StampaQuotidiana ,
Prima
di
recarci
a
teatro
,
ieri
sera
,
avevamo
dato
una
scorsa
ad
alcune
recensioni
di
giornali
romani
,
settimanali
e
non
,
che
de
La
fiaccola
sotto
il
moggio
,
presentata
dalla
Compagnia
De
Lullo
-
Falk
-
Guarnieri
-
Valli
,
nella
regia
di
Giorgio
De
Lullo
,
parlavano
in
tono
entusiastico
e
per
Rossella
Falk
,
interprete
del
personaggio
di
Gigliola
,
adottavano
l
'
impegnativa
definizione
di
«
grande
attrice
»
.
Già
,
quindi
,
pregustavamo
,
oasi
rara
nel
nostro
mestiere
,
una
serata
di
alto
teatro
,
con
un
testo
discutibile
,
ma
illustre
,
e
una
regia
e
un
'
interpretazione
,
se
non
eccezionali
,
poco
meno
.
Si
sa
che
,
nonostante
le
sue
ambizioni
di
ripetere
l
'
immagine
di
Elettra
,
un
'
Elettra
ambientata
in
terra
d
'
Abruzzo
,
La
fiaccola
sotto
il
moggio
resta
un
dramma
naturalistico
e
,
niente
da
fare
,
decadente
.
Il
suo
motivo
autentico
,
e
più
intimo
,
non
è
quello
della
vendetta
riparatrice
di
Gigliola
contro
Angizia
,
la
«
femmina
di
laico
»
che
le
ha
ucciso
la
madre
;
quella
vendetta
per
cui
Oreste
fa
strage
di
Egisto
e
Clitennestra
.
D
'
Annunzio
proietta
perentoriamente
l
'
azione
verso
quella
catastrofe
ma
intanto
ciò
che
veramente
gli
sta
a
cuore
è
l
'
amara
musica
che
viene
dal
disfacimento
della
casa
dei
Sangro
.
Punta
al
tramonto
sanguigno
che
conclude
la
tragedia
greca
e
arriva
al
crepuscolo
,
polveroso
e
perplesso
,
del
decadentismo
principio
di
secolo
.
Nella
casa
dei
Sangro
c
'
è
,
a
cercarlo
,
tutto
il
repertorio
dei
crepuscolari
:
la
fontana
muta
che
non
dà
più
acqua
;
il
grido
del
fanciullo
:
«
Sono
un
povero
malato
-
altro
non
posso
che
morire
...
»
;
che
qualche
anno
dopo
riecheggerà
Sergio
Corazzini
,
poeta
morto
,
ventenne
,
di
tisi
;
la
«
sillaba
del
tarlo
»
;
«
la
polvere
delle
cose
consunte
»
;
le
pergamene
corrose
,
memoria
di
una
grandezza
perduta
;
le
statue
dei
vecchi
re
,
caduti
dalle
nicchie
e
con
la
testa
mozza
;
la
portantina
dal
velluto
stinto
,
come
il
sangue
di
Simonetto
;
e
di
suo
padre
Tibaldo
,
quel
sangue
pallido
che
ha
tuttavia
torbide
accensioni
e
concilia
la
vampa
per
la
serva
assassina
alla
vigliaccheria
e
all
'
impotenza
ad
agire
.
Il
sapore
di
morte
che
è
in
questa
tragedia
fin
dai
primi
versi
non
deriva
dalla
pura
determinazione
ad
agire
degli
eroi
classici
;
ma
caso
mai
proprio
dal
suo
contrario
;
da
quella
perplessità
,
da
quella
decadenza
,
da
quel
rovinio
che
è
nelle
cose
e
negli
uomini
e
che
D
'
Annunzio
esprime
con
gli
arcaici
,
malinconici
fasti
del
suo
linguaggio
.
È
chiaro
che
tragedia
vera
e
propria
non
c
'
è
;
c
'
è
una
specie
di
allucinazione
torbida
,
che
ha
ancora
una
sua
indubbia
forza
teatrale
(
l
'
opera
sopporta
sulle
spalle
,
coperte
da
uno
scialle
a
lutto
,
cinquantatré
anni
buoni
)
purché
venga
,
rispettato
quell
'
ambiente
,
che
D
'
Annunzio
descrive
con
le
sue
fulgide
didascalie
;
e
i
personaggi
si
muovano
secondo
la
loro
coerenza
drammatica
,
perché
insomma
si
tratta
di
un
'
Elettra
borbonica
e
Tibaldo
dev
'
essere
un
barone
consunto
e
vizioso
,
la
femmina
di
Luco
,
Angizia
,
una
criminale
aspra
donna
plebea
,
il
Serparo
un
Deus
ex
-
machina
uscito
da
sotterranei
di
città
morte
;
e
così
via
.
Giorgio
De
Lullo
ha
invece
messo
in
scena
La
fiaccola
sotto
il
moggio
,
senza
credere
ai
suoi
valori
che
,
poco
o
molto
,
sono
quelli
indicati
sopra
;
e
l
'
ha
trasformata
in
una
specie
di
alto
oratorio
,
di
immobile
lettura
.
Dizione
spiegata
,
leggermente
inamidata
da
una
punta
accademica
,
statuarietà
dei
personaggi
su
una
specie
di
piattaforma
rotonda
,
di
cui
la
strana
scena
,
allusiva
,
irreale
,
creata
da
Pier
Luigi
Pizzi
,
ripeteva
il
movimento
.
Così
,
niente
più
casa
dei
Sangro
,
dove
tutto
è
«
consunto
,
corroso
,
fenduto
,
coperto
di
polvere
,
condannato
a
perire
»
;
niente
più
azione
,
plausibilità
allucinata
,
come
il
testo
richiede
.
Insomma
,
uno
stile
da
tragedia
classica
per
un
testo
che
di
classico
non
ha
nulla
,
se
non
le
unità
aristoteliche
,
di
tempo
,
di
luogo
e
d
'
azione
.
Scelta
questa
linea
,
lo
spettacolo
è
coerentissimo
,
rigoroso
,
con
quei
suggestivi
rintocchi
di
musica
sullo
sfondo
;
ma
,
chiamateci
codini
,
non
è
più
La
fiaccola
sotto
il
moggio
.
Rossella
Falk
ha
realizzato
fedelmente
l
'
immagine
che
del
personaggio
di
Gigliola
ha
voluto
darci
il
regista
e
ha
avuto
,
specialmente
nei
primi
due
atti
,
quando
è
stata
applaudita
a
scena
aperta
,
forti
accenti
tragici
;
ma
non
ci
pare
che
abbia
approfondito
le
ragioni
di
disperata
dolcezza
dell
'
eroina
,
quella
sua
amara
perplessità
che
fermenta
sotto
un
volto
impassibile
.
Romolo
Valli
è
stato
un
Tibaldo
malinconico
e
sfatto
,
il
più
vicino
,
fra
gli
interpreti
,
allo
spirito
autentico
del
testo
;
acre
ed
efficace
l
'
Angizia
di
Elsa
Albani
,
piuttosto
esile
il
Simonetto
di
Umberto
Orsini
e
poco
funzionali
Corrado
Nardi
e
Nino
Marchesini
,
rispettivamente
l
'
Acclozamora
e
il
Serparo
.
Completano
il
cast
Italia
Marchesini
,
Nicky
De
Fernex
e
Gabriella
Gabrielli
.
Successo
;
e
molti
applausi
anche
al
regista
,
alla
fine
.
Ma
,
con
buona
pace
degli
entusiasti
,
De
Lullo
e
compagni
,
nel
nostro
teatro
,
hanno
fatto
ben
altro
.