StampaQuotidiana ,
Quando
,
nella
primavera
del
1956
,
la
mafia
volle
fare
intendere
a
don
Carmelo
Napoli
che
per
lui
era
arrivato
il
momento
di
«
pensare
alla
salute
»
,
gli
spedì
un
pacco
postale
contenente
una
testa
di
cane
.
Don
Carmelo
,
impresario
di
pompe
funebri
,
fioraio
e
maneggione
in
diverse
«
partite
»
,
capì
subito
la
portata
dell
'
avvertimento
:
«
Se
continui
a
mordere
e
ad
abbaiare
,
farai
la
stessa
fine
»
.
Il
tarchiato
necroforo
era
quel
che
i
palermitani
chiamano
«
uomo
di
pancia
»
:
poco
disposto
a
lasciarsi
intimidire
o
spaventare
.
Gettò
la
testa
nel
pozzo
nero
e
attraverso
l
'
impalpabile
telegrafo
dei
bassifondi
fece
sapere
a
quei
«
cornuti
ammazzacani
»
che
avrebbero
avuto
molto
filo
da
torcere
,
prima
di
farla
da
padroni
nella
zona
dei
Mercati
generali
.
Ma
quindici
giorni
dopo
,
mentre
don
Carmelo
se
ne
stava
placidamente
seduto
nei
pressi
del
suo
negozio
,
in
pieno
giorno
,
in
uno
dei
vicoli
più
centrali
e
popolati
della
vecchia
Palermo
,
alcune
lingue
di
fuoco
saettarono
dallo
sportello
di
un
'
utilitaria
e
gli
saldarono
il
conto
.
La
salma
di
don
Carmelo
era
da
poco
tumulata
,
quando
Tanuzzo
Galatolo
,
«
pezzo
duro
»
del
quartiere
l
'
Acquasanta
,
fu
avvicinato
per
strada
da
un
bambino
scalzo
e
spettinato
,
il
quale
gli
mise
in
mano
una
scatoletta
dicendo
:
«
Don
Gaetano
,
cinquecento
lire
mi
diedero
perché
ve
la
consegnassi
»
.
«
Chi
fu
,
a
incaricarti
?
»
,
chiese
Galatolo
,
rigirandosi
in
mano
la
scatola
.
Il
bambino
strinse
le
spalle
,
alzò
gli
occhi
al
cielo
,
allargò
le
braccia
e
tirò
via
di
corsa
.
La
scatoletta
di
cartone
era
di
quelle
che
normalmente
contengono
fermagli
metallici
per
riunire
documenti
;
ma
Galatolo
vi
trovò
soltanto
tre
noccioli
d
'
oliva
ben
ripuliti
.
Io
e
voi
avremmo
pensato
a
uno
scherzo
.
Invece
,
il
«
ras
»
dell
'
Acquasanta
si
accigliò
.
Se
fra
gli
innamorati
dell
'
Ottocento
esisteva
un
linguaggio
dei
fiori
,
nel
mondo
della
mafia
esiste
un
linguaggio
dei
noccioli
:
«
Non
ti
resta
altro
da
succhiare
,
compare
.
Mettiti
l
'
anima
in
pace
»
.
Ventiquattro
ore
dopo
,
dietro
i
cancelli
del
mercato
ortofrutticolo
,
Tano
Galatolo
cadde
nel
suo
sangue
.
Testa
di
cane
,
noccioli
d
'
oliva
,
pettine
rotto
,
lampadina
fulminata
(
i
morti
non
hanno
bisogno
di
luce
)
,
zampa
di
gatto
,
altri
oggettini
insignificanti
,
bastano
ad
annunciare
le
condanne
capitali
decretate
dalla
mafia
.
O
meglio
:
da
una
«
cosca
»
(
vale
a
dire
«
gang
»
)
di
mafiosi
decisi
a
sopprimere
i
membri
di
una
«
cosca
»
concorrente
.
Guerriglia
interna
.
Quando
,
invece
,
la
vittima
designata
non
appartiene
all
'
«
onorata
famiglia
»
(
e
in
questo
caso
i
«
picciotti
»
incaricati
dell
'
esecuzione
prendono
ordini
«
dall
'
alto
»
)
,
è
inutile
farsi
precedere
da
simboli
di
quel
genere
.
Non
verrebbero
capiti
.
Per
mettere
sull
'
avviso
un
«
babbo
»
,
un
«
babbeo
»
,
cioè
,
estraneo
alla
«
società
»
,
e
intimargli
di
non
ficcare
il
naso
in
un
certo
affare
,
basta
una
visita
della
«
masticogna
»
.
Un
certo
giorno
,
un
tipo
in
berretta
qualsiasi
suona
alla
porta
della
persona
da
mettere
«
a
posto
»
,
oppure
la
ferma
per
strada
.
Con
aria
molto
deferente
,
quasi
con
umiltà
,
le
tiene
un
discorsetto
di
questo
genere
:
«
Vossia
deve
farci
un
piacere
.
Non
deve
più
intricarsi
(
interessarsi
)
di
quell
'
appalto
»
.
Oppure
:
«
Vuole
un
consiglio
,
voscenza
?
Per
qualche
tempo
non
si
faccia
più
vedere
dalle
nostre
parti
.
C
'
è
gente
molto
nervosa
»
.
Poche
parole
,
formalmente
inoffensive
,
tutt
'
altro
che
minacciose
,
ma
pronunciate
con
una
tecnica
speciale
:
una
ben
staccata
dall
'
altra
,
con
forza
,
come
se
fossero
altrettanti
bocconi
duri
da
masticare
(
l
'
espressione
«
masticogna
»
lo
dice
)
.
