StampaQuotidiana ,
Sono
andata
a
vedere
,
a
Palazzo
Braschi
,
la
mostra
dei
grandi
naifs
jugoslavi
.
I
naifs
jugoslavi
sono
pittori
contadini
.
Dipingono
su
vetro
.
Fanno
parte
d
'
una
scuola
che
si
chiama
«
Zemlja
»
,
cioè
terra
.
Il
caposcuola
,
che
si
chiama
Generalovic
,
non
ha
mandato
i
suoi
quadri
alla
mostra
perché
uno
dei
pittori
invitati
,
cioè
Lackovic
,
non
gli
andava
.
Così
dicevano
nelle
sale
della
galleria
e
non
so
se
sia
vero
o
se
sia
una
chiacchiera
.
Non
ho
mai
visto
i
quadri
di
Generalovic
.
Fino
a
poco
prima
di
visitare
la
mostra
,
non
sapevo
nulla
né
della
scuola
«
Zemlja
»
,
né
di
Lackovic
,
né
di
Generalovic
.
Questo
per
mia
ignoranza
,
perché
a
quanto
ho
saputo
i
naifs
jugoslavi
sono
famosissimi
.
Se
ho
voluto
visitare
questa
mostra
non
è
stato
per
amore
della
pittura
,
ma
perché
avendo
io
saputo
che
erano
pittori
-
contadini
,
pensavo
che
avrei
visto
dei
villaggi
.
Tutta
la
vita
ho
sempre
sentito
grande
curiosità
di
vedere
villaggi
,
ovunque
,
nella
realtà
e
nei
quadri
.
Quando
sono
in
treno
,
guardo
e
scelgo
nella
campagna
villaggi
dove
forse
vorrei
vivere
.
Nello
stesso
tempo
,
mentre
penso
la
mia
vita
perduta
in
mezzo
a
prati
o
rocce
o
abbarbicata
sull
'
alto
d
'
una
collina
,
mi
prende
una
sensazione
pungente
di
vertigine
e
malinconia
.
Perché
unito
al
desiderio
di
abitare
in
campagna
,
vive
in
me
non
meno
forte
e
profondo
il
sospetto
che
vivendo
in
campagna
mi
struggerei
di
noia
e
solitudine
.
Ma
nelle
pieghe
di
quella
noia
si
nasconde
per
me
un
incanto
segreto
.
Questi
sono
i
miei
pensieri
abituali
mentre
vado
in
treno
,
pensieri
totalmente
oziosi
perché
non
mi
propongo
e
forse
nemmeno
desidero
veramente
di
lasciare
la
città
in
cui
vivo
da
molti
anni
.
In
un
'
epoca
ormai
lontana
della
mia
vita
,
abitai
in
campagna
per
alcuni
anni
.
Quel
villaggio
io
non
l
'
avevo
scelto
ma
altri
l
'
avevano
scelto
per
me
.
Difatti
era
un
confino
di
polizia
.
Pure
avendo
preso
a
poco
a
poco
ad
amarlo
,
non
dimenticai
mai
,
nel
tempo
che
dovetti
soggiornarvi
,
che
non
l
'
avevo
scelto
e
non
smisi
mai
di
sognare
altri
e
più
remoti
villaggi
.
Quel
villaggio
non
era
per
nulla
sperduto
nella
campagna
ma
invece
stava
schierato
su
una
strada
larga
,
polverosa
e
piena
di
biciclette
e
carretti
.
La
casa
dove
abitavo
era
sopra
la
farmacia
.
Avendo
io
allora
bambini
piccoli
trovavo
la
presenza
di
quella
farmacia
assai
comoda
e
rassicurante
.
Tuttavia
essa
distruggeva
in
me
ogni
sensazione
di
stare
in
campagna
.
Le
nostre
finestre
non
guardavano
sulla
campagna
ma
su
tetti
e
vicoli
.
Sulla
porta
della
farmacia
sedeva
la
farmacista
.
Di
lei
dicevano
che
«
parlava
col
diavolo
»
.
Perché
e
quando
mai
parlasse
col
diavolo
quella
grassa
e
gentile
farmacista
in
vestaglia
e
ciabatte
,
non
lo
so
.
Ma
l
'
idea
che
le
aleggiasse
intorno
questo
sospetto
mi
rallegrava
facendomi
sembrare
il
paese
strano
e
primitivo
.
Perché
in
verità
quel
paese
era
assai
poco
strano
e
in
fondo
anche
assai
poco
primitivo
benché
sporco
e
povero
.
Alzando
gli
occhi
vedevo
le
colline
.
Sulle
colline
erano
villaggi
e
casali
dove
avrei
amato
vivere
.
Ma
soprattutto
c
'
era
,
non
molto
lontana
dal
paese
,
una
frazione
chiamata
Cavallari
,
cinque
o
sei
case
sparse
in
mezzo
a
un
acquitrino
,
e
io
usavo
figurarmi
la
mia
vita
là
.
