StampaQuotidiana ,
Inutile
negarlo
:
al
Vittoriale
tu
arrivi
prevenuto
.
Troppi
gli
amici
che
ti
hanno
messo
sull
'
avviso
:
vedrai
la
retorica
,
la
bolsaggine
,
il
cattivo
gusto
!
Vedrai
i
soldi
sperperati
!
Pensa
,
monumento
nazionale
sin
dal
1925
,
con
dentro
lui
,
vivo
.
S
'
era
lasciato
seppellire
da
Mussolini
e
senza
nemmeno
soffrirne
troppo
.
Infatti
,
pensi
tu
quando
la
macchina
si
arresta
sullo
spiazzale
e
guardi
l
'
ingresso
.
«
Io
ho
quel
che
ho
donato
»
,
leggi
per
prima
cosa
.
Esatto
,
pensi
:
di
questa
roba
egli
fece
dono
agli
italiani
,
ma
ci
rimase
dentro
,
e
gli
italiani
gli
pagarono
tutto
quanto
,
la
terra
,
gli
immobili
,
le
aggiunte
successive
,
che
non
finivano
mai
.
Con
quest
'
animo
paghi
le
duecento
lire
del
biglietto
e
prendi
su
per
il
viale
selciato
a
«
cubi
porfirici
»
,
come
diceva
lui
.
Ed
ecco
la
retorica
,
pensi
,
quando
la
guida
ti
spiega
come
quel
gran
pennone
con
in
vetta
una
vittoria
alata
e
dorata
riproduca
la
forma
di
un
pilone
di
ponte
sul
Piave
.
Vero
,
constati
,
ma
lì
per
lì
non
te
n
'
eri
accorto
,
perché
stavi
guardando
altro
.
La
vegetazione
,
per
esempio
,
che
qui
è
ricca
,
varia
,
d
'
un
verde
sempre
intenso
ma
sfumato
dal
cipresso
all
'
ulivo
al
nespolo
all
'
edera
al
magnolio
.
Il
terreno
digrada
verso
il
lago
,
che
in
un
mattino
piovigginoso
,
come
oggi
,
è
d
'
un
chiaro
quasi
bianco
.
Certo
,
se
volgi
gli
occhi
attorno
vedi
archetti
,
colonne
,
pennoni
,
capitelli
,
un
sarcofago
grigio
e
massiccio
,
un
obice
da
centocinque
,
fontanine
,
oblò
,
vetri
colorati
,
nicchie
.
Vedi
un
mucchio
di
roba
,
che
però
non
rompe
la
bellezza
del
panorama
e
anzi
ne
è
soggiogata
,
ingentilita
.
Insomma
,
su
tutto
l
'
hanno
vinta
i
cipressi
svettanti
,
o
il
grande
pino
contorto
e
antichissimo
che
sta
nel
«
cortile
dalmata
»
.
Lì
accanto
c
'
è
il
pennone
massimo
,
che
ha
per
base
due
mole
da
frantoio
,
e
per
ornamento
otto
mascheroni
slavonici
,
di
pietra
.
Lo
sguardo
rimane
incerto
fra
pino
e
pennone
,
e
alla
fine
tu
pensi
che
va
be
'
,
non
è
mica
poi
tanto
brutto
.
Non
è
mica
tutta
retorica
,
pensi
adesso
;
insomma
,
ci
si
potrebbe
anche
campare
,
forse
bene
.
La
villa
di
Cargnacco
,
che
D
'
Annunzio
comprò
nel
1921
,
era
questa
fetta
centrale
,
ora
coperta
da
una
quarantina
di
stemmi
in
pietra
,
di
tutte
le
grandezze
e
con
tutti
i
motivi
:
ci
sono
cani
,
draghi
,
palle
,
teste
,
alberi
,
gladii
,
fiori
,
aquile
e
putti
.
