StampaQuotidiana ,
Tra
un
ragazzo
praghese
che
offriva
fiori
ai
carristi
russi
e
un
ragazzo
occidentale
che
manifestava
contro
la
guerra
nel
Vietnam
non
era
facile
,
a
partire
dai
blue
-
jeans
e
dai
capelli
lunghi
,
marcare
le
differenze
.
C
'
è
stato
un
tempo
,
tutto
sommato
lungo
(
diciamo
,
grosso
modo
,
da
Easy
Rider
ai
rave
-party...),
nel
quale
ci
è
parso
che
il
cosmopolitismo
fosse
,
per
i
giovani
del
mondo
quasi
intero
,
un
destino
inevitabile
e
soprattutto
condiviso
.
Oggi
gli
studenti
di
Belgrado
cresciuti
a
rock
'
n
'
roll
rivoltano
il
loro
stesso
ritmo
contro
i
sorvoli
Nato
.
Ed
è
come
assistere
al
disastro
finale
di
un
tacito
,
lunghissimo
Piano
Marshall
infine
vomitato
dai
suoi
destinatari
in
faccia
al
mittente
.
I
loro
omologhi
montenegrini
disertano
per
non
obbedire
a
Milosevic
,
preferendo
onorare
remote
pulsioni
micronazionali
,
memorie
di
re
antichissimi
,
Lari
e
Penati
i
cui
frantumi
vengono
ricomposti
con
devozione
certosina
,
e
furore
quasi
medianico
,
davanti
ai
focolari
domestici
.
Ovunque
rivegetano
radici
profonde
e
dimenticate
,
e
sbucano
dal
suolo
superficialmente
mondializzato
i
fantasmi
delle
identità
ancestrali
:
ossari
di
battaglie
vecchie
di
secoli
,
santi
vendicatori
della
fede
,
martiri
della
Nazione
,
decrepite
date
che
ricominciano
a
sanguinare
.
I
satelliti
,
che
vagamente
e
forse
presuntuosamente
identificano
in
un
campo
smosso
di
fresco
le
tracce
di
una
fossa
comune
,
non
riescono
a
sorvegliare
e
neppure
a
indovinare
questo
sinistro
e
rigoglioso
risorgimento
,
che
pure
muta
il
territorio
,
e
la
sua
percezione
,
ben
più
di
quanto
vogliano
o
possano
gli
eserciti
e
i
bombardamenti
.
Se
sono
i
vecchi
pope
maledicenti
,
gli
anziani
governanti
,
i
consumati
generali
a
predicare
la
guerra
,
sono
poi
i
giovani
,
gli
studenti
,
gli
adolescenti
ad
accettarla
,
a
farla
e
a
sostenerne
,
sempre
,
ovunque
,
il
maggior
peso
emotivo
.
Sono
giovani
i
volontari
russi
che
scalpitano
per
andare
a
battersi
in
Serbia
,
giovani
i
manifestanti
di
Belgrado
,
giovani
i
top
-
gun
americani
,
tedeschi
,
francesi
,
italiani
.
Per
la
prima
volta
nella
storia
ascoltano
la
stessa
musica
,
vedono
gli
stessi
film
,
bevono
la
stessa
birra
,
bivaccano
in
caffè
e
pubs
identici
,
vestono
gli
stessi
panni
.
Non
è
bastato
,
questo
,
a
preservarli
dalla
guerra
più
di
quanto
sia
accaduto
,
cinquant
'
anni
fa
,
a
un
nero
americano
o
a
un
cosacco
o
a
un
siciliano
,
lontani
l
'
uno
dagli
altri
quanto
le
loro
diversissime
culture
,
psicologie
,
antropologie
,
allora
ancora
separate
,
non
comunicanti
.
Solo
la
guerra
,
allora
,
li
fece
incontrare
.
Oggi
la
guerra
divide
ciò
che
la
pace
era
riuscita
miracolosamente
-
ma
quanto
fragilmente
-
a
unire
.
Quanti
hanno
creduto
e
sperato
(
io
pure
)
che
il
cosmpolitismo
delle
gioventù
mondiali
,
lanciato
in
groppa
allo
sfrenato
galoppo
di
consumi
culturali
assai
simili
,
favorito
dai
viaggi
,
dagli
incontri
,
dalla
condivisione
di
un
'
identità
e
addirittura
di
un
pathos
giovanile
comune
,
potesse
favorire
una
convivenza
meno
bellicosa
tra
i
popoli
e
le
culture
,
devono
ricredersi
,
e
costringersi
a
ri
-
ragionare
su
moltissime
cose
.
è
come
se
una
foresta
dalla
chioma
uniforme
ricominciasse
a
manifestare
l
'
irrimediabile
differenza
delle
sue
radici
.
Che
gli
umori
rimessi
in
circolo
da
queste
radici
siano
spesso
velenosi
e
altrettanto
spesso
pretestuosi
,
posticci
come
può
esserlo
il
culto
di
identità
etniche
ormai
cancellate
dalle
migrazioni
e
dalla
storia
,
è
cosa
che
rende
ancora
più
grave
il
fallimento
della
precedente
,
supposta
uniformità
delle
speranze
e
delle
buone
volontà
.
