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LEGGENDE NAPOLETANE ( SERAO MATILDE , 1881 )
Saggistica ,
LA CITTÀ DELL ’ AMORE Mancano a noi le nere foreste del Nord , le nere foreste degli abeti , cui l ’ uragano fa torcere i rami come braccia di colossi disperati ; mancano a noi le bianchezze immacolate della neve che dànno la vertigine del candore ; mancano le rocce aspre , brulle , dai profili duri ed energici ; manca il mare livido e tempestoso . Sui nostri prati molli di rugiada non vengono gli elfi a danzare la ridda magica ; non discendono dalle colline le peccatrici walkirie , innamorate degli uomini ; non compaiono al limitare dei boschi le roussalke bellissime ; qui non battono i panni umidi le maledette lavandaie , perfide allettatrici del viandante ; il folletto kelpis non salta in groppa al cavaliere smarrito . Lassù una natura quasi ideale , nebulosa , malinconica , ispiratrice agli uomini di strani delirî della fantasia : qui una natura reale , aperta , senza nebbie , ardente , secca , eternamente lucida , eternamente bella che fa vivere l ’ uomo nella gioia o nel dolore della realtà . Lassù si sogna nella vita ; qui si vive in un sogno che è vita . Lassù i solitarî e tristi piaceri della immaginazione che crea un mondo sovrasensibile ; qui la festa completa di un mondo creato . E le nostre leggende hanno un carattere profondamente umano , profondamente sensibile che fa loro superare lo spazio ed il tempo . Soltanto , per ascendere ad una suprema idealità , hanno bisogno del misticismo : di quel misticismo che è la follia dell ’ anima , inebbriata omicida del corpo , di quel misticismo che è fede , pensiero , amore , arte , attraverso tutti i secoli , in ogni paese ; di quel misticismo che è il massimo punto divino a cui può giungere un ’ esistenza eccessivamente umana . Ma a questo dramma , a questa vittoria cruenta dello spirito sul corpo , vien dietro un altro dramma , più umano , più potente , dove il pensiero ed il sentimento non vincono la vita , ma vi si compenetrano e vi si fondono ; dove l ’ uomo non uccide una parte di sé per la esaltazione dell ’ altra , ma dove tutto è esistenza , tutto è esaltazione , tutto è trionfo : il dramma dell ’ amore . Le nostre leggende sono l ’ amore . E Napoli è stata creata dall ’ amore . Cimone amava la fanciulla greca . Invero ella era bellissima : era l ’ immagine della forte e vigorosa bellezza che ebbero Giunone e Minerva , cui veniva rassomigliata . La fronte bassa e limitata di dea , i grandi occhi neri , la bocca voluttuosa , la vivida candidezza della carnagione , lo stupendo accordo della grazia e della salute in un corpo ammirabile di forme , la composta serenità della figura , la rendevano tale . Si chiamava Parthenope , che nel dolce linguaggio greco significa Vergine . Ella godeva sedere sull ’ altissima roccia , fissando il fiero sguardo sul mare , perdendosi nella contemplazione delle glauche lontananze dello Ionio . Non si curava del vento marino che le faceva sbattere il peplo , come ala di uccello spaventato ; non udiva il sordo rumore delle onde che s ’ incavernavano sotto la roccia , scavandola a poco , a poco . L ’ anima cominciava per immergersi in un pensiero ; oltre quel mare , lontano lontano , dove l ’ orizzonte si curva , altre regioni , altri paesi , l ’ ignoto , il mirabile , l ’ indefinibile . In questo pensiero la fantasia si allargava in un sogno senza confine , la fanciulla sentiva ingrandire la potenza del suo spirito e , sollevata in piedi , le pareva di toccare il cielo col capo e di potere stringere nel suo immenso amplesso tutto il mondo . Ma presto questi sogni svaniscono . Ora ella ama Cimone , con l ’ unico possente , imperante amore della fanciulla , che si trasforma in donna . Nella notte di estate , notte bionda e bianca di estate , Cimone parla all ’ amata : – Parthenope , vuoi tu seguirmi ? – Partiamo , amore . – Tuo padre ti rifiuta al mio talamo , o soavissima : Eumeo vuole egli per tuo sposo e suo figliolo . Ami tu Eumeo ? – Amo te , Cimone . – Lode a Venere santa e grazie a te , suo figliola ! Pensa dunque quale nero incubo sarebbe la vita , divisi , lontani – e come , giovani ancora , aneleremmo alle cupe ombre dello Stige . Vuoi tu partire meco , Parthenope ? – Io sono la tua schiava , amore . – Pensa : dimenticare la faccia di tuo padre , cancellare dal tuo volto il bacio delle sorelle , fuggire le dolci amiche , abbandonare il tuo tetto ... – Partiamo , Cimone . – Partire , o dolcissima , partire per un viaggio lungo , penoso , sul mare traditore , per una via ignota , ad una meta sconosciuta ; partire senza speranza di ritorno ; affidarsi ai flutti , sempre nemici degli amanti ; partire per andare lontano , molto lontano , in terre inospitali , brune , dove è eterno l ’ inverno , dove il pallido sole si fascia di nuvole , dove l ’ uomo non ama l ’ uomo , dove non sono giardini , non sono rose , non sono templi ... Ma nei grandi occhi neri di Parthenope è il raggio di un amore insuperabile e nella sua voce armoniosa vibra la passione : – Io t ’ amo – ella dice – , partiamo . Sono mille anni che il lido imbalsamato li aspetta . Mille primavere hanno gittata sulle colline la ricchezza inesausta , rinascente , dalla loro vegetazione – e dalla montagna sino al mare si spande il lusso irragionevole , immenso , sfolgorante di una natura meravigliosa . Nascono i fiori , olezzano , muoiono perché altri più belli sfoglino i loro petali sul suolo ; milioni e milioni di piccole vite fioriscono anche esse per amare , per morire , per rinascere ancora . Da mille anni attende il mare innamorato , da mille anni attendono le stelle innamorate . Quando i due amanti giungono al lido divino un sussulto di gioia fa fremere la terra , la terra nata per l ’ amore , che senza amore è destinata a perire , abbruciata e distrutta dal suo desiderio . Parthenope e Cimone vi portano l ’ amore . Dappertutto , dappertutto essi hanno amato . Stretti l ’ uno all ’ altra , essi hanno portato il loro amore sulle colline , dalla bellissima , eternamente fiorita di Poggioreale , alla stupenda di Posillipo ; essi hanno chinato i loro volti sui crateri infiammati , paragonando la passione incandescente della natura alla passione del loro cuore ; essi si sono perduti per le oscure caverne che rendevano paurosa la spiaggia Platamonia ; essi hanno errato nelle vallate profonde che dalle colline scendevano al mare ; essi hanno percorso la lunga riva , la sottile cintura che divide il mare dalla terra . Dovunque hanno amato . Nelle stellate notti di estate , Parthenope si è distesa sull ’ arena del lido fissando lo sguardo nel cielo , carezzando con la mano la chioma di Cimone che è al suo fianco ; nelle lucide albe di primavera hanno raccolto , nel loro splendido giardino , fiori e baci , baci e fiori inesauribili ; ne ’ tramonti di porpora dell ’ autunno , nella stagione che declina , hanno sentito crescere in essi più vivo l ’ amore ; nelle brevi e belle giornate invernali hanno sorriso senza mestizia , pur anelando alla novella primavera . La pianta secolare ha prestata la sua ombra benevola a tanta gioventù ; la contorta e bruna pietra dei campi Flegrei non ha lacerato il gentil piede di Parthenope ; il mare si è fatto bonario ed ha cantata loro la canzoncina d ’ amore , la natura leale non ha avuto agguati per essi ; sugli azzurri orizzonti ha spiccato il profilo bellissimo della fanciulla , il profilo energico del garzone . Quando essi si sono chinati ed hanno baciato la terra benedetta , quando hanno alzato lo sguardo al cielo , un palpito ha loro risposto e fra l ’ uomo e la natura si è affermato il profondo , l ’ invincibile amore che li lega . Napoli , la città della giovinezza , attendeva Parthenope e Cimone ; ricca , ma solitaria , ricca , ma mortale , ricca , ma senza fremiti . Parthenope e Cimone hanno creata Napoli immortale . Ma il destino non è compito ancora . Più alto scopo ha l ’ amore di Parthenope . Ecco : dalla Grecia giunsero , per amor di lei , il padre e le sorelle e amici e parenti che vennero a ritrovarla ; ecco : sino al lontano Egitto , sino alla Fenicia , corre la voce misteriosa di una plaga felice dove nella bella festa dei fiori e dei frutti , nella dolcezza profumata dell ’ aria , trascorre beatissime la vita . Sulle fragili imbarcazioni accorrono colonie di popoli lontani che portano seco i loro figliuoli , le immagini degli dèi , gli averi , le comuni risorse ; alla capanna del pastore sorge accanto quella del pescatore ; la rozza e primitiva arte dell ’ agricoltura , le industrie manuali appena sul nascere compiono fervidamente la loro opera . Prima sorge sull ’ altura , il villaggio a grado a grado guadagna la pianura ; un ’ altra colonia se ne va sopra un ’ altra collina ed il secondo villaggio si unisce col primo ; le vie si tracciano , la fabbrica delle mura , cui tutti concorrono , rinserra poco a poco nel suo cerchio una città . Tutto questo ha fatto Parthenope . Lei volle la città . Non più fanciulla , ma ora donna completa e perfetta madre : dal suo forte seno dodici figliuoli hanno vista la luce , dal suo forte cuore è venuto il consiglio , la guida , il soffio animatore . È lei la donna per eccellenza , la madre del popolo , la regina umana e clemente , da lei si appella la città ; da lei la legge , da lei il costume , da lei il costante esempio della fede e della pietà . Due templi sorgono a dèe , invocate protettrici della città : Cerere e Venere . Ivi si prega , ivi , attraverso gli intercolunni , sale al cielo il fumo dell ’ olibano . Una pace profonda e costante è nel popolo su cui regna Parthenope ; ed il lavorìo operoso dell ’ uomo non è che una leggiera spinta alla natura benigna . La più bella delle civiltà , quella dello spirito innamorato ; il più grande dei sentimenti , quello dell ’ arte ; la fusione dell ’ armonia fisica con l ’ armonia morale , l ’ amore efficace , fervido , onnipossente è l ’ ambiente vivificante della nuova città . Quando Parthenope viene a sedere sulla roccia del monte Echia , quando essa fissa lo sguardo sul Tirreno , più fido dello Ionio , l ’ anima sua si assorbisce in un pensiero . La regione ignota è raggiunta , il mirabile , l ’ indefinibile , ecco , è creato , è reale , è opera sua . E mentre la fantasia si allarga , si allarga in un sogno senza confine , Parthenope sente giganteggiare il suo spirito e sollevata in piedi le pare di toccare il cielo col capo e di stringere il mondo in un immenso amplesso . Se interrogate uno storico , o buoni ed amabili lettori , vi risponderà che la tomba della bella Parthenope è sull ’ altura di San Giovanni Maggiore , dove allora il mare lambiva il piede della montagnola . Un altro vi dirà che la tomba di Parthenope è sull ’ altura di Sant ’ Aniello , verso la campagna , sotto Capodimonte . Ebbene , io vi dico che non è vero . Parthenope non ha tomba , Parthenope non è morta . Ella vive , splendida , giovane e bella , da cinquemila anni . Ella corre ancora sui poggi , ella erra sulla spiaggia , ella si affaccia al vulcano , ella si smarrisce nelle vallate . È lei che rende la nostra città ebbra di luce e folle di colori : è lei che fa brillare le stelle nelle notti serene ; è lei che rende irresistibile il profumo dell ’ arancio ; è lei che fa fosforeggiare il mare . Quando nelle giornate d ’ aprile un ’ aura calda c ’ inonda di benessere è il suo alito soave : quando nelle lontananze verdine del bosco di Capodimonte vediamo comparire un ’ ombra bianca allacciata ad un ’ altra ombra , è lei col suo amante ; quando sentiamo nell ’ aria un suono di parole innamorate ; è la sua voce che le pronunzia ; quando un rumore di baci , indistinto , sommesso , ci fa trasalire , sono i suoi baci ; quando un fruscìo di abiti ci fa fremere al memore ricordo , è il suo peplo che striscia sull ’ arena , è il suo piede leggiero che sorvola ; quando di lontano , noi stessi ci sentiamo abbruciare alla fiamma di una eruzione spaventosa , è il suo fuoco che ci abbrucia . È lei che fa impazzire la città : è lei che la fa languire ed impallidire di amore : è lei la fa contorcere di passione nelle giornate violente dell ’ agosto . Parthenope , la vergine , la donna , non muore , non ha tomba , è immortale , è l ’ amore . Napoli è la città dell ’ amore . VIRGILIO Oggi , domenica , festa degli Ulivi . Cristo entra in Gerusalemme portando in mano il ramoscello della pace . Oggi , buon lettore , si fa la pace . Vi è chi ha litigato con l ’ amico e chi con l ’ innamorata : vi è chi ha litigato con la persona indifferente , chi con quella che odia , chi con quella che ama di più : l ’ impiegato ha litigato col suo capo di ufficio , il marito con la moglie , l ’ artista ha detto molti improperi all ’ arte , lo scrittore si è accapigliato con la forma , il portinaio ha litigato col padron di casa . Tutti sono in bizza con qualcuno . Ma oggi una fogliolina , un ramoscello di olivo e la pace è fatta . Anche io ho litigato , e da tanto tempo , con una carissima persona , mentre ho continuato ad amarla piamente , nel segreto del cuore , mentre la sua assenza ha resa deserta e triste la mia casa , mentre la mancanza del suo alito soave ha reso arido e secco come la pomice quanto ho scritto . Questa carissima persona , la poesia , è da tanto tempo che non vuole saperne di me , quando io la desidero ardentemente e per orgoglio mi taccio . Oggi che l ’ orgoglio si smorza in una infinita tenerezza , voglio tentar di far la pace con la poesia mandandole una fogliolina di ulivo . Dopo Parthenope , mito e donna , vergine e sirena , misto singolare di fantastico , di ideale , di umano e di divino , cui Napoli deve la sua poetica origine ; dopo la poesia di Parthenope , quasi - Dea , creatrice , sorge la poesia di Virgilio , creatore , quasi - Divino . Noi conosciamo Virgilio il poeta delle “ Egloghe ” , delle “ Georgiche ” e dell ’ “ Eneide ” ; conosciamo poco Virgilio Mago che ha prodigato alla città diletta fra tutte i miracoli del suo potere magico . Noi siamo ingrati verso colui che esclama : Illo Virgilium me tempore dulcis alebat Parthenope .... . eppure molte cose che allettano ed incantano noi moderni e c ’ incatenano nella indolente ammirazione di questa bella ed oziosa città , molte cose la cronaca attribuisce alla magia di Virgilio . La cronaca è ingenua , semplice ed in buona fede . La cronaca farà sogghignare gli scettici , poiché essi non hanno più la consolazione di sorridere . La cronaca sarà qualificata una sciocchezza – e tira via . Ma l ’ oscuro traduttore e commentatore della cronaca gode specialmente di queste ingiurie e di questi sogghigni . Sentite dunque quello che la cronaca dice . Virgilio veniva di lontano , dal nord forse , dal cielo certamente ; egli era giovane , bello , alto nella persona , eretto nel busto , ma camminava con la testa curva e mormorando certe sue frasi , in un linguaggio strano che niuno poteva comprendere . Egli abitava sulla sponda del mare dove s ’ incurva il colle di Posillipo , ma errava ogni giorno nelle campagne che menano a Baia ed a Cuma ; egli errava per le colline che circondano Parthenope , fissando , nella notte , le lucide stelle e parlando loro il suo singolare linguaggio ; egli errava sulle sponde del mare , per la riva Platamonia , tendendo l ’ orecchio all ’ armonia delle onde , quasi che elle dicessero a lui solo parole misteriose . Onde fu detto Mago e molti furono i miracoli della sua magia . In allora Parthenope era molestata da una grande quantità di mosche , mosche che si moltiplicavano in così grande numero e davano tanto fastidio , da farne fuggire i tranquilli e felici abitatori . Virgilio , per rimediare a così grave sconcio , fece fare una mosca d ’ oro , qualmente egli prescrisse – e dopo fatta , le insufflò , con magiche parole , la vita : la quale mosca d ’ oro se ne andava volando di qua e di là ed ogni mosca vera che incontrava faceva morire . Così in poco tempo furono distrutte tutte le mosche che affliggevano la bella città di Parthenope . Altro miracolo fu questo : le molte paludi che allora si trovavano nella città , erano dannose , e perché i miasmi che esalavano guastavano l ’ aria producendo febbri , pestilenze ed altre morie , e perché erano infestate da pericolosissime sanguisughe , il cui morso feroce produceva la morte . Fatto un potente scongiuro , Virgilio fece morire le sanguisughe , asciugò le paludi dove sorsero case e giardini e l ’ aria vi divenne la più pura che mai respirar si potesse . Così , giovandosi del suo potere che era infinito , un giorno egli salì sopra una collina e chiamò alla sua obbedienza i venti ed ordinò al Favonio che spirava nella città nel mese di aprile e col suo caldo soffio abbruciava le piante , i fiori , di mutare direzione : e la flora primaverile crebbe più bella e più rigogliosa . Laggiù nel quartiere che noi moderni chiamiamo Pendino , annidava un formidabile serpente che era lo spavento di ogni uomo avendo già morsicato e strozzato bambini e fanciulle , e quando si mettevano in molti per combatterlo , esso scompariva rapidamente nelle viscere della terra per poi ricomparire più terribile che mai . Chiamato Virgilio in soccorso , egli si avviò tutto solo , ricusando ogni compagnia , al luogo dove s ’ annidava il mostro e con le sue formule magiche l ’ ebbe subito domato e morto . Anzi è da notarsi che , sebbene la città fosse eretta sopra un ’ altra città , nera e malsana , fatta di caverne , sotterranei e cloache , dove potrebbero allignare simili rettili , da quel tempo sinora , mai più ve ne furono . Quando un morbo fierissimo invase la razza dei cavalli , Virgilio fece fondere un grande cavallo di bronzo , gli trasfuse il suo magico potere e ogni cavallo condotto a fare tre giri intorno a quello di bronzo , era immancabilmente guarito , non senza molta collera di maniscalchi ed empirici che si vedevano superati e sbugiardati . Certi pescatori della spiaggia napoletana e propriamente quelli che dimoravano nel punto chiamato in seguito Porta di Massa , andarono a Virgilio , lagnandosi della scarsa pesca che vi facevano e chiedendo a lui un miracolo . Virgilio li volle contentare e in una grossa pietra fece scolpire un piccolo pesce , disse le sue incantagioni e piantata la pietra in quel punto , il mare fruttificò mai sempre di pesci innumerevoli . Virgilio fece mettere sulle porte di Parthenope , verso le vie della Campania , due teste augurali ed incantate , una che rideva e l ’ altra che piangeva : onde colui che capitava a passare sotto la porta dove la testa rideva ne traeva buon augurio per i suoi affari che sempre riuscivano a bene ed il contrario colui che passava sotto la testa piangente . Fu Virgilio che in poche notti fece eseguire da esseri sovrannaturali la grotta di Pozzuoli , per facilitare il viaggio agli abitanti di quei villaggi che venivano in città ; fu Virgilio che , per la sua virtù magica , fece sorgere un orto di erbe salutari per le ferite ed ottime come condimento alle vivande ; fu Virgilio che insegnò ai giovani i giuochi delle melarance e delle piastrelle che s ’ ignoravano ; fu Virgilio che di notte incantò le acque sorgive della riva Platamonia e della riva di Pozzuoli , dando loro singolare potenza per guarire ogni specie di malattia ; fu Virgilio che applicando certi suoi rimedii e proferendo gli scongiuri , sanò molti e molti ammalati ; fu Virgilio che volendo salvare la campagna del suo discepolo Albino , svelò il mistero dell ’ antro cumano dove i sacerdoti ingannavano il popolo coi responsi falsi , prodotti da una naturale combinazione di suoni . La cronaca soggiunge che Virgilio Mago fu amato , rispettato , idolatrato quasi come un Dio , poiché giammai rivolse la sua magia a scopo cattivo , sibbene sempre a vantaggio della città e dell ’ uomo . La cronaca non dice quando e dove morisse Virgilio : molti allora credettero alla sua immoralità ; qualcuno alla sua morte su quel colle presso Avellino che chiamasi Montevergine , dove s ’ era ridotto a studiare ed era diventato vecchissimo . Ad ogni modo gli abitanti di Parthenope gli eressero un grande monumento che poi