StampaQuotidiana ,
La
recente
ristampa
delle
opere
principali
di
Gaetano
Mosca
(
Scritti
politici
,
a
cura
di
Giorgio
Sola
,
2
voll
.
,
Utet
,
Torino
1982
)
potrà
richiamare
l
'
attenzione
del
lettore
di
oggi
sulla
critica
del
sistema
parlamentare
di
un
secolo
fa
,
di
cui
Mosca
fu
uno
dei
più
autorevoli
rappresentanti
.
Dopo
aver
affermato
che
le
istituzioni
politiche
debbono
essere
tali
da
non
porre
gli
uomini
nella
condizione
di
perseguire
soltanto
il
proprio
interesse
a
danno
del
senso
morale
,
osserva
che
il
sistema
parlamentare
«
è
congegnato
in
modo
da
riuscire
una
generale
e
sistematica
contraddizione
di
questa
massima
»
.
Segue
il
commento
:
«
Tutti
in
esso
,
dal
più
alto
al
più
basso
,
dal
ministro
all
'
elettore
,
trovano
il
loro
privato
interesse
nel
tradire
quegli
interessi
pubblici
che
loro
sono
affidati
.
Tutti
devono
,
per
farsi
avanti
e
sostenersi
,
favorire
gli
aderenti
e
gli
amici
a
scapito
del
buon
andamento
degli
affari
,
della
coscienza
e
della
giustizia
»
.
E
poco
più
avanti
:
«
Procedendo
così
siamo
ridotti
a
tale
che
ormai
,
in
molti
rami
della
pubblica
azienda
,
non
si
può
più
avere
a
che
fare
col
governo
usando
dei
soli
modi
onesti
e
legali
,
e
bisogna
fare
il
camorrista
se
non
si
vuol
subire
un
atto
di
camorra
»
.
E
proprio
il
caso
di
dire
:
nulla
di
nuovo
sotto
il
sole
.
Non
si
rendeva
conto
il
giovane
Mosca
(
quando
scrisse
quelle
pagine
aveva
venticinque
anni
)
che
il
male
lamentato
ineriva
al
sistema
democratico
in
quanto
tale
,
più
specificamente
al
sistema
della
democrazia
rappresentativa
,
ovvero
al
regime
in
cui
il
potere
di
prendere
le
decisioni
collettive
spetta
ai
rappresentanti
del
popolo
e
il
diritto
di
rappresentare
il
popolo
dipende
dal
beneplacito
degli
elettori
:
se
la
caccia
al
favore
dell
'
elettore
da
parte
del
deputato
era
un
male
,
era
un
male
necessario
e
,
chi
sa
,
rispetto
ad
altri
sistemi
politici
,
un
male
minore
.
Però
l
'
amarezza
di
Mosca
e
di
tutti
gli
altri
critici
del
sistema
parlamentare
era
perfettamente
spiegabile
con
la
delusione
che
la
pratica
quotidiana
aveva
in
loro
suscitato
rispetto
alle
speranze
delle
origini
.
Alla
fine
del
Settecento
,
uno
dei
maggiori
scrittori
politici
americani
,
James
Madison
,
aveva
esaltato
lo
Stato
rappresentativo
che
stava
facendo
le
prime
prove
negli
Stati
Uniti
,
sostenendo
che
la
delega
dell
'
azione
governativa
a
un
piccolo
numero
di
cittadini
eletto
dagli
altri
avrebbe
dato
vita
a
«
un
corpo
scelto
di
cittadini
,
la
cui
provata
saggezza
avrebbe
potuto
meglio
discernere
l
'
interesse
effettivo
del
proprio
paese
,
e
il
cui
patriottismo
e
la
cui
sete
di
giustizia
avrebbe
reso
meno
probabile
che
si
sacrificasse
il
bene
del
paese
a
considerazioni
particolarissime
e
transitorie
»
.
Occorre
anche
aggiungere
che
i
costituenti
del
tempo
non
si
erano
affidati
soltanto
alla
presunta
lungimiranza
degli
elettori
:
infatti
,
come
si
poteva
credere
sul
serio
che
il
cittadino
chiamato
a
scegliere
chi
avrebbe
dovuto
decidere
per
lui
non
scegliesse
la
persona
o
il
partito
da
cui
poteva
trarre
il
maggior
tornaconto
?
Giacché
non
era
possibile
che
l
'
elettore
rinunciasse
a
fare
richieste
interessate
,
non
vi
era
altro
rimedio
che
quello
di
imporre
all
'
eletto
di
non
tenerne
conto
.
