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Mettere al mondo ( Rossanda Rossana , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Non facciamo confusione : non sono la stessa cosa un ' interruzione di gravidanza e l ' intervento genetico sulla riproduzione della specie . Nel primo caso una donna si chiede se mettere al mondo un figlio o no ; una donna , quella persona / corpo che non regge una maternità , e decide per il no . Nel secondo , il genere umano si trova a decidere il sì o il no di manipolazioni e mutazioni , financo donazioni o differenziazioni perverse , che decidono dell ' umano futuro . E interpellano alle radici culture , etiche , princìpi di identità . E infatti la prima è un ' antica vicenda , la seconda del tutto inedita . Da sempre le donne hanno ricorso a erbe e strumenti e tecniche abortive quando non potevano mettere al mondo e tenere al mondo una creatura . A rischio della vita . Uomini e società lo sanno , non c ' è testo di scienza naturale che non ne parli . Non c ' è stata legislazione demografica che lo abbia impedito . Le grida sull ' aborto che si levano periodicamente sono bugiarde e perverse . Lo scrive Gustavo Zagrebelski : « Un punto che dovrebbe essere pacifico in ogni discussione in buona fede è che tutti i divieti legali , siano essi rimessi nelle mani del giudice penale che condanna , o del medico che rifiuta l ' intervento , o del genitore che nega l ' assenso , o del padre che impone la sua volontà generatrice , si risolvono concretamente non nell ' impedimento dell ' aborto ma nella ricerca dell ' aborto clandestino ... non la difesa della vita del nascituro ma il pericolo della vita della donna e la discriminazione fra donne ricche e povere : due conseguenze entrambe incostituzionali » . Non penso che su questo si debba elucubrare , tanto è tristemente noto e chiaro . Si può chiedersi il perché del periodico risorgere d ' una maledizione su pratiche acquisite dal sapere comune e dalla medicina semplice - penso al trattato « sulle malattie delle donne » di Trotula de Ruggiero - e che fecero riflettere con più problematicità di ora la Chiesa delle origini . È come se qualcosa spingesse uomini o Chiese o Stati a inchiodare il corpo femminile sul margine fra vita e morte nel quale per secoli lo hanno cacciato e il parto ( fino all ' asepsi ) e l ' aborto . Là dovrebbe restare o essere riportata la maledetta sessualità femminile ? Si può anche capire il problema del credente , per il quale sono sacri qualsiasi tempo di vita come qualsiasi distruzione « naturale » perché Dio disegnerebbe il correre dell ' universo , e l ' uomo non avrebbe il diritto di intervenirvi . Ma quale fondamento può avere una etica laica , se non il doppio principio della libertà e delle responsabilità ? In questa ottica appare bizzarro che quel che di più importante si può fare , cioè mettere una creatura al mondo , non sia libero , deciso . Neppure la più folle delle legislazioni , salvo una segreta pratica nazista , osa enunciare l ' obbligo di generare . Ma se scelta è , è scelta in prima istanza e in ultima della donna . Qualsiasi uomo che abbia saputo dalla donna - lui non può saperlo - di averne fecondato un ovulo , sa quel che accadrà in se stesso e in lei : in lui , nulla , in lei , una rivoluzione . Il corpo di lei è investito , rovesciato il ciclo , l ' embrione cresce nei suoi tessuti , partecipa della sua circolazione sanguigna e respiratoria , è difeso dalle sue difese immunitarie , non potrà in nessun caso vivere se se ne separa prima di sei mesi , verrà a maturazione piena a nove e sarà espulso « nel dolore » . Poi la madre lo raccoglierà , pulirà , medicherà , alimenterà , mentre le si rinchiude quel grembo lacerato di cui , fino a meno di quarant ' anni fa , ancora rischiava di morire . Ma dovrà proteggere il piccolo cranio ancora aperto . Il cucciolo umano nasce assai più fragile d ' un gattino , e gli ci vorranno tre anni per cavarsela senza perire . E se la madre non gli sarà stata accanto nel suo pauroso precipitare in un mondo così diverso dall ' alveo materno , l ' angoscia sarà tale da incrinare il suo passaporto per l ' esistenza . La maternità è un evento globale e lungo che investe una esistenza femminile , scompone ogni altro programma di realizzazione , ed esige mediazioni perché uno dei due , madre e figlio / a , non ne esca mutilato . Quale comune misura ha questo con la paternità ? Sul piano fisico nessuna . La paternità è un ' acquisizione mentale , affettiva , non percepita nel corpo . È sulla vita di relazione ? Va da sé che la madre restringa le sue relazioni per privilegiare quelle con la sua creatura , va da sé che l ' uomo sviluppi le sue relazioni , un padre essendo chiamato ad essere più di prima un individuo sociale . La dissimetria è patente , la fisiologia si riproietta e moltiplica in ruoli apparentemente