fu distrutto ; quello che sorge all ’ imboccatura della gotta essendo un semplice colombario . Ma non ebbero alcuna sicuranza di fatto il sito e il modo e l ’ epoca della sua morte . Ebbene poc ’ anzi ho errato dicendo che noi non conoscevamo Virgilio Mago . Non vi è che un solo Virgilio : quello che la favolosa cronaca delinea nelle ombre della magia è proprio il poeta . Invero egli non ha avuto che una magia sola : la grandiosa poesia del suo spirito . Nella cronaca è il poeta . Il poeta con le sue lunghe peregrinazioni per quella orrida , bella e straziata campagna che sono i Campi Flegrei , donde egli fantasticava dell ’ Averno e dello Stige ; con le sue lunghe peregrinazioni nella Campania Felice , dove egli ha acquistato quell ’ amore profondo della natura , l ’ amore dei campi ubertosi che si stendono all ’ infinito sotto il sole , dei prati verdeggianti dove pascola quietamente il bove dai grandi occhi nei quali il cielo si riflette , l ’ amore dei boschi oscuri e silenziosi dove l ’ anima si calma e s ’ assopisce nella pace , l ’ amore dei colli aprichi , dove i liberi venti fanno ondeggiare tutta una coltivazione di fiori ; l ’ amore dell ’ uccello che canta e vola via , dell ’ insetto dorato che ronza , della foglia che il turbine si porta , della forte quercia che nulla scuote : quell ’ amore profondo della natura che è il sentimento più alto del suo poema , che è la magia per cui ancora c ’ incanta , che è – con una parola troppo moderna , ma vera – la nostalgia del suo cuore che lo fa esclamare ... “ fortunatos agricolas ” , che dà alla sua descrizione tanto colore , tanta luce , tanta vita . È il poeta che cerca ed interroga ogni angolo oscuro della natura ; è lui che parla alle stelle tremolanti di raggi nelle notti estive ; è lui che ascolta il ritmo del mare , quasi fosse il metro per cui il suo verso scandisce ; è il poeta che conosce la virtù dei semplici , è lui che ha scoverte certe leggi naturali , ignote a tutti ; è il poeta civile che uccide le bestie , fa rasciugare le paludi e fa sorgere a quel posto palagi e giardini ; è il poeta che insegna ai giovani i giuochi dove il corpo si fortifica e l ’ anima si serena ; è lui , sublime fantastico , che stabilisce l ’ augurio della buona o della mala ventura ; è lui che come calamita fortissima attrae a sé l ’ amore , l ’ ossequio , il rispetto ; è Virgilio poeta . E nulla si sa della sua morte . Come Parthenope , la donna , egli scompare . Il poeta non muore . IL MARE Voi errate lontano di qua , anima settentrionale e vagabonda , e le brume in cui si affissa il vostro malinconico occhio , vi mettono intorno quell ’ ambiente monotono e triste in cui si acqueta ogni agitazione . Ma nelle tranquille divagazioni dove il vostro spirito amareggiato si disacerba , nella sorridente mestizia che aleggia in quello che scrivete , io veggo ogni tanto una divagazione vivace . Voi non avete dimenticato il nostro mare , il nostro bel mare di Napoli . Ancora vi appare e scompare rapidissima innanzi agli occhi una visione azzurra ; ancora un molle suono , quasi indistinto e fuggente , vi lusinga l ’ orecchio ; un profumo sottile come un ricordo lontanissimo vi fa dilatare le nari . Il mio bel golfo voi non lo avete dimenticato . Io leggo quello che scrivete , ma indovino quello che pensate . Dovete soffrire di una segreta nostalgia che non osate confessare , voi , esiliato volontario . E come l ’ eco dolorosa si ripercuote sul mio fedele e forte cuore d ’ amica , così io risponderò a quello che nascondete invece che a quello che palesate , e vi narrerò non la storia , ma la leggenda del mio poetico golfo . Ognuno sa che Iddio , generoso , misericordioso e magnifico Signore , ha guardato sempre con occhio di predilezione la città di Napoli . Per lei ha avuto tutte le carezze di un padre , di un innamorato , le ha prodigato i doni più ricchi , più splendidi che si possano immaginare . Le ha dato il cielo ridente ed aperto , raramente turbato da quei funesti pensieri scioglientisi in lagrime che sono le nubi ; l ’ aria leggera , benefica e vivificante che mai non diventa troppo rude , troppo tagliente ; le colline verdi , macchiate di case bianche e gialle , divise dai giardini sempre fioriti ; il vulcano fiammeggiante ed appassionato , gli uomini belli , buoni , indolenti , artisti e innamorati ; le dame piacenti , brune , amabili e virtuose ; i fanciulli ricciuti , dai grandi occhi neri ed intelligenti . Poi , per suggellare tanta grazia , le ha dato il mare , ha saputo quel che si faceva . Quello che sarebbero i napoletani , quello che vorrebbero , egli conosceva bene e nel dar loro la felicità del mare , ha pensato alla felicità di ognuno . Questo immenso dono è saggio , è profondo , è caratteristico . Ogni bisogno , ogni pensiero , ogni corpo , ogni fantasia , trova il suo cantuccio dove s ’ appaga , il suo piccolo mare nel grande mare . Del passato , dell ’ antichissimo passato è il mare del Carmine . Poco distante dalla spiaggia è l ’ antica porta di mare che introduce alla piazza ; sulla piazza storicamente famosa si eleva il bruno campanile , coi suoi quattro ordini a finestruole che lo fanno rassomigliare stranamente al giocattolo grazioso di un bimbo gigante ; le casupole attorno sono basse , meschine , dalle finestre piccole , abitate da gente minuta . Il mare del Carmine è scuro , sempre agitato , continuamente tormentato . Sulla spiaggia semideserta non vi è l ’ ombra di un pescatore . Vi si profila qua e là la linea curva di una chiglia ; la barca è arrovesciata , forse si asciuga al sole . Dinanzi alla garitta passeggia un doganiere che ha rialzato il cappuccio per ripararsi dal vento che vi soffia impetuoso . Presso la riva una barcaccia nera stenta a mantenersi in equilibrio ; dal ponte per mezzo di tavole è stabilita una comunicazione con la terra ; vi vanno e vengono facchini , curvi sotto i mattoni rossi che scaricano a riva . Ma non si canta né si grida . Il mare del Carmine non scherza . In un temporale d ’ estate portò via un piccolo stabilimento di bagni ; in un temporale di inverno allagò la Villa del Popolo , giardino infelice , dove crescono male fiori pallidi e alberetti rachitici . Qualche cosa di solenne , di maestoso vi spira . Il mare del Carmine era l ’ antico porto di Parthenope dove approdavano le galee fenicie , greche e romane , ma era porto malsicuro ; esso ha visto avvenimenti sanguinosi e feste popolari . È un mare storico e cupo . Sulla piazza che quasi esso lambiva , dieci , venti volte sono state decise le sorti del popolo napoletano . Le onde sue melanconiche hanno dovuto mormorare per molto tempo : Corradino , Corradino . Le onde sue tempestose hanno dovuto ruggire per molto tempo : Masaniello , Masaniello . È il mare grandioso e triste degli antichi che sgomenta le coscienze piccine dei moderni . La sola voce del flutto rompe il silenzio che vi regna e qualche coraggioso , solitario e meditabondo spirito , vi passeggia , curvando il capo sotto il peso dei ricordi , fissando l ’ occhio sulla vita di quelli che furono . Ma ferve la gente e ferve la vita sul mare del Molo . Non è spiaggia , è porto queto e profondo . L ’ acqua non ha onde o appena s ’ increspa ; è nera , a fondo di carbone , un nero uniforme e smorto , dove nulla si riflette . Sulla superficie galleggiano pezzi di legno , brandelli di gomene , ciabatte sformate e sorci morti . Nel porto mercantile si stringono l ’ una contro l ’ altra le barcacce , gli schooners , i brigantini carichi di grano , di farina , di carbone , d ’ indaco , non vi è che una piccola linea di acqua sporca tra essi . Sul marciapiede una grua eleva nell ’ aria il suo unico braccio di ferro , che s ’ alza e s ’ abbassa con uno stridore di lima . Uomini neri dal sole , di fatica e di fumo , vanno , vengono , salgono e scendono . Un puzzo di catrame è nell ’ aria . Sulla banchina nuova , nel terrapieno , sono infissi pennoni a cui s ’ attorcigliano intorno grossissime gomene che danno una sicurezza maggiore ai vapori postali ancorati in rada . A destra c ’ è il porto militare , medesimo mare smorto e sporco , dove rimangono immobili le corazzate . Dappertutto barchette che sfilano , zattere lente , imbarcazioni pesanti ; le voci si chiamano , si rispondono , si incrociano . Il sole rischiara tutto questo , facendo brulicare nel suo raggio polvere di carbone , atomi di catene , limature di ferro ; la sera l ’ occhio del faro sorveglia il Molo . Il mare del Molo è quello dei grossi negozianti , dei grossi banchieri , degli spedizionieri affaccendati , dei marinari adusti , degli ufficiali severi che corrono al loro dovere , dei viaggiatori d ’ affari che partono senza un rimpianto . È per essi che il Signore ha fatto il lago nero del Molo . Del popolo e pel popolo è il mare di Santa Lucia . È un mare azzurro - cupo , calmo e sicuro . Una numerosa e brulicante colonia di popolani vive su quella riva . Le donne vendono lo spassatiempo , l ’ acqua solfurea , i polpi cotti nell ’ acqua marina ; gli uomini intrecciano nasse , fanno reti , pescano , fumano la pipa , guidano le barchette , vendono i frutti di mare , cantano e dormono . È un paesaggio acceso e vivace . Le linee vi sono dure e salienti , il sole ardente vi spacca le pietre . Si sente un profumo misto di alga , di zolfo e di spezierie soffritte . I bimbi seminudi e bruni si rotolano nella via , cascano nell ’ acqua , risalgono alla superficie , scuotendo il capo ricciuto e gridando di gioia . Sulla riva un ’ osteria lunga lunga mette le sue tavole dalla biancheria candida , dai cristalli lucidi , dall ’ argenteria brillante . Di sera vi s ’ imbandiscono le cene napoletane . Suonatori ambulanti di violino , di chitarra , di flauto improvvisano concerti ; cantatori affiochiti si lamentano nelle malinconiche canzonette , il cui metro è per lo più lento e soave e la cui allegria ha qualche cosa di chiassoso o di sforzato che cela il dolore ; accattoni mormorano senza fine la loro preghiera ; le donne strillano la loro merce . Di estate un vaporetto scalda la sua macchina per andare a Casamicciola , la bella distrutta , i barcaiuoli offrono con insistenza , a piena voce , in tutte le lingue , ai viaggiatori il passaggio fino al vaporetto . Dieci o dodici stabilimenti di bagni a camerini piccoli e variopinti ; si asciugano al sole , sbattute dal ponente , le lenzuola ; le bagnine hanno sul capo un fazzoletto rosso e fanno solecchio con la mano . Una folla borghese e provinciale assedia gli stabilimenti , scricchiolano le viottole di legno . Salgono nell ’ aria serena canti , suoni di chitarra , trilli d ’ organino , strilli di bimbi , bestemmie di facchini , rotolio di trams , profumi e cattivi odori ; rifuggono i colori rabbiosi e mordenti ; fiammeggiano le albe riflesse sul mare ; fiammeggiano meriggi lenti e voluttuosi , riflessi sul mare ; s ’ incendiano i tramonti sanguigni riflessi sul mare che pare di sangue . È il mare del popolo , mare laborioso , fedele e fruttifero , mare amante ed amato , per cui vive e con cui vive il popolo napoletano . Eppure , a breve distanza , tutto cangia d ’ aspetto . Dalla strada larga e deserta si vede il mare del Chiatamone . La vista si estende per quel vastissimo piano , si estende quasi all ’ infinito , poiché è lontanissima la curva dell ’ orizzonte . Quel piano d ’ acqua è desolato , è grigio . Nulla vi è d ’ azzurro e la medesima serenità ha qualche cosa di solitario che rattrista . Le onde si rifrangono contro il muraglione di piperno con un rumore sordo e cupo ; lontano , gli alcioni bianchi ne lambiscono le creste spumanti . A sinistra s ’ eleva sulla roccia il castello aspro , ad angoli scabrosi , a finestrelle ferrate ; il castello spaventoso dove tanti hanno sofferto ed hanno pianto ; il castello che cela il Vesuvio . Contro le sue basi di scoglio le onde s ’ irritano , si slanciano piene di collera e ricadono bianche e livide di rabbia impotente . Quando le nuvole s ’ addensano sul cielo e il vento tormentoso sibila fra i platani della villetta , allora la desolazione è completa , è profonda . Di lontano appare una linea nera : è una nave sconosciuta che fugge verso paesi ignoti . Alla sera passa lentamente qualche barca misteriosa che porta una fiaccola di luce sanguigna a poppa e che mette una striscia rossa nel palpito del mare : sono pescatori che stordiscono , con la fiaccola , il pesce . In quelle acqua un giovanetto nuotatore bello e gagliardo , vinto dalle onde , invano ha chiamato aiuto ed è morto affogato ; in una notte d ’ inverno una fanciulla disperata ha pronunciata una breve preghiera e si è lanciata in mare , donde l ’ hanno tratta , orribile cadavere sfracellato e tumefatto . È il mare che Dio – come dice la vecchia leggenda – ha fatto per i malinconici , per gli ammalati , per i nostalgici , per gl ’ innamorati dell ’ infinito . Invece ride il mare di Mergellina ; ride nella luce rosea delle giornate stupende ; ride nelle morbide notti di estate , quando il raggio lunare pare diviso in sottilissimo fili d ’ argento , ride nelle vele bianche delle sue navicelle che paiono giocondi pensieri aleggianti nella fantasia . Sulla riva scorre la fontana con un cheto e allegro mormorio ; i fanciulli e le fantesche in abito succinto vengono a riempirvi le loro brocche . Uno yacht elegante , dall ’ attrezzeria sottile come un merletto , dalle velette candide orlate di rosso , si culla mollemente come una creola indolente , porta il nome a lettere d ’ oro , il nome dolce di qualche creatura celestiale e bionda : Flavia . Uno stabilimento di bagni , piccolo ed aristocratico , si congiunge alla riva per una breve viottola , sulla viottola passano le belle fanciulle vestite di bianco , coi grandi cappelli di paglia coperti da una primavera di fiori , cogli ombrellini dai colori splendidi che si accendono al sole ; passano le sposine giovanette , gaie e fresche , attaccate al braccio dello sposo innamorato ; i bimbi graziosi , dai volti ridenti e arrossati dal caldo . E nel mare , giù , è un ridere , uno scherzare , un gridio fra il comico spavento e l ’ allegria dell ’ acqua fredda , e corpi bianchi che scivolano fra due onde e braccia rotonde che si sollevano e volti bruni dai capelli bagnati . È la festa di Mergellina , di Mergellina la sorridente , fatta per coloro cui allieta la gioventù , cui fiorisce la salute , fatta pei giovani che sperano e che amano , fatta per coloro cui la vita è una ghirlanda di rose che si sfogliano e rinascono sempre vive e profumate . Ma il mare dove finisce il dolore è il mare di Posillipo , il glauco mare che prende tutte le tinte , che si adorna di tutte le bellezze . Quanto può ideare cervello umano per figurarsi il paradiso , esso lo realizza . È l ’ armonia del cielo , delle stelle , della luce , dei colori , l ’ armonia del firmamento con la natura , mare e terra . Si sfogliano i fiori sulla sponda , canta l ’ acqua penetrando nelle grotte , l ’ orizzonte è tutto un sorriso . Posillipo è l ’ altissimo ideale che sfuma nella indefinita e lontana linea dell ’ avvenire ; Posillipo è tutta la vita , tutto quello che si può desiderare , tutto quello che si può volere . Posillipo è l ’ immagine della felicità piena , completa , per tutti i sensi , per tutte le facoltà . È la vita vibrante , fremente , nervosa e lenta , placida e attiva . È il punto massimo di ogni sogno , di ogni poesia . Il mare di Posillipo è quello che Dio ha fatto per i poeti , per i sognatori , per gl ’ innamorati di quell ’ ideale che informa e trasforma l ’ esistenza . Quando il Signore ebbe dato a noi il nostro bel golfo , udite quello che la sacrilega leggenda gli fa dire : uditelo voi , anima glaciale e cuore inerte . Egli disse : Sii felice per quello che t ’ ho dato , e se non lo puoi , se l ’ incurabile dolore ti traversa l ’ anima , muori nelle onde glauche del mare . LA LEGGENDA DELL ’ AMORE In questo pomeriggio lungo di luglio un grande silenzio regna intorno ; nelle vie abbruciate dal sole non passa alcuno ; ed i cittadini dormono nel pesante assopimento dell ’ estate ; vicino , sotto la finestra , in un tegame dove bolle lo strutto , scoppiettano e friggono certi peperoncini verdi ed arrabbiati ; lontano , in una via trasversale , un organino suona un valtzer languido e malinconico ; un moscone sussurra e dà di testa contro i vetri più alti della finestra socchiusa . Noi siamo tristi , ed il sangue che monta al capo , ci dà la vertigine : noi abbiamo l ’ anima di piombo e la bocca amara ; noi abbiamo il desiderio dell ’ ombra profonda e delle bevande ghiacciate – perché invero ci è intorno la violenza di una passione secca e rude , perché ci sembra assistere allo spasimo e udire i singhiozzi convulsi della natura che muore nell ’ amore del sole . Le vie sono bianche , polverose e fulgide ; le case gialle , rosse e bianche rifulgono ; i colli sono splendidi di luce ; il mare brilla tutto come un migliaio di specchi ; sulla punta del cratere qualche cosa abbrucia e fuma ed il cielo è cupo nella sua serenità . Tutto è luce vivida , tutto è intensità di colore , ogni cosa si condensa ; pare che si debbano spaccar le pietre , che le case debbano sbuzzar fuori , che le colline vogliano slanciarsi al cielo , che il mare voglia cangiarsi in metallo liquefatto e che la montagna voglia eruttare lave di fuoco – e tutto rimane immobile , tetro e grave . È per l ’ amore : voi certamente sapete che tutte le cose in Napoli , dalle pietre al cielo , sono innamorate . Non conoscete la storiella dei quattro fratelli ? Io ve la narrerò . Una volta , allora , allora , nel tempo dei tempi , v ’ erano quattro fratelli che s ’ amavano di cordialissimo amore e non si staccavano mai l ’ uno dall ’ altro . Erano belli , giovani , freschi , aitanti nella persona e sulle giovani teste ben s ’ addicevano le ghirlande di rose . Ognun di loro arse in segreto per una fanciulla , né se ne confidarono il nome ; ma la sorte malaugurata riunì tutti gli amori dei quattro fratelli in una donna sola . Ella nessuno di quelli voleva amare . Asperrima guerra sarebbe sorta tra loro e sangue fraterno sarebbe stato sparso , se una notte la loro bella non fosse sparita per sempre . Ma essi , pazienti ed innamorati , l ’ aspettano da migliaia di anni : sono cangiati in quattro colli ameni e fioriti che dal loro nome si chiamano Poggioreale , di Capodimonte , di San Martino , del Vomero – e l ’ uno accanto all ’ altro , immobilmente innamorati , aspettano il ritorno di colei che amano . Fioriscono le primavere sul loro capo , s ’ infiamma l ’ estate , piange l ’ autunno , s ’ incupisce la nera stagione ; ed i poggi non si stancano d ’ aspettare . Ma l ’ amore della bella assente è scarso al confronto dell ’ amore per una bella sempre presente e crudele . La sapete voi la seconda storiella ? Vi fu una volta un giovanetto leggiadro e gentile , nel cui volto si accoppiava il gaio sorriso dell ’ anima innocente al malinconico riflesso di un cuore sensibile ; egli era nel medesimo tempo festevole senza chiasso e serio senza durezza . Chi lo vedeva lo amava ; e la gente accorreva a lui come ad amico , per allietarsi della sua compagnia . Ma il bel giovanetto fu molto infelice , molto infelice ; gli entrò nell ’ anima un amore ardente , la cui fiamma , che saliva al cielo , non valse ad incendere il cuore della donna che egli amava . Era costei una donna di campagna , cui era stato dato in dono la bellezza del corpo , ma a cui era stata negata quella dell ’ anima : ella era una di quelle donne incantatrici , fredde e sprezzose che non possono né godere , né soffrire . Paiono fatte di pietra , di una pietra levigata , dura e glaciale ; vanno in pezzi ma non si ammolliscono ; cadono fulminate ma non muoiono . Tale era Nisida , colei che fu invano amata dal giovanetto , poiché nulla valse a vincerla . Allora lui che si chiamava Posillipo , amando invano la bella donna che viveva di faccia a lui , per sfuggire a quella vista che era il suo tormento e la sua seduzione , decise di precipitarsi nel mare e finire così la sua misera vita . Decisero però diversamente i Fati e rimasto a mezz ’ acqua il bel giovanetto , vollero lui mutato in poggio che si bagna nel mare e lei in uno scoglio che gli è dirimpetto : lui poggio bellissimo dove accorrono le gioconde brigate , in lui dilettandosi , lei destinata ad albergare gli omicidi ed i ladri che gli uomini condannano alla eterna prigionia – così eterno il premio , così eterno il castigo . E vi è anche l ’ amore che è un prodigioso abbagliamento , un miraggio fatale , l ’ acciecamento di colui che , ardito e folle , ha voluto fissare il sole . Era un pescatore abile e fortunato , colui di cui vi narro , e l ’ intiero suo giorno passava fra l ’ amo e le reti , lieto quando la pesca era abbondante , incollerito quando la tempesta che intorbida le acque , rendeva inefficace le sue fatiche . Era uomo semplice e buono , silenzioso ed ignorante d ’ amore : quando un giorno , mentre sedeva a riva ed immergeva l ’ amo nell ’ onda , dalle glauche acque , dinanzi a lui sorse una Ninfa marina , dal corpo bianco e provocante , dai lunghi e biondi capelli che il vento sollevava , dallo sguardo verde e terso come il cristallo ; ella cantava soavemente e le sue candide dita volavano sulla cetra . Era così lusinghiero , così attraente il suo canto che il povero pescatore sentì struggersi il cuore e non avendo che l ’ ardente desiderio di raggiungere la sirena e morire in un supremo abbraccio , precipitò nel mare . Tre volte venne a galla , tre volte scomparve nel mare – e lui fortunato se potette con la morte pagare così infinito godimento . Il sito dove egli precipitò fu chiamato Mergellina dal suo nome e dicesi ancora , nelle fosforescenti notti d ’ estate , vi ricompaia la sirena . V ’ è poi la pietosa istoria dell ’ amore felice che è combattuto e vinto dalla morte : una storiella ingenua come tutte le altre . Vi si narra di un ricco signore chiamato Sebeto , che abitava in una campagna presso Napoli , in un palazzo tutto di marmo . Egli per amore aveva menato in moglie una donna chiamata Megera che lo ricambiava con egual tenerezza . Egli teneva cara questa sua moglie sopra tutte le cose e profondeva per lei tutte le sue ricchezze : accadde che in un giorno ella volle andare a diporto sopra una feluca pel golfo di Napoli . Verso la riva Platamonia , dove il mare è sempre tempestoso , mentre i marinari volevano far forza contro il vento , la feluca si capovolse e Megera si annegò diventando uno scoglio . Alla orribile nuova Sebeto sentì spezzarsi il cuore e per molto tempo si sciolse in amarissime lagrime in modo che tutta la sua vita si disfece in acqua , correndo a gettarsi nel mare dove Megera era morta . E tutte le fontane di Napoli sono lagrime : quella di Monteoliveto è formata dalle lagrime di una pia monachella che pianse senza fine sulla Passione di Gesù ; quella dei Serpi sono le lagrime di Belloccia , una serva fedele innamorata del suo signore ; quella degli Specchi è fatta delle lagrime di Corbussone , cuoco di palazzo e folle di amore per la regina cui cucinava gli intingoli ; quella del Leone è il pianto di un principe napoletano , cui unico e buon amico era rimasto un leone che gli morì miseramente ; e quella di fontana Medina sono le lagrime di Nettuno , innamorato di una bella statua cui non arrivò a dar vita . Ma la passione è nell ’ ultima storiella che ascolterete . Vi si parla di un nobile signore , appartenente ad uno dei primi seggi della città , e che s ’ innamorò perdutamente di una fanciulla di casa nemica ; era il cavaliere di carattere violento , di temperamento focoso , pronto al risentimento ed all ’ ira . Pure , per ottenere la donna che amava , sarebbe diventato umile come un poverello cui manca il pane . Ma l ’ amore dei due giovani , anziché diminuire e lenire le collere di parte , valse a rinfocolarle – e per preghiere ed intercessioni che venissero fatte , la nobile famiglia Capri non volle accettare il matrimonio . Anzi per trovar rimedio all ’ amore dei due , fu deciso imbarcare la fanciulla sopra una feluca e mandarla in estranea contrada . Ma essa che si sentiva strappar l ’ anima , allontanandosi dal suo bene , come fu fuori del porto , inginocchiatasi e pronunciata una breve preghiera , si slanciò nell ’ onde , donde uscì isola azzurra e verdeggiante . Ma non si chetava l ’ amore nel cuore del nobile Vesuvio , quale era il nome del cavaliere e la collera gli bolliva in corpo : quando seppe della nuova crudele , cominciò a gittar caldi sospiri e lagrime di fuoco , segno della interna passione che lo agitava ; e tanto si gonfiò che divenne un monte nelle cui viscere arde un fuoco eterno d ’ amore . Così egli è dirimpetto alla sua bella Capri e non può raggiungerla e freme d ’ amore e lampeggia e s ’ incorona di fumo e il fuoco trabocca in lava corruscante … . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . O anime trafitte , o anime sconsolate , o voi che per l ’ amore portate nel cuore sette spade di dolore , non vi sorrida la speranza di guarirvi qui . Qui amano anche le pietre : gli uomini sani s ’ ammalano d ’ amore e gli infermi ne muoiono . IL PALAZZO DONN ’ ANNA Il bigio palazzo si erge nel mare . Non è diroccato , ma non fu mai finito ; non cade , non cadrà , poiché la forte brezza marina solidifica ed imbruna le muraglie , poiché l ’ onda del mare non è perfida come quella dei laghi e dei fiumi , assalta ma non corrode . Le finestre alte , larghe , senza vetri , rassomigliano ad occhi senza pensiero ; nei portoni dove sono scomparsi gli scalini della soglia , entra scherzando e ridendo il flutto azzurro , incrosta sulla pietra le sue conchiglie , mette l ’ arena nei cortili , lasciandovi la verde e lucida piantagione delle sue alghe . Di notte il palazzo diventa nero , intensamente nero ; si Serena il cielo Sul suo capo , rifulgono le alte e bellissime stelle , fosforeggia il mare di Posillipo , dalle ville perdute nei boschetti escono canti malinconici d ' amore e le monotone note del mandolino : il palazzo rimane cupo e sotto le sue vòlte fragoreggia l ’ onda marina . Ogni tanto par di vedere un lumicino passare lentamente nelle sale e fantastiche ombre disegnarsi nel vano delle finestre : ma non fanno paura . Forse sono ladri volgari che hanno trovato là un buon covo , ma la nostra splendida povertà non teme di loro ; forse sono mendicanti che trovarono un tetto , ma noi ricchi di cuore e di cervello , ci abbassiamo dalla nostra altezza per compatirli . E forse sono fantasmi e noi sorridiamo e desideriamo the ciò sia ; noi li amiamo i fantasmi , noi viviamo con essi , noi sogniamo per essi e per essi noi moriremo . Noi moriremo per essi , col desiderio di vagolare anche noi sul mare , per le colline , sulle rocce , nelle chiesette tetre ed umide , nei cimiteri fioriti , nelle fresche sale dove il medioevo ha vissuto . Fu una sera e splendevano di luce vivida quelle finestre ; attorno attorno il palazzo , sul mare , si cullavano barchette di piacere adorne di velluti che si bagnavano nell ’ acqua , vagamente illuminate da lampioncini colorati , coronate di fiori alla poppa ; i barcaiuoli si pavoneggiavano nelle ricche livree . Tutta la nobiltà napoletana , tutta la nobiltà spagnuola , accorreva ad una delle magnifiche feste che l ' altiera Donn ' Anna Carafa , moglie del duca di Medina C œ li , dava nel suo palazzo di Posillipo . Nelle sale andavano e venivano i servi , i paggi dai colori rosa e grigio , i maggiordomi dalla collana d ' oro , dalle bacchette di ebano : giungevano continuamente le bellissime signore , dagli strascichi di broccato , dai grandi collari di merletto , donde sorgeva come pistillo di fiore la testa graziosa , dai monili di perle , dai brillanti che cadevano sui busti attillati e seducenti ; giungevano accompagnate dai mariti , dai fratelli e qualcuna , più ardita , solamente dall ' amante . Nella grande sala , sulla soglia , nel suo ricchissimo abito rosso , tessuto a lama d ’ argento , con un lieve sorriso sulla bocca , il cui grosso labbro inferiore s ' avanzava quasi in atto di spregio , inchinando appena il fiero capo alle donne , dando la mano da baciare ai cavalieri grandi di Spagna di prima classe come lei , stava Donna Anna di Medina C œ li . L ' occhio grigio dal lampo d ' acciaio , simile a quello dell ’ aquila , rivelava l ’ interna soddisfazione di quell ' anima fatta d ' orgoglio : ella godeva , godeva senza fine nel vedere venire a lei tutti gli omaggi , tutti gli ossequi , tutte le adulazioni . Era lei la più nobile , la più potente , la più ricca , la più bella , la più rispettata , la più temuta , lei duchessa , lei signora , lei regina di forza e di grazia . Oh poteva salire gloriosa i due scalini che facevano del suo seggiolone quasi un trono ; poteva levare la testa al caldo alito dell ' ambizione appagata che le soffiava in volto . Le dame sedevano intorno a lei , facendole corona , minori tutte di lei : ella era sola , maggiore , unica . In fondo al grande salone era rizzato un teatrino destinato per lo spettacolo . Tutta quella eletta schiera d ' invitati dovevano dapprima assistere alla rappresentazione di una commedia ed a quella di una danza moresca ; poi nelle sale si sarebbero intrecciate le danze sino all ' alba . Ma la grande curiosità della rappresentazione era che gli attori , per una moda venuta allora di Francia , appartenessero alla nobiltà . Donn ' Anna Carafa di Medina disprezzava i facili costumi francesi che corrompevano la rigida corte spagnuola , ma scrutatrice dei cuori e apprezzatrice del favore popolare com ' era , s ' accorgeva che quelle molli usanze piacevano ed erano adottate con trasporto . Solo per questo ella aveva consentito che Donna Mercede de las Torres , sua nipote di Spagna , sostenesse una parte nella rappresentazione . Donna Mercede , giovane , bruna , dai grandi occhi lionati , dai neri capelli , le cui trecce le formavano un elmo sul capo , era una spagnuola vera . Ella rappresentava nella commedia la parte di una schiava innamorata del suo padrone , una schiava che lo segue dappertutto , e lo serve fedelmente sino a fargli da mezzana d ' amore , sino a morire per lui d ' un colpo di pugnale destinato al cavaliere da un padre crudele . Ella recitava con un trasporto , con un tale impeto che tutta la sala si commuoveva allo sventurato e non corrisposto amore della schiava Mirza : tutti si commuovevano , salvo Gaetano di Casapesenna che faceva la parte del cavaliere . Ma così dal poeta era stata ispirata ogni parola del cavaliere , ed egli , freddo , indifferente , inconscio , non faceva che rimaner fedele al carattere che rappresentava . Solo , alla fine della commedia , quando la sventurata Mirza ferita a morte , s ' accomiata con parole d ' affetto da colui che fu la sua vita e la sua morte , allora , egli , cui appare finalmente la verità qual luce diffusa meridiana , preso dall ' amore , s ' abbandona in ginocchio dinanzi al corpo della poveretta morente e copre di baci quel volto pallido d ' agonia . Invero , egli fu così focoso in tale slancio , così patetica ed improntata di dolore la sua voce , così disordinato ogni suo gesto , che veramente parve superiore ad ogni vero attore , e parve che la verità animasse il suo spirito , sino al punto che la sala intera scoppiò in applausi . Sola , sul suo trono , tra le sue gemme , sotto la sua corona ducale , Donn ' Anna impallidiva mortalmente e si mordeva le labbra . Non era lei la più amata . Le due donne s ' incontravano nelle sale del palazzo Medina ; si guardavano , Donna Mercede fremente di gelosia , l ' occhio nero covante fuoco , smorta , rodendo un freno che la sua libera anima aborriva ; Donna Anna , pallida di odio , muta nella sua collera ; si guardavano , impassibile e fredda Donn ' Anna , agitata e febbrile Donna Mercede . Scambiavano rade ed altere parole . Ma se la gelosia scoppiava irresistibile , l ' ingiuria correva sul loro labbro : – Le donne di Spagna sono esse le prime ad abbandonarsi all ' amante – diceva Donn ' Anna , con la sua voce dura e grave . – Le donne di Napoli si gloriano del numero degli amanti – rispondeva vivamente Donna Mercede . – Voi siete l ' amante di Gaetano Casapesenna , Donna Mercede . – Voi lo foste , Donn ' Anna . – Voi obliaste ogni ritegno , ogni pudore , dandoci vostro amore a spettacolo , Donna Mercede . – Voi tradiste il duca di Medina C œ li , mio nobile zio , Donn ' Anna Carafa . – Voi amate ancora Gaetano Casapesenna . – Voi anche lo amate ed egli non vi ama , Donn ' Anna . Vinceva la bollente spagnuola e Donna Anna si consumava dalla rabbia . Ma egualmente l ' odio glaciale della duchessa contro cui s ' infrangeva ogni slancio di Donna Mercede , tormentava la spagnuola . Esse avevano nel cuore un orribile segreto ; esse portavano nelle viscere il feroce serpente della gelosia , esse morivano ogni giorno di amore e di odio . Donn ' Anna celava il suo spasimo , ma Donna Mercede lo rivelava nelle convulsioni del suo spirito e del suo corpo . La duchessa agonizzava sorridendo ; Donna Mercede agonizzava , piangendo e strappandosi i neri capelli . Fino a che ella scomparve d ' un tratto dal palazzo Medina C œ li e fu detto che presa da improvvisa vocazione religiosa , avesse desiderato la pace del convento e fu narrato del misticismo ond ' era stata presa quell ' anima , e delle lunghe giornate passate in ginocchio dinanzi al Sacramento , e del fervore della preghiera e delle lagrime ardenti : ma non fu detto né il convento , né il paese , né il regno dove era il convento . Invano Gaetano di Casapesenna cercò Donna Mercede in Italia , in Francia , in Ispagna ed in Ungheria , invano si votò alla Madonna di Loreto , a San Giacomo di Campostella , invano pianse , pregò , supplicò . Mai più rivide la sua bella amante . Egli morì giovane , in battaglia , quale a cavaliere sventurato si conviene . Altre feste seguirono nel palazzo Medina , altri omaggi salutarono la ricca e potente duchessa Donn ' Anna ; ma ella sedeva sul suo trono , con l ' anima amareggiata di fiele , col cuore arido e solitario . Quei fantasmi sono quelli degli amanti ? O divini , divini fantasmi ! Perché non possiamo anche noi , come voi , spasimare d ' amore anche dopo la morte ? BARCHETTA - FANTASMA Li conosci tu ? Li conosci tu questi giorni fangosi e sporchi , quando la Noia immortale prende il colore bigio , l ' odore nauseante , la pesantezza opprimente della nebbia invernale , quando il cielo è stupidamente anemico , il sole è una lanterna semispenta e fumicante , i fiori impallidiscono ed appassiscono , le frutta imputridiscono , le guance delle donne sembrano di cenere , la mano degli uomini pare di sughero , la città patisce di acquavite e la campagna di siero ? È in questi giorni che la fantasia del mondo , esaltata nella sua febbre , senza trovare più pascolo , senza avere più refrigerio , si nutre orribilmente di se stessa , arroventandosi o disseccandosi . In questi giorni la poesia , la delicata ed esile fanciulla , irrimediabilmente ammalata , s ' illanguidisce , declina il capo e muore senza un gemito , senza un respiro – e l ' arte , la robusta fanciulla , colpita mortalmente , agonizza , torcendosi le braccia , effondendo in lugubri lamenti la sua disperazione . Invano l ' artista cerca immergersi nel suo sogno prediletto : il sogno è scomparso . Invano egli tenta tutte le corde della bionda lira : sotto la sua mano tremante le corde si spezzano , con un suono che si prolunga nell ' aria come un triste presagio . O giorni , o giorni scombuiati , feroci e maledetti . Ma perché in questi giorni non amiamo noi , sino a morirne ? Perché non chiudiamo gli occhi , lasciandoci rotolare in un abisso senza fondo dove è cosi dolcemente doloroso finire la vita ? Perché non parliamo noi di amore sino a che la voce si esaurisca nella gola riarsa e la parola diventi un mormorio indistinto ? Vieni dunque ad ascoltarmi . Narrerò a te d ' amore . A te , fantasma fuggevole ed inafferrabile , essere divinamente malvagio , umanamente buono , infinitamente caro , bello come una realtà , orribile come una illusione , sempre lontano , sempre presente , che vivi nelle regioni sconosciute , che sei in me : chimera , persona , nebulosa , nome , idea odiosa ed adorabile da cui parte ed a cui ritorna ogni minuto la mia vita ! L ' hai tu mai vista la barchetta - fantasma ? L ' hai tu vista , amor mio ? .... . Odimi . Io non so quando avvenne la storia d ' amore che ti narro ; l ' anno , il giorno e l ' ora , non li conosco . Ma che importa ? Oggi , ieri , domani , il dramma dell ' amore è multiforme ed unico . Batta il cuore sino a spezzarsi sotto una toga di lana , una corazza di acciaio o un abito di velluto , il suo palpito precipitoso non rovinerà meno o diversamente una esistenza ; siano le braccia dell ' amata cinte di bende sacre , nude , sotto le fasce dei braccialetti , chiuse nelle stoffe seriche , o seminascoste nei merletti , esse non abbracceranno con minore o diversa passione . Che importa una cifra ? Tecla era bella . Il suo volto era di quel candore caldo e vivo che diventa cereo sotto i baci ; nei grandi e voluttuosi occhi di leonessa si accendevano strane scintille d ' oro ; le labbra arcuate erano fatte per quel sorriso lungo , profondo e cosciente che poche donne conoscono ; le trecce folte , brune , s ' incupivano in un nero azzurro . Si chiamava Tecla , un nome duro e dolce , che nel fantasioso vocabolario dei nomi significa cuore colpevole . Hanno la loro fatalità anche i nomi . Fanciulla , Tecla aveva ignorato l ' amore , orgogliosa ed indifferente ; sposa a Bruno , Tecla aveva ignorato l ' amore , moglie superba e glaciale . Eppure aveva veduto struggersi , consumarsi d ' amore il forte cuore di Bruno , un ruvido ed aspro cuore che non aveva mai amato , ma quel soffio ardente di passione non l ' aveva riscaldata , quella voce ansiosa ed appassionata non l ' aveva commossa , l ' amore di Bruno era rimasto inutile , inutile . Bruno se lo sapeva , Tecla glielo aveva detto . Ella non mentiva mai . Era sposa a lui , senza odio , ma senza trasporto . Bruno non si rassegnava , no . Tecla era il cruccio insoffribile della sua vita , il chiodo irrugginito , ficcato nel cervello , il tronco di spada spezzato ed incastrato nel cuore . La ruga della sua fronte , la crudeltà del suo sguardo , il sogghigno del suo labbro , l ' amarezza della sua bocca , il fiele del suo spirito era Tecla . Avrebbe dovuto morire , ma quando s ' ama non se ne ha il coraggio . Avrebbe potuto uccidere Tecla , ma non vi pensava . Non si uccide una donna virtuosa : Tecla era virtuosa , di una virtù alta e fiera . Ma come ogni altezza ne trova un ' altra che la superi e la vinca , fino a che non si arrivi all ' invincibile ed all ' incommensurabile , così dinanzi alla virtù di Tecla giganteggiò , immenso , l ' amore . Fu una grande sconfitta ; fu un gran trionfo . D ' un tratto la fierezza si annegò nella umiltà , l ' orgoglio fu ingoiato , trovolto . Era singolarmente bello Aldo , un fascino irresistibile vibrava nella sua voce armoniosa , le sue parole struggevano come fuoco liquido , il suo sguardo dominava , vinceva , metteva nell ' anima uno , sgomento pieno di tenerezza ; ma se tutto questo non fosse stato , per Tecla egli era sempre , unico , l ' amore . Fu una notte in una sala fulgida di lumi che si videro . Nulla seppero dirsi . Pure fra quei due esseri che si separarono senza un saluto , senza un sorriso , un legame indissolubile era sorto . Camminavano uno verso l ' altro , dovendo inevitabilmente incontrarsi . – Che fai tu alla finestra , Tecla ? È un ' ora che guardi nel buio , quasi vi scorgessi qualche cosa . – Guardo il mare , Bruno , rispondeva lei con la infinita mestizia di chi comincia ad amare . – La brezza della sera ti fa male , Tecla . Tu sei pallida come un cadavere . – Lasciami qui , te ne prego . – Tu sei triste , Tecla . A che pensi ? – Io non penso , Bruno . – Dimmi , chi ti rattrista ? – Nessuno può rattristarmi . – Tecla , la tua mano è gelata e le tue labbra sono , ardenti ; tu soffri , tu tremi , tu vacilli ... – Muoio ... Ma in una notte cupa e profonda , dopo venti notti che l ' insonnia tormentosa si assideva al suo