Fu
per
uno
di
quegli
«
avvertimenti
»
angosciosi
che
Giuseppe
Intravaia
cambiò
improvvisamente
umore
,
nel
novembre
del
1953
,
prima
di
sparire
in
modo
tanto
misterioso
?
Intravaia
era
nato
nel
luglio
del
1910
.
Al
momento
della
scomparsa
,
aveva
da
poco
compiuto
43
anni
.
Bruno
,
distinto
,
vestito
con
una
certa
eleganza
,
capace
di
parlare
e
scrivere
correntemente
l
'
inglese
,
il
francese
e
il
tedesco
,
nessuno
avrebbe
immaginato
le
sue
origini
modeste
,
gli
umili
mestieri
della
sua
gioventù
.
Invece
,
a
quindici
anni
,
con
addosso
i
suoi
primi
calzoni
lunghi
,
era
andato
a
lavorare
in
Inghilterra
,
come
fattorino
di
albergo
.
Giuseppe
Intravaia
era
preciso
,
ordinato
,
sentimentale
.
Annotava
tutto
su
rettangolini
di
carta
che
portava
in
tasca
,
e
ogni
sera
ricopiava
quegli
appunti
su
grossi
quaderni
.
Con
la
moglie
,
Ninfa
Grado
,
ch
'
egli
chiamava
sempre
Ninfina
o
Ninfuzza
,
era
un
marito
perfetto
.
Idolatrava
il
figlio
Piero
,
che
nell
'
autunno
del
'53
aveva
otto
anni
,
al
punto
che
un
giorno
aveva
detto
alla
moglie
:
«
Stanotte
ho
sognato
che
il
nostro
bambino
aveva
venti
anni
e
partiva
per
fare
il
soldato
.
Anche
nel
sonno
,
ho
provato
un
dolore
insopportabile
.
Ho
deciso
.
Quando
Piero
andrà
militare
,
noi
andremo
ad
abitare
nella
città
dove
lo
destineranno
,
per
averlo
vicino
»
.
Cameriere
di
bordo
sui
bastimenti
della
Tirrenia
,
Intravaia
si
era
pian
piano
elevato
.
Per
alcuni
anni
aveva
lavorato
,
in
posizione
assai
modesta
,
con
alcune
ditte
esportatrici
di
agrumi
di
Palermo
.
Finché
non
diventò
uno
dei
maggiori
esponenti
di
un
importante
«
consorzio
agrumario
»
in
provincia
di
Messina
.
Nel
maggio
del
1952
,
l
'
Assessorato
per
l
'
Industria
e
il
Commercio
della
Regione
siciliana
lo
nominò
suo
rappresentante
ufficiale
alle
fiere
di
Nuova
York
e
di
Toronto
,
nel
Canada
.
Restò
al
di
là
dell
'
Atlantico
circa
due
mesi
.
Forse
,
quel
viaggio
segnò
nella
sua
vita
ordinata
e
tranquilla
una
svolta
fatale
.
Il
5
ottobre
1953
,
Giuseppe
Intravaia
partì
da
Monreale
.
Era
uno
dei
soliti
viaggi
di
affari
,
per
conto
del
Consorzio
produttori
Torrenova
,
con
sede
a
Sant
'
Agata
di
Militello
.
Viaggi
che
spesso
lo
portavano
anche
all
'
estero
:
tanto
da
fargli
ottenere
con
facilità
il
passaporto
per
tutti
i
paesi
del
mondo
,
compresa
la
Russia
.
Partì
con
due
valigie
e
,
come
sempre
,
l
'
ombrello
ben
arrotolato
nella
foderina
di
seta
:
come
da
ragazzo
aveva
visto
in
Inghilterra
.
Si
fermò
alcuni
giorni
a
Messina
,
quindi
proseguì
per
Genova
.
Era
di
umore
perfettamente
normale
.
A
Genova
,
Intravaia
sbrigò
diverse
faccende
,
appoggiandosi
a
un
certo
Catalano
,
suo
corrispondente
d
'
affari
.
Verso
il
15
ottobre
,
si
trasferì
a
Basilea
,
dove
,
oltre
ai
commercianti
che
riforniva
di
agrumi
,
avvicinò
due
famiglie
di
turisti
,
conosciute
nell
'
estate
del
'52
a
Giacalone
,
villeggiatura
nei
dintorni
di
Monreale
.
Ritornò
a
Genova
il
31
ottobre
1953
.
Ed
è
a
cominciare
da
quel
giorno
che
la
sua
figura
si
appanna
;
acquista
,
attraverso
qualche
lettera
scritta
alla
moglie
e
poche
,
vaghe
testimonianze
,
un
che
di
enigmatico
,
d
'
inafferrabile
.
Al
rientro
dalla
Svizzera
,
Intravaia
appariva
preoccupato
.
Quando
il
Catalano
gli
chiese
se
avesse
qualche
fastidio
,
qualche
pensiero
molesto
,
raccontò
che
durante
la
sua
permanenza
a
Basilea
si
era
fatto
visitare
da
un
buon
internista
,
il
dottor
Erich
Goldschmidt
,
della
Friedrichstrasse
,
il
quale
gli
aveva
prescritto
una
certa
dieta
.
Si
trattava
di
una
malattia
grave
?
No
:
qualche
disordine
all
'
intestino
;
ma
non
era
,
comunque
,
una
cosa
allegra
.
Eppure
,
agli
occhi
di
Catalano
,
il
commerciante
di
Monreale
aveva
un
'
aria
troppo
triste
e
abbattuta
,
per
essere
spiegata
a
quel
modo
.
Soltanto
una
diagnosi
gravissima
,
addirittura
infausta
,
avrebbe
potuto
giustificare
i
lunghi
silenzi
,
le
fissità
distaccate
di
Giuseppe
Intravaia
.
