StampaQuotidiana ,
Ad
Erto
,
la
SADE
arrivò
nel
1956
.
Praticamente
poteva
agire
come
in
ogni
altro
luogo
,
poiché
aveva
in
tasca
la
concessione
di
sfruttamento
delle
acque
del
Vajont
.
Aveva
,
quindi
,
la
«
pubblica
utilità
»
che
la
proteggeva
,
che
le
copriva
ogni
malversazione
.
Era
un
formidabile
biglietto
da
visita
,
che
le
serviva
da
lasciapassare
.
Ma
con
i
contadini
di
Erto
le
cose
non
erano
tanto
facili
.
È
un
popolo
per
certi
versi
primitivo
,
con
punte
di
arguzia
e
di
sospetto
;
dal
grande
,
generoso
cuore
verso
gli
amici
,
ma
soprattutto
libero
da
ogni
costrizione
.
La
saggezza
gli
deriva
,
forse
,
da
una
lunga
tradizione
di
isolamento
come
comunità
,
che
conserva
gelosamente
usi
e
costumi
antichi
,
di
una
civiltà
primitiva
,
appunto
,
ma
basata
sulla
giustizia
senza
cavilli
e
sulla
verità
senza
veli
.
Guidava
,
allora
,
l
'
amministrazione
comunale
di
Erto
,
la
signora
Caterina
Filippin
,
che
i
suoi
compaesani
chiamavano
familiarmente
Cate
.
In
quel
periodo
essa
si
batté
coraggiosamente
alla
testa
del
suo
popolo
,
contro
gli
espropri
,
che
la
SADE
voleva
risarcire
a
dieci
lire
il
metro
quadro
.
Parlamentò
con
i
tecnici
arrivati
sul
posto
per
le
stime
;
inoltrò
ricorsi
e
controricorsi
.
Riuscì
,
anche
,
a
rialzare
le
quotazioni
che
,
tuttavia
,
rimanevano
ancora
troppo
basse
.
Non
era
solo
il
valore
reale
del
terreno
che
i
contadini
pretendevano
.
Su
quella
terra
avevano
giocato
,
erano
cresciuti
,
avevano
fatto
l
'
amore
,
erano
nati
i
loro
figli
.
Senza
quella
terra
avrebbero
dovuto
andarsene
dal
paese
anche
i
vecchi
e
le
donne
,
come
i
più
giovani
già
facevano
per
tradizione
secolare
,
per
miseria
secolare
.
E
dove
si
trapiantavano
con
l
'
elemosina
elargita
dalla
SADE
?
Questo
era
il
punto
.
Cedere
sì
,
ma
non
prostituirsi
.
Inoltre
,
la
SADE
pretendeva
d
'
espropriare
nuovi
terreni
,
avendo
deciso
di
rialzare
ancora
di
più
il
livello
d
'
invaso
.
La
concessione
parlava
,
è
vero
,
di
una
quota
massima
di
677
metri
,
ma
la
società
elettrica
,
dopo
aver
fatto
i
suoi
conti
,
intravide
la
possibilità
di
altri
grandi
guadagni
,
se
avesse
ottenuto
l
'
autorizzazione
a
sopraelevare
il
livello
delle
acque
di
altri
45
metri
e
mezzo
,
portandole
a
quota
722,50
.
Inoltrò
la
domanda
in
tale
senso
al
ministero
dei
Lavori
Pubblici
ed
ottenne
la
nuova
autorizzazione
,
malgrado
l
'
opposizione
del
Comune
e
dei
privati
cittadini
.
Con
i
proprietari
il
monopolio
non
intendeva
troppo
parlamentare
.
Aveva
le
carte
scritte
in
mano
e
,
a
tempo
debito
,
le
avrebbe
fatte
valere
.
Era
tanto
sicuro
di
ciò
che
tirava
le
cose
per
le
lunghe
,
apposta
,
per
logorare
la
resistenza
dei
singoli
.
Aveva
tempo
davanti
a
sé
.
Stava
costruendo
la
diga
,
per
intanto
.
I
contadini
avrebbero
creduto
quando
si
fossero
trovati
davanti
al
lavoro
compiuto
;
alla
grande
e
maestosa
diga
che
doveva
essere
l
'
orgoglio
di
tutti
e
alla
«
pubblica
utilità
»
che
ne
derivava
di
invasare
la
valle
.
Per
intanto
non
bisognava
urtarli
più
del
necessario
.
Per
mantenere
l
'
ordine
nel
paese
c
'
erano
i
carabinieri
.
Il
primo
gruppo
della
Benemerita
fu
installato
ad
Erto
qualche
anno
prima
che
arrivasse
sul
posto
la
SADE
.
Si
disse
che
ce
n
'
era
bisogno
,
a
causa
di
risse
e
di
adulteri
,
cui
troppo
spesso
gli
ertani
si
lasciavano
andare
.
Facevano
una
netta
distinzione
tra
quello
che
era
di
Dio
e
quello
che
era
di
Cesare
pur
essendo
,
sostanzialmente
,
religiosi
.
