradosso
,
l
'
interesse
per
il
mito
.
A
prima
vista
,
il
mito
è
l
'
opposto
simmetrico
di
ogni
attività
razionale
o
razionalizzante
:
è
un
racconto
fantastico
intorno
a
personaggi
irreali
,
trasmesso
per
tradizione
,
abbellito
o
esaltato
dai
poeti
e
ricco
di
insegnamenti
religiosi
e
morali
.
Ma
anche
i
filosofi
si
sono
spesso
avvalsi
del
mito
,
considerandolo
come
un
mezzo
di
espressione
più
rapido
e
popolare
delle
loro
dottrine
;
e
Platone
faceva
ricorso
al
mito
tutte
le
volte
che
riteneva
impossibile
spingere
oltre
l
'
indagine
razionale
,
per
completare
e
arricchire
questa
indagine
e
fare
intendere
chiaramente
gli
insegnamenti
che
da
essa
derivano
.
Spesso
i
filosofi
hanno
visto
nel
mito
l
'
origine
della
religione
o
dell
'
arte
:
così
faceva
Vico
.
Hegel
affermava
che
per
quanto
bizzarro
,
grottesco
o
frivolo
il
mito
possa
apparire
,
esso
contiene
sempre
«
un
pensiero
filosofico
sulla
natura
di
Dio
»
espresso
in
forma
imperfetta
e
perciò
prepara
la
strada
all
'
arte
`
e
alla
religione
.
Dall
'
altro
lato
,
l
'
arte
e
la
religione
moderne
cercano
di
scindere
i
propri
rapporti
con
il
mito
.
L
'
arte
rivendica
oggi
la
propria
libertà
d
'
espressione
e
combina
arbitrariamente
parole
,
forme
,
colori
o
elementi
eterogenei
per
esprimere
significati
che
non
trovano
riscontro
nella
realtà
delle
cose
e
non
pretendono
insegnare
nulla
.
Nell
'
ambito
religioso
,
le
correnti
più
moderne
della
teologia
cristiana
sono
impegnate
in
uno
sforzo
di
demitizzazione
della
religione
:
cioè
a
liberare
il
cristianesimo
dall
'
apparato
mitico
che
esso
ha
rivestito
nel
corso
della
storia
e
in
primo
luogo
dai
vecchi
e
ormai
consunti
miti
sull
'
origine
e
la
natura
del
mondo
,
per
far
risonare
chiaramente
il
messaggio
che
esso
racchiude
per
la
salvezza
degli
uomini
.
E
così
proprio
le
attività
umane
che
più
strettamente
apparivano
congiunte
con
la
forma
fantastica
del
mito
,
l
'
arte
e
la
religione
,
sono
anche
quelle
che
oggi
rivendicano
energicamente
la
loro
indipendenza
dal
mito
o
cercano
di
liberarsene
.
E
allora
il
problema
è
questo
:
può
l
'
uomo
fare
a
meno
del
mito
?
Il
mito
non
è
proprio
soltanto
delle
civiltà
primitive
,
perché
tutte
le
civiltà
e
tutti
i
popoli
hanno
avuto
e
hanno
miti
.
Ma
i
miti
delle
società
primitive
sono
quelli
che
oggi
più
richiamano
l
'
attenzione
degli
studiosi
,
perché
è
più
facile
rendersi
conto
della
loro
struttura
,
cioè
degli
elementi
che
li
compongono
,
della
loro
organizzazione
e
della
loro
finalità
.
Recentemente
un
gruppo
di
antropologi
inglesi
ha
discusso
in
un
volume
collettivo
(
The
Structural
Study
o
f
Myth
and
Totemism
,
ed.
Edmund
Leach
,
Tavistock
Publications
,
1967
)
l
'
interpretazione
del
mito
proposta
da
Lévy
-
Strauss
e
specialmente
l
'
analisi
che
Lévy
-
Strauss
ha
fatto
della
«
storia
di
Asdiwal
»
,
un
mito
diffuso
presso
un
gruppo
di
indiani
che
vivono
nella
Columbia
britannica
a
sud
dell
'
Alaska
.
Gli
studiosi
inglesi
rimproverano
a
Lévy
-
Strauss
un
eccessivo
semplicismo
e
formalismo
nell
'
interpretazione
del
mito
:
ridotto
,
nel
suo
schema
,
a
opposizioni
elementari
come
quelle
di
femmina
-
maschio
,
fame
-
sazietà
,
movimento
-
immobilità
e
così
via
;
ma
si
trovano
d
'
accordo
su
certi
caratteri
fondamentali
dei
miti
primitivi
che
d
'
altronde
sono
riconosciuti
da
buona
parte
degli
antropologi
contemporanei
.