Quando
lui
fece
l
'
acquisto
era
una
villa
campagnola
,
d
'
una
certa
eleganza
solenne
e
discreta
e
ci
abitava
un
critico
d
'
arte
tedesco
,
Heinrich
Tode
,
genero
di
Wagner
.
Solo
questa
fetta
:
nelle
fotografie
di
allora
ha
un
aspetto
a
metà
fra
la
fattoria
e
la
pieve
,
tanto
vero
che
il
Comandante
la
battezzò
,
scherzando
,
«
la
calonica
»
,
e
subito
si
accinse
a
cambiarla
.
Adesso
gli
edifici
formano
un
quadrato
di
vuoti
e
pieni
,
attorno
al
cortile
dalmata
:
muri
,
finestre
,
portici
,
altane
.
Ecco
lì
la
FIAT
tipo
4
della
marcia
da
Ronchi
,
scura
,
con
la
leva
del
freno
sul
predellino
,
e
i
fanali
ad
acetilene
.
Non
è
eroica
.
E
lassù
,
in
una
sala
rotonda
dove
si
tengono
anche
le
commemorazioni
,
appeso
col
fil
di
ferro
al
soffitto
,
l
'
aereo
del
volo
su
Vienna
:
è
uno
SVA
di
compensato
e
seta
,
con
il
leone
di
San
Marco
in
rosso
e
oro
(
«
iterum
rudit
leo
»
dice
il
motto
)
e
sulla
coda
le
sette
stelle
dell
'
Orsa
in
campo
azzurro
:
sette
come
furon
sette
gli
aerei
che
,
degli
undici
partiti
,
giunsero
sulla
capitale
austriaca
.
Nemmeno
questo
è
eroico
,
ormai
:
sembra
un
gran
farfallone
infilzato
a
mezz
'
aria
,
fragile
e
rinsecchito
,
come
polveroso
.
Non
sono
eroici
nemmeno
i
giardini
privati
,
nonostante
i
macigni
alpestri
,
ciascuno
con
scritto
in
rosso
il
monte
d
'
origine
:
Veliki
,
Sabotino
,
Podgora
,
Carso
e
così
via
,
e
frammezzo
una
mitragliatrice
(
raffreddamento
ad
acqua
,
pensi
)
,
proiettili
,
elmetti
,
e
un
san
Francesco
stilizzato
che
apre
le
braccia
verso
la
finestra
della
Zambracca
,
la
stanza
dove
morì
di
emorragia
cerebrale
il
Comandante
.
Non
sono
eroici
perché
anche
qui
la
vegetazione
domina
su
tutto
:
nel
boschetto
dei
magnolii
incontri
un
fossatello
,
e
per
superarlo
c
'
è
una
lastra
di
marmo
,
scritta
:
«
Strepitu
sine
ullo
»
,
dice
da
una
parte
,
e
dall
'
altra
:
«
Sordida
pellit
»
.
Spiega
la
guida
che
gli
indesiderati
,
i
malevoli
,
dovevano
restare
di
qua
,
nel
sordidume
,
mentre
i
fedeli
,
senza
far
chiasso
,
giungevano
sino
all
'
arengo
,
cioè
ad
una
serie
di
belle
panche
in
pietra
scolpita
,
con
alle
spalle
,
fra
magnolii
folti
,
ventisette
colonne
.
Il
Comandante
riceveva
qui
reduci
,
compagni
d
'
arme
,
belle
donne
,
Mussolini
,
Cicerin
,
Umberto
di
Savoia
,
e
intratteneva
tutti
con
le
sue
alate
concioni
,
con
le
sue
squisite
arguzie
.
Racconta
Dario
Niccodemi
d
'
essere
rimasto
quattordici
ore
,
fra
arengo
,
cortiletto
degli
schiavoni
,
portico
del
parente
(
il
parente
sarebbe
Michelangelo
)
,
affascinato
e
divertito
,
da
non
accorgersi
che
il
tempo
passava
.
