StampaQuotidiana ,
Un
eminente
«
sinologo
»
dell
'
università
di
Berkeley
dichiarava
pochi
mesi
fa
ad
un
nostro
collega
italiano
:
«
come
potenza
asiatica
,
la
Repubblica
popolare
cinese
teme
innanzitutto
l
'
Unione
Sovietica
,
poi
il
Giappone
e
solo
in
terzo
ordine
di
importanza
gli
Stati
Uniti
»
.
Ecco
la
ragione
vera
,
e
profonda
,
dell
'
improvviso
e
straordinario
invito
rivolto
da
Mao
a
Nixon
:
«
l
'
avvenimento
più
grande
del
dopoguerra
»
,
come
lo
ha
giustamente
definito
La
Malfa
.
Il
riserbo
,
e
la
prudenza
,
di
Mosca
di
fronte
al
riavvicinamento
cino
-
americano
-
un
riserbo
e
una
prudenza
che
rinnovano
la
linea
di
diffidenza
e
di
sospetto
verso
i
primi
atti
della
diplomazia
del
ping
-
pong
-
confermano
il
sottinteso
antisovietico
del
clamoroso
invito
al
presidente
degli
Stati
Uniti
che
Kissinger
,
il
professore
teorico
della
«
diplomazia
tripolare
»
,
ha
negoziato
nel
segreto
dei
suoi
colloqui
con
Ciu
En
-
lai
ma
che
era
stato
preparato
da
una
serie
coordinata
di
atti
ammiccanti
e
rivelatori
.
L
'
annuncio
contemporaneo
dalla
Casa
Bianca
e
da
Pechino
conferma
che
la
Cina
continua
a
temere
,
oggi
più
che
mai
,
la
minaccia
sovietica
alle
sue
frontiere
.
Tutte
le
trattative
,
stancamente
prolungate
da
anni
,
per
raggiungere
un
compromesso
o
un
modus
vivendi
nelle
tormentate
questioni
di
confine
che
dividono
la
Russia
e
la
Cina
non
sono
evidentemente
approdate
allo
scopo
.
Col
realismo
e
col
pragmatismo
che
caratterizzano
la
grande
tradizione
della
diplomazia
cinese
,
l
'
avvicinamento
all
'
«
avversario
del
tuo
avversario
»
è
stato
ritenuto
più
efficace
,
e
più
produttivo
,
di
tutti
i
tête
-
à
-
tête
fra
i
due
vicini
,
pure
regolati
dalla
suprema
abilità
di
una
regia
scaltra
e
dissimulata
.
Non
solo
:
ma
l
'
invito
rivolto
al
presidente
della
Confederazione
americana
,
di
una
nazione
che
non
intrattiene
cioè
rapporti
diplomatici
diretti
con
Pechino
e
che
fino
a
pochi
mesi
fa
è
stata
raffigurata
come
il
campione
dell
'
imperialismo
mondiale
in
Asia
,
dimostra
che
Mao
sconta
una
soluzione
pacifica
e
concordata
,
a
più
o
meno
breve
distanza
,
della
guerra
nel
Vietnam
.
La
politica
di
«
vietnamizzazione
»
proclamata
dal
presidente
Nixon
con
la
dottrina
di
Guam
,
un
'
altra
dottrina
elaborata
dal
professor
Kissinger
(
una
volta
tanto
l
'
università
è
decisiva
nella
storia
del
mondo
!
)
,
ha
ricevuto
a
Pechino
un
credito
maggiore
che
in
ogni
altra
parte
del
mondo
.
I
vituperi
e
le
contumelie
dei
comunisti
occidentali
,
a
cominciare
da
quelli
italiani
,
finiscono
quasi
per
dissolversi
in
una
prospettiva
di
ridicolo
.
Né
la
campagna
della
Cambogia
né
quella
del
Laos
-
tanto
rimproverate
al
presidente
Nixon
da
quei
seguaci
del
Pci
che
quasi
resero
impossibile
la
visita
del
presidente
americano
a
Roma
-
hanno
rappresentato
un
ostacolo
apprezzabile
alla
distensione
fra
Cina
e
Stati
Uniti
.
Mao
ha
valutato
realisticamente
,
e
positivamente
,
il
nuovo
indirizzo
dell
'
amministrazione
repubblicana
per
il
Sud
-
Est
asiatico
;
ha
creduto
alla
sincera
volontà
di
disimpegno
degli
americani
,
contro
tutto
l
'
isterismo
della
contestazione
anti
-
americana
:
di
massa
o
dei
gruppuscoli
filo
-
cinesi
.
Le
accoglienze
trionfali
riserbate
,
proprio
nei
giorni
successivi
all
'
operazione
Laos
,
ai
campioni
,
neppure
straordinari
,
del
«
ping
-
pong
»
americano
avevano
già
rivelato
una
precisa
scelta
politica
;
la
svolta
sensazionale
di
ieri
conferma
che
siamo
andati
rapidamente
oltre
le
cavallerie
dell
'
agonismo
sportivo
al
servizio
della
diplomazia
.
Si
potrebbe
dire
di
più
:
una
soluzione
pacifica
del
dramma
vietnamita
,
magari
attraverso
una
conferenza
per
l
'
Indocina
,
sembra
preferibile
,
per
la
diplomazia
cinese
,
ad
un
prolungarsi
indefinito
del
conflitto
,
giudicato
più
vantaggioso
per
Mosca
.