Cinque
o
sei
giorni
dopo
,
Intravaia
decise
improvvisamente
di
andare
alla
Spezia
,
dove
abitava
un
fratello
della
moglie
,
l
'
ingegner
Grado
.
Prima
di
prendere
il
treno
,
con
le
due
valigie
e
il
fedele
ombrello
,
chiese
al
Catalano
un
prestito
di
40.000
lire
.
A
Basilea
aveva
speso
più
del
previsto
(
soltanto
al
dottor
Goldschmidt
aveva
versato
un
onorario
di
220
franchi
)
,
ed
era
rimasto
a
corto
di
fondi
.
Conoscendo
con
che
ordine
scrupoloso
l
'
amico
fosse
solito
organizzare
la
propria
vita
,
Catalano
restò
alquanto
sorpreso
da
quella
richiesta
.
Alla
Spezia
,
come
d
'
abitudine
,
Intravaia
fu
ospite
del
cognato
ingegnere
.
Durante
i
suoi
viaggi
stagionali
,
passando
da
quelle
parti
,
una
breve
sosta
in
casa
dei
parenti
era
solito
farla
.
Quella
volta
,
invece
,
si
fermò
a
lungo
.
Pareva
indeciso
,
restio
a
muoversi
,
quasi
insabbiato
.
Spesso
,
a
tavola
,
restava
con
gli
occhi
inchiodati
alla
finestra
.
Intanto
,
a
Monreale
,
un
giorno
della
prima
decade
di
novembre
,
avvenne
un
fatto
curioso
.
Un
noto
commerciante
di
agrumi
palermitano
si
presentò
all
'
abitazione
dell
'
Intravaia
,
in
via
Veneziano
,
e
chiese
alla
signora
Ninfa
di
consegnargli
alcune
cose
appartenenti
al
marito
:
un
assegno
di
125.000
lire
,
due
libretti
di
risparmio
al
portatore
,
uno
con
490.000
lire
,
l
'
altro
con
24.000
,
e
la
chiavetta
della
cassetta
postale
n
.
37
,
di
cui
l
'
Intravaia
era
titolare
da
un
paio
d
'
anni
.
La
signora
,
sapendo
che
il
commerciante
in
questione
aveva
continui
rapporti
d
'
affari
col
marito
assente
,
non
ebbe
alcuna
difficoltà
a
soddisfare
la
richiesta
.
Solo
più
tardi
,
ripensandoci
,
la
trovò
strana
.
I1
visitatore
le
aveva
detto
che
quella
roba
andava
subito
spedita
alla
Spezia
,
su
richiesta
del
marito
.
Ma
a
parte
il
fatto
che
Peppino
avrebbe
potuto
rivolgersi
direttamente
a
lei
,
per
la
quale
non
aveva
mai
avuto
segreti
:
cosa
poteva
farsene
,
alla
Spezia
,
di
due
libretti
al
portatore
accesi
sulla
filiale
palermitana
della
Commerciale
,
e
soprattutto
della
chiavetta
corrispondente
a
una
cassetta
postale
lontana
più
di
mille
chilometri
?
Il
23
novembre
,
ancora
ospite
del
cognato
,
Giuseppe
Intravaia
ricevette
dalla
Sicilia
una
lettera
azzurra
.
Con
la
sua
calligrafia
da
terza
elementare
,
il
figlio
Piero
lo
informava
di
essere
indisposto
.
Una
leggera
febbre
influenzale
lo
costringeva
a
letto
da
qualche
giorno
.
Il
commerciante
scrisse
immediatamente
alla
moglie
un
espresso
,
chiedendo
particolari
sulla
malattia
del
bambino
.
Tre
giorni
dopo
,
il
26
novembre
,
giunse
un
telegramma
di
risposta
:
il
piccolo
Piero
si
era
completamente
rimesso
.
Ricevendo
una
notizia
del
genere
,
Intravaia
avrebbe
dovuto
,
logicamente
,
rallegrarsi
.
Senonché
,
in
quel
telegramma
,
vi
era
un
particolare
molto
strano
:
non
era
firmato
dalla
signora
Ninfa
,
e
nemmeno
da
qualche
altro
parente
più
o
meno
prossimo
.
Era
stato
spedito
e
firmato
da
una
ditta
di
agrumi
con
la
quale
Giuseppe
Intravaia
aveva
avuto
spesso
rapporti
d
'
affari
.
Dopo
quel
telegramma
,
il
commerciante
,
anziché
apparire
soddisfatto
,
sembrò
colto
dal
panico
,
dall
'
ansia
di
partire
,
di
precipitarsi
a
casa
.
Infatti
,
la
sera
di
quello
stesso
26
novembre
,
prese
il
treno
,
con
le
sue
valigie
e
l
'
immancabile
ombrello
,
ben
stretto
nella
fodera
.
Il
pomeriggio
del
giorno
seguente
,
alle
7
,
a
Napoli
,
Intravaia
si
imbatté
per
caso
in
un
cugino
che
da
tempo
non
vedeva
:
il
dottor
Candido
,
commissario
di
Pubblica
Sicurezza
.
Restò
in
sua
compagnia
circa
un
'
ora
.
Rifiutò
fermamente
un
invito
a
cena
,
non
accettò
neppure
un
caffè
,
dicendo
che
il
medico
glielo
aveva
proibito
.
Qualche
minuto
dopo
le
8
,
si
congedò
dal
cugino
:
«
Scusami
,
ma
debbo
andare
d
'
urgenza
alla
posta
per
spedire
un
telegramma
»
.
Aveva
un
'
espressione
pensosa
,
preoccupata
.
Si
allontanò
giù
per
via
Toledo
a
passi
frettolosi
.
Il
dottor
Candido
lo
seguì
un
momento
con
lo
sguardo
.