Certo
era
un
gioco
ozioso
della
mia
frivola
immaginazione
.
Camminando
nei
prati
per
arrivare
a
Cavallari
si
affondava
nel
fango
fino
al
ginocchio
e
nei
vicoli
fra
quelle
case
nere
e
diroccate
si
affondava
nel
letame
.
Cavallari
,
dagli
abitanti
del
paese
dove
io
stavo
,
era
chiamato
«
Piccolo
Parigi
»
per
dileggio
.
Credo
che
se
mi
fosse
accaduto
di
vivere
per
più
di
un
giorno
nel
Piccolo
Parigi
sarei
impazzita
.
Vi
andavo
a
volte
per
qualche
ora
e
conobbi
là
alcuni
contadini
.
Essi
erano
tutt
'
altro
che
lieti
di
vivere
in
quel
fango
e
li
soccorreva
soltanto
una
secolare
abitudine
.
Non
avevano
né
acqua
né
luce
e
per
comprare
una
candela
o
una
cartina
d
'
aghi
dovevano
fare
chilometri
.
Avendo
io
le
idee
quanto
mai
confuse
progettavo
di
battermi
nei
miei
anni
futuri
per
strappare
quei
contadini
a
quel
miserevole
luogo
ma
nello
stesso
tempo
accarezzavo
il
sogno
di
passare
la
mia
vita
futura
in
una
di
quelle
nere
cucine
soffocate
nel
fumo
e
nel
letame
e
affacciarmi
la
sera
a
guardare
il
tramonto
su
quel
desolato
acquitrino
.
Se
avevo
all
'
origine
un
'
immagine
di
villaggi
idilliaca
e
pastorale
,
con
ruscelli
bisbiglianti
e
tenera
erba
,
essa
certo
andò
distrutta
per
sempre
nel
fango
del
Piccolo
Parigi
e
nei
vicoli
del
paese
in
cui
vissi
.
Non
che
non
vi
fossero
là
tenera
erba
e
pecore
,
ma
il
fango
,
il
fumo
e
la
noia
regnavano
incontrastati
in
quei
luoghi
e
ne
formavano
la
realtà
essenziale
.
Conobbi
varie
frazioni
e
sobborghi
in
quella
vallata
e
cercai
di
pensarvi
la
mia
vita
con
acuta
curiosità
,
con
desolazione
e
desiderio
.
Del
paese
in
cui
stavo
conoscevo
ormai
le
minime
pieghe
,
i
minimi
buchi
e
i
vicoli
,
e
la
mia
noia
d
'
averlo
davanti
agli
occhi
era
sterminata
.
Andavo
a
vedere
altre
frazioni
e
sobborghi
come
uno
si
gira
e
si
rigira
in
un
letto
per
cercare
punti
più
freschi
.
Mi
avrei
dato
non
so
cosa
per
aprire
gli
occhi
un
mattino
sui
balconi
di
una
città
.
Eppure
vissi
felice
in
quei
luoghi
.
Perché
non
è
vero
che
la
noia
escluda
la
felicità
.
Esse
possono
sussistere
insieme
e
unirsi
in
un
viluppo
inestricabile
.
Ricordando
la
noia
di
quegli
anni
conservo
in
me
la
persuasione
assoluta
che
la
vita
in
un
paese
in
campagna
sarebbe
quella
che
io
sceglierei
se
l
'
uomo
potesse
scegliere
il
suo
destino
.
Per
tornare
alla
mostra
di
Palazzo
Braschi
,
ci
sono
andata
dunque
per
vedere
dei
villaggi
.
Ne
sono
uscita
con
una
nostalgia
di
villaggi
profonda
e
pungente
.
Desideravo
essere
una
persona
precisa
,
e
cioè
desideravo
essere
il
pittore
contadino
Ivan
Vecenaj
.
I
grandi
naifs
jugoslavi
che
hanno
esposto
quadri
in
questa
mostra
sono
essenzialmente
quattro
:
Vecenaj
,
Rabuzin
,
Lackovic
e
Kovacic
.
Dirò
subito
che
non
mi
piace
Rabuzin
.
Dal
catalogo
ho
saputo
che
non
è
un
contadino
ma
un
imbianchino
.
Questo
spiega
di
lui
molte
cose
.
Evidentemente
imbiancando
muri
avrà
addensato
dentro
di
sé
molto
bianco
.
Nei
suoi
quadri
c
'
è
una
costante
luce
bianca
.
Per
i
cieli
rosa
e
celeste
viaggiano
nuvole
che
sembrano
palle
di
neve
,
al
suolo
giacciono
immensi
palloni
verdi
come
immensi
meloni
o
limoni
e
sono
foglie
.
Cerchi
lontani
di
piccole
case
non
testimoniano
vita
umana
essendo
i
suoi
villaggi
,
orti
e
campi
sigillati
in
una
geometria
immota
.