Così
fu
formulato
e
fatto
valere
il
principio
,
passato
alla
storia
col
nome
di
«
divieto
di
mandato
imperativo
»
,
secondo
cui
gli
eletti
avrebbero
dovuto
prendere
le
decisioni
di
cui
erano
investiti
nel
solo
interesse
della
nazione
in
generale
,
ad
onta
delle
richieste
particolaristiche
e
campanilistiche
(
oggi
si
direbbe
corporative
e
clientelari
)
di
coloro
che
li
avevano
mandati
col
loro
voto
in
Parlamento
.
Nella
Costituzione
francese
del
1791
fu
introdotto
il
seguente
articolo
:
«
I
rappresentanti
nominati
nei
dipartimenti
non
saranno
rappresentanti
di
un
dipartimento
particolare
,
ma
dell
'
intera
nazione
,
e
non
potrà
essere
dato
loro
alcun
mandato
»
.
Con
l
'
introduzione
e
l
'
applicazione
di
questa
regola
generale
(
una
delle
vere
e
proprie
regole
del
gioco
della
democrazia
rappresentativa
)
si
voleva
che
la
rappresentanza
parlamentare
non
riproducesse
più
gl
'
inconvenienti
della
tradizionale
rappresentanza
corporativa
,
in
base
alla
quale
chi
riceve
la
delega
a
rappresentare
la
propria
corporazione
deve
fare
esclusivamente
gl
'
interessi
di
questa
,
e
s
'
imponeva
un
vincolo
formale
alla
naturale
tendenza
dell
'
eletto
ad
accaparrarsi
i
favori
di
coloro
da
cui
dipende
la
sua
elezione
,
cui
corrisponde
la
tendenza
altrettanto
naturale
dell
'
elettore
a
scegliere
il
candidato
più
disposto
a
proteggerlo
.
Da
allora
,
il
principio
è
diventato
un
elemento
fondamentale
della
democrazia
rappresentativa
.
Per
restare
in
casa
nostra
lo
Statuto
albertino
stabiliva
che
:
i
deputati
rappresentano
la
nazione
in
generale
e
non
le
sole
province
in
cui
furono
eletti
,
Nessun
mandato
imperativo
può
loro
darsi
dagli
elettori
»
(
art.
41
)
;
la
Costituzione
repubblicana
ripete
:
«
Ogni
membro
del
Parlamento
rappresenta
la
nazione
ed
esercita
le
sue
funzioni
senza
vincolo
di
mandato
»
(
art.
67
)
.
Mai
divieto
è
stato
più
trasgredito
.
Non
si
capisce
neppure
come
avrebbe
potuto
essere
rispettato
,
anzitutto
perché
l
'
interesse
nazionale
ciascuno
l
'
interpreta
a
suo
modo
e
ogni
partito
crede
,
magari
anche
in
buona
fede
,
che
l
'
interesse
del
partito
coincida
con
l
'
interesse
della
nazione
,
e
poi
perché
nella
gara
elettorale
viene
premiato
in
genere
il
rappresentante
o
il
partito
che
si
è
preoccupato
non
tanto
dell
'
interesse
nazionale
quanto
di
quello
dei
propri
clienti
.
Il
divieto
di
mandato
imperativo
è
una
regola
senza
sanzione
.
Anzi
,
l
'
unica
sanzione
temibile
per
il
rappresentante
o
il
partito
è
quella
che
viene
dalla
trasgressione
della
regola
opposta
,
dalla
regola
cioè
che
impone
,
o
per
lo
meno
consiglia
,
di
soddisfare
il
più
possibile
le
richieste
dei
propri
elettori
.
Elettori
ed
eletti
sono
legati
a
filo
doppio
.
Il
loro
rapporto
è
un
rapporto
di
«
do
ut
des
»
,
un
vero
e
proprio
rapporto
di
scambio
,
in
cui
l
'
uno
col
proprio
voto
attribuisce
all
'
altro
un
potere
da
cui
si
aspetta
un
beneficio
e
l
'
altro
dispensa
un
beneficio
da
cui
si
aspetta
il
consenso
.
Forzando
,
ma
non
troppo
,
l
'
analogia
tra
lo
scambio
politico
e
lo
scambio
economico
,
si
può
dire
che
l
'
elettore
è
un
produttore
e
l
'
eletto
un
consumatore
di
potere
,
e
inversamente
l
'
elettore
è
un
produttore
e
l
'
eletto
un
consumatore
di
consenso
.
L
'
idea
,
del
resto
non
nuova
,
che
la
democrazia
possa
essere
paragonata
a
un
grande
e
libero
mercato
la
cui
merce
principale
è
il
voto
non
è
esaltante
.
Ma
è
da
tener
sempre
presente
per
capire
il
comportamento
degli
uomini
politici
specie
nell
'
imminenza
di
elezioni
.
Come
il
mercato
economico
,
anche
il
mercato
politico
sfugge
a
ogni
controllo
che
si
voglia
imporre
dall
'
alto
e
anche
da
questo
punto
di
vista
l
'
analogia
regge
alla
prova
dei
fatti
.