capezzale bagnato di lagrime , Tecla sentì scuotersi tutta , come se un appello possente la chiamasse . – Eccomi – mormorò . E muta , rigida , con l ' incesso uniforme e continuo di un automa , col lungo abito bianco che le si trascinava dietro come un sudario , col passo ritmico che appena sfiorava il suolo , coi lunghi capelli disciolti sugli omeri , con gli occhi spalancati nell ' oscurità , ella attraversò la casa ed uscì sul terrazzo che dava sul mare . Aldo era là . Ella andò a lui . Stettero a guardarsi , nell ' ombra . Non un detto , non un sospiro . L ' amore condensato , potente , sdegnoso di espansione , li soffocava . O indimenticabili notti create per l ' amore ! O eternamente bello golfo di Napoli , dall ' amore e per l ' amore creato ! Nelle notti di primavera , quando il fermento della terra conturba i sensi e tenta l ' anima , quando nell ' aria vi è troppo profumo di fiori , si può discendere al mare , entrare nella barca , fuggire la costiera , e sdraiati sui cuscini contemplare l ' azzurro cupo del cielo , l ' ondeggiamento voluttuoso del flutto , il palpito vivo delle stelle che pare si vogliano staccare per precipitare nell ' immenso aere . Nelle torbide notti estive che seguono le giornate violente e tormentose , quando la terra si riposa , sfiaccolata , da una passione di quattordici ore col sole , felice colui che può farsi cullare in una barca , come in un ' amaca , mentre il forte profumo marino gli fa sognare il tropico , la sua splendida e mostruosa vegetazione , e le svelte fanciulle brune che discendono sotto gli archi dei tamarindi . Nelle meste e bianche notti autunnali , quando la luna malaticcia si unisce alla candida malinconia del cielo , al languido pallore delle stelle , alla nebulosità ideale delle colline , quando tutto il mondo diventa fioccoso di spuma , vi è chi presceglie il mare per confidente e va a narrargli il disfacimento della sua vita che inclina a perdersi nel nulla , mentre la morbida curva di Posillipo pare che si abbassi anche essa desiderosa di scomparire nel mare . Nelle notti tempestose d ' inverno , quando il temporale della città ha tutta la grettezza e la miseria delle stradicciuole strette e delle grondaie piagnolose , quando l ' anima sente il bisogno imperioso di una mano che l ' afferri , che delizioso ed infinito terrore , che impressione incancellabile trovarsi in alto mare , in un ambiente nero , dove il pericolo è tanto più grande in quanto è indistinto . Ma più felice di tutti colui che godette queste notti carezzando i capelli morbidi di una donna adorata , che stringendola al cuore , potette sognare di rapirla nel paese sconosciuto desiderato dagli amanti , che potette sperare di morire con lei , sotto il cielo che s ' incurva , nel mare che li vuole . Più di tutti colpevolmente felici e colpevolmente invidiati Aldo e Tecla . – Aldo , il mare è troppo nero . – Io t ' amo , Tecla . – Io t ' amo , Aldo . Sostienimi col tuo valido braccio , amore . Perché quel barcaiuolo tace ? – Il suo lavoro è duro , forse . Gli daremo del denaro – .... . mi amerai sempre , sempre , Tecla ? – Sempre . Aldo , quella fiaccola gitta una luce sanguigna sui nostri volti e sul mare . Pare che illumini due cadaveri ed una tomba , amore . – Che temi tu dalla morte ? – Dividermi da te . – Giammai . Dio deve castigarci egualmente . Un silenzio si prolungò . Si guardavano , mentre alla loro passione si univa la nota dolce di una tenerezza grave come un presentimento . La barca volava sull ' acqua ; il barcaiuolo vogava con grande forza , senza volgere il capo a guardare gli amanti . – Non ti sembra , Aldo , che siamo lontani assai dalla sponda ? – Tanto meglio , dolcezza mia . – Perché quel barcaiuolo non parla ? – C ' invidia forse , Tecla . È giovane , amerà senza speranza . – Interrogalo , Aldo . Domandagli perché nasconde il suo volto . D ' un tratto il barcaiuolo si volse . Era Bruno . Era la figura dell ' odio . Aldo e Tecla si baciarono . E la barca si capovolse sul bacio degli amanti , sul grido di furore di Bruno . Tre volte vennero a galla gli amanti , abbracciati , stretti con una celestiale beatitudine nel viso , tre volte venne a galla una faccia contratta dalla collera . .... . Odimi , amore . In una certa ora della notte , sulla bella riva di Posillipo , su quella gaia di Mergellina , su quella cupa del Chiatamone , su quella fragorosa di Santa Lucia , su quella sporca del Molo , su quella tempestosa del Carmine , la barchetta fantasma appare , corre veloce sull ' acqua , gli amanti si baciano lentamente , la figura dello sposo si erge sdegnata , la barchetta si capovolge . Ancora tre volte si rivede quell ' eterno bacio , quell ' eterno odio . Ogni notte la barchetta - fantasma appare . Ma non tutti la vedono . Dio permette che solamente chi ama bene , chi ama intensamente possa vederla . Apparisce solamente per gli innamorati , i quali impallidiscono a quell ’ aspetto . È la pruova infallibile e singolare . L ’ hai tu vista ? L ’ hai tu vista , la barchetta - fantasma ? O sciagurata me , se fui sola a vederla ! IL SEGRETO DEL MAGO Nell ' anno 1220 della salutifera Incarnazione regnando in Palermo ed in Napoli il grande e buon re Federico secondo di Svevia , accadde in Napoli un caso bellissimo che non vi sarà discaro ascoltare , trattandosi di piacevole argomento . Simil novella non troverete né in istorici , né in eleganti narratori ; io stessa la raccolsi rozza ed informe dalla tradizione popolare e voglio , narrandola a voi , consacrarla in questa scrittura , affinché ne possano avere disadorna ma chiara notizia i più tardi nepoti , per cui lavora e s ’ affatica ogni scrittore disdegnoso del facile plauso contemporaneo . Ma senza più intrattenervi in preliminari , avendo spiegata chiaramente la mia intenzione , ecco il caso . Nello stretto vico dei Cortellari . che come ognuno sa , apparteneva al seggio di Portanova , v ' era una casuccia magra ed alta , dalle piccole finestre , aventi i vetri sporchi ed impiombati . La porta d ' entrata era bassa e oscura ; sporca e ripida la scala ; di rado si aprivano le finestruole . La gente vi passava dinanzi frettolosa , dando uno sguardo fra il collerico ed il pauroso , e borbottando fra i denti non so se una preghiera o una maledizione . In verità , nella casuccia abitava gente malfamata ; al primo piano v ' era un maledetto giudeo , degno discendente di coloro che crocifissero nostro signore Gesù Cristo , un giudeo ladro che dava il denaro ad usura e tosava le monete d ' oro ; al secondo una giovane bella , di quelle che sono la tentazione e la dannazione dell ' uomo ; al terzo un marito ed una moglie , brutti ceffi che il giorno eran fuori di casa a qualche ignoto ed equivoco mestiere e quando rincasavano , a notte piena , si battevano come la lana . Quello che formava lo sgomento dei viandanti non era specialmente l ' ebreo cane , lo sguardo provocante della donna , o gli strilli della moglie bastonata dal marito , ma era tutto questo insieme e principalmente il pensiero che all ' ultimo piano della casa indiavolata abitava Cicho il mago . Le anime timorate di Dio si facevano il segno della croce che è anche quello della nostra salvazione e passavano oltre ; gli spiriti mondani facevano le corna con la mano , si tastavano il ginocchio , pronunziavano qualche scongiuro e simili cose operavano che volgarmente si credono atte a disperdere il malocchio . Sebbene Cicho uscisse molto raramente e raramente spalancasse le imposte della sua finestruola , il popolo sapendo della sua magia , del suo potere sovrumano , n ' avea timore grandissimo . Senza dubbio i misteriosi andamenti di Cicho davan fede di verità a quanto di lui si dicea . Chi fosse non si sapea , né donde venisse ; sempre chiuso in casa ; in apparenza privo di amici e di parenti : curvo nell ' incedere , lento il passo , l ' occhio fisso a terra mormorando parole greche , latine o di qualche lingua demoniaca ; parco nel conversare , ma non aspro nei modi , anzi sorridente nella fluente barba bianca ; scuri ma netti i vestimenti . Invano , quando venne ad abitare nel vico Cortellari , le femminette d ' intorno s ' informavano di lui , chiesero , osarono interrogarlo , fermarono il suo servo e adoperarono i mille mezzi che mai sempre consiglia alla donna , la gran maestra e signora , la curiosità . Nulla potettero sapere e Cicho , la sua origine , la sua famiglia , la sua vita rimasero nelle tenebre dello sconosciuto . Ma in seguito , spiando , osservando , escogitando , si seppe che Cicho intendeva a opere magiche ; durante la notte , mai si spegneva la lampada della stanzuccia dove egli studiava su grossi volumi di manoscritti a fermaglio , tolti da una polverosa scansia , mai cessava d ' uscire , dalla cappa nera del suo focolare , un filo di fumo e la sua stanza era piena di storte , di lambicchi , di fornelli , di singolari coltelli in tutte le forme e di altri istrumenti in ferro destinati ad usi paurosi . Si dicea che spesso Cicho passava ore intere curvato sopra un pentolino che bolliva , bolliva e dove sicuramente danzavano le maledette erbe infernali che cagionano malsania , follìa e morte , sebbene il servo non comperasse in piazza che le erbe di cucina , come maggiorana , pomidoro , basilico , prezzemolo , cipolle , agli ed altro . Ma si sa che gli stregoni vanno sui prati , nella notte del sabato , incantano la luna , chiamano il diavolo e colgono le erbacce malefiche . Si diceva altresì che Cicho venisse fuori sul suo piccolo terrazzino , scuotendo dalle mani e dall ' abito una polvere bianca che certo doveva avvelenare l ' aria ; che spesso andasse a lavarsi le mani macchiate di rosso in un tinello di cui l ' acqua si corrompeva . Quelle mani macchiate di rosso davano autorità a orribili sospetti ; tanto più che si soggiungeva esservi spesso , nel laboratorio di Cicho , sul pavimento , larghe macchie di rossobruno , simili a pozze di sangue e che quello sciagurato stregone di Cicho si occupasse , nella notte , a tagliare coi sottili coltelli , sopra una grande tavola di marmo bianco , non so che di delicato . Membra di bambini , o gambe di rana , o pelli di serpentelli – ripeteva la gente . E quando camminava nella via , le comari ammiccavano e si davano delle gomitate nei fianchi , dicendo : – Cicho il mago , Cicho il mago ! – Cerca il modo di ridiventare giovane , il secchione ! – Vuol trovar l ’ oro , forse . – O quella pietra per cui s ’ ha virtù , saggezza e lunga vita . – Che ! ! Chiama il diavolo per diventare Gran Turco . Cicho ascoltava e tirava via sorridendo . In fondo le comari , avendone paura , non osavano maledirlo che sottovoce ; a ammonivano i bimbi ad usargli rispetto . lo stregone , malgrado le voci temerarie , aveva rispetto di galantuomo e quella tale aria di soddisfatto raccoglimento di chi medita una bella e feconda idea . Parea dicesse : verrà , verrà il giorno mio , o gente ingrata . A chiarirvi un poco il mistero ed a denudare la sua vita di quella parte sovrumana che Dio non permette più sulla terra , poiché Dio fa miracoli solamente per l ’ anima e non più per il corpo , vi dirò quanto segue . Cicho era stato a suo tempo ricco e gagliardo e bel giovanotto : aveva saputo goder bene della salute , della gioventù e della ricchezza ; amante , era stato amato ; aveva avuto palazzi , corridori di nobil sangue , pietre preziose , vestimenta intessute d ’ oro ; aveva goduto feste , conviti , balli , tormenti , giostre ; aveva assaporato col più vivo piacere baci di donne , colpi di spada di cavaliere e vini poderosi . Quando la sua ricchezza cominciò a dileguare , come sempre accade , si allontanarono donne ed amici ; ma Cicho che aveva fatta sugli scrittori antichi buona e larga provvista di filosofia , non se ne accorò . Sibbene rimasto solo , con niuna opera da compiere , gli venne vaghezza di rendersi utile agli uomini . E dopo aver escogitato tutti i mezzi , ricordando i suoi godimenti ed i suoi piaceri , entrò nella persuasione dover lui ritrovare qualche cosa che concorresse specialmente alla felicità del suo simile , felicità instabile e passeggera a cui egli voleva dare un qualche solido fondamento . Raffermato in questa intenzione comperò pergamene e volumi , studiò lungamente , tentando e ritentando ogni giorno prove novelle , sbagliando , ricominciando da capo , consumando le sue notti , il suo denaro ed il carbone dei suoi fornelli . Per molto tempo la mala fortuna lo perseguitò e le sue esperienze riuscirono sempre fallaci , ma non per questo venne meno la sua costanza . Ei lavorava per la felicità dell ’ uomo e cotale altissimo scopo gli era innanzi agli occhi come visione animatrice ; alla fine , dopo molti anni di travaglio , si poté dire di aver raggiunto la sua meta , gridando anche lui la parola del greco Archimede , di fronte a tanta scoperta . Poi , come usano gli inventori , s ’ occupò a vezzeggiare al sua scoperta , a carezzarla , a darle forme variate e seducenti , a perfezionarla , in modo da poter dire agli uomini : Eccola qui ; io ve la dono bella e completa . Ora accade che sul terrazzino di Cicho il mago sporgesse anche una porticina di una stanzuccia dove abitava con suo marito Jovannella di Canzio . Era costei maliziosa , astuta e linguacciuta quanto mai femmina possa essere ; e sua dilettosa occupazione era conoscere i fatti del vicinato o per trarne personale vantaggio o per malignarvi su . non è a dire se la malvagia Jovannella spiasse continuamente Cicho il mago ; ché anzi s ’ arrovellava di giorno e non aveva tregua nelle lenzuola alla notte , per la inappagata curiosità ; e più non riusciva a saper nulla , più , per dispetto , lacerava la riputazione delle vicine e tormentava il marito Giacomo , guattero di cucina al real palazzo . Ma non senza saviezza corrono dettami popolari esprimenti che la donna ottiene sempre quello che vuole fortemente – e malgrado le precauzioni di segretezza adoperate da Cicho il mago , malgrado le porte chiuse , le finestre sbarrate , la Jovannella seppe il segreto dello stregone . Fosse stato per buco di serratura , per fessura di porta , per foro nel muro , o per altro , io non so . Ma è certo che un giorno la trionfante Jovannella disse al guattero marito : – Giacomo , se hai ardire di uomo , la fortuna nostra è fatta . – Sei tu diventata strega ? Io mel sapeva . – Malann ’ aggia la tua bocca sconsacrata ! Ascolta . Vuoi tu dire al cuoco di palazzo che io conosco una vivanda di così nuova e tanto squisita fattura da meritare l ’ assaggio del re ? – Femmina , tu sei pazza ? – Dio mi sradichi questa lingua che ho tanto cara , s ’ io mento ! E con molte sue persuasioni lo indusse a parlarne col cuoco , che a sia volta ne discusse col maggiordomo , il quale ne tenne parola con un conte , che osò dirne al re . Piacque al re la novella e dette ordine che la moglie del sguattero si recasse nelle reali cucine e componesse la prelibata vivanda : infatti la Jovannella accorse prontamente e in tre ore ebbe tutto fatto . Ecco come : prese prima fior di farina , lo impastò con poca acqua , sale e uova , maneggiando la pasta lungamente per raffinarla e per ridurla sottile sottile come una tela ; poi la tagliò con un suo coltellaccio in piccole strisce , queste arrotolò a forma di piccoli cannelli e fattane un a grande quantità , essendo morbidi ed umidicci , li mise a rasciugare al sole . Poi mise in tegame strutto di porco , cipolla tagliuzzata finissima e sale ; quando la cipolla fu soffritta vi mise un grosso pezzo di carne ; quando questa si fu crogiolata bene ed ebbe acquistato un colore bruno - dorato , ella vi versò dentro il succo denso e rosso dei pomidoro che aveva spremuti in uno straccio ; coprì il tegame e lasciò cuocere , a fuoco lento , carne e salsa . Quando l ’ ora del pranzo fu venuta , ella tenne preparata una caldaia di acqua bollente dove rovesciò i cannelli di pasta : intanto che cuocevano , ella grattugiò una grande quantità di quel dolce formaggio che ha nome da Parma e si fabbrica a lodi . Cotta a punto la pasta , la separò dall ’ acqua ed in bacile di maiolica la condì mano mano con una cucchiaiata di formaggio ed un cucchiaio di salsa . Così fu la vivanda famosa che andò innanzi al grande Federigo , il quale ne rimase meravigliato e compiaciuto ; e chiamata a sé la Jovannella di Canzio , le chiese come avesse potuto immaginare un connubio così armonioso e stupendo . La rea femmina disse che ne aveva avuto rivelazione in sogno , da un angelo : il gran re volle che il suo cuoco apprendesse la ricetta e donò alla Jovannella cento monete d ’ oro dicendo che era molto da ricompensarsi colei che per una così grande parte aveva concorso alla felicità dell ’ uomo . Ma non fu questa solamente la fortuna di Jovannella , poiché ogni conte ed ogni dignitario volle avere la ricetta e mandò il proprio cuoco ad imparare da lei , dandole grosso premio ; e dopo i dignitarii vennero i ricchi borghesi e poi i mercati e poi i lavoratori di giornata e poi i poveri dando ognuno alla donna quel che poteva . Nel corso di sei mesi tutta Napoli si cibava dei deliziosi maccheroni – da macarus , cibo divino – e la Jovannella era ricca . Intanto Cicho il mago , solo nella sua cameruccia , modificava e variava la sua scoperta . Pregustava il momento in cui , fatto noto agli uomini il segreto , gliene sarebbe venuta gratitudine , ammirazione e fortuna . Infine , non vale più la scoperta di una nuova pietanza che quella di un teorema filosofico ? che quella di una cometa ? che quella di u nuovo insetto ? Bene , dunque : e lodato senza fine sia l ’ uomo che la fa . Ma un giorno che il termine era vicino , Cicho il mago uscì a respirare per la via del Molo : arrivato presso la porta del Caputo , un noto odore gli ferì le nari . Egli tremò e volle rincorarsi , pensando che era inganno . Ma roso dall ’ ansietà , entrò nella casa donde l ’ odore era venuto e domandò ad una donna che badava ad un tegame : – Che cucini tu ? – Maccheroni , vecchio . – Chi te lo insegnò , donna ? – Jovannella di Canzio . – Ed a lei ? – Un angiolo , dicono . Ella ne cucinò al re ; ne vollero i principi , i conti , tutta Napoli . In qualunque casa entrerai , o vecchio pallido e morente , troverai che vi si cucinano maccheroni . Hai fame ? Vuoi tu cibartene ? – No . Addio . Entrato in varie case , trascinandosi a stento , Cicho il mago ebbe certezza dell ’ accaduto e del tradimento di Jovannella ; il custode del palazzo reale gli ripeté la storiella . Allora , disperato d ’ ogni cosa , tornatosene alla sua casetta , rovesciò lambicchi , storte , tegami , forme e coltelli ; ruppe , fracassò tutto ; abbruciò i libri di chimica . E partissene solo ed ignorato , senza che mai più fosse veduto ritornare . Come è naturale , la gente disse che il diavolo aveva portato via il mago . Ma venuta a morte la Jovannella dopo una vita felice , ricca ed onorata , come la godono per lo più i malvagi , malgrado le massime morali in contrario , nella disperazione della sua agonia , confessò il suo peccato e morì urlando come una dannata . Neppur tarda giustizia fu resa a Cicho il mago : solamente la leggenda soggiunge che nella casa dei Cortellari , dentro la stanzuccia del mago , alla notte del sabato , Cicho il mago ritorna a tagliare i suoi maccheroni , Jovannella di Canzio gira la mestola nella salsa del pomodoro ed il diavolo con una mano gratta il formaggio e con l ’ altra soffia sotto la caldaia . Ma diabolica o angelica che sia la scoperta di Cicho , essa ha formato la felicità dei napoletani e nulla indica che non continui a farla nei secoli dei secoli . DONNALBINA , DONNA ROMITA , DONNA REGINA La leggenda di Donnalbina , Donna Romita , Donna Regina , corre ancora per la lurida via di Mezzocannone , per le primitive rampe del Salvatore , per quella pacifica parte di Napoli vecchia che costeggia la Sapienza . Corre la leggenda per quelle vie , cade nel rigagnolo , si rialza , si eleva sino al cielo , discende , si attarda nelle umide ed oscure navate delle chiese , mormora nei tristi giardini dei conventi , si disperde , si ritrova , si rinnovella – ed è sempre giovane , sempre