Anzi
,
la
vita
di
Gesù
aveva
tanta
attrattiva
su
di
loro
,
che
il
venerdì
santo
quelli
di
Erto
mettevano
in
scena
all
'
aperto
,
tra
le
vie
e
sulle
colline
del
paese
,
una
rappresentazione
della
passione
di
Cristo
,
forse
tra
le
più
belle
che
esistano
ancora
in
Italia
.
Era
,
per
la
verità
,
di
gusto
pagano
,
ma
ad
essa
si
preparavano
coscienziosamente
tutto
l
'
anno
,
parti
e
costumi
,
con
l
'
orgoglio
di
far
ben
figurare
il
paese
di
fronte
agli
spettatori
che
convenivano
ad
Erto
dalla
provincia
di
Belluno
e
di
Udine
e
da
altre
città
del
Veneto
.
Era
una
cosa
loro
,
non
volevano
preti
.
I
parroci
succedutisi
ad
Erto
avevano
cercato
molte
volte
di
far
smettere
la
tradizione
,
per
oltraggio
alla
religione
.
Non
vi
erano
riusciti
.
Un
brutto
giorno
la
sindachessa
cambiò
parere
.
Si
mise
a
spargere
la
voce
che
,
contro
la
SADE
,
nessuno
la
avrebbe
spuntata
.
Tanto
valeva
cedere
,
prima
che
succedesse
il
peggio
.
Qualcuno
s
'
impaurì
.
Se
lo
diceva
il
sindaco
che
era
sempre
stato
dalla
parte
dei
contadini
,
voleva
dire
che
ne
sapeva
qualcosa
.
Altri
non
rimasero
convinti
del
nuovo
atteggiamento
assunto
dalla
prima
cittadina
del
paese
.
La
SADE
,
comunque
,
aveva
raggiunto
il
suo
scopo
.
I
cittadini
di
Erto
si
trovavano
divisi
ed
era
il
momento
opportuno
per
approfondire
il
solco
della
discordia
,
per
tirarne
il
proprio
tornaconto
.
Il
monopolio
elettrico
si
mosse
sul
terreno
diplomatico
,
come
fosse
entro
un
ministero
.
Avvicinò
i
dubbiosi
e
giocò
,
con
loro
,
al
rialzo
dei
prezzi
.
Dalla
sua
aveva
già
la
sindachessa
,
che
aveva
dato
l
'
esempio
cedendo
le
terre
al
monopolio
.
In
capo
a
qualche
mese
la
SADE
aveva
portato
a
termine
il
disegno
che
si
era
prefissa
.
Si
era
acquistata
,
pagando
bene
,
la
complicità
e
l
'
omertà
di
alcuni
proprietari
che
,
ora
,
facevano
la
propaganda
per
la
società
.
La
SADE
raccolse
un
magro
frutto
da
questa
manovra
.
I
contadini
più
deboli
e
ormai
senza
una
guida
,
si
presentarono
spontaneamente
al
monopolio
,
che
pagò
la
loro
terra
a
18
lire
il
metro
quadro
.
Ma
la
maggioranza
si
unì
attorno
a
un
capo
,
il
signor
Pietro
Carrara
,
che
guidava
un
comitato
di
protesta
.
La
voce
di
questi
montanari
vessati
dalla
SADE
arrivò
fin
dentro
il
Senato
.
Il
senatore
Giacomo
Pellegrini
,
nel
riferire
il
suo
interessamento
al
comitato
di
Erto
,
espresse
il
convincimento
che
a
Roma
la
cosa
non
interessava
.
Tutto
andava
come
voleva
la
SADE
,
che
aveva
ancora
l
'
ultima
carta
nel
mazzo
da
giocare
.
E
la
buttò
sulla
tavola
vincendo
il
piatto
.
Fece
sapere
a
quanti
ancora
resistevano
che
dovevano
decidersi
.
O
accettare
con
le
buone
,
oppure
sarebbero
stati
espropriati
con
la
forza
e
i
denari
del
risarcimento
versati
in
banca
a
nome
del
titolare
catastale
del
fondo
.
Era
una
operazione
che
le
veniva
consentita
in
virtù
della
concessione
che
teneva
in
mano
per
«
pubblica
utilità
»
.
I
lavori
,
nella
valle
,
li
doveva
fare
e
lo
Stato
le
dava
questa
facoltà
.
Era
la
fine
per
i
montanari
di
Erto
.
Resistere
ancora
voleva
dire
non
vedere
forse
mai
quei
pochi
denari
.
I
terreni
,
in
moltissimi
casi
,
erano
ancora
intestati
al
primitivo
proprietario
,
morto
da
tanto
tempo
.
Gli
eredi
erano
molti
e
sparsi
un
po
'
ovunque
,
ad
Erto
e
in
altre
città
italiane
e
straniere
.
Per
entrarne
in
possesso
,
essi
avrebbero
dovuto
fare
lunghe
pratiche
burocratiche
e
procure
notarili
.
Spendere
molti
denari
.
Alcuni
cedettero
al
ricatto
.
Altri
resistettero
,
ma
si
trovano
ancora
oggi
con
i
soldi
vincolati
in
una
banca
.