Fu
l
'
ultima
persona
al
mondo
che
vide
con
certezza
Giuseppe
Intravaia
.
Perché
la
forma
umana
intravista
qualche
ora
dopo
,
dal
colonnello
di
Finanza
in
pensione
Calogero
La
Ferla
,
in
una
cabina
a
due
cuccette
,
a
bordo
della
nave
Città
di
Tunisi
,
poteva
essere
l
'
Intravaia
,
ma
anche
tutt
'
altra
persona
.
La
città
di
Tunisi
,
in
servizio
di
linea
fra
Napoli
e
Palermo
,
salpò
in
perfetto
orario
,
alle
20.30
del
27
novembre
1953
.
Sul
libro
del
commissario
,
la
cabina
di
seconda
classe
n
.
19
risultava
occupata
dal
colonnello
La
Ferla
e
dal
«
commissionario
»
d
'
agrumi
Giuseppe
Intravaia
.
Un
cameriere
di
bordo
sistemò
in
un
angolo
della
cabina
due
grosse
valigie
e
un
ombrello
strettamente
arrotolato
.
Il
colonnello
in
pensione
,
settantacinquenne
,
si
coricò
presto
:
prima
che
il
compagno
di
viaggio
si
facesse
vedere
.
I
vecchi
hanno
il
sonno
leggero
.
Durante
la
notte
,
un
certo
tramestio
svegliò
l
'
ex
-
ufficiale
.
Fra
le
palpebre
socchiuse
,
vide
un
'
ombra
che
stava
frugando
febbrilmente
in
una
valigia
.
«
Si
sente
male
?
»
,
chiese
,
a
mezza
voce
,
il
colonnello
.
«
Non
posso
dormire
»
,
borbottò
l
'
ombra
,
rimise
a
posto
la
valigia
ed
uscì
.
La
mattina
dopo
,
all
'
attracco
di
Palermo
,
nessuno
ritirò
le
due
valigie
e
l
'
ombrello
dalla
cabina
19
.
Quegli
oggetti
restarono
lì
un
paio
di
giorni
,
finché
un
cameriere
non
li
mise
in
un
ripostiglio
fra
le
cose
dimenticate
.
Qualche
giorno
più
tardi
,
quando
la
signora
Ninfa
,
disperata
,
segnalò
alla
polizia
l
'
inesplicabile
sparizione
del
marito
,
le
valigie
tornarono
alla
luce
e
furono
rovistate
.
In
mezzo
alla
biancheria
da
lavare
,
il
commissario
di
P
.
S
.
in
servizio
portuale
trovò
due
passaporti
intestati
a
Giuseppe
Intravaia
,
uno
scaduto
,
pieno
di
visti
di
frontiera
,
l
'
altro
rinnovato
,
con
un
visto
di
espatrio
per
la
Svizzera
,
in
data
16
novembre
1953
.
Partendo
dalla
Spezia
,
Intravaia
aveva
con
sé
due
vestiti
:
uno
marrone
e
uno
grigio
,
nuovo
,
acquistato
a
Basilea
.
Aveva
un
impermeabile
e
un
cappotto
.
In
una
delle
due
valigie
,
fu
trovato
il
vestito
marrone
,
e
sotto
di
esso
un
campione
di
stoffa
grigia
corrispondente
all
'
abito
acquistato
in
Svizzera
.
Dell
'
impermeabile
e
del
cappotto
,
nessuna
traccia
,
né
in
valigia
né
altrove
.
In
una
valigia
,
fu
trovato
un
guanto
di
pelle
marrone
.
Il
destro
,
Intravaia
aveva
tre
dita
della
mano
sinistra
mutilate
delle
falangi
superiori
,
perse
in
un
incidente
giovanile
.
D
'
estate
era
solito
applicare
puntali
di
gomma
ai
moncherini
del
pollice
,
indice
e
medio
della
sinistra
.
D
'
inverno
portava
i
guanti
.
Dov
'
era
finito
il
guanto
sinistro
,
che
Intravaia
,
uomo
ordinatissimo
,
si
sfilava
immancabilmente
prima
di
coricarsi
e
riponeva
,
assieme
all
'
altro
,
sempre
nel
medesimo
posto
?
E
se
quella
notte
non
si
era
coricato
,
perché
il
guanto
destro
,
scompagnato
,
era
rimasto
chiuso
in
valigia
?
In
una
delle
sue
valigie
,
fu
rinvenuto
anche
un
pezzetto
di
carta
con
su
scritto
:
«
Vado
a
Palermo
per
vedere
mio
figlio
»
;
sul
retro
,
due
cognomi
:
quello
di
un
commerciante
d
'
agrumi
napoletano
e
quello
di
una
personalità
politica
isolana
.
Suicidio
?
Come
crederlo
,
con
tutta
la
fretta
che
Intravaia
aveva
di
rivedere
il
suo
bambino
?
E
da
Napoli
,
appena
lasciato
il
cugino
commissario
di
P
.
S
.
,
non
aveva
forse
telegrafato
a
un
amico
di
andarlo
a
prendere
all
'
arrivo
della
città
di
Tunisi
?
Amico
che
,
peraltro
,
pur
avendo
ricevuto
il
telegramma
diverse
ore
prima
che
la
nave
entrasse
in
porto
,
non
si
recò
all
'
appuntamento
.
Incidente
?
Giuseppe
Intravaia
aveva
fatto
il
militare
nella
Marina
da
guerra
,
per
alcuni
anni
era
stato
cameriere
sui
piroscafi
.
Aveva
dimestichezza
con
la
vita
di
bordo
,
con
le
scalette
,
i
boccaporti
,
le
murate
.
Poteva
finire
in
acqua
,
per
una
svista
,
tanto
più
che
il
mare
,
quella
notte
,
era
liscio
come
l
'
olio
?