Non
dimentichiamo
che
il
partito
comunista
di
Hanoi
è
di
obbedienza
sovietica
molto
più
che
cinese
;
non
dimentichiamo
che
il
grosso
delle
forniture
militari
al
Nord
-
Vietnam
è
sempre
venuto
da
Mosca
(
la
Cina
ha
solo
mandato
armi
leggere
,
e
spesso
leggerissime
...
)
.
Neppure
l
'
ostacolo
dell
'
esclusione
,
assurda
esclusione
,
della
Cina
popolare
dall
'
Onu
sembra
ormai
insuperabile
.
Fra
i
temi
del
viaggio
di
Nixon
a
Pechino
,
quello
del
«
compromesso
»
necessario
per
ammettere
Pechino
fra
i
grandi
delle
nazioni
unite
occuperà
certo
uno
dei
primissimi
posti
.
Fin
dall
'
esordio
della
gestione
Nixon
,
un
nuovo
orientamento
era
emerso
nella
diplomazia
americana
:
volto
a
trovare
,
con
pazienza
e
con
tenacia
,
una
via
di
contemperamento
fra
la
salvaguardia
di
Formosa
e
i
diritti
imprescrittibili
di
un
paese
,
che
conta
750
milioni
di
uomini
su
una
superficie
di
nove
milioni
e
mezzo
di
chilometri
quadrati
,
press
'
a
poco
la
stessa
superficie
degli
Stati
Uniti
(
la
cui
popolazione
sfiora
soltanto
i
200
milioni
di
abitanti
)
.
La
via
delle
due
Cine
,
insomma
:
statu
quo
per
Formosa
ma
consacrazione
dei
diritti
di
Pechino
come
potenza
mondiale
.
Edgar
Snow
,
uno
degli
intellettuali
che
conosce
più
a
fondo
il
mondo
cinese
,
riferiva
di
recente
una
dichiarazione
di
Mao
,
secondo
la
quale
la
soluzione
del
problema
di
Formosa
era
rinviata
«
alla
morte
di
Chiang
Kai
-
shek
»
,
un
uomo
che
ha
superato
gli
84
anni
.
Tutto
fermo
finché
sarà
in
vita
il
capo
della
repubblica
di
Formosa
,
e
antico
protagonista
delle
lotte
per
la
liberazione
popolare
della
Cina
(
ricordate
la
Condition
humaine
di
Malraux
?
)
;
trasformazione
successiva
dell
'
isola
in
provincia
autonoma
della
Cina
sotto
il
controllo
del
Kuomintang
,
salvo
un
«
referendum
»
entro
dieci
o
venti
anni
.
Tutto
,
in
ogni
caso
,
è
fondato
sui
ritmi
dei
tempi
lunghi
.
Neppure
dopo
l
'
annuncio
,
sensazionale
e
sorprendente
,
della
visita
di
Nixon
in
Cina
,
nessuno
può
illudersi
su
cambiamenti
immediati
e
soprattutto
a
senso
unico
.
Il
giuoco
della
Cina
,
nel
quadro
della
nuova
diplomazia
triangolare
cui
guarda
il
regime
di
Mao
,
sarà
complesso
,
sfumato
,
contraddittorio
e
spesso
insondabile
.
La
potenza
militare
cinese
,
nonostante
la
scoperta
di
atomiche
sperimentali
,
alla
De
Gaulle
,
non
è
ancora
arrivata
ad
un
livello
competitivo
col
colosso
sovietico
,
che
incombe
,
con
la
forza
intatta
delle
sue
armate
e
dei
suoi
missili
,
sui
seimila
chilometri
di
frontiera
aperta
,
la
frontiera
bagnata
dal
sangue
dell
'
Ussuri
.
La
Cina
deve
realizzare
una
trasformazione
industriale
e
tecnologica
,
che
è
appena
agli
inizi
.
L
'
aiuto
americano
è
per
essa
essenziale
.
Nixon
ha
tutto
da
guadagnare
.
Con
la
spettacolare
mossa
del
viaggio
in
Cina
,
il
presidente
repubblicano
toglie
armi
decisive
agli
oppositori
democratici
,
scavalca
«
a
sinistra
»
tutti
i
Mansfield
e
tutti
gli
Humphrey
.
La
stessa
provvidenziale
iniziativa
del
«
New
York
Times
»
,
di
pubblicare
i
documenti
retrospettivi
degli
errori
democratici
nel
Vietnam
,
assume
un
più
preciso
significato
e
quasi
un
valore
profetico
alla
luce
del
piano
che
la
Casa
Bianca
stava
perseguendo
,
con
tenacia
pari
alla
spregiudicatezza
.
Ai
fini
della
rielezione
nel
'72
,
e
sempre
che
la
missione
a
Pechino
sia
coronata
da
successo
,
Nixon
ha
strappato
una
«
chance
»
di
grande
rilievo
.
Quello
che
ai
tempi
di
Johnson
appariva
utopia
è
diventato
oggi
realtà
.
Il
grande
giuoco
mondiale
riprende
il
sopravvento
nella
politica
americana
,
sempre
più
distaccata
dalle
miserie
e
dalle
divisioni
europee
,
miserie
e
divisioni
che
sembrano
infastidire
ogni
giorno
di
più
la
Casa
Bianca
e
l
'
intera
America
.
È
un
motivo
di
riflessione
per
l
'
Europa
,
se
ancora
il
vecchio
continente
conserva
un
minimo
di
volontà
di
sopravvivenza
.
Nell
'
unità
e
nella
libertà
:
senza
le
quali
la
nuova
e
grande
partita
mondiale
delle
superpotenze
,
Cina
compresa
,
è
destinata
a
passare
sulla
nostra
testa
.