La
SADE
aveva
ormai
mano
libera
per
costruire
l
'
impianto
.
Ai
contadini
espropriati
fu
offerto
un
posto
di
lavoro
sulla
grande
diga
e
molti
di
loro
morirono
nel
corso
della
sua
costruzione
.
È
bene
spiegare
in
che
modo
la
SADE
ottenne
la
concessione
per
lo
sfruttamento
delle
acque
del
Vajont
.
Alla
luce
della
terribile
tragedia
,
il
pensiero
di
come
essa
riuscì
ad
averla
in
mano
fa
semplicemente
rabbrividire
.
Il
decreto
porta
la
data
dell
'
ottobre
1943
.
L
'
Italia
era
precipitata
nel
caos
.
Non
esisteva
,
praticamente
,
un
governo
.
A
Roma
,
in
quei
giorni
gli
ebrei
venivano
rastrellati
dai
tedeschi
.
Nulla
più
era
efficiente
.
Le
donne
italiane
rivestivano
di
abiti
borghesi
i
soldati
fuggiaschi
per
sottrarli
alla
cattura
.
L
'
unica
cosa
valida
di
quei
momenti
erano
i
gruppi
antifascisti
che
si
andavano
organizzando
per
la
lotta
partigiana
.
Eppure
,
dentro
il
ministero
dei
Lavori
Pubblici
di
Roma
,
la
SADE
trovò
o
pagò
un
funzionario
disposto
a
mettere
un
timbro
e
una
firma
di
un
ministro
fasullo
sotto
la
concessione
.
Un
documento
che
nessun
governo
del
dopo
guerra
contestò
mai
al
monopolio
elettrico
.
Mentre
il
popolo
italiano
pensava
ad
organizzarsi
e
a
lottare
per
la
liberazione
del
paese
,
moriva
per
i
propri
ideali
di
democrazia
e
di
giustizia
sociale
,
la
SADE
maneggiava
nei
ministeri
,
imbrogliando
le
carte
,
per
non
perdere
quella
che
credeva
l
'
ultima
partita
.
Il
Vajont
aveva
avuto
un
assurdo
inizio
prima
di
avere
una
tragica
fine
.
La
costruzione
del
lago
artificiale
e
la
sopraelevazione
delle
acque
a
quota
722,50
creava
un
altro
grosso
problema
per
i
valligiani
di
Erto
.
Il
centro
veniva
diviso
da
alcune
sue
frazioni
,
situate
sul
versante
sinistro
della
valle
.
In
quella
zona
sorgevano
tre
centri
abitati
:
Pineda
,
Prada
e
Liron
.
Inoltre
molti
abitanti
di
Erto
possedevano
ancora
terreni
sul
lato
opposto
del
paese
e
case
,
dove
si
trasferivano
con
il
bestiame
dalla
primavera
all
'
autunno
.
I
contadini
raggiungevano
i
due
versanti
in
un
batter
d
'
occhio
,
attraverso
sentieri
che
percorrevano
veloci
quanto
gli
scoiattoli
.
Erano
abituati
da
sempre
a
quelle
primitive
vie
di
comunicazione
.
Perciò
avevano
costruito
i
villaggi
dall
'
altra
parte
del
paese
,
dove
c
'
era
l
'
unica
buona
terra
da
coltivare
.
Le
donne
s
'
erano
allenate
fin
da
piccole
a
portare
la
gerla
in
spalla
carica
di
fieno
,
letame
e
patate
.
I
bambini
percorrevano
gli
stessi
sentieri
per
recarsi
alla
scuola
del
paese
,
anche
con
la
neve
.
La
SADE
era
tenuta
,
secondo
quanto
era
scritto
nel
disciplinare
di
concessione
,
a
mettere
in
opera
tutte
le
misure
necessarie
per
garantire
il
normale
bisogno
delle
popolazioni
.
Ed
esse
volevano
una
passerella
che
attraversasse
la
valle
.
La
SADE
,
in
un
primo
tempo
,
accettò
di
costruirla
.
In
seguito
,
probabilmente
dopo
l
'
autorizzazione
a
sopraelevare
il
livello
dell
'
acqua
,
si
rifiutò
.
Disse
che
avrebbe
,
invece
,
costruito
una
strada
di
circonvallazione
,
bella
e
panoramica
.
Per
i
contadini
la
strada
significava
sette
chilometri
di
percorso
per
andare
e
tornare
dal
paese
.
A
piedi
,
poiché
,
a
quel
tempo
,
nessuno
possedeva
neppure
una
motocicletta
.
Significava
fatica
e
perdita
di
tempo
per
le
donne
che
dovevano
recarsi
al
paese
per
le
spese
,
per
i
bambini
che
dovevano
andare
a
scuola
.
Ed
era
un
grosso
inconveniente
in
caso
di
urgenti
necessità
,
quali
il
medico
o
qualche
ammalato
grave
da
trasportare
.
Per
di
più
,
la
strada
veniva
costruita
su
un
percorso
che
ad
ogni
primavera
con
il
disgelo
e
ad
ogni
autunno
con
le
piogge
,
franava
.