Ora
comincio
a
non
dubitare
che
ci
saremmo
divertiti
anche
noi
,
tanto
doveva
essere
ricca
e
variata
e
bislacca
la
conversazione
d
'
un
uomo
che
poteva
appigliarsi
a
tanti
particolari
in
mostra
,
a
tante
minutaglie
eterogenee
e
stravaganti
.
Infatti
nel
cortile
e
nel
portico
non
c
'
è
palmo
di
muro
che
non
rechi
infisso
un
medaglione
o
una
testa
,
o
un
paio
di
corna
bovine
,
una
clessidra
,
una
campana
,
un
lampione
,
una
testina
,
una
maiolica
,
un
'
epigrafe
,
un
'
anfora
,
un
motto
,
un
cartiglio
.
Ciriaco
Marini
,
oggi
guardiano
ma
allora
muratore
al
Vittoriale
,
mi
precisa
che
il
Comandante
,
in
compagnia
del
suo
fido
architetto
Maroni
,
presiedeva
ad
ogni
cosa
:
diceva
lui
voglio
qui
questo
,
lì
quello
,
così
va
bene
e
così
no
.
Era
attivissimo
,
esigente
,
preciso
,
piccolo
,
asciutto
,
gran
camminatore
,
generoso
,
cordiale
,
aristocratico
e
perciò
populista
.
Giù
verso
l
'
Acqua
Pazza
,
per
esempio
,
un
giorno
stavano
sistemando
una
piaggia
a
gradini
.
Arrivò
in
visita
il
Comandante
,
sempre
in
compagnia
del
Maroni
,
e
con
le
sue
gambette
di
vecchio
non
ce
la
faceva
a
superare
lo
sbalzo
del
terreno
.
Si
rivolse
all
'
operaio
Betta
:
«
Dammi
la
mano
»
,
comandò
con
quella
voce
acuta
(
«
Pareva
una
cornetta
»
,
spiega
il
guardiano
)
.
Ma
il
Bella
non
voleva
,
si
scherniva
:
aveva
la
mano
sporca
di
terra
.
«
Dammi
la
mano
»
,
strillò
D
'
Annunzio
.
E
poi
,
a
monito
:
«
Ricordati
,
la
mano
di
un
operaio
giammai
sarà
sporca
»
.
I
guardiani
d
'
oggi
(
portano
una
divisa
,
ma
in
estate
,
con
le
insegne
del
principato
di
Montenevoso
)
ricordano
parecchie
cose
e
sanno
dirti
a
memoria
il
nome
di
tutto
.
Perché
qui
tutto
ha
un
nome
:
viale
d
'
Aligi
,
Acqua
Pazza
e
Acqua
Saggia
,
cortiletto
degli
schiavoni
,
portico
del
parente
,
fontana
del
delfino
,
Pilo
del
«
dare
in
brocca
»
,
edicola
di
San
Rocco
,
colonna
dei
giuramenti
,
cortile
dalmata
,
torre
del
belvedere
.
È
una
toponomastica
che
basterebbe
per
un
quartiere
cittadino
,
e
invece
si
riferisce
a
poche
spanne
di
terra
.
E
continua
e
si
infittisce
e
si
accavalla
e
prolifera
dentro
casa
.
Qui
il
pubblico
non
può
entrare
,
e
si
capisce
perché
:
più
di
tre
persone
alla
volta
non
ci
si
muoverebbero
,
e
io
che
sono
grosso
ho
sempre
paura
di
rompere
qualcosa
.
Immagina
ora
d
'
essere
ospite
del
Comandante
.
Arrivi
alla
porta
,
e
un
'
epigrafe
ti
ammonisce
:
«
Clausura
finché
s
'
apra
,
silentium
fin
che
parli
»
.
Aprono
la
porta
,
e
vedi
due
leoni
d
'
oro
,
sette
scalini
rossi
,
un
andito
scuro
di
noce
vecchio
,
una
colonna
e
due
busti
.