fresca . Se voi volete , o miei fedeli ed amati lettori , io ve la narro . Se volete per un poco dimenticare le nostre folli passioni , i nostri odi di taciturni , i nostri volti pallidi , le nostre anime sconvolte , io vi parlerò di altre passioni diversamente folli , di altri odii , di altri pallori , di altre anime . Se volete io vi narrerò la leggenda delle tre sorelle : Donnalbina , Donna Romita , Donna Regina . Erano le tre figlie del barone Toraldo , nobile del sedile di Nilo . La madre , Donna Gaetana Scauro , di nobilissimo parentado , era morta molto giovane : il barone si crucciava che il suo nome dovesse estinguersi con esso : pure , non riprese moglie . Ottenne come special favore dal re Roberto d ' Angiò che la sua figliuola maggiore , Donna Regina , potesse , passando a nozze , conservare il suo nome di famiglia e trasmetterlo ai suoi figliuoli . E nel 1320 si morì , racconsolato nella fede del Cristo Signore . Donna Regina aveva allora diciannove anni , Donnalbina diciassette , Donna Romita quindici . La maggiore , dal superbo nome , era anche una superba bellezza : bruni e lunghi i capelli nella reticella di fil d ' argento , stretta e chiusa la fronte , gravemente pensosi i grandi occhi neri , severo il profilo , smorto il volto , roseo - vivo il labbro , ma parco di sorrisi , parchissimo di detti ; tutta la persona scultorea , altera , quasi rigida nell ' incesso , composta nel riposo . E lo spirito di Regina , per quanto ne poteva ricavare l ' indiscreto indagatore , rassomigliava al corpo . Era in quell ' anima un ' austerità precoce , un sentimento assoluto del dovere , un ' alta idea del suo còmpito , una venerazione cieca del nome , delle tradizioni , dei diritti , dei privilegi . Era lei il capo della famiglia , l ' erede , il conservatore del nobil sangue , dell ' onore , della gloria ; era nel suo fragile cuore di donna che dovevano trovare aiuto e sostegno queste cose – ed ella nel silenzio , nella solitudine , si adoperava ad invigorire il suo cuore : a farvi nascere la costanza e la fermezza , a cancellarvi ogni traccia di debolezza . A volte nel suo spirito , sempre freddo , sempre teso , passava un soffio caldo e molle – e le sorgevano in cuore vaghi desiderii di amore , di profumi , di colori abbaglianti , di sorrisi ; ma ella cercava vincersi , s ' inginocchiava a pregare , leggeva nel vecchio libro dove erano scritte le storie di famiglia e ridiventava l ' inflessibile giovinetta , Donna Regina , baronessa di Toraldo . Donnalbina , la seconda sorella , veniva chiamata cosi dalla bianchezza eccezionale del volto . Era una fanciulla amabile , sorridente nel biondo - cinereo della chioma , nel fulgore dello sguardo intensamente azzurro , nei morbidi lineamenti , nella svelta e gentile persona . I tratti duri , fieri , di Donna Regina diventavano femminilmente graziosi in Donnalbina . E veramente ella era la dolcezza di casa Toraldo . Era lei che presenziava i lunghi lavori delle sue donne sul broccato d ' oro , alle trine di lucido filo d ' argento , agli arazzi istoriati , andando da un telaio all ' altro , curvandosi sul ricamo , consigliando , dirigendo ; era lei , che , in ogni sabato , attendeva alla distribuzione delle elemosine ai poveri , curando che niuno fosse trattato con , durezza , che niuno fosse dimenticato , ritta in piedi sul primo scalino della porta , vivente immagine della misericordia terrestre . Era lei che portava alla sorella Regina le suppliche dei servi infermi , dei coloni poveri , di chiunque chiedesse una grazia , un soccorso . Nella sua affettuosa e gaia natura , si doleva del silenzio di quella casa , della austera gravità che vi regnava , dei corridoi gelati , delle sale marmoree che niun raggio di sole valeva a riscaldare ; si doleva del freddo cuore di Regina che niun affetto faceva sussultare – se ne doleva per Donna Romita . Perché Donna Romita era una singolare giovinetta , mezzo bambina . Così il suo aspetto : i capelli biondo cupo , corti ed arricciati , il viso bruno , di quel bruno caldo e vivo che pare ancora il riflesso del sole , gli occhi di un bel verde smeraldo , glauco e cangiante come quello del mare , le labbra fini e rosse , la personcina esile e povera di forma , bruschi i moti , irrequieta sempre . Ora appariva indifferente , glaciale , gli occhi smorti , le nari terree , quasi la vita fosse in lei sospesa ; ora si agitava , una fiamma le coloriva il volto , le labbra fremevano di baci , di parole , di sorrisi , l ’ angolo delle palpebre nascondeva una scintilla , scivolata dalla pupilla viva ; ora diventava irritata , superba , il viso chiuso , sbiancato da una collera interna . Nei giorni d ' inverno , quando la pioggia sferza i vetri , il vento sibila per le fessure delle porte , urta nel camino , del largo focolare , Donna Romita si rannicchiava in un seggiolone come un uccello pauroso ed ammalato ; nelle caldissime ore di estate , non lasciava le ombre del giardino , errando pei viali . A volte rimaneva lunghe ore pensosa . Pensava forse di sua madre , cui le avevano detto rassomigliasse . Pure , le tre sorelle menavano placida vita . Erano regolate le ore dell ' abbigliamento , della preghiera , del lavoro , dell ' asciolvere e della cena ; erano stabilite equamente le occupazioni di ogni settimana , di ogni mese . Dappertutto Donna Regina andava innanzi e le sorelle la seguivano ; ella aveva il seggiolone con la corona baronale , ella aveva le chiavi dei forzieri dove erano rinchiuse le insegne del suo grado ed i gioielli di famiglia ; a mensa , ella presiedeva , le due sorelle una a diritta l ' altra a sinistra , su ’ seggi più umili ; all ' oratorio ella intonava le laudi . La mattina e la sera le due sorelle minori salutavano la maggiore , inchinandosi e baciandole la mano : ella le baciava in fronte . Di rado le chiamava a consiglio , essendo , in lei il senno superiore alla età ed al sesso : ma se accadeva , le due attendevano pazienti di essere interrogate . Era in tutte tre profondo ed innato il sentimento dello scambievole rispetto : in Donnalbina e in Donna Romita un ossequio affettuoso per Donna Regina . Le sue parole erano una legge indiscutibile , cui non si sarebbero giammai ribellate . In fondo l ' amavano , ma senza espansioni . Ed essa era troppo rigida per mostrar loro il suo affetto , se le amava . Un giorno re Roberto si degnò scrivere di suo pugno a Donna Regina Toraldo che le aveva destinato in isposo Don Filippo Capece , cavaliere della corte napoletana . Imbruniva . Nel vano di un balcone sedeva Donna Regina , col libro delle ore fra le mani . Ma non leggeva . – Mi è lecito rimanere accanto a voi , sorella mia ? – chiese timidamente Donnalbina . – Rimanete , sorella – disse brevemente Regina . Regina era più smorta dell ' usato , un po ' abbassata la testa , errante lo sguardo . E Donnalbina cercava indovinare il pensiero segreto di quella fronte severa . – Mi ricercavate di qualche cosa , Donnalbina ? – chiese infine Regina , scuotendosi . – Voleva dirvi che la nostra sorella Donna Romita mi pare ammalata . – Non me ne addiedi . Mandaste per la medesima Giovanna ? – No , sorella , non mandai . – E perché ? – Ahimè ! sorella , dubito che i farmachi possano guarire Donna Romita . – E qual malore grave e strano è il suo , che non trovi rimedio ? – Donna Romita soffre , sorella mia . Nella notte è angosciosa la veglia ed agitati i suoi sonni ; nel giorno fugge la nostra compagnia , piange in qualche angolo oscuro ; passa ore ed ore nell ' oratorio inginocchiata , col capo su le mani . Donna Romita si strugge segretamente . – E sapete voi la causa di tanto struggimento , Donnalbina ? – chiese con voce aspra Donna Regina . – Io credo saperla – rispose , facendosi coraggio , la sorella minore . – Ditela , dunque . – Ma la vedete voi ? – Ve la chieggo . Tardaste troppo . – Donna Romita si strugge d ' amore , o mia sorella . – D ' amore , diceste ? – gridò Regina balzando sul seggiolone . – D ' amore . – E che ? Debbo io udire da voi queste parole ? Chi vi parlò prima d ' amore ? Chi vi ha insegnato la triste scienza ? Di chi io debbo crucciarmi , di Donna Romita che me lo cela , o di voi , Donnalbina , che lo indovinate e me lo narrate ? Come furon turbati il cuore dell ' una , la mente dell ' altra ? Sono stata io così poco provvida , cosi incapace da lasciare indifesa la vostra giovinezza . – L ' amore è nella nostra vita – rispose con dolce fermezza Donnalbina . Regina tacque un momento . Aveva corrugate le sopracciglia , quasi a ristringere ed a condensare il suo pensiero . – Il nome dell ' uomo ? – chiese poi duramente . Donnalbina tremò e non rispose . – Il nome dell ' uomo ? – insistette l ' altra . – È un giovane cavaliere , un cavaliere di nobil sangue , bello , dovizioso . – Il suo nome ? – Donna Romita è stata affascinata dalla eloquente parola , dallo sguardo di fuoco . Amò certo senza saperlo … – Il suo nome , vi dico . Debbi io pregarvi ? – Oh ! no , sorella . Ma voi le perdonerete , voi le perdonerete , non è vero ? E cercava prenderle le mani . – Che cosa debbo perdonarle ? Ditemi il nome del cavaliere . – Pietà per lei . Ella ama don Filippo Capace . – No ! ! – Lo ama , lo ama , sorella . Chi non l ’ amerebbe ? Non è egli valoroso , galante con le donne , seducente nell ’ aspetto ? Quando egli mormora una parola d ’ amore , il cuore della fanciulla deve struggersi in una dolcissima felicità ; quando il suo labbro sfiora la fronte della fanciulla , può ella invidiare le gioie degli angeli ? Essere sua ! Sogno benedetto , aura invocata , luce abbagliante ! Pietà per nostra sorella ! Essa lo ama – e cadde ginocchioni , balbettando ancora vaghe parole di preghiera . – Ma per chi mi chiedi pietà ? – gridò Donna Regina , rialzando bruscamente la sorella in un impeto di collera – per chi me la chiedi ? – Per Donna Romita … – rispose l ’ altra smarrita . – Chiedila anche per te . Tu , come lei , ami Filippo Capace . – Io non lo dissi ! – esclamò Albina folle di terrore . – Tu l ’ hai detto . L ’ ami . Ed io non posso , non posso perdonare . Io amo Filippo Capace – dice con voce disperata Regina . Le ombre della notte involgevano la casa Toraldo : una notte senza speranza di alba . Profondo è il silenzio nell ' oratorio . La lampada di argento , sospesa davanti ad una Madonna bruna , brucia il suo olio profumato , diradando il buio con una luce piccola ed incerta . Brilla una sola scintilla nella veste d ' argento della Vergine . Se si tende bene l ' orecchio , si ode un respiro lieve lieve . Non sul velluto rosso del cuscino , non sulla balaustra di legno lavorato dell ' inginocchiatoio , ma sul marmo gelido del pavimento è mezza distesa una forma umana ; l ' abito bianco e lungo in cui è avvolta ha qualche cosa di funebre . Donna Romita è là da più ore , dimentica di tutto , nell ' abbandono di tutto il suo essere , nel profondo assorbimento dell ' idea fissa . Ella non sente . il freddo dell ' ambiente , non vede l ' oscurità , non sa nulla del tempo , non sente lo spasimo delle sue ginocchia , non sente lo spasimo di tutta la sua vita ; ella non sente che il suo pensiero tormentoso , onnipresente , onnipotente . – Madonna santa , toglimi questo amore ! Madonna santa , strappami il cuore ! Madonna santa , fammi morire , fammi morire , fammi morire ! Toglimi questo amore ! E le invocazioni si moltiplicano ; essa stende le braccia alla immagine sacra e torna a chiedere la morte . La fronte ardente si curva sino al suolo , le labbra baciano il marmo , tutto il corpo si torce nella disperazione . Ad un tratto un singhiozzo interrompe il silenzio . Chi piange presso di lei ? È forse l ' eco del suo dolore ? È forse la sua ombra , quest ' altra fanciulla vestita di bianco che piange e prega in un angolo ! Sì , è l ' eco del suo dolore , è la sua ombra che si desola ; è Albina . Donna Romita fugge , fugge invasa dal terrore e dalla vergogna , lasciando nell ' oratorio un amore ed una sciagura simile alla sua . In quell ' ora medesima , nella vasta camera da letto , sola , seduta presso il tavolo di quercia , veglia Donna Regina . Sta immobile , non prega , non piange , non trasalisce . Tutto il volto pare scolpito nel granito , solo ardono gli occhi di un fuoco consumatore . Passano le ore sul suo capo altero , passano le ore sul suo cuore straziato , ma pel loro passaggio non si cangia il suo strazio . Allegre le vie della vecchia Napoli nella primavera novella dell ' anno , per la gioia degli uomini ; lieto lo scampanìo delle chiese . È la Pasqua di Risurrezione . La pace dal cielo scende sulla terra , nei fiori e nella luce primitiva . Il mondo rivive , rinasce la sua gioventù , un istante sopita . Nell ' aria si respira amore . Le due sorelle minori hanno chiesto a Donna Regina un colloquio particolare ed essa lo ha accordato ; era tempo che le tre sorelle non si vedevano , l ' una fuggendo le altre , mettendo la mestizia e il duolo nella loro casa , lo scompiglio tra i famigliari . Donna Regina è nella grande sala baronale , dove in antico si teneva corte di giustizia ; è splendidamente vestita ; ha indosso i gioielli magnifici di casa Toraldo , ha daccanto , sovra un cuscino , la corona ingemmata di zaffìri , di rubini e di smeraldi , lo scettro baronale ; sul volto un ' austerità calma , quasi decisa . Entrano Donnalbina e Donna Romita . Sono vestite di bruno , senza ornamenti . La gaia giovinezza di Donnalbina è svanita , è svanito il suo soave sorriso , è perduta la sua bionda bellezza . Donna Romita china il capo , abbattuta ; ancora non ha avuto il tempo di esser giovane e già si sente irresistibilmente attirata dalla morte . Esse s ’ inchinano a Donna Regina ed ella rende loro il saluto . – Parlate anche per me , Donnalbina – mormora a bassa voce Donna Romita . – Veniamo a dirvi , sorella nostra – prende a dire Donnalbina – che dobbiamo dividerci . Regina non trasalisce , non batte palpebra , aspetta . – È mia intenzione , è intenzione di Donna Romita , dare una metà della nostra dote ai poveri e l ’ altra parte dedicarla alla fondazione di un monastero , dove prenderemo il velo . – Ogni monaca di casa Toraldo ha diritto di diventare badessa nel monastero che ha fondato – rispose Regina con tono severo . – Sia pure . Attendiamo le vostre risoluzioni , sorella . Ella non rispose . Pensava , raccolta in se stessa . – Siateci generosa del vostro consenso , Donna Regina . Troppo vi offendiamo , è vero … – Desistete – fece quella con un moto di fastidio . – Non desistiamo , no – riprese Donnalbina , affannandosi . – Dio e voi offendemmo . Grave il peccato , grave l ’ espiazione . Ecco , ancora non giunsero per noi i venti anni e noi abbandoniamo questo mondo così bello , così ridente ; noi lasciamo la nostra casa , le nostre dolci amiche , e care abitudini ; lasciamo voi , sorella amata , per quanto offesa . Il chiostro ne aspetta . a voi l ’ onore di conservare il nostro nome , a voi le liete nozze , l ’ amore dello sposo , il bacio dei figliuoli … – Voi v ’ ingannate , o sorella – rispose Donna Regina lentamente . – È da tempo che ho deciso prendere il velo in un convento da me fondato . Un silenzio tristissimo segue le infauste parole . – Io non posso sposare Filippo Capace – riprese ella , mentre una vampa di sdegno le correva al viso . – Egli mi odia . – Ahimé ! io gli sono indifferente – mormorò Donnalbina . – Io anelo al chiostro . Egli mi ama – pronunziò con voce rotta Donna Romita . E le due sorelle baciarono Donna Regina sulla guancia e ne furono baciate . – Addio , sorella mia . – Addio , sorella mia . – Addio , sorelle . Donna Regina si alzò , prese lo scettro d ’ ebano torchiato d ’ oro , e lo franse in due pezzi . E rivolgendosi al ritratto dell ’ ultimo barone Toraldo , gli disse inchinandolo : – Salute , padre mio . La vostra nobile casa è morta ! Non hanno parole le brune vòlte dei monasteri , la pallida luce dei cere trasparenti , il profumo eccessivo e pesante dell ’ incenso , la profonda voce dell ’ organo , le bige pietre sepolcrali ; non han parola le fredde celle , il nudo e duro letto dove è scarso il sonno , il cilicio sanguinoso , le pagine distrutte dalle lagrime , i crocefissi distrutti dai baci ; non han parola i volti ingialliti , gli occhi cerchiati di nero , i corpi consunti , ma rianimati sempre da una fiamma rinascente ; non han parola le convulsioni spasmodiche , le allucinazioni , le estasi dolorose . Altrimenti storie meravigliose e drammatiche sarebbero narrate al mondo ; altrimenti noi sapremmo tutta la vita delle tre sorelle ; altrimenti noi sapremmo il giorno che finì la loro tortura . Ma il giorno , che importa ? Sappiamo noi se dopo non si ami ancora ? Finisce , forse , l ’ amore ? Noi non possiamo , non possiamo segnare il suo ultimo giorno , né la sua ultima parola . ‘ O MUNACIELLO La quale istoria fu così . Nell ’ anno 1445 dalla fruttifera Incarnazione , regnando Alfonso d ’ Aragona , una fanciulla a nome Caterina Frezza , figlia di un mercante di panni , si innamorò di un nobile garzone , Stefano Mariconda . E com ’ è usanza d ’ amore , il garzone la ricambiò di grandissimo affetto e di rado fu vista coppia d ’ amanti egualmente innamorata e fedele . E ciò non senza molto loro cordoglio , poiché per la disparità delle nascite che proibiva loro il nodo coniugale , grande guerra ferveva in casa Mariconda contro Stefano – e la Catarinella , in casa sua , era con ogni sorta di tormenti dal padre e dai fratelli torturata . Ma per tanto e continuo dolore , che si può dire mangiassero veleno e bevessero lagrime , avevano ore di gioia inestimabile . A tarda notte , quando nei chiassuoli dei mercanti non compariva viandante veruno , Stefano Mariconda avvolto dal bruno mantello , che mai sempre protesse ladri ed amanti , penetrava in andito nero ed angusto , saliva per una scala fangosa e dirupata , dove era facile il pericolo della rottura del collo , si trovava sopra un tetto e di là scavalcando , terrazzo per terrazzo , con una sveltezza ed una sicurezza che amore rinforzava , arrivava sul terrazzino dove lo aspettava , tremante dalla paura , Catarinella Frezza . Lettor mio , se mai fremesti d ’ amore , immagina quei momenti e non chiederne descrizione alla debole penna . Ma in una notte profonda , quando più alle anime loro si schiudeva la celestiale beatitudine del paradiso , mani traditrici e borghesi afferrarono Stefano alle spalle , e togliendogli ogni difesa , dalla ferriata lo precipitarono nella via , mentre Catarinella gridando e torcendosi le braccia , s ’ aggrappava ai panni degli assassini . Il bel corpo di Stefano Mariconda giacque , orribilmente sfracellato , nella fetida via per una notte ed un giorno : fino a che lo raccolse di là la pietà dei parenti , dandogli onorata sepoltura . Ma invero fu quella morte ignobilmente violenta ; e perché vi è dubbio sul destino di quell ’ anima , strappata dalla terra e mandata innanzi all ’ Eterno carica di peccati , e perché a gentiluomo non conviensi altra morte violenta che di spada . La Catarinella fuggì di casa , pazza di dolore , e fu piamente ricoverata in un monastero di monachelle . In un giorno , quando ancora il tempo assegnato dalla ragion divina e dalla ragion medica non era scorso , ella dette alla luce un bimbo piccino piccino , pallido e dagli occhi sgomentati . Per pietà di quel piccolo essere , le suore lasciarono la madre a nutrirlo e curarlo . Ma col tempo che passava , non cresceva molto il bambino e la madre , cui rimaneva confitta nella mente la bella ed aitante persona di Stefano Mariconda , se ne crucciava . Le suore la consigliarono di votarsi alla Madonna perché desse una fiorente salute al bambino ; ed ella votossi e fece indossare al bimbo un abito nero e bianco da piccolo monaco . Ma ben altro aveva disposto il Signore nella sua infinita saggezza e la Catarinella non s ’ ebbe la grazia chiesta . Il figliuoletto suo , crescendo negli anni , non crebbe che pochissimo nel corpo e fu simile a quei graziosi nani di cui si allietano molte corti di sovrani potenti . Sibbene ella continuò a vestirlo da piccolo monaco ; onde è che la gente chiamava