La
gente
si
oppose
.
Iniziò
la
seconda
ondata
di
proteste
anti
-
SADE
.
La
società
elettrica
corse
ai
ripari
.
Capì
che
con
i
contadini
di
Erto
bisognava
mettere
nero
su
bianco
per
convincerli
.
E
il
nero
che
stava
scritto
sulle
sue
carte
ufficiali
parlava
chiaro
in
favore
dei
contadini
.
Bisognava
,
allora
,
modificare
le
carte
.
La
sua
mano
era
abbastanza
lunga
per
arrivare
dappertutto
.
Un
giorno
si
presentò
ad
Erto
con
un
nuovo
disciplinare
di
concessione
,
con
il
quale
il
ministro
competente
la
esonerava
dal
costruire
il
ponte
perché
«
la
natura
del
terreno
non
reggeva
all
'
opera
»
.
Il
terreno
di
Erto
era
tutto
della
stessa
natura
.
Secondo
le
carte
dei
ministeri
e
della
SADE
il
ponte
non
si
poteva
costruire
perché
era
pericoloso
,
ma
la
diga
e
il
bacino
invece
,
si
potevano
fare
.
I
contadini
ricorsero
contro
il
nuovo
disciplinare
.
Nessuno
li
ascoltò
.
La
SADE
,
intanto
,
segnò
il
tracciato
della
strada
e
cominciò
a
costruirla
.
Man
mano
che
i
lavori
avanzavano
espropriava
i
contadini
,
senza
nemmeno
chiedere
il
loro
permesso
.
Passava
sui
loro
terreni
,
rovinandoli
;
davanti
alle
loro
case
;
sui
loro
cortili
.
«
Pubblica
utilità
»
-
diceva
.
Gli
ertani
,
umiliati
e
inferociti
,
protestarono
giustamente
,
verso
autorità
locali
,
provinciali
e
nazionali
,
il
loro
diritto
ad
essere
trattati
almeno
umanamente
.
Le
loro
proteste
suonarono
sempre
a
vuoto
.
Ci
fu
una
persona
,
per
la
verità
,
che
ritenne
giuste
le
proteste
dei
contadini
.
Fu
l
'
ingegner
Desidera
,
allora
ingegnere
capo
del
Genio
Civile
di
Belluno
.
Questi
,
di
sua
iniziativa
,
fece
fermare
i
lavori
della
strada
.
Il
giorno
dopo
questa
sua
presa
di
posizione
venne
trasferito
da
Belluno
.
Una
mattina
,
un
contadino
,
esasperato
,
affrontò
i
tecnici
della
SADE
brandendo
un
'
accetta
.
«
Se
fate
ancora
un
passo
sul
mio
vi
ammazzo
tutti
»
-
gridò
.
I
carabinieri
lo
andarono
a
prelevare
e
lo
denunciarono
per
minaccia
a
mano
armata
.
Cosa
dovevano
fare
gli
ertani
di
fronte
alla
prepotenza
legalizzata
,
di
fronte
a
una
società
privata
che
dettava
legge
,
di
fronte
a
uno
Stato
che
proteggeva
i
forti
contro
i
deboli
?
Pensarono
di
costituire
un
consorzio
di
capi
famiglia
,
che
avesse
veste
giuridica
per
affrontare
i
potenti
.
Indissero
una
pubblica
assemblea
,
che
si
tenne
una
domenica
mattina
,
con
il
vento
che
spazzava
via
l
'
ultima
neve
.
Invitarono
,
per
l
'
occasione
,
i
parlamentari
della
circoscrizione
,
di
ogni
partito
.
Tranne
l
'
on.
Giorgio
Bettiol
di
Belluno
,
nessuno
si
fece
vivo
.
La
riunione
ebbe
luogo
il
3
maggio
1959
nella
rustica
sala
da
ballo
dell
'
ENAL
,
alla
presenza
del
notaio
dott.
Adolfo
Soccal
di
Belluno
,
che
redasse
l
'
atto
costitutivo
e
legalizzò
le
firme
dei
136
capi
famiglia
,
che
sottoscrissero
il
documento
.
La
riunione
fu
molto
più
numerosa
.
Intere
famiglie
si
recarono
sul
luogo
dell
'
assemblea
,
anche
molte
donne
con
i
bambini
,
che
nel
corso
della
prima
messa
domenicale
avevano
sentito
le
parole
di
esortazione
del
parroco
don
Doro
,
affinché
tutti
aderissero
all
'
iniziativa
«
sacrosanta
»
.
Quella
mattina
successe
un
fatto
che
turbò
un
poco
i
presenti
.
Un
imponente
vecchio
,
Giovanni
Martinelli
,
era
giunto
da
oltre
la
valle
con
due
cartelli
.
«
Abbasso
la
SADE
»
e
«
Abbasso
il
governo
»
-
c
'
era
scritto
.
Aveva
ragione
da
vendere
,
visti
i
precedenti
.
I
carabinieri
si
indispettirono
e
gli
ordinarono
di
depositarli
in
un
angolo
.