Qualche
tempo
dopo
la
sua
misteriosa
sparizione
,
risultò
che
il
modesto
«
commissionario
»
di
agrumi
Intravaia
aveva
conti
piuttosto
rilevanti
intestati
a
suo
nome
in
diverse
banche
della
Siria
,
del
Canada
,
di
Londra
,
di
Berna
;
numerosi
libretti
di
risparmio
accesi
in
cinque
o
sei
banche
italiane
;
grossi
crediti
esigibili
da
commercianti
siciliani
,
napoletani
,
genovesi
,
svizzeri
.
Due
valigie
,
un
ombrello
.
Un
vestito
marrone
,
un
po
'
di
biancheria
sudicia
,
un
guanto
scompagnato
.
Un
'
ombra
nella
notte
,
intenta
a
cercare
qualcosa
in
una
valigia
.
Un
vecchio
colonnello
in
pensione
che
si
riaddormenta
,
cullato
dalle
vibrazioni
dello
scafo
.
Un
bambino
di
otto
anni
,
una
moglie
affranta
,
che
ripete
ancora
,
dopo
cinque
anni
:
«
Il
mio
Peppino
è
stato
ucciso
!
»
.
Come
,
da
chi
,
perché
?
Dove
finì
la
chiave
della
cassetta
postale
n
.
37
?
Perché
qualcuno
si
presentò
a
ritirarla
?
Perché
il
telegramma
del
26
novembre
1953
,
rassicurante
circa
la
salute
del
piccolo
Piero
,
non
era
firmato
,
come
sarebbe
stato
naturale
,
dalla
signora
Intravaia
,
ma
da
gente
estranea
alla
famiglia
?
Un
telegramma
tranquillizzante
che
mise
in
agitazione
il
destinatario
.
Questa
è
la
storia
romanzesca
di
Giuseppe
Intravaia
,
l
'
uomo
che
sparì
,
una
notte
del
novembre
'53
,
come
una
bolla
di
sapone
.
Una
storia
già
velata
dalla
polvere
dell
'
archivio
.
Una
delle
tante
.
È
difficile
non
sentirvi
,
come
un
alito
freddo
,
la
presenza
implacabile
delle
«
bocche
cucite
»
.
Lunedì
scorso
,
13
ottobre
,
all
'
imbrunire
,
in
via
dell
'
Addolorata
,
a
Corleone
,
è
stato
ucciso
Carmelo
Lo
Bue
.
Non
valsero
i
pattugliamenti
straordinari
dei
carabinieri
,
su
e
giù
per
le
antiche
strade
,
sassose
come
torrenti
in
secca
,
a
ritardare
il
suo
appuntamento
con
la
morte
.
Era
nipote
dell
'
ottuagenario
capomafia
Calogero
Lo
Bue
,
sostituito
tre
anni
fa
dall
'
italo
-
americano
Vincent
Collura
,
che
fu
«
impiombato
»
nel
febbraio
del
'57
.
Tutto
ciò
non
serve
ad
arrestare
il
«
tritacarne
»
della
mafia
,
e
neppure
a
rallentarlo
di
un
giro
.
La
testa
calva
di
Carmelo
Lo
Bue
è
rimasta
a
biancheggiare
sui
sassi
grigi
,
al
momento
prestabilito
.
La
sera
del
13
ottobre
,
dopo
l
'
Avemaria
,
nella
luce
fiacca
proiettata
dalle
botteghe
,
la
gente
di
Corleone
ha
formato
í
soliti
capannelli
bisbiglianti
.
Come
sempre
,
quando
il
paese
è
«
fresco
di
morte
»
,
le
donne
,
vecchie
e
giovani
,
in
lutto
cronico
,
parlottavano
voltando
le
spalle
alla
strada
;
perché
è
bene
,
in
certi
casi
,
che
le
«
femmine
»
non
vedano
quello
che
«
sta
capetando
»
.
Scene
uguali
,
la
medesima
atmosfera
greve
e
sinistra
,
lo
stesso
«
scirocco
morale
»
fecero
seguito
a
migliaia
di
omicidi
,
nell
'
ultimo
mezzo
secolo
.
11
17
maggio
1915
,
quando
l
'
autore
accertato
o
presunto
degli
ultimi
delitti
,
Luciano
Liggio
,
era
ancora
assai
lontano
dal
nascere
,
i
corleonesi
si
riunirono
a
commentare
,
senza
muovere
le
labbra
,
l
'
uccisione
di
Bernardino
Verro
,
organizzatore
di
cooperative
agricole
.
Anche
allora
,
43
anni
fa
,
i
rintocchi
dell
'
Avemaria
si
erano
appena
smorzati
.
Giovani
siciliani
di
leva
e
anziani
richiamati
,
crucciati
nel
grigioverde
,
si
preparavano
a
fare
la
guerra
.
Nel
cielo
di
tutto
il
mondo
si
addensava
una
bufera
di
sangue
.
Ma
le
«
coppole
storte
»
della
mafia
,
obbedienti
soltanto
alla
loro
«
legge
»
,
avevano
un
solo
obbiettivo
:
Bernardino
Verro
.
Novembre
1918
.
Anche
nei
più
remoti
villaggi
della
Sicilia
,
le
campane
squillanti
a
doppio
salutarono
l
'
armistizio
.
Decine
e
decine
di
milioni
di
uomini
,
in
venti
nazioni
,
festeggiarono
la
pace
.
Ma
nei
dintorni
di
Corleone
,
proprio
quel
4
novembre
,
due
sicari
silenziosi
e
duri
,
incuranti
d
'
ogni
altra
cosa
,
aguzzavano
gli
occhi
d
'
onice
sulla
curva
solitaria
di
una
certa
trazzera
.