Ti
fanno
accomodare
nell
'
oratorio
dalmata
,
che
è
proprio
un
oratorio
coi
suoi
scanni
e
i
cuscini
rossi
,
i
turiboli
,
gli
ostensori
,
le
croci
,
i
reliquarii
,
le
statue
dei
santi
,
e
appesa
al
soffitto
l
'
elica
dell
'
aereo
di
De
Pinedo
.
E
non
sai
cosa
guardare
.
E
se
ti
ammettono
alle
altre
stanze
,
cresce
questa
sensazione
,
questo
principio
di
capogiro
e
di
soffocazione
asmatica
.
Perché
ogni
stanza
è
tappezzata
,
ovattata
,
imbottita
,
straripante
di
oggetti
:
su
un
tavolo
foderato
di
rosso
,
dinanzi
a
un
tabernacolo
d
'
oro
,
il
volante
spezzato
del
pilota
inglese
Seagraves
.
Per
terra
cuscini
e
una
pelle
di
leopardo
,
e
accanto
,
dal
pavimento
a
l
soffitto
,
una
piramide
di
statue
:
si
comincia
con
due
gatti
di
porcellana
,
e
si
sale
,
traverso
Budda
e
Visnù
e
Krishna
e
non
sai
più
che
altro
,
fino
alla
Madonna
col
Bambino
,
di
legno
colorato
.
È
la
scala
delle
religioni
,
ti
spiegano
,
e
la
scritta
precisa
:
«
Tutti
gli
idoli
adombrano
un
dio
vivo
,
tutte
le
fedi
attestan
l
'
uomo
eterno
,
tutti
i
martiri
annunziano
un
sorriso
»
.
Nella
stanza
del
mappamondo
,
insieme
ai
tavoli
e
alle
statue
e
ai
libri
,
trovi
un
organo
,
il
globo
enorme
che
dà
nome
all
'
ambiente
e
una
mitragliatrice
Schwartzlose
,
preda
bellica
.
Le
luci
sono
tutte
smorzate
,
rosate
,
rossastre
,
giallicce
,
verdine
,
bluastre
.
La
sala
del
lebbroso
,
la
più
famosa
,
contiene
,
accanto
a
un
letto
-
culla
-
bara
coperto
di
seta
nera
con
scritte
latine
in
oro
,
una
statua
di
giovinetto
nudo
in
legno
chiaro
.
Tu
muovi
con
crescente
cautela
e
non
senti
il
rumore
dei
tuoi
passi
,
per
i
continui
tappeti
che
si
susseguono
sovrapposti
agli
orli
.
Saranno
più
di
mille
.
E
ogni
stanza
ha
il
suo
nome
d
'
invenzione
.
Nella
stanza
della
Zambracca
(
in
veneto
significa
,
se
non
sbaglio
,
«
cameraccia
»
)
c
'
è
un
fornitissimo
armadio
di
medicinali
(
ultimamente
il
poeta
aveva
gran
paura
delle
malattie
)
e
il
guardaroba
,
dove
stupisce
il
gran
numero
delle
cravatte
a
farfallino
.
Un
appunto
del
poeta
ti
dice
che
anche
ai
«
servizi
»
doveva
toccare
il
nome
,
in
latino
:
bibliothecula
stercoraria
,
balneolum
vetusculum
,
cellula
vinaria
et
dearia
.
La
stanza
della
Cheli
prende
nome
da
una
tartaruga
enorme
che
sta
sul
tavolo
da
pranzo
.
Quest
'
animale
morì
per
una
indigestione
di
tuberose
,
ma
il
poeta
la
volle
ancora
:
il
guscio
è
il
suo
,
dorato
,
la
testa
e
le
zampe
le
rifece
in
bronzo
,
pure
dorato
,
lo
scultore
Bronzi
.