Lui
si
rifiutò
fieramente
.
I
carabinieri
glieli
strapparono
con
la
forza
,
malgrado
che
egli
tentasse
di
trattenerli
.
«
Se
non
li
molla
la
denuncio
per
resistenza
a
pubblico
ufficiale
»
-
scandì
l
'
uomo
in
divisa
.
Giovanni
Martinelli
aveva
fatto
la
guerra
del
'15-'18;
aveva
aiutato
i
partigiani
nell
'
ultima
guerra
;
aveva
avuto
la
casa
bruciata
dai
tedeschi
e
,
dal
governo
non
aveva
ricevuto
una
lira
per
i
danni
subiti
.
Era
uno
dei
più
energici
nelle
proteste
;
uno
dei
più
sicuri
che
la
montagna
dovesse
franare
e
provocare
una
tragedia
.
Quella
terribile
notte
del
Vajont
,
l
'
acqua
gli
avrebbe
portato
via
un
figlio
di
23
anni
.
L
'
assemblea
si
svolse
con
ordine
,
ma
in
un
clima
di
ribellione
che
ognuno
covava
dentro
il
petto
da
tempo
.
Una
vecchia
disse
:
«
Se
i
ladri
vengono
a
rubare
in
casa
mio
,
io
ho
ben
il
diritto
di
prendere
il
fucile
e
difendermi
»
.
A
presidente
del
consorzio
fu
eletta
la
signora
Lina
Carrara
,
moglie
di
quel
Pietro
Carrara
,
che
fu
uno
dei
primi
animatori
delle
proteste
anti
-
SADE
.
Egli
,
dopo
l
'
esproprio
dei
terreni
,
era
stato
costretto
ad
accettare
lavoro
dalla
società
elettrica
.
Morì
in
un
infortunio
occorsogli
durante
la
costruzione
della
diga
.
Sua
moglie
,
insegnante
elementare
a
Pordenone
,
accettò
subito
l
'
incarico
degli
ertani
,
in
nome
di
una
solidarietà
umana
che
non
si
sentiva
di
tradire
,
verso
i
compaesani
di
suo
marito
,
che
avevano
offerto
il
proprio
sangue
numerosi
all
'
epoca
dell
'
infortunio
,
nel
generoso
tentativo
di
salvarlo
.
Molti
ertani
parlarono
quel
giorno
.
Degli
espropri
,
della
strada
e
del
costruendo
bacino
.
Qualche
mese
prima
,
nel
vicino
lago
artificiale
di
Forno
di
Zoldo
,
era
franato
un
pezzo
di
montagna
.
Anche
ad
Erto
il
terreno
era
di
natura
franosa
,
in
pendenza
dal
40
al
70%
.
Il
paese
era
addirittura
costruito
su
terra
di
riporto
alluvionale
.
I
contadini
portavano
l
'
esempio
di
Forno
di
Zoldo
e
di
Vallesella
di
Cadore
.
In
ambedue
i
casi
l
'
acqua
dei
laghi
artificiali
,
col
suo
continuo
movimento
ondoso
,
aveva
«
mangiato
»
il
terreno
di
natura
franosa
e
provocato
disastri
.
A
Vallesella
tutte
le
case
si
erano
spaccate
.
Gli
ertani
manifestarono
la
loro
apprensione
e
si
proposero
di
condurre
avanti
una
lotta
organizzata
«
per
la
difesa
e
la
rinascita
della
valle
ertana
»
.
Questa
fu
,
appunto
,
la
denominazione
data
al
consorzio
.
Una
giornalista
dell
'
Unità
,
presente
all
'
assemblea
,
riferì
sul
suo
giornale
la
cronaca
dell
'
avvenimento
,
registrando
le
impressioni
della
popolazione
di
Erto
in
merito
all
'
invaso
.
Fu
denunciata
all
'
autorità
giudiziaria
,
dal
brigadiere
dei
carabinieri
Battistini
,
per
«
notizie
false
e
tendenziose
atte
a
turbare
l
'
ordine
pubblico
»
.
La
denuncia
aveva
il
chiaro
scopo
di
intimorire
gli
ertani
;
di
stroncare
la
loro
resistenza
.
Ottenne
il
risultato
opposto
,
poiché
molti
contadini
si
offersero
di
andare
a
testimoniare
al
processo
.
Tra
la
denuncia
e
la
celebrazione
del
processo
passò
un
anno
.
Nel
frattempo
,
precisamente
il
6
novembre
1960
,
dal
monte
Toc
franarono
alcune
centinaia
di
metri
cubi
di
materiale
.
Un
appezzamento
di
bosco
,
della
lunghezza
di
duecento
metri
,
sprofondò
nel
lago
.
L
'
ondata
che
si
sollevò
fu
abbastanza
grande
,
ma
non
fece
vittime
,
essendo
il
livello
dell
'
acqua
alquanto
basso
.
Il
franamento
spazzò
via
numerose
case
che
erano
state
espropriate
per
l
'
invaso
e
provocò
larghe
fenditure
in
tutta
la
zona
del
Toc
.