In
primo
luogo
,
il
mito
non
è
un
racconto
storico
ma
è
e
vuol
essere
la
rappresentazione
generalizzata
di
fatti
che
ricorrono
con
una
certa
uniformità
nella
vita
dei
gruppi
umani
:
la
nascita
,
la
morte
,
la
lotta
contro
la
fame
e
le
forze
della
natura
,
la
sconfitta
e
la
vittoria
,
il
rapporto
tra
i
sessi
.
In
secondo
luogo
,
la
rappresentazione
che
il
mito
dà
di
questi
fatti
spesso
non
è
realistica
cioè
non
riproduce
esattamente
la
situazione
corrispondente
che
vige
presso
il
popolo
cui
il
mito
appartiene
,
ma
è
opposta
a
questa
situazione
,
nel
senso
che
la
rappresenta
abbellita
,
corretta
o
perfezionata
ed
esprime
così
piuttosto
le
aspirazioni
che
la
situazione
reale
fa
sorgere
.
Lévy
-
Strauss
adopera
la
parola
dialettica
per
caratterizzare
il
rapporto
tra
il
mito
e
la
realtà
che
lo
ispira
.
Questa
parola
suscita
la
ragionevole
diffidenza
dei
suoi
critici
,
qualcuno
dei
quali
propone
,
per
designare
quel
rapporto
,
il
concetto
di
retroazione
(
feed
-
back
)
introdotto
dai
costruttori
di
cervelli
elettronici
.
Secondo
questo
concetto
,
il
mito
reagisce
sulla
situazione
che
l
'
ha
provocato
,
cioè
tende
a
modificare
l
'
universo
sociale
dal
quale
sorge
che
,
a
sua
volta
,
così
modificato
,
provoca
una
risposta
nel
campo
del
mito
;
e
così
via
.
Tra
mito
e
realtà
sociale
ci
sarebbe
,
in
altri
termini
,
un
complesso
scambio
di
azioni
e
reazioni
,
dal
quale
l
'
uno
e
l
'
altra
resterebbero
continuamente
modificati
.
In
terzo
luogo
,
e
come
conclusione
,
il
mito
può
essere
considerato
(
come
dice
Lévy
-
Strauss
)
«
una
filosofia
nativa
»
o
almeno
un
qualche
aspetto
di
essa
,
cioè
la
forma
in
cui
un
gruppo
sociale
esprime
un
proprio
atteggiamento
di
fronte
al
mondo
,
un
modo
(
o
uno
dei
modi
)
per
risolvere
il
problema
della
sua
esistenza
.
Questo
significato
esistenziale
del
mito
difficilmente
potrebbe
essere
negato
.
Attraverso
il
mito
,
un
gruppo
umano
prospetta
a
se
stesso
i
problemi
fondamentali
della
sua
esistenza
,
i
mezzi
che
ha
a
disposizione
per
sopravvivere
e
quelli
che
vorrebbe
avere
e
non
ha
.
Prospetta
,
anche
,
il
modo
in
cui
possono
e
devono
atteggiarsi
i
rapporti
fra
gli
uomini
nella
società
in
cui
vivono
nonché
i
loro
pericoli
,
i
conflitti
cui
danno
luogo
e
le
soluzioni
possibili
.
In
altri
termini
,
come
ogni
filosofia
-
fantastica
e
primitiva
o
razionale
e
raffinata
che
sia
-
il
mito
prospetta
all
'
uomo
le
scelte
fondamentali
che
gli
si
offrono
nella
porzione
limitata
di
mondo
in
cui
deve
vivere
;
e
gli
raccomanda
alcune
di
queste
scelte
a
preferenza
di
altre
con
la
forma
di
un
racconto
esemplare
e
della
suggestione
emotiva
che
ne
deriva
.
Se
per
Giambattista
Vico
il
mito
o
,
come
egli
diceva
,
le
«
favole
»
erano
la
storia
autentica
,
per
quanto
fantastica
,
dei
popoli
primitivi
,
secondo
gli
antropologi
moderni
esso
è
piuttosto
la
filosofia
di
questi
popoli
.