obbligati . Di questo dovremmo pur parlarci , fra uomini e donne . Io ho molti e carissimi amici fra gli uomini , ma non ne fanno parola . Credo neanche fra loro . Forse ogni uomo ha in fondo a sé , oscuramente , la percezione di questo scompenso , che ha battuto fin dalle origini il fantasma della Grande Madre , quella che veniva prima che si riuscisse a legare sessualità e riproduzione , quella ancora presente in Esiodo , la terra generatrice di tutto , anche del cielo . Lui , il maschio , ha potuto accedere alla filiazione , in lei così visibile , soltanto sequestrandone il corpo , e imponendo alla creatura un simbolo di proprietà , il nome . Ma ha dovuto fare della donna un soggetto secondo , meno libero . Si può capire . Credo che dovremmo ascoltare la fragilità del maschio , il sapersi un corpo che non si riproduce , che finisce , che disperde il seme . E nel medesimo tempo sapersi meno esposto , confessa Winnicott : per millenni il parto è stato un rischio di vita . Di fronte all ' invidia - timore che le donne avrebbero del pene , c ' è l ' invidia - timore del maschio per la femminilità sdoppiantesi , sola signora della genealogia . Si può anche capire che quando il sapere medico ci mette nella possibilità di decidere il sì o il no della maternità senza rischiare la vita , il nostro potere appaia enorme , inammissibile . Che altro traspare dalle parole di un uomo , abitualmente problematico e colto come Giuliano Amato ? « Lei » non sa , è egoista , immatura , incapace di veder oltre se stessa . Decido io al posto suo . Diverso il problema di fronte agli interventi genetici che investono la riproduzione della specie . Ma proprio perché essi riguardano l ' intera umanità , divisa in ruoli di inuguale potere prima di tutto fra i sessi , va detto forte che non se ne deciderà senza la determinazione della parola femminile . Io sono grata al centro Virginia Woolf per averlo scritto e proposto alla firma di tutte , al di là di ogni appartenenza . Il « che cosa » poter o dover fare in tema di procreazione esige una decisione d ' urgenza , perché già troppo si è avanzati senza una regola , e dove le regole non ci sono , conta il più forte , in saperi , denari , poteri . Su questo terreno si può giungere a mostruosità , come sappiamo , e anche dove sogni perversi di eugenetica fossero evitati , nessuna mutazione sarà cosa da poco . E non di poca tentazione : se intervenendo sul Dna abbattessimo alcune fatali malattie ? Per salvare e per salvarsi si possono compiere atrocità . Ma anche fosse tutto per il meglio , questo meglio va lungamente meditato e comunemente deciso . E la decisione varrà se ambedue i sessi , al punto in cui sono le riflessioni su di sé e l ' altro , e le identità , e le prospettive , vi si riconosceranno . Questo è l ' ammonimento dell ' appello firmato da migliaia di donne . Altro che domanda « corporativa » ( ammesso che sia pensabile ridurre un sesso anche alla più vasta delle corporazioni ) . Quel che è sicuro è che finora non ambedue i sessi ma solo il genere maschile ha parlato e legiferato . L ' altro , noi , abbiamo taciuto o subìto o privatamente mediato o ci siamo fatte complici : sono complicati , ben poco trasparenti , i rapporti fra uomini e donne . Lo schema maschile ha funzionato da schema unico , oggettivo e neutrale . Ma come potrebbe esserlo ? Anche chi , come me , non rinuncerebbe ai saperi d ' un mondo cui le donne hanno subalternamente partecipato , dubita che sul terreno della sessualità e della procreazione gli uomini possano attingere a pretese di universalismo . Si tratta d ' una frontiera limite , dolente e problematica , dove ogni sesso è forzato a una sua parzialità . Di più , il corpo non si dice in parole , è sentito , ne scriviamo per geroglifici . Sull ' esperienza del corpo siamo rimandati al massimo del « dato » e al massimo dell ' « irripetibile » , a leggi fisse prima e dopo di noi e alla solitudine delle differenze . La comunicazione va costruita . Fra le donne e fra i generi . E questo significa cambiare ordini , simboli , valori , poteri . Agli uomini , signori delle parole , restituirei quella competenza sui sentimenti che , tenendosi per sé i saperi , sembrano averci consegnato rimuovendoli da sé . Non credo alla divisione dell ' intelligere e del sentire , pati , patire . A certi testi femminili restituirei l ' inclinazione opposta , una sapienza come antilogos , che già ci ha funestato negli anni settanta . Come se si potesse pensare , elaborare , riflettere , senza astrarre , e non si potesse astrarre senza ordinare , né ordinare senza coartare . Come se potessimo eludere la sfera dei diritti , dei conflitti , di scarse ma essenziali leggi e del loro mutare nella storia . Ma questa è strada da fare . Se credevamo di aver tempo , perché qualcosa era sicuramente raggiunto e garantito , ci siamo sbagliate .