Aspettavano
al
varco
Antonio
Barbaccia
.
Barbaccia
,
da
una
decina
di
giorni
,
stava
aspettando
,
con
antica
rassegnazione
,
la
morte
.
La
incontrò
quel
pomeriggio
.
Stramazzò
mentre
le
campane
del
suo
paese
annunciavano
la
fine
del
primo
macello
mondiale
.
Né
guerra
,
né
pace
,
né
passo
di
pattuglie
,
né
lacrime
di
figli
,
né
suppliche
di
madri
,
né
interpellanze
alla
Camera
:
nulla
può
arrestare
gli
«
uccisori
»
della
mafia
,
quando
arriva
il
momento
di
colpire
.
Forse
non
sono
neppure
feroci
,
nemmeno
crudeli
.
Sono
soltanto
dei
«
robot
»
,
la
cui
intima
freddezza
contrasta
coi
ciuffi
meridionali
e
il
lampeggiare
degli
occhi
mediterranei
.
Forse
,
sotto
un
'
apparenza
calda
,
meridionale
,
conservano
fredde
gocce
di
sangue
normanno
,
o
impassibili
globuli
di
sangue
levantino
.
I
«
grandi
capi
»
del
gangsterismo
siculo
-
americano
,
a
Chicago
e
Nuova
York
,
tristi
e
laconici
sotto
pesanti
cappelli
di
feltro
garantito
,
da
cento
dollari
,
non
hanno
più
nulla
di
latino
.
Marciano
,
implacabili
,
fra
due
taciturne
guardie
del
corpo
,
come
cavalieri
di
un
'
Apocalisse
moderna
.
Il
vento
dell
'
enorme
miseria
patita
in
gioventù
li
spinge
alle
spalle
.
Impararono
l
'
uso
del
gabinetto
a
vent
'
anni
,
spesso
più
tardi
.
Offrono
a
«
bambole
»
come
Virginia
Hill
,
Liz
Renay
o
Hope
Dare
,
collane
di
diamanti
degne
di
una
regina
,
sanno
perdere
al
gioco
cifre
colossali
senza
scomporsi
;
lasciano
cinquanta
dollari
di
mancia
ai
camerieri
del
Morocco
:
ma
continuano
a
chiamare
il
gabinetto
«
bacauso
»
.
Perché
í
loro
nonni
e
padri
,
quando
arrivarono
in
America
,
non
conoscevano
altro
gabinetto
che
il
terreno
incolto
«
dietro
casa
»
Back
-
house
.
La
ricchezza
e
la
miseria
generano
,
in
modo
diverso
,
la
stessa
solitudine
.
Non
hanno
patria
.
Obbediscono
soltanto
a
due
leggi
:
«
fai
paura
»
o
«
aver
paura
»
.
Tutto
il
resto
,
per
le
«
coppole
»
di
Corleone
per
i
«
feltri
»
di
Nuova
York
,
è
riempitivo
.
Il
delitto
di
Corleone
del
13
ottobre
,
attribuito
alla
solita
disparità
d
'
interessi
fra
i
soci
vivi
e
defunti
dell
'
«
azienda
armentizia
»
di
Piano
Scala
,
è
la
controprova
,
se
ve
ne
fosse
bisogno
,
che
il
regno
della
mafia
attorno
a
Palermo
,
Caltanissetta
,
Agrigento
e
Trapani
,
è
più
forte
che
mai
.
Pensare
di
poterlo
liquidare
con
le
solite
,
vetuste
repressioni
poliziesche
,
con
le
deportazioni
in
massa
,
i
blocchi
permanenti
,
le
leggi
straordinarie
(
si
potrebbero
anche
chiamare
«
illegalità
»
eccezionali
)
di
cui
andava
impettito
il
prefetto
Cesare
Mori
,
fiero
di
aver
mandato
alle
isole
anche
i
bambini
di
dieci
anni
,
sarebbe
follia
più
che
ingenuità
.
La
mafia
è
,
prima
di
tutto
,
in
Sicilia
come
negli
Stati
Uniti
,
uno
strumento
troppo
utile
per
soccombere
ai
risentimenti
moralistici
e
alle
operazioni
della
burocrazia
militare
.
Dietro
le
spalle
del
funzionario
o
del
generale
incaricato
di
drastici
provvedimenti
possono
maturare
intese
e
accordi
a
più
alto
livello
.
Nel
1927
,
mentre
Cesare
Mori
,
in
giacca
di
fustagno
e
stivali
gialli
,
polverizzava
intere
popolazioni
,
mute
di
sgomento
e
gialle
di
malaria
,
Mussolini
strizzava
l
'
occhio
ai
grandi
mafiosi
,
già
muniti
di
tessera
e
scudetto
.
Il
Machiavelli
di
Predappio
,
individuate
le
profonde
infiltrazioni
dell
'
«
onorata
società
»
fra
gli
emigrati
siciliani
in
Tunisia
,
stava
servendosene
per
introdurre
clandestinamente
nell
'
Africa
Occidentale
francese
armi
e
munizioni
,
da
impiegare
in
un
'
eventuale
rivolta
filo
-
italiana
.
Attraverso
la
stessa
identica
rete
di
collegamenti
che
oggi
alimenta
il
traffico
delle
sigarette
americane
e
degli
stupefacenti
,
gli
agenti
segreti
di
Mussolini
riuscirono
a
piazzare
nelle
cantine
di
Tunisi
e
Biserta
30.000
moschetti
,
12.000
pistole
,
3
milioni
di
proiettili
,
90
mitragliatrici
e
3000
bombe
a
mano
.
Le
spedizioni
,
in
un
'
atmosfera
da
scoglio
di
Quarto
,
partivano
perlopiù
da
Trapani
,
Gela
e
Licata
.