Chi
non
aveva
ancora
creduto
al
pericolo
si
rese
conto
che
il
paese
era
destinato
alla
rovina
.
Il
30
novembre
1960
si
celebrò
il
processo
a
carico
dell
'
Unità
.
I
giudici
di
Milano
ascoltarono
con
interesse
la
deposizione
della
giornalista
e
quella
dei
montanari
di
Erto
.
Esaminarono
attentamente
le
fotografie
che
riproducevano
la
zona
.
Si
informarono
minuziosamente
della
situazione
di
Erto
e
Casso
,
facendo
un
po
'
di
confusione
nel
pronunciare
i
due
strambi
nomi
.
Gli
ertani
si
appellarono
ai
giudici
con
foga
contadina
,
affinché
la
loro
sentenza
fosse
un
allarme
che
destasse
l
'
attenzione
delle
autorità
sulla
sorte
della
zona
.
I
giudici
,
alfine
si
ritirarono
.
Rimasero
pochissimo
in
camera
di
consiglio
.
Quando
ritornarono
in
aula
lessero
una
sentenza
di
piena
assoluzione
,
ritenendo
che
,
nell
'
articolo
incriminato
«
nulla
vi
era
di
falso
,
di
esagerato
o
di
tendenzioso
»
.
Ma
neppure
l
'
autorevole
sentenza
di
un
tribunale
indusse
la
pubblica
autorità
ad
intervenire
indifesa
delle
popolazioni
minacciate
.
Il
consorzio
di
Erto
intensificò
la
lotta
,
interessando
della
sicurezza
delle
popolazioni
prefetti
,
uffici
del
Genio
Civile
,
la
SADE
,
la
Provincia
,
il
Parlamento
.
Il
consiglio
provinciale
votò
all
'
unanimità
un
ordine
del
giorno
in
data
13
febbraio
1961
sulla
situazione
di
pericolo
del
Vajont
,
che
fu
personalmente
recato
a
Roma
da
una
delegazione
dello
stesso
consiglio
,
guidata
dal
presidente
dott.
Alessandro
da
Borso
.
Di
ritorno
da
Roma
,
nel
riferire
al
consiglio
sull
'
esito
della
missione
,
egli
espresse
il
suo
sconforto
dichiarando
:
«
la
SADE
è
uno
Stato
nello
Stato
»
.
La
solita
giornalista
dell
'
Unità
scrisse
un
altro
articolo
,
in
data
21
febbraio
1961
,
denunciando
un
pericolo
che
avrebbe
potuto
divenire
tragedia
.
In
esso
,
tra
l
'
altro
,
diceva
:
«
Una
enorme
massa
di
50
milioni
di
metri
cubi
di
materiale
,
tutta
una
montagna
sul
versante
sinistro
del
lago
artificiale
,
sta
franando
.
Non
si
può
sapere
se
il
cedimento
sarà
lento
o
se
avverrà
con
terribile
schianto
.
In
questo
ultimo
caso
non
si
possono
prevedere
le
conseguenze
.
Può
darsi
che
la
famosa
diga
tecnicamente
tanto
decantata
,
e
a
ragione
,
resista
.
Se
si
verificasse
il
contrario
e
quando
il
lago
fosse
pieno
,
sarebbe
un
immane
disastro
per
lo
stesso
paese
di
Longarone
adagiato
in
fondovalle
»
.
Qualcuno
si
domanderà
:
ma
la
SADE
sapeva
,
era
al
corrente
della
situazione
di
pericolo
nel
Vajont
?
La
risposta
è
:
si
,
la
SADE
sapeva
perfettamente
,
ma
aveva
tutto
l
'
interesse
a
non
renderlo
pubblico
,
in
vista
della
nazionalizzazione
.
L
'
impianto
doveva
passare
allo
Stato
in
piena
efficienza
,
affinché
venisse
ripagato
per
intero
,
dopo
che
era
già
stato
sovvenzionato
nel
corso
della
sua
costruzione
con
altissime
percentuali
sulla
spesa
totale
,
dal
60
all'80%
.
Tuttavia
,
in
segreto
,
la
SADE
fece
i
suoi
esperimenti
.
Incaricò
l
'
Istituto
di
idraulica
dell
'
Università
di
Padova
,
di
cui
era
ed
è
titolare
il
prof.
Ghetti
,
di
effettuare
una
prova
su
modello
per
misurare
,
su
scala
ridotta
,
gli
effetti
della
caduta
del
Toc
e
della
tracimazione
delle
acque
del
lago
oltre
la
diga
.
L
'
esperimento
venne
fatto
a
Nove
di
Fadalto
.
Diede
risultati
sconcertanti
,
che
furono
tenuti
segreti
.
In
base
alla
prova
effettuata
,
l
'
acqua
sarebbe
tracimata
in
misura
di
2-3
milioni
di
metri
cubi
e
il
Toc
avrebbe
franato
di
50
milioni
di
metri
cubi
di
materiale
.
La
notte
del
9
ottobre
franò
per
200
milioni
di
metri
cubi
di
materiale
e
tracimò
60
milioni
di
metri
cubi
d
'
acqua
.