E
per
coloro
che
ritengono
che
la
filosofia
sia
un
lusso
di
gente
sazia
e
raffinata
,
che
ha
l
'
agio
di
darsi
alla
contemplazione
,
questa
è
una
lezione
tanto
più
efficace
in
quanto
viene
,
non
da
filosofi
,
ma
da
scienziati
che
non
fanno
professione
di
filosofia
.
Nel
linguaggio
colto
corrente
,
la
parola
mito
non
è
ristretta
a
significare
un
racconto
fantastico
imperniato
su
personaggi
irreali
,
ma
è
estesa
a
designare
qualsiasi
nozione
,
esaltata
al
di
là
dei
propri
limiti
scientifici
o
razionali
,
carica
di
persuasione
emotiva
e
adatta
perciò
a
controllare
,
in
un
modo
qualsiasi
,
la
condotta
degli
individui
.
Sorel
parlava
del
«
mito
dello
sciopero
generale
»
diretto
a
tener
desta
l
'
energia
combattiva
della
classe
operaia
.
Oggi
si
parla
del
«
mito
della
libertà
»
e
«
della
democrazia
»
o
del
«
mito
della
rivoluzione
»
;
del
«
mito
del
benessere
»
o
«
della
tecnica
»
;
del
«
mito
della
pace
»
o
«
della
guerra
»
;
e
così
via
.
In
realtà
ogni
concetto
buono
o
cattivo
,
valido
o
no
,
può
essere
adoperato
come
simbolo
o
bandiera
per
difendere
certe
cose
o
distruggerne
altre
,
cioè
per
influire
in
modo
diretto
ed
immediato
sul
comportamento
umano
.
Si
può
ritenere
valido
o
no
quest
'
uso
del
termine
,
ma
è
certo
che
la
tendenza
ad
amplificare
,
a
retoricizzare
,
ad
arricchire
di
cariche
emotive
sproporzionate
idee
o
nozioni
fondamentali
con
la
pretesa
di
farle
servire
più
efficacemente
e
rapidamente
alla
direzione
della
condotta
pratica
di
individui
o
di
gruppi
,
è
presente
nella
società
contemporanea
e
ne
costituisce
un
aspetto
essenziale
.
Ma
non
meno
presente
a
questa
società
e
non
meno
essenziale
è
la
tendenza
opposta
a
demitizzare
,
a
considerare
nozioni
e
concetti
nei
loro
limiti
,
a
esaminarli
per
definire
appunto
tali
limiti
e
stabilirne
la
validità
e
la
funzione
effettive
.
La
scienza
e
la
filosofia
sono
oggi
impegnate
,
al
pari
della
religione
e
dell
'
arte
,
in
questo
compito
di
demitizzazione
che
è
anche
un
compito
di
demistificazione
perché
tende
a
dare
a
ogni
uomo
la
nozione
precisa
delle
alternative
tra
cui
deve
scegliere
.
Si
consideri
,
ad
esempio
,
il
concetto
di
libertà
.
Non
si
serve
bene
,
oggi
,
la
causa
della
libertà
esaltandola
come
la
realtà
della
storia
o
l
'
ideale
incarnato
o
il
pane
di
cui
vivere
tutti
i
giorni
.
La
si
serve
meglio
,
nei
confronti
di
individui
capaci
di
critica
e
di
responsabilità
,
definendola
nella
sua
funzione
effettiva
:
come
condizione
indispensabile
di
tutte
le
attività
umane
e
,
a
lungo
andare
,
della
stessa
sopravvivenza
dell
'
uomo
:
ma
come
condizione
imperfetta
e
difficile
a
realizzare
,
sempre
esposta
a
pericoli
,
sempre
da
difendere
e
a
volte
scomoda
e
atta
a
chiedere
sacrifici
.
La
tendenza
a
mitologizzare
e
quella
a
razionalizzare
si
scontrano
in
tutti
i
campi
,
ma
permangono
ormai
pochi
dubbi
su
quella
alla
quale
l
'
uomo
moderno
deve
affidare
le
sue
sorti
.
Forse
miti
ce
ne
saranno
sempre
o
in
ogni
caso
tenderanno
sempre
a
risorgere
o
riformarsi
:
la
via
del
mito
è
la
più
facile
.
Ma
la
via
più
difficile
,
qui
come
altrove
,
è
la
migliore
;
e
la
ragione
non
deve
deporre
le
sue
armi
di
fronte
a
nessun
mito
.