Ora
,
si
pensi
che
D
'
Annunzio
fece
mangiare
a
questo
tavolo
Umberto
di
Savoia
e
Mussolini
,
con
a
capo
tavola
la
tartaruga
Cheli
.
Se
riesci
a
dominare
il
senso
di
vertigine
che
a
questo
punto
t
'
ha
preso
,
non
eviti
un
dubbio
:
faceva
sempre
sul
serio
,
il
Poeta
?
Perché
di
solito
,
lui
così
parco
,
mangiava
giù
,
solo
,
nella
Zambracca
,
e
a
tavola
con
la
tartaruga
ci
andava
solo
in
compagnia
di
ospiti
illustri
.
Ancora
:
entri
nel
bagno
,
a
fatica
rintracci
vasca
,
bidet
e
lavabo
,
di
maiolica
blu
,
annullati
dal
carico
di
anfore
,
uccelli
,
piatti
,
mattonelle
,
teste
,
frutti
finti
,
ampolline
,
teche
e
fotografie
(
più
di
duemila
pezzi
,
avverte
serissima
la
guida
)
.
Guardi
sul
tavolino
,
e
in
bella
mostra
vedi
e
conti
almeno
dieci
spazzole
pei
capelli
.
E
tutti
sanno
che
D
'
Annunzio
era
calvo
.
Qualcuno
mi
dice
:
possibile
dormire
avendo
ai
piedi
del
letto
un
calco
in
gesso
del
Prigione
di
Michelangelo
?
Giusto
:
ma
non
si
dimentichi
che
questa
enorme
statua
porta
alla
vita
un
pezzo
di
damasco
dorato
che
gli
fa
da
gonnella
.
È
questo
un
modo
serio
di
trattare
un
artista
venerato
e
per
giunta
«
parente
»
?
Né
si
scordi
,
per
esempio
,
che
lo
scrittoio
del
monco
,
con
quella
rossa
mano
mozza
sopra
l
'
architrave
,
serviva
a
raccogliere
la
posta
inevasa
,
le
lettere
dinanzi
alle
quali
Gabriele
sentiva
cader
giù
la
mano
,
lettere
di
seccatori
,
postulanti
,
creditori
.
E
oltre
tutto
in
queste
stanze
D
'
Annunzio
non
lavorava
:
e
chi
ci
riuscirebbe
?
Al
piano
di
sopra
c
'
è
l
'
Officina
,
cioè
lo
studio
.
Se
da
questa
stanza
leviamo
la
copia
d
'
una
Vittoria
,
qualche
calco
,
qualche
fotografia
,
potrebbe
sembrare
lo
studio
di
uno
scrittore
qualunque
.
È
di
legno
chiaro
;
la
luce
basta
per
leggere
,
lo
scrittoio
è
piccolo
(
non
si
lavora
bene
sui
tavoli
grandi
)
,
i
libri
sono
ben
disposti
,
a
portata
di
mano
;
rigorosamente
allineati
,
accanto
ai
numerosi
dizionari
(
l
'
imaginifico
non
tirava
mai
a
indovinare
,
quanto
alle
parole
)
ecco
i
volumi
d
'
una
storia
economica
della
Toscana
:
quando
morì
,
mi
spiegano
,
stava
lavorando
a
una
vita
di
Santa
Caterina
,
e
voleva
documentarsi
a
dovere
.
E
in
tutta
la
casa
non
trovi
un
libro
inutile
:
i
trentamila
volumi
formano
una
biblioteca
strumentale
,
e
non
ripetono
affatto
le
stramberie
degli
altri
oggetti
;
non
vedi
nemmeno
un
incunabolo
,
né
un
'
edizione
pregiata
.
È
la
biblioteca
d
'
uno
studioso
,
non
d
'
un
bibliofilo
estetizzante
.
Insomma
al
tavolo
di
lavoro
D
'
Annunzio
diventava
serio
.