Ben
superficiale
doveva
essere
la
patina
del
cosmopolitismo
,
se
a
bucarla
ovunque
sono
le
minute
ma
acute
pulsioni
etniche
:
evidentemente
,
e
purtroppo
,
per
molti
è
più
desiderabile
ed
efficace
un
'
identità
locale
,
per
quanto
imparaticcia
,
piuttosto
di
un
molto
generico
passaporto
di
cittadino
del
mondo
,
di
quelli
che
sognavano
i
beatnik
e
gli
studenti
"
alla
pari
"
valicando
decine
di
frontiere
in
autostop
.
Toccherà
interrogarsi
,
di
qui
in
poi
,
sulla
precarietà
e
forse
sulla
stessa
legittimità
di
un
'
idea
di
concittadinanza
,
di
amicizia
,
di
somiglianza
che
ha
viaggiato
,
per
decenni
e
per
due
generazioni
almeno
,
solo
a
cavallo
dei
consumi
,
culturali
e
non
.
Che
molti
di
noi
,
per
due
generazioni
almeno
,
abbiano
saputo
aggiungere
a
un
disco
,
a
un
paio
di
jeans
,
a
un
ostello
promiscuo
anche
il
serio
e
maturo
sogno
di
sentirsi
a
casa
anche
in
casa
altrui
,
non
toglie
evidenza
,
e
drammaticità
,
allo
spaesamento
che
questa
promiscuità
,
al
contrario
,
produce
in
tanti
altri
,
e
oggi
specialmente
in
tanti
giovani
.
Un
mostruoso
,
ricchissimo
catalogo
di
risposte
false
(
ma
percepite
come
utili
,
e
risolutive
)
sforna
in
mezzo
mondo
quantità
industriali
di
nuove
identità
.
Escono
dai
bauli
vecchie
uniformi
,
vecchie
icone
,
vecchi
"
Dio
è
con
noi
"
che
propongono
il
confortante
calore
della
tribù
.
L
'
illusione
che
a
mondializzare
il
mondo
bastasse
il
mercato
non
pare
,
in
questi
giorni
,
meno
patetica
dell
'
illusione
internazionalista
,
al
cui
ritirarsi
,
come
quando
la
marea
arretra
,
sono
tornati
alla
luce
tutti
i
rottami
del
nazionalismo
,
e
neanche
troppo
arrugginiti
.
L
'
identità
delle
persone
e
dei
popoli
è
,
evidentemente
,
una
faccenda
ben
più
complessa
e
ambigua
di
quanto
risulti
dai
gloriosi
grafici
che
illustrano
la
penetrazione
delle
merci
,
la
rapidità
di
circolazione
delle
notizie
,
l
'
incremento
esponenziale
del
turismo
,
i
matrimoni
misti
tra
capitali
finanziari
e
azioni
.
In
mezzo
a
questa
spaventosa
crisi
c
'
è
di
buono
,
almeno
,
che
i
concetti
di
reazione
e
progresso
,
pur
ridisegnandosi
,
riacquistano
senso
,
e
un
senso
bene
intelligibile
e
spendibile
.
Tipicamente
reazionario
è
ripudiare
lo
spaesamento
della
mondializzazione
riaprendo
i
vecchi
bauli
della
razza
e
della
nazione
.
Tipicamente
(
e
disperatamente
,
oggi
)
progressista
è
ricominciare
a
chiedersi
quali
strade
sminare
,
quali
frontiere
dismettere
perché
nuovamente
si
possano
incontrare
e
parlare
,
domani
,
coloro
che
la
guerra
divide
:
i
giovani
soldati
e
i
giovani
profughi
,
prima
di
tutto
,
perché
toccherà
a
loro
,
per
forza
,
riprendere
il
cammino
di
una
vita
che
per
i
capi
di
oggi
,
che
sono
i
giovani
di
ieri
,
è
meno
promettente
,
e
molto
più
breve
.
Internet
,
musica
e
cinema
,
viaggi
geografici
e
quelli
virtuali
,
chissà
.
Purché
si
possa
ripartire
proprio
da
quel
poco
di
utile
,
e
di
generoso
,
che
la
breve
era
cosmopolita
ha
lasciato
sul
campo
,
disperso
e
malinconico
come
le
lattine
dopo
un
concerto
rock
.
C
'
è
,
in
mezzo
alle
macerie
,
un
disco
rotto
da
raccattare
.
Il
vantaggio
è
che
ognuno
dei
reduci
,
l
'
americano
,
il
serbo
,
il
kosovaro
,
può
riconoscere
dalle
prime
note
qual
è
la
canzone
.
È
quasi
nulla
,
come
vantaggio
,
ma
è
forse
il
solo
che
ci
lascia
il
nostro
secolo
lungo
.