I
paesaggi
di
Rabuzin
sembrano
paradisi
luminosi
e
gelidi
,
non
destinati
agli
uomini
ma
alle
nuvole
,
ai
meloni
e
ai
limoni
,
e
chiusi
per
sempre
in
una
vitrea
e
nivea
primavera
.
Essi
mi
hanno
affascinato
ma
li
ho
trovati
agghiaccianti
.
Lackovic
mi
ispira
maggiore
simpatia
.
Lackovic
fa
degli
uomini
piccolissimi
seguiti
da
cani
piccolissimi
che
sembrano
volpi
.
Fa
delle
pianure
invernali
e
delle
lune
rosse
e
rotonde
,
dei
villaggi
armoniosamente
composti
in
un
delicato
intrico
di
arbusti
.
Dipinge
come
un
bambino
vivace
,
spiritoso
e
ciarliero
.
Tuttavia
i
suoi
orizzonti
non
sono
infiniti
,
né
sono
mai
sterminate
le
sue
distese
di
campi
.
Ogni
suo
paesaggio
è
raccolto
nella
vivacità
e
nella
grazia
.
In
questa
mostra
i
due
pittori
che
amo
sono
Kovacic
e
Vecenaj
.
Kovacic
ha
paludi
d
'
un
verde
grigiastro
,
autunni
fiammeggianti
e
villaggi
invernali
dipinti
con
attenzione
intensa
e
intensa
tristezza
.
Perché
l
'
orizzonte
nei
quadri
di
Lackovic
non
sia
infinito
,
e
sia
invece
infinito
nei
paesaggi
di
Kovacic
e
di
Vecenaj
,
non
lo
so
,
ma
penso
che
tutto
il
segreto
della
pittura
stia
in
questo
punto
.
I
quadri
di
Ivan
Vecenaj
sono
nella
prima
stanza
.
Dopo
aver
visto
gli
altri
sono
ritornata
da
lui
e
penso
che
lo
preferisco
a
tutti
.
I
suoi
paesaggi
sono
dipinti
con
estrema
minuzia
nei
minimi
e
più
lontani
particolari
e
l
'
orizzonte
sopra
di
essi
è
fosco
e
solenne
.
Nel
mezzo
del
paesaggio
campeggia
a
volte
un
evento
drammatico
:
brucia
una
casa
;
san
Giovanni
è
seduto
con
la
sua
aquila
;
un
vaso
di
fiori
azzurri
è
stato
posato
su
una
distesa
di
neve
;
una
donna
insegue
le
sue
oche
;
hanno
crocifisso
Gesù
.
I
colori
di
Vecenaj
sono
crudeli
e
violenti
.
Le
sue
figure
umane
sono
tozze
e
stupefatte
.
Hanno
larghi
volti
legnosi
,
larghe
mani
ossute
e
nodose
,
stanchissime
e
forti
.
I
suoi
animali
sono
irsuti
e
aspri
,
pieni
di
penne
e
di
peli
.
Ogni
quadro
dice
l
'
aspra
fatica
del
vivere
e
la
desolata
solitudine
dell
'
uomo
nella
campagna
.
Ogni
quadro
dice
come
sia
sterminata
e
senza
risposta
la
natura
intorno
alle
opere
degli
uomini
,
intorno
ai
villaggi
.
Dal
catalogo
ho
appreso
che
Vecenaj
vive
sempre
nel
suo
villaggio
e
fa
il
contadino
.
Questo
mi
ha
dato
gran
gioia
,
perché
avrei
trovato
tristissimo
doverlo
pensare
in
un
anonimo
appartamento
d
'
una
qualche
città
,
col
telefono
e
l
'
ascensore
.
Quando
sono
uscita
dalla
mostra
era
il
crepuscolo
.
C
'
era
folla
,
traffico
e
rumore
.
Gli
occhi
non
riuscivano
a
fermarsi
su
niente
,
non
c
'
era
che
disordine
,
le
strade
non
erano
più
strade
ma
solo
gente
e
automobili
,
i
suoni
laceravano
le
orecchie
.
Mi
consolava
il
pensiero
che
tutto
questo
fosse
risparmiato
a
Vecenaj
.
Era
,
in
quel
grigio
crepuscolo
,
l
'
unico
pensiero
che
mi
consolava
.
Per
me
stessa
,
desideravo
due
cose
,
ed
erano
tutt
'
e
due
impossibili
:
desideravo
essere
Vecenaj
,
e
desideravo
di
stare
per
sempre
in
uno
dei
villaggi
che
lui
ha
dipinto
.
Stare
là
come
la
guardiana
di
oche
,
o
come
l
'
aquila
,
o
san
Giovanni
,
o
Gesù
.
Avere
ai
miei
piedi
quella
campagna
.
Avere
sulla
mia
testa
quel
cielo
.