L
'
esperimento
,
condotto
con
dovizia
di
mezzi
e
da
tecnici
altamente
qualificati
,
si
dimostrò
errato
.
Ma
anche
se
l
'
acqua
del
Vajont
fosse
precipitata
nella
misura
calcolata
sull
'
abitato
posto
sotto
la
diga
,
dove
si
trovava
anche
la
cartiera
di
Verona
sarebbero
morte
due
o
trecento
persone
,
nella
migliore
delle
ipotesi
.
Per
la
SADE
il
problema
era
quello
di
poter
continuare
ad
utilizzare
il
bacino
,
di
non
interrompere
la
produzione
,
quando
la
montagna
sarebbe
caduta
.
L
'
invaso
del
Vajont
era
il
più
importante
invaso
dei
collegati
Boite
-
Maè
-
Piave
-
Vajont
.
Era
un
grosso
bacino
di
riserva
le
cui
acque
,
venivano
avviate
ad
alimentare
la
grossa
centrale
di
Soverzene
in
tempo
di
«
magra
»
del
Piave
.
Era
,
perciò
,
il
più
importante
.
Interrompere
l
'
attività
del
bacino
,
sia
pure
a
causa
di
una
grossa
,
minacciosa
frana
in
movimento
,
voleva
dire
perdere
miliardi
di
guadagno
.
Ormai
il
bacino
era
fatto
e
bisognava
utilizzarlo
al
massimo
.
Si
doveva
andare
avanti
fin
che
si
poteva
.
E
prevedere
il
modo
di
utilizzare
le
acque
anche
dopo
.
Per
la
SADE
il
rischio
valeva
la
candela
.
Il
monopolio
elettrico
chiamò
dall
'
estero
varie
commissioni
di
esperti
per
studiare
il
problema
.
Essi
consigliarono
di
costruire
un
tunnel
di
scarico
sotterraneo
,
con
sbocchi
a
monte
e
a
valle
della
diga
,
nel
caso
che
la
montagna
,
cadendo
,
formasse
due
laghi
.
Erano
già
in
grado
di
prevedere
con
esattezza
come
la
caduta
del
Toc
sarebbe
avvenuta
.
La
SADE
li
ascoltò
e
costruì
l
'
opera
.
Nella
primavera
del
1963
,
poco
prima
del
decreto
di
nazionalizzazione
,
il
lago
venne
riempito
per
la
prima
volta
fino
a
quota
702
metri
.
Per
«
precauzione
»
ci
si
tenne
al
di
sotto
di
20
metri
dal
massimo
livello
consentito
.
Bisogna
dire
che
la
commissione
di
collaudo
nominata
dal
Consiglio
superiore
dei
Lavori
Pubblici
non
collaudò
mai
l
'
impianto
del
Vajont
.
Tra
gli
stessi
componenti
esistevano
opinioni
opposte
sulla
validità
dell
'
opera
fin
dall
'
autunno
1960
,
all
'
epoca
della
caduta
della
prima
frana
.
Proprio
per
l
'
esistenza
di
queste
opinioni
diverse
la
commissione
divenne
un
organismo
permanente
,
con
facoltà
di
collaudo
in
corso
d
'
opera
.
Ciò
voleva
dire
provare
,
tentare
e
vedere
.
Fino
alla
primavera
del
1963
si
erano
fatti
soltanto
tentativi
e
prove
.
Il
bacino
veniva
«
invasato
»
di
pochi
metri
alla
volta
e
poi
svuotato
per
misurare
la
stabilità
del
terreno
.
Nell
'
estate
del
1963
esso
appariva
colmo
d
'
acqua
.
Ma
anche
in
questa
occasione
il
collaudo
non
ebbe
luogo
.
Il
geologo
prof.
Penta
dissentì
dagli
altri
colleghi
della
commissione
,
manifestando
seri
dubbi
sulla
stabilità
futura
della
zona
.
Il
ministro
dei
Lavori
Pubblici
al
quale
furono
presentate
le
due
ipotesi
contrarie
formulate
dai
membri
della
commissione
,
accolse
la
più
ottimista
.
E
diede
parere
favorevole
al
pieno
invaso
del
bacino
senza
che
questo
fosse
stato
mai
collaudato
dai
tecnici
.
Dopo
qualche
mese
,
la
spalla
sinistra
della
diga
presentò
qualche
difficoltà
.
Forse
la
pressione
dell
'
acqua
era
troppo
forte
.
Si
corse
ai
ripari
,
immettendo
continuamente
«
iniezioni
»
di
cemento
nei
punti
ritenuti
più
vulnerabili
.
L
'
operazione
non
risultò
di
grande
sollievo
.
Bisognava
ridurre
il
livello
del
lago
,
per
salvare
la
diga
.
Riducendo
l
'
acqua
era
probabile
che
cadesse
il
Toc
.
La
SADE
si
trovò
di
fronte
a
un
grosso
problema
tecnico
.
Venne
presa
la
decisione
di
abbassare
le
acque
a
ritmo
lentissimo
,
tenendo
contemporaneamente
d
'
occhio
la
montagna
.