È
inutile
dire
che
molte
delle
armi
destinate
alla
nostra
riscossa
mediterranea
restavano
regolarmente
in
Sicilia
,
a
sostituire
gli
arsenali
sequestrati
da
Cesare
Mori
.
Nel
1945
,
quando
i
baroni
crearono
l
'E.V.I.S
.
(
Esercito
Volontario
Indipendenza
Siciliana
)
,
spendendo
più
parole
che
quattrini
,
un
nobiluomo
palermitano
si
ricordò
di
avere
ancora
,
nascoste
in
una
villa
di
campagna
,
diverse
armi
sottratte
ai
carichi
«
irredentistici
»
di
trenta
anni
fa
.
Per
quanto
un
po
'
muffite
,
Concetto
Gallo
,
generale
in
seconda
dell
'
indipendentismo
(
il
primo
,
sulla
carta
,
era
Giuliano
)
,
le
distribuì
alle
reclute
in
addestramento
al
Quartier
Generale
di
San
Mauro
,
sopra
Caltagirone
.
Anche
Mussolini
,
fautore
di
una
«
politica
solare
»
,
ripulitore
di
angolini
,
antepose
la
ragion
politica
alla
distruzione
radicale
della
mafia
.
E
come
lui
,
dopo
di
lui
,
l
'
opportunismo
politico
,
variamente
colorato
,
spinse
alcuni
esponenti
democratici
della
Sicilia
occidentale
a
compromessi
e
patteggiamenti
,
più
o
meno
segreti
,
coi
capi
delle
«
bocche
cucite
»
.
Ognuno
per
conto
proprio
,
fingendo
d
'
ignorare
le
rispettive
manovre
,
i
candidati
alle
elezioni
del
'46
,
del
'48
e
via
dicendo
,
strinsero
accordi
coi
medesimi
«
pezzi
da
90»
:
distributori
di
voti
«
ciechi
»
,
trasferibili
,
a
decine
di
migliaia
e
con
un
semplice
cenno
,
da
un
capo
all
'
altro
dello
schieramento
elettorale
.
Prezzo
dei
voti
,
la
promessa
di
favoritismi
,
vantaggi
economici
,
tolleranza
e
impunità
.
Nel
1924
,
in
un
famoso
comizio
per
le
elezioni
di
Palermo
,
Vittorio
Emanuele
Orlando
dichiarò
pubblicamente
di
apprezzare
le
«
virtù
virili
»
e
le
«
alte
qualità
umane
»
dei
mafiosi
.
Tali
accenti
suscitarono
,
allora
,
alte
polemiche
.
Ma
tutto
sommato
,
malcostume
a
parte
,
le
condizioni
economiche
e
gli
interessi
prevalentemente
agricoli
dell
'
Isola
mantenevano
le
collusioni
fra
politici
e
mafia
a
un
livello
piuttosto
modesto
,
a
proporzioni
paesane
,
di
«
cosca
»
e
di
famiglia
.
D
'
altra
parte
,
il
gioco
delle
«
clientele
»
elettorali
era
diffuso
e
scontato
in
tutto
il
Meridione
.
Anche
nella
Sicilia
orientale
,
dove
la
mafia
non
ebbe
mai
radici
,
l
'
influenza
dei
baroni
creava
o
distruggeva
,
spesso
a
capriccio
,
la
fortuna
di
un
uomo
politico
.
Celebre
il
caso
di
due
candidati
,
Crisafulli
Mondio
,
agrario
,
e
di
Cesarò
,
democratico
sociale
,
ambedue
condizionati
dall
'
appoggio
del
barone
locale
.
Costui
disponeva
di
2999
voti
.
Si
trovava
in
grande
imbarazzo
circa
la
loro
assegnazione
:
non
già
per
scrupoli
di
natura
politica
,
ma
perché
i
due
gli
erano
egualmente
cari
e
simpatici
.
Tagliò
la
testa
al
toro
,
una
settimana
prima
delle
elezioni
,
disponendo
,
tramite
campieri
,
massari
e
uomini
di
fiducia
,
che
1499
voti
andassero
a
un
candidato
e
1500
all
'
altro
.
Oggi
la
mafia
è
assai
diversa
da
quella
che
sosteneva
alle
urne
Vittorio
Emanuele
Orlando
.
L
'
aiuola
siciliana
produce
frutti
assai
più
ghiotti
di
quelli
di
una
volta
.
Molti
zeri
si
sono
accodati
alla
cifra
del
reddito
regionale
.
L
'
«
onorata
società
»
,
trasferitasi
negli
Stati
Uniti
,
ha
frequentato
l
'
università
di
«
Tammany
Hall
»
,
centrale
siculo
-
americana
del
partito
democratico
a
Nuova
York
;
ha
guardato
a
fondo
nel
meccanismo
politico
-
mercantile
del
Paese
più
ricco
e
sanguigno
del
mondo
;
ha
imparato
come
si
«
controlla
»
un
sindacato
,
un
grande
porto
,
come
si
può
legare
una
fabbrica
di
abiti
o
di
motori
a
una
catena
di
alberghi
o
di
case
da
gioco
.
Ha
imparato
,
soprattutto
,
a
maneggiare
e
impiegare
il
danaro
con
estrema
disinvoltura
:
considerandolo
un
mezzo
e
non
un
fine
.
Ecco
perché
,
attualmente
,
i
legami
fra
la
mafia
e
certi
uomini
politici
dell
'
Isola
sono
più
pesanti
e
complessi
;
ecco
perché
,
prevedendo
l
'
aggravarsi
di
una
situazione
già
purulenta
negli
anni
dell
'
immediato
dopoguerra
,
la
rivista
«
dossettiana
»
«
Cronache
Sociali
»
,
già
citata
nel
corso
di
questa
rapida
inchiesta
,
incitava
caldamente
la
classe
dirigente
siciliana
a
sganciarsi
dal
vecchio
carro
,
ad
abbandonare
le
tradizionali
combutte
.