Qualcuno
dei
guardiani
ricorda
che
era
capace
di
restarsene
a
sedere
per
dodici
,
quattordici
ore
di
fila
.
Preoccupati
,
essi
ogni
tanto
spiavano
questo
faticatore
della
penna
,
e
allora
vedevano
sulla
testa
calva
una
vena
gonfiarsi
e
tendersi
come
una
corda
,
per
lo
sforzo
.
Lavorava
sodo
,
dimentico
di
tanta
paccottiglia
che
gl
'
ingombrava
le
stanze
di
sotto
.
Certo
,
non
era
più
lui
:
passata
la
sessantina
,
aveva
dato
il
meglio
di
sé
,
e
adesso
gli
restavano
i
progetti
di
altre
quaranta
opere
che
non
scrisse
mai
,
ma
che
promise
al
suo
editore
.
Esaurita
la
vena
dello
scrittore
,
conclusa
la
vita
eroica
di
Buccari
,
di
Vienna
,
di
Fiume
,
adesso
la
sua
avventura
diventava
di
estetica
quotidiana
.
«
Tutto
qui
è
dunque
una
forma
della
mia
mente
,
un
aspetto
della
mia
anima
,
una
prova
del
mio
fervore
.
»
Era
sincero
.
Ma
doveva
fare
i
conti
con
un
doppio
rischio
.
Ecco
il
primo
.
Girando
per
queste
sale
io
mi
chiedevo
quale
poté
essere
il
gusto
di
D
'
Annunzio
verso
le
arti
figurative
.
E
constatavo
che
in
casa
non
esiste
un
quadro
né
una
statua
di
pregio
.
I
calchi
michelangioleschi
,
così
bianchi
,
enormi
,
e
gessosi
,
sono
orrendi
.
I
quattro
o
cinque
quadri
del
Previati
che
oggi
,
ben
illuminati
,
stanno
nella
camera
di
Schifamondo
,
par
che
non
gli
piacessero
,
e
infatti
li
aveva
relegati
in
una
specie
di
magazzino
.
Il
gusto
delle
maioliche
orientali
dunque
?
Non
lo
apparenta
forse
a
certi
decadenti
inglesi
,
a
Whistler
,
a
Rossetti
,
a
Howell
,
fanatici
del
blue
china
?
E
i
disegni
del
De
Carolis
(
fece
tutti
i
suoi
frontespizi
)
non
saranno
forse
l
'
equivalente
delle
illustrazioni
che
tracciò
Aubrey
Beardsley
per
le
opere
di
Oscar
Wilde
?
Nemmeno
questo
convince
.
E
forse
la
risposta
giusta
è
che
D
'
Annunzio
non
ebbe
mai
un
preciso
gusto
figurativo
;
che
questi
oggetti
servivano
,
come
suol
dirsi
,
a
creare
l
'
atmosfera
,
a
sollecitare
la
fantasia
;
che
ebbero
un
valore
più
tattile
,
più
vellicatorio
che
visivo
.
Secondo
rischio
.
In
un
certo
senso
,
il
Vittoriale
è
davvero
degli
Italiani
:
esso
infatti
ospita
tutto
quel
che
gli
italiani
regalarono
a
D
'
Annunzio
.
Una
pera
di
vetro
,
una
pina
secca
,
un
satiro
in
stile
Novecento
,
un
palloncino
di
carta
,
una
pietra
consacrata
,
una
camicia
sporca
di
sangue
:
non
sempre
fu
lui
a
mettersi
in
casa
questa
roba
.
E
poté
accadere
che
non
sapesse
sbarazzarsi
d
'
un
dono
,
far
piazza
pulita
degli
oggetti
inutili
,
o
di
quelli
brutti
.
Poté
accadere
,
all
'
inverso
,
che
donasse
ad
un
visitatore
oggetti
di
pregio
autentico
.