I
tecnici
incominciarono
a
svuotare
il
lago
mentre
la
frana
avanzava
,
ormai
,
di
40
centimetri
il
giorno
.
Pensavano
di
poter
terminare
lo
svaso
entro
la
fine
di
novembre
.
Un
mese
prima
della
catastrofe
,
il
vice
-
sindaco
di
Erto
,
Martinelli
,
scrisse
una
allarmante
lettera
all
'
ENEL
-
SADE
,
alla
Prefettura
e
al
Genio
Civile
di
Udine
,
esperimento
seri
dubbi
sulla
stabilità
delle
sponde
del
lago
e
chiedendo
«
di
provvedere
a
togliere
dal
Comune
di
Erto
e
Casso
le
cause
dello
stato
di
pericolo
pubblico
prima
che
succedano
,
come
in
altri
paesi
,
danni
riparabili
e
non
riparabili
;
quindi
mettere
la
popolazione
di
Erto
in
uno
stato
di
tranquillità
e
di
sicurezza
e
solo
dopo
rimettere
in
attività
il
bacino
di
Erto
»
.
L
'
ENEL
-
SADE
rispondeva
dichiarando
«
piuttosto
azzardate
»
le
previsioni
del
Comune
,
e
asserendo
che
l
'
abitato
non
correva
assolutamente
alcun
pericolo
.
Una
settimana
prima
della
tragedia
i
tecnici
in
servizio
sulla
diga
manifestano
apertamente
,
ai
dirigenti
,
la
loro
preoccupazione
.
Sordi
boati
e
scosse
del
terreno
sono
all
'
ordine
del
giorno
.
I
tecnici
parlano
del
pericolo
anche
con
gli
amici
,
tramite
il
filo
del
telefono
:
«
Qui
da
un
momento
all
'
altro
si
va
tutti
in
barca
»
;
«
Sto
mangiando
e
la
scodella
balla
»
.
Tre
giorni
prima
del
disastro
l
'
ing.
Caruso
dell
'
ENEL
,
viene
delegato
a
seguire
in
permanenza
l
'
andamento
della
frana
.
Il
geometra
Ritmajer
che
era
stato
trasferito
a
Venezia
viene
bloccato
sulla
diga
.
Gli
operai
addetti
ai
servizi
non
vogliono
più
andare
a
lavorare
.
Il
vice
-
sindaco
di
Longarone
,
Terenzio
Arduini
,
telefona
al
Genio
Civile
di
Belluno
per
essere
rassicurato
sulle
voci
di
grave
pericolo
che
circola
nella
zona
.
Viene
rassicurato
.
Nel
pomeriggio
del
9
,
fino
alle
ultime
ore
prima
della
tremenda
valanga
d
'
acqua
,
partono
per
Venezia
,
sede
dell
'
ENEL
-
SADE
,
drammatiche
telefonate
dai
geometri
sulla
diga
,
annunciando
l
'
imminente
pericolo
.
«
Mi
lasci
vedova
»
grida
la
moglie
del
geometra
Giannelli
,
inutilmente
tentando
di
convincere
il
marito
a
non
tornare
al
suo
posto
di
lavoro
.
Alle
ore
21
si
risponde
al
geometra
Ritmajer
,
che
tempesta
di
telefonate
la
direzione
di
Venezia
,
di
«
dormire
con
un
occhio
aperto
»
ma
di
stare
calmo
,
che
a
Venezia
non
si
prevede
tanto
pericolo
.
Sempre
alle
21
si
mandano
due
carabinieri
a
Longarone
nei
villaggi
sotto
la
diga
per
avvertire
la
popolazione
di
non
allarmarsi
«
se
dalla
diga
uscirà
un
po
'
d
'
acqua
»
.
Alla
stessa
ora
l
'
ing.
Caruso
chiede
ai
carabinieri
di
far
bloccare
il
traffico
sulla
statale
d
'
Alemagna
,
senza
preoccuparsi
che
la
strada
passa
proprio
in
mezzo
al
centro
abitato
di
Longarone
.
Nessuno
pensa
di
far
evacuare
i
paesi
.
Probabilmente
si
fidava
fin
troppo
della
prova
sul
modello
effettuata
dia
grandi
professori
,
equivalente
al
gioco
dei
bambini
che
buttano
sassi
in
un
catino
d
'
acqua
.
Alle
10,45
il
Toc
frana
nel
lago
,
sollevando
una
paurosa
ondata
d
'
acqua
.
Questa
si
alza
terribile
un
centinaio
di
metri
sopra
la
diga
,
tracima
dalla
stessa
e
piomba
di
schianto
sull
'
abitato
di
Longarone
,
spazzandolo
via
dalla
faccia
della
terra
.
A
monte
della
diga
,
un
'
altra
ondata
impazzisce
violenta
da
un
alto
all
'
altro
della
valle
,
risucchiando
dentro
il
lago
interi
villaggi
.
Oltre
2.500
vittime
in
tre
minuti
d
'
apocalisse
.
L
'
assassinio
è
compiuto
.