L
'
esortazione
,
oggi
come
oggi
,
è
ancora
più
valida
.
Mai
come
in
questo
momento
,
mentre
le
sue
antiche
strutture
economiche
e
sociali
si
stanno
rapidamente
evolvendo
,
la
Sicilia
ebbe
necessità
di
rinnovare
il
proprio
quadro
sociale
.
Ciò
che
purtroppo
non
avvenne
circa
un
secolo
fa
,
con
lo
sbarco
di
Garibaldi
,
e
l
'
avvento
dell
'
unità
nazionale
affrettato
dal
forcipe
franco
-
inglese
,
in
funzione
antitedesca
,
è
oggi
in
via
di
realizzazione
.
Dal
bozzolo
confuso
di
una
terra
contadina
e
pastorile
,
allagata
di
solitudini
e
di
silenzi
,
umiliata
dalla
trascuratezza
dei
governi
,
sta
per
uscire
una
farfalla
industriale
.
L
'
emancipazione
delle
province
orientali
,
Messina
,
Catania
,
Siracusa
,
va
estendendosi
verso
occidente
.
Se
in
questo
processo
di
trasformazione
,
una
vasta
,
profonda
e
coraggiosa
revisione
del
costume
politico
non
estrometterà
dalla
vita
pubblica
dell
'
Isola
l
'
influenza
corruttrice
della
mafia
,
l
'
antica
peste
feudale
s
'
impossesserà
delle
fabbriche
,
delle
miniere
,
degli
uffici
,
dei
trasporti
,
degli
appalti
.
Dopo
le
paure
di
un
Medioevo
agrario
,
i
siciliani
conosceranno
i
terrori
di
un
Medioevo
industriale
.
Più
forte
di
qualsiasi
partito
o
corrente
di
partito
.
La
Sicilia
è
una
terra
antica
e
generosa
.
La
sua
popolazione
,
cinque
milioni
di
individui
,
un
decimo
di
quella
italiana
,
è
il
prodotto
di
molteplici
incroci
,
di
vicissitudini
storiche
che
vanno
dagli
albori
della
civiltà
umana
allo
sbarco
alleato
dell
'
estate
'43
.
Genti
del
Nord
,
del
Sud
,
dell
'
Occidente
e
dell
'
Oriente
vi
s
'
incontrarono
;
vi
lasciarono
lembi
di
linguaggio
,
usanze
,
tempeste
d
'
odio
,
furie
d
'
amore
.
Perfino
la
mafia
,
degenerata
attraverso
i
secoli
,
ma
specialmente
negli
ultimi
quarant
'
anni
,
in
strumento
di
oppressione
e
d
'
«
intrallazzo
»
,
nacque
dal
bisogno
di
sopperire
in
qualche
modo
alla
deficienza
e
alla
trascuratezza
dei
poteri
centrali
.
Non
è
possibile
che
in
un
«
humus
»
tanto
ricco
non
si
trovino
,
senza
necessità
di
leggi
umilianti
e
di
battaglioni
in
assetto
di
guerra
,
le
forze
necessarie
a
vincere
la
malvivenza
organizzata
e
il
malcostume
politico
.
Nel
1949
,
Angelo
Vicari
,
allora
prefetto
di
Palermo
,
oggi
prefetto
di
Milano
,
fece
pervenire
alle
superiori
autorità
un
coraggioso
rapporto
sul
riprovevole
comportamento
di
alcuni
parlamentari
siciliani
,
palesemente
legati
,
se
non
addirittura
affiliati
alla
mafia
.
Vicari
era
,
allora
,
uno
dei
più
giovani
,
forse
il
più
giovane
prefetto
d
'
Italia
.
Nato
nella
Sicilia
orientale
,
a
Sant
'
Agata
di
Militello
,
in
provincia
di
Messina
,
arrivò
a
Palermo
in
tempo
per
ereditare
il
peso
di
tutti
gli
intrighi
,
indipendentistici
,
separatistici
,
briganteschi
,
accumulatisi
dal
'43
alle
elezioni
del
luglio
'48
.
Siciliano
dell
'
altra
sponda
,
poco
più
che
quarantenne
,
di
idee
vivaci
e
moderne
,
il
prefetto
mise
decisamente
il
dito
sulla
piaga
,
o
perlomeno
su
una
delle
piaghe
principali
.
Consigliò
di
neutralizzare
d
'
urgenza
alcuni
uomini
politici
di
primo
piano
.
Il
coraggioso
rapporto
,
dopo
aver
ondeggiato
come
una
foglia
d
'
autunno
,
scivolò
nelle
pieghe
secolari
della
vita
romana
.
Svanì
.
Oggi
,
dietro
le
belle
casse
da
morto
,
con
borchie
di
ottone
e
maniglie
di
bronzo
,
intagli
e
intarsi
,
dentro
le
quali
i
mafiosi
trucidati
viaggiano
verso
il
cimitero
,
non
è
raro
vedere
,
vestito
di
scuro
,
pallido
e
commosso
,
uno
di
quei
parlamentari
che
il
prefetto
Vicari
,
nove
anni
or
sono
,
nominò
nel
suo
fantomatico
rapporto
.
Il
giorno
che
i
«
pezzi
da
90»
come
Michele
Navarra
di
Corleone
e
Vanni
Sacco
di
Camporeale
,
come
Gerolamo
Vizzini
e
Ciccio
Cottone
,
andranno
al
camposanto
senza
deputati
,
la
Sicilia
occidentale
conoscerà
,
finalmente
,
una
nuova
stagione
.