Lui
stesso
dovette
accorgersi
di
questo
progressivo
soffocamento
quando
decise
di
«
schifare
il
mondo
»
(
e
cioè
quel
mondo
,
quelle
pere
di
vetro
,
quelle
zucche
luminescenti
,
quei
pugnali
)
e
trasferirsi
a
vivere
lì
accanto
,
in
due
sole
stanze
,
brutte
quanto
si
vuole
anche
esse
,
ma
perlomeno
non
più
attuffate
da
tanta
paccottiglia
.
Schifamondo
,
disse
lui
:
una
camera
da
letto
scura
,
arredata
nello
stile
che
fu
degli
anni
Trenta
,
con
più
i
calchi
giganteschi
,
a
capo
del
letto
un
occhio
d
'
oro
,
con
l
'
insegna
«
per
non
dormire
»
.
Le
luci
piovono
dal
soffitto
smorzate
e
opalescenti
;
l
'
effetto
complessivo
è
funereo
,
ma
d
'
una
certa
solennità
.
D
'
Annunzio
su
quel
letto
non
riposò
mai
,
se
non
dopo
morto
.
Lì
lo
vide
per
l
'
ultima
volta
Mussolini
,
poi
lo
esposero
alla
folla
sotto
il
portico
del
cortile
dalmata
,
e
infine
lo
sotterrarono
(
no
,
non
in
piedi
,
mi
dice
l
'
ex
muratore
Ciriaco
Marini
,
che
era
presente
;
no
,
disteso
come
un
cristiano
qualunque
)
.
Adesso
il
corpo
di
Gabriele
è
in
una
nicchia
abbastanza
semplice
dell
'
Esedra
:
il
nome
,
un
pugnale
,
la
corona
dell
'
Accademia
d
'
Italia
,
la
terra
di
Pescara
,
l
'
acqua
del
Piave
.
Sta
lì
di
fronte
alla
casa
.
Ma
c
'
è
chi
non
vorrebbe
lasciarcelo
.
Nel
1940
cominciarono
i
lavori
per
l
'
erezione
del
Mausoleo
,
che
è
più
grande
di
tutti
gli
altri
edifici
messi
insieme
.
Sta
in
cima
al
poggio
che
guarda
la
prua
della
nave
«
Puglia
»
(
sempre
lì
in
attesa
di
salpare
,
ma
non
si
muove
mai
,
purtroppo
)
.
È
a
pianta
circolare
,
con
balze
successive
ornate
da
pochi
stenti
ulivi
che
non
vogliono
attecchire
.
Bianche
scalinate
portano
da
una
balza
all
'
altra
,
e
sul
cerchio
più
alto
si
levano
dieci
arche
spigolose
,
e
un
'
undicesima
sta
al
centro
,
in
mezzo
a
una
specie
di
vasca
,
più
alta
di
tutte
.
Lì
vorrebbero
mettere
D
'
Annunzio
,
circondato
da
dieci
eroi
fiumani
(
sette
già
ci
sono
)
.
L
'
architetto
Maroni
,
che
qui
e
altrove
fece
cose
non
indegne
,
stavolta
si
lasciò
prendere
la
mano
dal
gusto
littorio
dell
'
ossario
imponente
e
falso
.
Il
mausoleo
è
brutto
.
È
una
cattiveria
contro
la
dolcezza
del
paesaggio
.
Per
fortuna
non
è
stato
mai
finito
,
e
speriamo
che
non
sia
mai
.
Dopo
tutto
un
mausoleo
per
D
'
Annunzio
non
serve
.
Esiste
già
.
È
quello
,
il
Vittoriale
.
Teniamolo
così
:
un
monumento
patetico
,
che
costruì
per
se
medesimo
un
uomo
vecchio
.
Entriamoci
a
guardarlo
con
la
pietà
che
dobbiamo
a
un
nostro
nonno
.
Era
un
nonno
strambo
,
ma
a
suo
modo
geniale
.