in suo volgare il bambino ; ‘ o munaciello . Le monache lo amavano , ma la gente della via , ma i bottegai delle strade Armieri , Lanzieri , Cortellari , Taffettanari , Mercanti , si mostravano a dito il bambino troppo piccolo , dalla testa troppo grande e quasi mostruosa , dal volto terreo in cui gli occhi apparivano anche più grandi , anche più spaventati , dall ’ abituccio strano : e talvolta lo ingiuriavano , come fa spesso la plebe contro persona debole ed inerme . Quando ‘ o munaciello passava innanzi la bottega dei Frezza , zii e cugini uscivano sulla soglia e gli scagliavano le imprecazioni più orribili . Non è dato a me indagare quanto comprendesse ‘ o munaciello degli sgarbi e delle disoneste parole che gli venivano dirette , ma è certo che egli riedeva alla madre triste e melanconico . A volte un lampo di collera gli balenava negli occhi e allora la madre lo faceva inginocchiare e gli dettava le sante parole dell ’ orazione . A poco a poco in quei bassi quartieri dove egli muoveva i passi , si divulgò la voce che ‘ o munaciello avesse in sé qualche cosa di magico , di soprannaturale . Ad incontrarlo , la gente si segnava e mormorava parole di scongiuro . Quando ‘ o munaciello portava il cappuccetto rosso che la madre gli aveva tagliato in un pezzetto di lana porpora , allora era buon augurio ; ma quando il cappuccetto era nero , allora cattivo augurio . Ma come il cappuccetto rosso compariva molto raramente , ‘ o munaciello era bestemmiato e maledetto . Era lui che attirava l ’ aria mefitica nei quartieri bassi , che vi portava la febbre e la malsania ; lui che , guardando nei pozzi , guastava e faceva imputridire l ’ acqua , lui che toccando i cani li faceva arrabbiare , lui che portava la mala fortuna nei negozi ed il caro del pane , lui che , spirito maligno , suggeriva al re nuovi balzelli . Appena ‘ o munaciello scantonava , a capo basso , con l ’ occhio diffidente e pauroso , correndo o nascondendosi fra la folla , un coro di maledizioni lo colpiva . Il fango della via gli scagliavano a insudiciargli la tonacella ; le bucce delle frutte troppo mature lo ferivano nel volto . egli fuggiva , senza parlare , arrotando i denti , tormentato più dall ’ impotenza della piccola persona che dal villano insulto di quella borghesia . Catarinella Frezza era morta ; non lo poteva consolar più . Le monache lo impiegavano ai minuti servizi dell ’ orto ; ma , anche esse , a vederlo d ’ improvviso , in un corridoio , nella penombra , si sgomentavano come per apparizione diabolica . S ’ avvalorava il detto della faccia cupa del munaciello , dal non averlo mai visto in chiesa , dal trovarlo in tutti i luoghi a poca distanza di tempo . Finché una sera ‘ o munaciello scomparve . Non mancò chi disse che il diavolo lo avesse portato via pei capelli , come è solito per ogni anima a lui venduta . Ma per fede onesta di cronista , mi è d ’ uopo aggiungere che furono molto sospettati , e forse non a torto , i Frezza d ’ aver malamente strangolato ‘ o munaciello e gittatolo in una cloaca lì presso , da certe ossa piccine e da un teschio grande che vi fu trovato . Il discernere le cose vere dalle false , e lo speculare quale sia favola , quale verità , lascio e raccomando specialmente alla prudenza e saggezza del lettore . Questa qui è la cronaca . Ma nulla è finito – soggiungo io , oscuro commentatore moderno – con la morte del munaciello . Anzitutto è ricominciato . La borghesia che vive nelle strade strette e buie e malinconicamente larghe senza orizzonte , che ignora l ’ alba , che ignora il tramonto , che ignora il mare , che non sa nulla del cielo , nulla della poesia , nulla dell ’ arte ; questa borghesia che non conosce , che non conosce se stessa , quadrata , piatta , scialba , grassa , pesante , gonfia di vanità , gonfia di nullaggine ; questa borghesia che non ha , non può avere , non avrà mai il dono celeste della fantasia , ha il suo folletto . Non è lo gnomo che danza sull ’ erba molle dei prati , non è lo spiritello che canta sulla riva del fiume ; è il maligno folletto delle vecchie case di Napoli , è ‘ o munaciello . Non abita i quartieri aristocratici di Chiaia , di S . Ferdinando , del Chiatamone , di Toledo ; non abita i quartieri nuovi di Mergellina , Rione Amedeo , Corso Salvator Rosa , Capodimonte : la parte ariosa , luminosa , linda della città non gli appartiene . Ma per i vicoli che da Toledo portano giù , per le tetre vie dei Tribunali e della Sapienza , per la triste strada di Foria , per i quartieri cupi e bassi di Vicaria , Mercato , Porto e Pendino il folletto borghese estende l ’ incontrastato suo regno . Dove è stato vivo , s ’ aggira come spirito ; dove è apparso il suo corpo piccino , la testa grossa , la faccia pallida , i grandi occhi lucenti , la tonacella nera , la pazienza di lana bianca ed il cappuccetto nero , lì ricomparve ; nella medesima parvenza , pel terrore delle donne , dei fanciulli e degli uomini . Dove lo hanno fatto soffrire , anima sconosciuta e forse grande in un corpo rattrappito , debole e malaticcio , là egli ritorna , spirito malizioso e maligno , nel desiderio di una lunga e insaziabile vendetta . Egli si vendica epicamente , tormentando coloro che lo hanno tormentato . Chiedete ad un vecchio , ad una fanciulla , ad una madre , ad un uomo , ad un bambino se veramente questo munaciello esiste e scorazza per le case , e vi faranno un brutto volto , come lo farebbero a chi offende la fede . Se volete sentirne delle storie , ne sentirete ; se volete averne dei documenti autentici , ne avrete . Di tutto è capace il munaciello … Quando la buona massaia trova la porta della dispensa spalancata , la vescica dello strutto sfondata , il vaso dell ’ olio riverso e il prosciutto addentato dalla gatta , è senza dubbio la malizia del munaciello che ha schiusa quella porta e scagionato il disastro . Quando alla serva sbadata cade di mano il vassoio ed i bicchieri vanno in mille pezzi , colui che l ’ ha fatta incespicare è proprio lui , lo spiritello impertinente ; è lui che urta il gomito della fanciulla borghese che lavora all ’ uncinetto e le fa pungere il dito ; è lui che fa traboccare il brodo dalla pentola ed il caffè dalla cogoma ; è lui che fa inacidire il vino dalle bottiglie ; è lui che dà la iettatura alle galline che ammiseriscono e muoiono ; è lui che pianta il prezzemolo , fa ingiallire la maggiorana e rosicchia le radici del basilico . Se la vendita in bottega va male , se il superiore dell ’ uffizio fa una rimenata , se un matrimonio stabilito si disfà , se uno zio ricco muore lasciando tutto alla parrocchia , se al lotto vien fuori 34 , 62 , 87 invece di 35 , 61,88 , è la mano diabolica del folletto che ha preparato queste sventure grandi e piccole . Quando il bambino grida , piange , non vuole andare a scuola , scalpita , corre , salta sui mobili , rompe i vetri e si graffia le ginocchia , è il munaciello che gli mette i diavoli in corpo ; quando la fanciulla diventa pallida e rossa senza ragione , s ’ immalinconisce , sorride guardando le stelle , sospira guardando la luna , e piange nelle tranquille notti di autunno , è il munaciello che le guasta così la vita ; quando il giovanotto compra cravatte irresistibili , mette il profumo nel fazzoletto , e si fa arricciare i capelli , rincasa a tarda notte , col volto pallido e stanco , gli occhi pieni di visioni , l ’ aspetto trasognato , è il munaciello che turba la sua esistenza ; quando la moglie fedele si ferma a guardar troppo il profilo aquilino ed i mustacchi biondi del primo commesso di suo marito e , nelle fredde notti invernali , veglia con gli occhi aperti nel vuoto e le labbra che invano tentano mormorare la salvatrice Avemmaria , è il munaciello che la tenta , è il diavolo che ha preso la forma del munaciello , è il diavoletto che dà la marito il vago desiderio di dare un pizzicotto alla serva MariaFrancesca ; è il folletto che fa cadere in convulsioni le zitellone . È il munaciello che scombussola la casa , disordina i mobili , turba i cuori , scompiglia le menti , empiendole di paura . È lui , lo spirito tormentato e tormentatore , che porta il tumulto nella sua tonacella nera , la rovina nel suo cappuccetto nero . Ma la cronaca veridica lo dice , o buon lettore : quando il munaciello portava il cappuccetto rosso , al sua venuta era di buon augurio . È per questa sua strana mescolanza di bene e di male , di cattiveria e di bontà , che il munaciello è rispettato , temuto ed amato . È per questo che le fanciulle innamorate si mettono sotto la sua protezione perché non venga scoperto il gentile segreto ; è per questo che le zitellone lo invocano a mezzanotte , fuori il balcone , per nove giorni , perché mandi loro il marito che si fa tanto aspettare ; è per questo che il disperato giuocatore di lotto gli fa scongiuro tre volte , per averne i numeri sicuri ; è per questo che i bambini gli parlano , dicendogli di portar loro i dolci e di balocchi che desiderano . La casa dove il munaciello è apparso è guardata con diffidenza , ma non senza soddisfazione ; la persona che , allucinata , ha visto il folletto , è guardata compassionevolamente , ma non senza invidia . Ma colei che lo ha visto – apparisce per lo più a fanciulle ed a bimbi – tiene per sé il prezioso segreto , forse apportatore di fortuna . Infine il folletto della leggenda rassomiglia al munaciello della cronaca napoletana : è , vale adire , un ’ anima ignota , grande e sofferente in un corpo bizzarramente piccolo , in un abito stranamente piccolo , in un abito stranamente simbolico ; un ’ anima umana , dolente e rabbiosa ; un ’ anima che ha un pianto e fa piangere ; che ha sorriso e fa sorridere ; un bimbo che gli uomini hanno torturato ed ucciso come un uomo ; un folletto che tormenta gli uomini come un bambino capriccioso , e li carezza , e li consola come un bambino ingenuo ed innocente . IL DIAVOLO DI MERGELLINA Assisa innanzi allo specchio , ella lasciava che la sua acconciatrice passasse il pettine nella ricchezza dei capelli biondo - fulvi , di un colore acceso e voluttuoso . Si guardava attentamente nello specchio : sul volto di una candidezza abbagliante , che parea fosse fulgido , non compariva traccia di roseo ; nei grandi occhi glauchi , cristallini , il lampo dello sguardo era verde e freddo ; le labbra carnose , rosse , come il granato , dovevano essere dolci ed amare quanto il frutto che ricordavano ; il collo superbo , pieno e rotondo palpitava lentamente . Ella si guardò le mani attraverso la luce , mani candide quanto il viso ; si guardò le braccia sode e rasate come un frutto maturo in cui si possa mordere . Si trovava seducente , bellissima ; ed un eroico sorriso le sfiorò le labbra . Ella si adorava ; idolatrava la propria bellezza e vi abbruciava ogni giorno un copioso incenso che si univa a quello di tutti coloro che l ’ amavano . – Una lettera per madonna Isabella – disse un paggio ricciuto , inchinandosi e porgendo il biglietto sopra un vassoio d ’ argento . Madonna Isabella scórse la lettera . Messer Diomede Carafa le scriveva ancora d ’ amore , una lettera piena di fuoco che a volte scoppiava nell ’ impeto della disperazione , a volte si allentava e s ’ illanguidiva nelle divagazioni di una mestizia insanabile . Messer Diomede Carafa sapeva amare : la sua anima nobile ed eletta era aperta a tutte le squisite sensibilità dell ’ affetto , la sua forte anima comprendeva tutti gli slanci di una passione umana e potente ; le orgogliose dame spagnole della Corte vicereale avrebbero volentieri abbandonato la loro fierezza castigliana per esser amate da lui e per amarlo ; le fanciulle dell ’ aristocrazia napoletana , brune fanciulle dagli occhi azzurri , lo avrebbero amato se egli avesse voluto amarle . Ma messer Diomede non amava che madonna Isabella che aveva fama di donna crudele e disamorata ; difatti ella non fece che sorridere appena alle frasi amorose che messer Diomede le scriveva . Nel grande salone del suo palazzo , madonna Isabella , vestita di broccato rosso che faceva risaltare il pallore del volto , con una reticella di perle sulle fulve trecce , sedeva a conversazione con messer Diomede . Il giovane innamorato era seduto alquanto discosto dalla sua donna , ma la fissava con l ’ occhio intento e cupido , senza mai distogliere lo sguardo da quella figura ; a seconda che la donna parlava , sul viso del giovane passavano onde di sangue che lo coloravano , o un terreo pallore vi si diffondeva ; come il giovane si lasciava trasportare dall ’ amore , la sua voce tremava , ed in essa passava la nota tenera e grave dell ’ affetto , la vibrazione profonda della gelosia , l ’ ondulazione indefinita della mestizia , la nota stridula dell ’ ironia , tutte le variazioni che ha l ’ amore . La dama , placida , tranquilla , sorridente , agitando il leggiero ventaglio di piume , giocherellava amabilmente e ferocemente col cuore del giovane . Ella , a sua posta , creava in lui lo sconforto desolato o l ’ inesauribile speranza , la cupa gelosia o l ’ estrema fiducia , la collera senza nome e senza limiti o la gioia senza confine . Abituata a questi sottili e malvagi godimenti , ella si compiaceva stringere quel cuore innamorato in una mano di ferro che lo soffocava a poco a poco e poi ridonargli la vita , carezzandolo con una mano leggiera e vellutata ; si dilettava far sussultare di dolore quell ’ anima , gittandola bruscamente nella disperazione ; gioiva facendola esaltare grado a grado , sempre più , fino a farla impazzire nella vertigine dell ’ altissimo pinnacolo . Furono tali donne , sono e saranno . Il mondo le maledice , le disprezza , paiono fatte estranee alla soave comunanza femminile , paiono odiate , esecrate . Ma il mondo le ama , ma l ’ uomo le ama . Così è sempre , così sempre sarà . Pace a voi , giovanette gentili , dalle anime buone che rischiarano come luce di lampada familiare il corpo delicato ; pace a voi , donne il cui destino unico è l ’ amore , è il sagrifizio : giammai sarete amate come quelle donne lo saranno . Virtù , dolcezza , abnegazione , serenità , calma , felicità sono vani nomi : l ’ acre e malsano desiderio dell ’ uomo corre verso la misteriosa e temuta sirena . Pace a voi ; amate , soffrite , morite : giammai sarete amate come quelle donne lo saranno . Eppure fu un giorno in cui Diomede Carafa credette di arrivare al culmine inaccessibile della sua vita , al momento fatale in cui ogni facoltà , ogni potenza fisica , ogni luce di ragione , ogni festa di fantasia , ogni robustezza di fibra , si riuniscono in una sola , profonda , alta armonia che è l ' amore . Fu il giorno in cui madonna Isabella , all ' impensata , dopo una lotta d ' un anno in cui essa non aveva ceduto di una linea sola , presa da un subitaneo abbandono e dominata da una strana causa , disse d ' amarlo . Oh ! chi ha amato la conosce questa stagione calda ed esuberante , colorita dal sole , nell ' azzurro sconfinato , nell ' infiammato meriggio dove tutto arde e si consuma in una grande voluttà , quando i fiori nascono presto , vivono una vita rapida e soverchiante , esalano profumi grevi e violenti e muoiono per aver troppo vissuto ; la stagione fremente dove tutto è luce , tutto è fulgore , tutto è febbre che precipita il sangue ; la benedetta stagione , la eccelsa stagione dopo la quale tutto è cenere e fango . Chi ha amato sa la stagione d ' amore di Diomede Carafa e non aspetta dalla scialba parola del freddo e disanimato cronista una descrizione . Chi ha amato evochi tutti , tutti suoi ricordi di amore , riviva in quel passato pieno di una gioia e di un dolore che non hanno l ' eguale , palpiti , s ' agiti , abbia la convulsione ed il delirio di quell ' amore e saprà di Diomede Carafa . Le storie d ' amore non si raccontano , non si descrivono che miseramente : l ' arte istessa , la divina arte che tutto scopre , tutto rivela , non può che dare una sola e fuggevole immaginazione del proteiforme amore . Breve stagione . Se durasse , il cuore morirebbe nella esagerazione di un sentimento che è la follia . A poco a poco , con gradazioni impercettibili , madonna Isabella fu meno felice , meno innamorata ; il sorriso fu più scarso sulla bocca , le braccia più fiacche nell ' abbraccio , le labbra più gelide nel bacio , il palpito meno frequente nell ' arrivo e nel distacco . Diomede Carafa , cieco , pazzo d ' amore , non vedeva , non comprendeva . Madonna Isabella discendeva sempre più verso l ' indifferenza che poi era il suo stato abituale e la sua naturale ferocia rinasceva per la tortura di quell ' uomo . Ma Diomede Carafa soffriva e s ' inebriava di quella sofferenza , piangeva e s ' ubriacava di quelle lagrime , era ammalato e si consolava di quel morbo ora gelido , ora infuocato che gli consumava la vita ; era tormentato , oppresso , disperato . ma si estasiava di ciò come i martiri cristiani del sangue che usciva dalle loro vene esauste . Isabella si mostrava con lui chiusa , dura , sprezzante e lui l ' amava anche così , massimamente così ; Isabella si faceva volubile , leggiera , accogliendo in casa i più bei cavalieri napoletani e lui , morendo di gelosia , amava Isabella per la gelosia che aveva di lei . Egli gettava pazzamente i suoi averi , obliava le prerogative della sua nobiltà , non conosceva più amici , non conosceva più parentado , non sapeva più nulla di obblighi o di diritti : Isabella , Isabella , amare Isabella . Fino a che un giorno tutta la verità gli fu palese come parola di Dio e seppe del proprio avvilimento , seppe del tradimento di Isabella con Giovanni Verrusio , amico suo e suo compagno d ' infanzia . Egli nascose a tutti il dramma del suo spirito , sdegnoso di compianto . Il crollo immenso della sua felicità , la rovina tragica e nera dello splendido edificio non ebbero testimonio . Meglio così . Che vale il rimpianto ? Che cosa è la parola compassionevole e glaciale ? Foglie morte che il vento si porta via , ed il dolore rimane eterno . Invano egli errò , viaggiatore solitario e noncurante , per fiorenti paesi , invano chiese alle ricchezze , al lusso , ad altri amori , a feste stupende , l ' oblio ; invano egli volle innamorarsi delle vaghe creazioni dell ' arte per ritrovare la pace . Dappertutto , in ogni paese , in ogni donna , in ogni fiore , al fondo dei vini generosi , nelle figure dei quadri , nelle figure delle statue , negli ondeggiamenti della musica , egli ritrovava Isabella . Il suo dolore non era più acuto e straziante , ma lento , lungo , stupefacente . egli sentiva la sua anima gonfiarsi di affetto ed i suoi occhi gonfiarsi di lagrime ; egli provava il bisogno del sagrificio , del culto , dell ' estasi ... – Dio , Dio – ripetette un giorno la stanca amica sua . Diomede Carafa fu vescovo di Ariano , prelato esemplare e amatore dell ' arte . Leonardo da Pistoia , pittore , fu suo amico . Per sua ordinazione e per la chiesa di Piedigrotta dove giace il Sannazaro , il Leonardo fece il quadro bellissimo di S . Michele che atterra Lucifero . Lucifero vinto e bello e ancor folgorante , ha il volto di madonna Isabella . Ed è una donna il diavolo di Mergellina . MEGARIDE Là , dove il mare del Chiatamone è più tempestoso , spumando contro le nere rocce che sono le inattaccabili fondamenta del Castello dell ' Ovo , dove lo sguardo malinconico del pensatore scopre un paesaggio triste che gli fa gelare il cuore , era altre volte , nel tempo dei tempi , cento anni almeno prima la nascita del Cristo Redentore , un ' isola larga e fiorita che veniva chiamata Megaride o Megara che significa grande nell ' idioma di Grecia . Quel pezzo di terra s ' era staccato dalla riva di Platamonia , ma non s ' era allontanato di molto : e quasi che il fermento primaverile passasse dalla collina all ' isola , per le onde del mare , come la bella stagione coronava di rose e di fiori d ' arancio il colle , così l ' isola fioriva tutta in mezzo al mare come un gigantesco gruppo di fiori che la natura vi facesse sorgere , come un altare elevato a Flora , la olezzante dea . Nelle notti estive dall ' isola partivano lievi concenti e sotto il raggio della luna pareva che le ninfe marine , ombre leggiere , vi danzassero una danza sacra ed inebriante ; onde il viatore della riva , colpito dal rispetto alla divinità , torceva gli occhi allontanandosi , e le coppie di amanti cui era bello errate abbracciati sulla spiaggia davano un saluto all ' isola e chinavano lo sguardo per non turbare la sacra danza . Certo l ' isola doveva essere abitata , ne ’ suoi cespugli verdi , nei suoi alberi , nei suoi prati , nei suoi canneti , : dalle Nerèidi e dalle Drìadi : altrimenti non sarebbe stata così gaia sotto il sole , così celestiale sotto il raggio lunare , sempre colorita , sempre serena , sempre profumata . Era divina , poiché gli dèi l ' abitavano . Ma Lucullo , il forte guerriero , l ' amico dei letterati , primo fra gli epicurei , abituato a soddisfare ogni capriccio , amava le ville circondate da ogni parte dall ' acqua : egli era mortalmente stanco della sua casa splendida di Roma , della sua villa di Baja , della sua dimora di Tuscolo , della sua villa di Pompeja . Volle quella di Megaride e l ' ebbe . Egli violò la dimora delle ninfe oceanine per farsene la propria dimora ; egli volle per sé i prati , i boschetti di rose , i margini che digradavano lievemente nel mare ; scacciò le sirene e vi mise le sue bellissime schiave . Fu un pianto solo per le grotte di corallo tra le alghe verdi ; e le ninfe si lamentarono con Poseidone che non dette loro ascolto . Fu costruita la magnifica villa , sorsero per incanto i giardini degni di un imperatore , nei vivai diguazzarono le murene dalla brutta testa di serpente e dalla carne delicata , nelle uccelliere saltellarono i più rari uccelli , pasto di stomachi finissimi : sotto i portici della villa suonarono le cetre e le tiorbe in onore di Servilia sorella di Catone , moglie di Lucullo , bellissima fra le donne romane . Ivi danze festose , luminarie magiche , giuochi , banchetti , come solo Lucullo sapeva darne . Ivi profumi di nardo , coppe di nitido cristallo , nel cui vino generoso si scioglievano le perle : ivi toghe di porpora , pepli di bisso , gemme splendide , corone di rose ; l ' eterno cantico alla bellezza ed all ' amore . Ivi accorrevano per riscaldarsi alla luce degli occhi di Servilia i giovanotti timidi che non osavano pronunziar parola dinanzi a lei , i gagliardi garzoni la cui parola superava d ' audacia lo sguardo , gli uomini maturi e gravi che sorridevano ancora all ' amore , i vecchioni che sospiravano la gioventù : e Servilia rideva , giovane e gaia , di questo incenso d ' amore , rideva sempre , lusinghiera e crudele , come una sirena ; e Lucullo , placido filosofo e ancor più placido sposo , godeva dei trionfi di Servilia . Egli amava le feste sontuose che durano dalla sera sino ai primi albori , i pranzi lunghissimi dove nèttare s ' alterna a nèttare , dove la fantasia del cuoco vince quella di un poeta e fonde nel suo crogiuolo le ricchezze di un re ; egli amava conversare coi letterati cui donava vasi d ' oro , animali preziosi , case e giardini per provar loro la generosità di un privato . Servilia saliva la china ridente del piacere ed egli discendeva , tranquillo , verso la pace della vecchiaia . Per divertirsi , faceva scavare un canale d ' acqua viva , faceva elevare una palazzina , scacciava lontano il mare , allargando i limiti dell ' isoletta Megaride ; Servilia si lasciava profumare dalle ornatrici , prendeva bagni di latte d ' asina , portava alle gentili orecchie due pesanti perle che le laceravano la carne , le sue tuniche parevano tessute d ' aria , i suoi sandali costavano prezzi favolosi ; ed ella , assisa davanti alla spera , di acciaio , si contemplava . Ella era nel trionfo della bellezza e della gioventù . Gli occhi ardenti di coloro che l ' amavano , le davano una aureola di fuoco in cui ella camminava , graziosa salamandra , senza scottarsi : i sospiri di coloro che l ' amavano , formavano attorno a lei una nuvola in cui le piaceva di respirare . Il mare batteva dolcemente sulle sponde di Megaride e non osava tumultuare ; il sole la carezzava senza violenza e le aure leggiere ne facevano ondeggiare i fiori ; nella placida luce lunare , l ' isola sembrava tutta bianca , morbida e nevosa , in una infinita dolcezza d ' aria e di tinte . E Servilia distesa sul lettuccio , vestita di stoffa tessuta d ' oro , lasciandosi sventolare dalle schiave fremendo di piacere alla brezza marina , guardando distrattamente la ridda delle danzatrici , mormora fra sé , sono io , sono io la sirena ! E l ' aria mormora anch ' essa , dopo aver scherzato con le chiome olezzanti : è lei , è lei la sirena . Servilia quando solleva un cespo di fiori è bella come Flora ; Servilia , quando sceglie in un cestello la pesca matura , è bella quanto Pomona ; Servilia quando porta sui capelli la brillante mezzaluna e al fianco la faretra , è bella quanto Diana ; quando senza ornamenti , coi capelli disciolti , uscendo dal bagno , tutta stillante profumi , si lascia asciugare dalle schiave e s ' avvolge nella tunica bianca , è ... – … bella come Venere – sussurra lo schiavo innamorato . – Più bella di Venere – dice , col suo olimpico orgoglio , Servilia . Il che è udito dalle attente ninfe oceanine e Venere sa che Servilia l ' ha offesa e Poseidone questa volta dà ascolto alla preghiera della sua bella amante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rosicchia , rosicchia , o polpo molle , grigio , rassomigliante ad un cencio ! Incrostati , incrostati ostrica , per minare le fondamenta ! Piantati , piantati , alga , per strappar via una zolletta di terreno ! Scavate , scavate , o piccoli animaletti del corallo ! Rodi la roccia , o costante onda marina , fa un buco coperto di arena , coperto di piante , un buco perfido , nero e profondo ! Rodete , rodete , piccole e pazienti potenze del mare ! Piansero le Nerèidi , piansero le Sirene , Venere fu offesa e Poseidone è in collera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . – Libiamo agli Dei infernali – disse tranquillamente Lucullo , nella sua villa di Tuscolo , al funesto annunzio , e sparse sul terreno alcune gocce dell ' inebriante liquore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Vuoi tu scandagliare la profondità dei mare , o ardito palombaro ? Sei tu stanco delle sirene della terra ? Va sulla spiaggia brulla del Chiatamone , raccogli il tuo respiro e precipitati nelle acque : in un momento giunto al fondo , vedrai gli archi della villa , i giardini di Lucullo e la bellissima moglie , che è diventata la Sirena del mare . Ma non ti lasciar sedurre dalla visione e ritorna a galla , o palombaro ardito : sulla terra troverai sirene come Servilia che non ti possono amare e ti facciano morire dal dolore . IL CRISTO MORTO La cappella è glaciale . Pavimento di marmo , marmo alle pareti , tombe di marmo , statue di marmo alle pareti , tombe di marmo , statue di marmo . Un marmo scuro , che ha preso una tinta malaticcia ed umida pel tempo che è trascorso , pel sole che manca , per la scialba luce che piove dalle vetrate . Non ornamenti di oro , non candelabri , non lampade votive , non fiori : invece fregi , ornamenti , mosaici , iscrizioni , palme , volute , capitelli in pietra bianca , grigia o nera , non altro che pietra . Tutto vi è gelido , tranquillo , serenamente sepolcrale . Altrove è vita la voce del prete che prega , la tenue fiammella delle candele , lo squillo del campanello , lo scricchiolio di una sedia , il fumo sottile dell ' incenso ; qui non si prega , non ardono lumi , non sedie , non suonano campanelli , non fumano incensi . Non si vive per pregare , si muore nello sfinimento della preghiera che s ' arresta sulle fredde labbra . Non è una chiesa , è una tomba . – Volete vedere il Cristo morto ? – chiede la guida , con la sua voce strascicata Quella voce umana e volgare mi scuote . Eppure mi parla ancora di morte . – Vediamo la prima cappella – mormoro , quasi vergognandomi di parlare . Coloro che vi giacciono , quieti ed immobili , le braccia in croce sul cuore morto , appartengono alla nobilissima fra le famiglie ; Grandi di Spagna di prima classe , due volte principi , due volte duchi , tre volte conti , cinque o sei volte marchesi . Sulla porta di entrata è la tomba dell ' antichissimo antenato che andò alle crociate : ferito o svenuto in un combattimento , fu creduto morto e portato a seppellire , ma risvegliatosi d ' un tratto , saltò fuori dalla bara più animoso e sbaragliò e sconfisse il gruppo dei nemici . Tombe dappertutto . Pompose iscrizioni latine in cui il sentimento ed il carattere s ' affogano nella monotona convenzionalità dell ' elogio . Solo le cifre hanno un malinconico significato : la vita non è lunga nella nobile casa Vi muoiono presto le fanciulle , vi muoiono presto i giovanetti . Ogni tomba ha la statua grande di colui che vi è sepolto , o almeno un medaglione su cui si disegnano e si rilevano certi profili soavi , certe linee serenamente altiere , certi ondeggiamenti marmorei di chiome disciolte . Nella famiglia è tradizionale una pura bellezza , più d ' espressione che di plastica . Ogni tomba ha la sua statua , ogni tomba ha il suo medaglione . – Volete vedere il Cristo morto ? – insiste il custode . – Finiamo di veder la cappella – ripeto io , singolarmente infastidita e colpita da quella insistenza . Fra una tomba e l ' altra , statue e gruppi allegorici , sempre in quell ' interno e freddo marmo . Ecco il Pudore col volto coperto da un velo , ecco la Fortezza , ecco la Temperanza , ecco la Gloria , ecco l ' Educazione , ecco l ' Amor filiale , vuote allegorie che non chiudono più alcuna idea . Ultimo , poeticamente ultimo , è il Disinganno , un uomo che cerca con uno sforzo supremo districarsi da una fitta rete che l ' avviluppa tutto . Singolare chiusura della vita , termine singolare di tutte le sublimità , di tutte le passioni , di tutti gli amori . Il Disinganno – e più altro . – Perché questa tomba non ha medaglione ? – domando al custode . Egli non m ' ha udita , perché ricomincia a dire : – Il Cristo morto … – Vediamo l ' altar maggiore – ripeto io , ostinandomi . Sì , l ' ultima tomba a dritta non ha medaglione . Manca il ritratto della nobile principessa che vi è sepolta , che è morta anch ' essa così giovane . Il medaglione è liscio , vuoto , bianco , come se ne avesse raspata , cancellata l ' immagine . Ed è triste come nella sala ducale , a Venezia , il ritratto di Faliero , coperto da un velo nero . L ' altar maggiore è nudo , severo . Sulla parete , in fondo , n alto v ' è un quadro , una Vergine della Pietà , scolorita , che sostiene sulle ginocchia il livido corpo di Gesù . La pittura è guasta , bruna , tetra ; un sorcio ha fatto un buco nero nel costato di Gesù . Più giù , proprio dall ' altar maggiore , un grande gruppo in marmo che rappresenta la Deposizione della Croce . Sempre lo stesso soggetto , sempre la morte . – Ed ecco – ripete trionfalmente il custode , staccandosi dall ' altar maggiore – il Cristo morto . Sta ai piedi dell ' altar maggiore , a sinistra . Sopra un largo piedistallo è disteso un materasso marmoreo ; sopra questo letto gelato e funebre giace il Cristo morto . È grande quanto un uomo , un uomo vigoroso e forte . Nella pienezza dell ' età . Giace lungo disteso , abbandonato , i piedi diritti , rigidi , uniti , le ginocchia sollevate lievemente , le reni sprofondate , il petto gonfio il collo stecchito , la testa sollevata sui cuscini , ma piegata , sul lato diritto , le mani prosciolte . I capelli sono arruffati , quasi madidi del sudore dell ' agonia . Gli occhi socchiusi , alle cui palpebre tremolano ancora le ultime e più dolorose lagrime . In fondo , sul materasso , sono gettati , con una spezzatura artistica , gli attributi della Passione , la corona di spine , i chiodi , la spugna imbevuta di fiele , il martello . Sul piedistallo , sotto i cuscini , questa iscrizione : Joseph Sammartino , Neap . , fecit , 1753 . E più nulla . Cioè no : sul Cristo morto , su quel corpo bello ma straziato , una religiosa e delicata pietà ha gettato un lenzuolo dalle pieghe morbide e trasparenti , che vela senza nascondere , che non cela la piaga ma la molce , che non copre lo spasimo ma lo addolcisce . Sopra un corpo di marmo , che sembra di carne , un lenzuolo di marmo che la mano quasi vorrebbe togliere . Niente manca , dunque , in questa profonda creazione artistica : e vi è il sentimento che fa palpitare la pietra , turbando il nostro cuore , e v ' è l ' audacia del creatore che rompe ogni regola , e v ' è il magistero di una forma eletta , pura , squisita . Quel corpo morto era poc ' anzi vivo , si contorceva nelle angosce di un ' agonia spaventosa , giovane e robusto si ribellava al male , si ribellava alla morte . Non vi era sfinimento , non vi era abbattimento : le fibre non volevano morire , il corpo non voleva morire . Ma sotto le pieghe del lenzuolo la testa ha un carattere stupendo : la fronte liscia ha un vasto pensiero ; piangono gli occhi , è vero , pel cruccio fisico , ma le labbra schiuse hanno una traccia di sorriso che è una indefinita speranza . È vero . è vero , il dolore è passato dal corpo all ' anima ; è vero , l ' anima è contristata , ma non è disperazione , ma non è desolazione . L ' anima come la bocca è abbeverata di fiele , ma una goccia di consolazione vi è stata . Tutto quel Cristo è un dolore supremo , ma è anche una suprema speranza ; ma il mistero di quella testa divina è così grandioso , ma l ' ammirazione per la meravigliosa opera d ' arte è così sconfinata , ma la pietà del bellissimo estinto è così invadente che il pensatore si scuote e non frena più le acute indagini dalla sua mente , l ' artista s ' inchina nella esaltazione del suo spirito ed il credente non può che abbandonarsi , piangendo , sui piedi del morto , cospargendoli di lagrime e di baci . Singolare anima d ' artista doveva esser quella dello scultore che ha dato all ' arte questo Cristo morto . Nell ' opera sua vi è tutto il suo spirito . Uno spirito dove sorgevano uguali , immensi , due amori : quello per una donna , quello per l ' arte . Infelicissimo , terribilmente doloroso il primo . Solamente chi ha conosciuto il furore acuto di una sofferenza senza nome può far passare tutta la poesia di questa sofferenza nel marmo senza vita ; solamente chi è vissuto nelle lagrime , nell ' angoscia , nella esaltazione di un ' anima innamorata e solitaria , può infondere nel marmo il solitario e cupo dolore di questo Cristo . Lo scultore ha saputo , ha sentito . Ha saputo , ha sentito che cosa fosse il tormento sottile che stride come una sega piccina ed inesorabile ; la desolazione grigia , lunga , monotona , dove tutto è cenere , tutto è nausea , tutto è disgusto : la disperazione larga e vasta e lenta come una fiumana di pianto ; la disperazione fragorosa e tumultuante come un torrente che tutto trascina . Chi ha fatto quel Cristo ha spasimato d ’ amore ; ha amato ed ha pianto ; ha amato ed un fremito mortale gli ha travolto le fibre ; ha amato ed una convulsione ha contorta e spezzata la sua vita ; ha amato senza speranza , senza gioia , senza diletto , abbruciando la propria esistenza nella tormentosa voluttà del dolore . Solo un uomo che ama può creare quel Cristo morto ; solo colui che soffre col trasporto , con la passione delle sofferenze , può mettere in una statua tutta la sublime epopea del dolore . Ogni colpo di scalpello che scheggiava , rompeva , carezzava , curvava , ammorbidiva il marmo , era una parola , un gemito , un lamento , un grido , uno scoppio furente di questo amore . La passione dell ' uomo vivo creava la passione del Cristo morto . E ne veniva fuori un ' anima d ' artista che imprimeva il suo carattere in un capolavoro dell ' arte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . – Perché quella tomba non ha ritratto ? – chiesi di nuovo uscendo dalla chiesa , mentre il custode faceva tintinnire le chiavi . – Lo scultore non ebbe tempo di finirlo ... – Quale scultore ? – Il Sammartino . – Ah ! ... – ... Morì prima di finirlo . Fu trovato in una straduccia buia , di notte , con un pugnale nel petto . – Fu ucciso o s ' uccise ? – Si crede che si fosse ucciso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Come nello strazio dell ’ ignota agonia , la testa del morto scultore doveva rassomigliare a quella del Cristo morto ! PROVVIDENZA , BUONA SPERANZA Sono belli i bimbi napoletani e ridono e giocano come tutti gli altri bimbi del mondo ; ma non vogliono alla sera stare quieti sotto il lume della lampada , se la giovane madre , o la gentile sorellina , o la nonna dagli occhiali d ’ oro , o la zia che lavora di calza , non racconta loro una storia , una bella e lunga storia che faccia spalancare i loro occhioni , sino a che il sonno li faccia diventare piccoli piccoli . Sono così tutti i bimbi del mondo ? Io non lo so : io conosco solamente i miei bimbi napoletani che amano le storielle della sera . Vorrei essere io la madre ancora gaia come una fanciulla , la grande sorella nel cui animo di giovinetta si forma la madre , la nonnina che ricorda il suo giocondo passato , la zia che non ha avuto passato d ’ amore , che non ha presente e la cui mano tremante di emozione si appoggia timidamente sul capo di bimbi non suoi : narrerei loro la storia di Provvidenza , buona speranza . La vorranno essi ascoltare da me , che narro grosse e cattive storielle agli uomini grandi e buoni ? I bimbi sono belli , amano le storielle e sono indulgenti col narratore … V ’ era dunque una volta , nella nostra carissima Napoli , un uomo molto strano . Io non vi dico l ’ epoca precisa in cui egli visse la sua vita singolare , poiché a voi , bambini ridenti , non importa nulla una data , voi che avete la fortuna di obliare ; poiché a voi non interessano le cifre , voi la cui vita è tutta una poesia . L ’ epoca io la so , poiché noi grandi abbiamo l ’ infelicità di sapere troppe cose inutili , di accumulare nella nostra testa tante notizie che a nulla ci valgono – lo so e non velo dico . A voi sicuramente interessa di più sapere come era fatto questo uomo strano , come vestiva , che cosa mangiava , quali erano le sue abitudini ed in che consisteva la sua stranezza . Uditemi tutti attentamente che qui comincia il buono : questo uomo di cui vi parlo era lungo lungo come mai uomo può essere lungo , in modo che il popolo diceva sempre che egli era cresciuto all ’ umido e che la mamma aveva sempre avuto cura ad annaffiarlo , perché crescesse , quasi che egli fosse un alberetto e non un uomo . L ’ uomo lungo era anche molto magro , con certe gambe che ballavano nei calzoni , come un fodero troppo largo , con certe braccia che sembravano due aste sottili di mulino sempre in moto . I mulini li avete visti , nevvero ? Si ? Va bene ; tiro innanzi . L ’ uomo lungo e magro non era molto vecchio , poiché aveva tutti i capelli neri senza un filo bianco e gli occhi suoi , bruni come il carbone , brillavano come quelli di un giovanetto , ma la pelle del viso era gialla come la cartapecora dei libri di vostro nonno e si piegava tutta in mille rughe ; il collo in cui i tendini erano salienti , rassomigliava alla zampa secca di una gallina morta . Egli era vestito sempre di nero , con certi pantaloni lucidi dal grande uso , troppo corti sul piede , lasciando scoperti gli scarponi di cuoio grosso e le calze bucate ; aveva un lungo soprabito , le cui falde svolazzavano , che gli si adattava male alla vita , alle spalle , al collo , di cui il primo bottone era sempre ficcato nel secondo occhiello e così di seguito . Portava al collo come cravatta un fazzoletto bianco ; in testa un cappellaccio , rosso dalla vergogna , tutto ammaccature e sassate , in mano un bastone nodoso , dal pomo grosso come quello di un capo - tamburo . Questo uomo non si sapeva da nessuno chi fosse , donde venisse , dove andasse ; ma tutti lo conoscevano poiché il giorno e la notte girava per le strade di Napoli , figura allampanata e fantastica che al lume dei lampioni assumeva proporzioni inverosimili ed alla luce del sole pareva uno spettro che avesse smarrita la via del cimitero . L ’ uomo si fermava a tutte le porte , si fermava sotto tutti i balconi e metteva fuori il suo grido , aspettava un momento , poi andava via . Egli conosceva tutte le case dove erano bambini e , arrestandosi lì sotto , gridava con la sua voce stridula : Provvidenza ! Allora il bambino veniva , salutava l ’ uomo e gli dava un soldetto , o un frutto , o un pezzo di pane . Egli conosceva bensì tutte le case dove non erano bambini e vi si fermava sotto , gridando : Buona speranza ! La sua voce suonava come un augurio e tutti coloro che hanno il desiderio vano pei figli , tutti coloro che li aspettano , tutti coloro che amano i bimbi , davan l ’ elemosina al mendico . Solo i cuori duri , quelli che sono egoisti , che non hanno mai voluto bene ad alcuno , non gli davano nulla ; il mendico ne conosceva le case e non vi si fermava . Egli , tra il frastuono dei carri , delle carrozze , dei mestieri rumorosi , dei venditori che strillano il prezzo della merce , gittava sempre il suo grido alto , a tutti superiore : Provvidenza , buona speranza ! Lo si udiva nelle cantine profonde , dalle soffitte altissime , dai giardini , dalle terrazze : il suo grido metteva allegria . Il povero ammalato che , confitto nel letto , guarda volare le mosche , conta i fiorami delle pareti ed i travicelli del tetto , sentiva volentieri quelle parole che dalla via pareva gli dessero promessa di una pronta guarigione : Provvidenza , buona speranza ! L ' operaio che nella sua bottega , nei calori soffocanti dell ' estate suda a tirare la sega su e giù , si rialza più vigoroso , quasi animato da una vaga fiducia che il lavoro diventasse meno duro , il padrone meno esigente ed il pane meno caro : Provvidenza , buona speranza ! La madre solitaria che di notte agucchia presso il tavolino , al lume temperato di una lampada e pensa al figliuolo marinaio , imbarcato su una nave che viaggia nei lontani mari del Giappone , e trema al soffio del vento , e ha gli occhi pieni di lagrime allo scroscio della pioggia , sorrideva a quella voce che nell ' ombra le diceva sperare : Provvidenza , buona speranza ! Ma il mendico singolare che non parlava mai d ' elemosina , s ' intratteneva volentieri coi bimbi di Napoli , ne conosceva dappertutto , ne sapeva i nomi e talvolta anche i piccoli segreti . Nella strada di Santa Lucia dove i bimbi sono bruni , magri e nervosi e rassomigliano ai pesciolini svelti del mare , egli si fermava a guardare i tonfi che essi fanno nel mare , animandoli con la voce , agitando il bastone , eccitando i più bravi , applaudendo ai salti migliori : i bimbi salivano a ridere con lui , soffregandosi alle sue lunghe gambe , mentre a lui un riso bonario spianava le rughe e rischiarava il volto . Nei quartieri nobili di Chiaia , di Toledo , della Riviera , egli guardava lungamente i bimbi vestiti di velluto e di trine , coi riccioli ben pettinati , gli stivalini nuovi fiammanti , le manine inguantate , i bimbi che vanno a passeggiare in carrozza o guidati dalla mamma : i bei bimbi non avevano paura né ribrezzo del mendico e talvolta gli davano un confetto o un pezzettino di cioccolatto che egli , che nessuno aveva mai veduto a mangiarne , divorava con una letizia sorridente , col capo riverso indietro , con gli occhi lucidi di contentezza . Nei quartieri bassi del Pendino e del Mercato , dove i bambini sono pallidi e malaticci pel cibo di frutta acerbe , egli , di nascosto , dava loro dei soldetti e fuggiva via con le sue lunghe gambe , gridando ed agitando il bastone . Su pei giardini delle colline , dove i bimbi sono floridi di ciera hanno i capelli gialli pel sole ed i piedi nudi nella polvere , egli li chiamava a frotte intorno a sé , faceva le capriole , si buttava per terra come un pazzo e se li faceva camminare sulle gambe , sulla pancia , sullo stomaco , ridendo e strillando , poi ne agguantava un paio , li baciava disperatamente e scappava via per le viottole , simile ad uno spaventa - passeri . Di notte girava per le vie della città dietro ai bimbi che cercano i mozziconi dei sigari e tastando in terra col bastone , coi suoi occhi di gatto che bucavano l ' oscurità , ne trovava , anche lui dei mozziconi e li buttava tacitamente nel cestino del piccolo trovatore ; si fermava sulle soglie delle chiese dove giacciono in terra a dormire , arrotondate come cani , tante miserabili creaturine senza tetto e sollevandole se ne metteva un paio col capo in grembo , coprendole con le falde del suo soprabitone , rimanendo immobile al freddo , seduto sugli scalini , guardando i ricchi e gli agiati che rincasano e vanno a baciare i bimbi che dormono nel calduccio del letticciuolo . Provvidenza , buona speranza , andava al mattino ed al pomeriggio sulla porta delle scuole a vedere i bambini che vanno o escono dalla scuola ; negli otto giorni di ogni anno in cui l ' ospizio dell ' Annunziata è aperto al pubblico , il mendico passeggiava gravemente nelle sale mirando i trovatelli , parlando loro , baciucchiandoli , palleggiandoli e canticchiando loro misteriose canzoni . Era singolare come il mendico intendesse il linguaggio fatto a balbettìi dei piccini piccini e le domande incoerenti dei più grandetti ed i bimbi comprendevano lui che non era compreso dagli uomini . Una notte Provvidenza , buona speranza , scomparve e non si seppe più nulla di lui , né fu più visto . Un ortolano di Capodimonte narrò di averlo visto , nella notte , sopra un masso , disperarsi , salutare , mandar baci alla città immersa nel sonno , buttarsi per terra col capo nella polvere , piangere , strapparsi i capelli , poi rialzarsi e partire . Quelli che lo conoscevano , si dispiacquero di non vederlo più , di non udire quel suo grido che rallegrava , i bimbi di Napoli ci pensarono un par di volte , e più altro . Fu detto poi che Provvidenza , buona speranza era un grande medico di un paese lontano come la Svezia , Norvegia o la Danimarca , che si fosse fatto amare dall ' unica figliuola del re , l ' avesse sposata segretamente e ne avesse avuto un bellissimo bambino – che il re , saputo il fatto , fosse montato in una grande collera , avesse esiliato per sempre il medico , carcerata la figliuola in un appartamento e messo a balia il bimbo – che il re vecchio , morto , il medico fosse chiamato accanto al re nuovo , suo cognato , a prendere il suo posto a corte presso la moglie ed il figlio . Fu detto questo , ma in Napoli , fra le madri ed i figliuoli , fra i bimbi ed i popolani , è rimasta tradizionale la figura di Provvidenza , buona speranza e l ' annuncio del suo arrivo serve ancora a calmare gli strilli dei piccoli impertinenti , ad asciugare le lagrime dei piagnolosi ed a far addormentare quelli troppo vivaci che hanno la pessima abitudine di vegliate tardi , senza sapere che il sonno ... I bimbi dormono . LEGGENDA DI CAPODIMONTE Lassù , sul colle , vive il bosco verdeggiante dalle fresche ombrie . I sentieri si allungano a perdita d ' occhio sotto i grandi alberi ; sulla terra scricchiolano lievemente le foglie morte . La vegetazione sbuca possente dal suolo , s ' ingrossa nei tronchi nodosi , si espande nei rami che si intrecciano , nelle innumerevoli foglie lucide e brune ; ai piedi degli alberi cresce l ' erba morbida e minuta , dalle foglioline piccine . Nelle siepi fiorisce l ' anemone , e sfoglia al suolo i suoi petali la rosa selvaggia . Schizzano , sfilano le lucertoline grigio - verde , dalla testolina mobile ed intelligente , dalla coda nervosa . Sotto gli archi dei grandi . alberi : penetra temperata la luce ; tra foglia e foglia il sole getta , sulla terra dei cerchielli ridenti e luminosi ; raggi sottili e biondi passano tra i rami . Il silenzio è profondo ; è lontana , lontana la rumorosa città . Un profumo vivificante si espande ; ogni tanto il garrito allegro di un uccello fa ondeggiare le conche rosee dell ' aria . Non è , non è la piccioletta e magra natura dei giardini tagliati ad angoli retti , squadrati , polverosi e malinconici ; non sono le aiuole di fiorellini variopinti che non dànno freschezza , non dànno ombra , tirati su con cure infinite ; non è la natura corretta e riveduta , sfacciata e pomposa che si stende al sole senza vergogna , riarsa , secca . È la forte e possente natura che irrompe dalla terra vera , e allaga , e inonda la campagna come oceano di verdura ; è la natura pudica e grande del bosco , che si ammanta di foglie , che vela il volto divino , che molce la passione delle sue nozze nell ' ombre discrete nei placidi silenzi , nei recessi ignoti . È nell ' immenso bosco che si sogna ; nei quadrivi lontani trapassa rapidissimo un lieve fantasma ; nei bruni tronchi apparisce qualche leggiadro volto di donna ; la foglia che cade sembra il rumore di un bacio scoccato . È nel discreto e amabile bosco che s ' ama … Egli errava nei viali , solo , pallido e triste . La città lo stancava ; era incurabile la malattia che gli corrompeva l ' anima . L ' occhio vitreo s ' affisava sopra ogni cosa bella senza piacere , senza dolore ; né festa di colori , né capolavoro d ' arte , né donna bellissima valevano a trargli un sorriso sulle labbra . Nella città una fanciulla sottile e pensosa si struggeva lentamente per lui d ' amore : egli non l ' amava . Altrove , altrove era il suo amore . Lassù , forse nelle incomparabili e lucide stelle , gioielli glaciali del cielo ; laggiù , forse nelle bianche e verdi onde , il cui fragore rassomiglia al metro di una poesia monotona ed uniforme ; al polo , forse , negli albori nevosi , nelle atmosfere frigide , dove il sole non riscalda e non illumina ; nella nera ed orrenda Africa , forse , fra le liane rosse e gigantesche e fra i serpenti azzurri dagli occhi ammaliatori . Egli amava lontano in un punto indefinito , in un paese sconosciuto , con un amore sconfinato ed ignoto , una creatura misteriosa che egli aveva creata . Non la chiamava , non la voleva , non la desiderava : l ' anima sua nulla sapeva di volontà e di desideri . Amava . Il suo palazzo rimaneva vuoto , la madre si desolava nella solitudine , i servi dormivano nelle anticamere , i nobili cavalli scalpitavano invano nelle vaste scuderie . Egli non si ricordava più di tutto questo . Trascinava la sua vita vagando nelle viottole di campagna , vagando nei viali del bosco , dove ritrovava la pace ; trascinava la lenta vita consumandosi nell ' amore . Il corpo s ' illanguidiva , le gote scarne avevano il colore della morte , non mandavano più lampi di vitalità le pupille . È questa la funesta malattia che uccide gli umani ; è il fatale ed insanabile amore dell ' ideale . Nella nebulosità di un viale , dove si elevava un velo opalino ed iridescente , in un mattino d ' inverno , egli la vide . Era una forma snella , senza contorni , fatta d ' aria , ondeggiante ; fu un balenìo lieve , un luccicare , un istante solo di luce . Egli corse , ansioso , rinvigorito ; nulla ritrovò , la forma gentile era scomparsa . Ma come il suo cuore si pose a desiderare ardentemente di rivedere il fuggevole fantasma , con la possanza della volontà lo evocò di nuovo . Sempre lontano , sempre un ' ombra vana . Qualche cosa di bianco e di lucido che tremolava , che non toccava il suolo , che si dileguava nelle linee indefinite dell ' aria . Quello , quello era il suo amore : giunto sul punto dove gli era apparso , egli s ' inginocchiava e baciava la terra , adorando così la immagine fuggitiva . Ogni giorno la divina creatura si concedeva sempre più : gli appariva meno lontana , distinta , più chiara . Era una creatura celestiale , una fanciulla bianca bianca , le cui forme quasi infantili si velavano in un abito candido . Ella compariva e nel volto circonfuso di luce , gli sorrideva ; agitando il capo , lo salutava . Poi cominciava a camminare , e lui la seguiva con gli occhi intenti , movendo i passi macchinalmente , concentrato tutto nell ' attenzione ; ella radeva appena la terra , abbandonava i sentieri noti , penetrava tra gli alberi , appariva e scompariva , voltandosi a sorridere , lasciando che il lembo bianco del suo abito radesse l ' erba , con un piccolo e lusinghiero mormorìo . Egli non osava parlarle , tremava , la voce gli moriva nella gola ; bastava alla sua felicità contemplare ardentemente , con la fissità della follia , con gli occhi aridi che gli bruciavano , il suo amore che fuggiva dinanzi a lui . Ella girava , girava pel bosco , arrestandosi soltanto un minuto , chinandosi a carezzare i fiori , ma non cogliendoli , non lasciando traccia sull ' erbetta calpestata ; appena egli la raggiungeva , ella riprendeva la sua corsa . Lui dietro , senza sentire la stanchezza delle sue gambe che diventavano pesanti come il piombo ; lui dietro , sostenuto dall ' indomita volontà , eccitato , esaltato , sospinto all ' ultima e più acuta vibrazione dei nervi . Fino a che , approssimandosi al castello , il celeste fantasma cessava di sorridere , ed una malinconia si effondeva dal volto gentile ; poi , entrato nel cupo androne , volgevasi per l ' ultima volta , salutava , agitando la mano , e scompariva . Lui non osava gridarle : rimani , rimani ! e s ' abbandonava sopra un banco , spossato , abbattuto , morto . – Perché non siedi a me daccanto , o dolce amor mio ? Perché non mi ti accosti ? Non temere , non mi appresserò troppo . Sai che t ' amo , so che m ' ami ; so che dobbiamo troppo avvicinarci . E neppure puoi parlarmi : così vuole il destino . Ma io t ' amo ; tu sei il mio cuore . L ' anima mia è fatta di te ; non sono io , sono te ; se io muoio , tu morrai ; se tu muori , io muoio . Come sei bianca , o divina fanciulla ! I tuoi occhi sono trasparenti e chiari , non mi guardano ; le tue guance hanno appena una trasparenza rosea , le tue labbra sono pallide pallide , le tue mani sono candide come la neve , ed un fiocco di neve è il tuo manto . Hai tu freddo , cuor mio ? Non sai che io ho la febbre , che il , sangue schiuma e bolle nelle mie vene , come un ' onda impetuosa ? Sorridi ? Puoi calmarmi così . Quest ' ardor che m ' infiamma , questo incendio che divampa in me , solo la carezza della tua gelida mano potrebbe domarlo , solo il tocco delle tue gelide labbra potrebbe assopirlo . No ! Non allontanarti , resta , resta per pietà di chi t ' ama . Non ti chiederò più nulla , creatura bianca ed innocente . Tu leggi in me , vedi che sono puro , che il mio cuore è candido come la tua veste , che non lo macchia desiderio di fango . Non fuggirmi , non rivolgere il , volto celestiale ; quando tu m ' abbandoni , ecco , la vita declina , in me : tutto diventa buio , tutto diventa muto , ed io piango sul mio sogno distrutto , sul mio cuore desolato . Donde vieni tu ? Dove vai , quando mi lasci ? E perché mi lasci ? T ' amo , non lasciarmi . Non parlava la fanciulla nei colloqui i d ' amore . Ella ascoltava immobile , bianca , pronta sempre a partire ; ogni tanto un sorriso indefinito le sfiorava le labbra , una mestizia le compariva in volto ; ma sorriso e mestizia erano spostamento di linee , non corrugamento di fronte o espansione di labbra ; era espressione , luce interna , quasi una lampada soave s ' accendesse dietro un velo . Non parlava la fanciulla , ma ogni giorno ella restava più a lungo con colui che l ' amava . Egli le parlava lungamente , poi stanco , la voce gli si abbassava a poco a poco , poi taceva . La contemplava , estatico . Ella si muoveva per andarsene . – Non partire , non partire ! – supplicava lui . Ella restava ferma innanzi a lui , i piedini bianchi come ale di colombo , appena posati a terra , coi capelli vagamente adorni di rose bianche , con un lembo di abito sostenuto da rose bianche . – Siedi , siedi accanto a me ! Ella non sedeva , immota , guardando dinanzi a sé coi grandi occhi senza pupilla . – Parlami , parlami – mormorava lui . Ella non aveva voce , non si muovevano le labbra . Invano egli la pregava , la scongiurava , s ' inginocchiava , ella non gli rispondeva . Era inflessibile e serena . Ma in un crepuscolo d ' autunno , egli trovò le frasi più eloquenti per esprimere la propria disperazione : batté la fronte a terra , sparse le lagrime più cocenti , adorò la fanciulla . Ella parea si trasformasse ; dietro il candore della pelle pareva che cominciasse a correre il sangue . Egli , folle , morente di amore , le offerse la sua vita per una parola . – M ' ami ? – Sì – parve un sussurrìo . Allora , in un impeto di passione , egli l ' abbracciò . Un orribile scricchiolìo s ' intese e la divina fanciulla cadde al suolo , frantumata in tanti cocci di porcellana candida . Nella notte profonda , quando i custodi dormivano , nella deserta sala delle porcellane cominciò un mormorìo , un bisbiglio , un ' agitazione . Correvano fremiti da una scansia all ' altra , attraverso i cristalli ; voci irose e sommesse si urtavano , fieri propositi , progetti di vendetta cozzavan l ' un contro l ' altro . Poco a poco la calma si ristabilì : tutto era deciso . La sfilata cominciò . Prima fu l ' Aurora bianca sul suo carro tirato da quattro cavalli candidi ; e discesa nel giardino dove lui giaceva svenuto accanto al suo idolo infranto , maledisse per sempre le sue albe ; la seguirono le ventiquattro fanciulle che sono le Ore , e sfogliarono rose avvelenate sullo svenuto ; dopo vennero gli Amorini , e gli conficcarono nel cuore i dardi acuti e dolorosi . Il gruppo passò . Secondi vennero i sette re di Francia , bianchi , sui cavalli bianchi , Carlomagno , S . Luigi , Francesco I , Enrico II , Enrico IV , Luigi XIII , Luigi XIV ; galoppando pei viali , toccarono con lo scettro , con la spada l ' infelice , ed ogni colpo gli rintronò nel cervello . Poi ogni statuina s ' avviò , gli sputò in viso , lo insultò , lo calpestò ; ogni tazza fu piena per lui di cicuta , ogni vassoio di cenere , ogni coppa da fiori contenne per lui fiori malefici e crudeli . Ed infine si mosse il grande gruppo dei Titani che vogliono scalare l ' Olimpo : Giove , seduto sull ' aquila , fulminò il moribondo , ed i Titani lo seppellirono sotto enorme sepolcro di massi . Poi ognuno riprese la sua via , i gruppi rientrarono nelle scansie e vi rimasero immobili . Fu questa la vendetta della fredda e candida porcellana su colui che aveva frantumata la fanciulla immortale . È questa la storia eterna e fatale . L ' ideale raggiunto , toccato , va in pezzi – – l ' arte si vendica sulla vita – e l ' anima muore sotto un immane sepolcro . LEGGENDA DELL ’ AVVENIRE Tu , buona e baldanzosa fanciulla , giunta al termine delle mie fantastiche storie , sorridi . Ed io , poveretto autore , condannato a leggere nel volto del suo lettore presente o ad indovinare l ' animo del lettore assente , cerco di spiegare che significhi il lampo del tuo occhio nero e l ’ arco ironico del tuo labbro rosso come il fiore del granato . E quasi o mia bella ed impenetrabile sfinge , dal viso puro e colorito come il granito di quelle statue , quasi comprendo il senso del tuo riso muto ed intelligente . Le fantastiche , istorie dove tanta parte della vita napoletana si riflette , non t ' hanno spaventata ; e se il tuo spirito è corso dietro all ' inafferrabile fantasma , al folletto piccolino , tu non ne hai avuto paura . Queste storielle sono antiche , alcune antichissime , appartengono al lontanissimo passato che non ritorna più ; furono vita e morirono ; furono dramma umano e sono parole vane , tradizione oscura e scorretta . Rimane di esse talvolta un quadro , una statua , una chiesa una tomba , un bosco , talvolta una semplice idea , talvolta un , semplice nome , ma è il passato . Tu , orgogliosa giovinetta sorridi nel presente , sorridi all ' avvenire , non puoi volgerti indietro , guardi innanzi , dove è la tua bella realtà di luce e di profumi . Tu leggi le storie del passato , ma le sirene , i cavalieri , le dame , i monaci , i grassi borghesi , i pallidi poeti non ti destano che un sorriso di pietà ; essi sono morti e vive Napoli bella ed immortale , vive la gioventù gioconda , vive il glauco mare , vivono i ridenti poggi . Immenso si svolge l ' avvenire . Lo so . Ma pel sarcastico sorriso con cui tu ti burli delle mie care larve , evocate dalla tradizione o dalla fantasia popolare , io voglio castigarti , cattiva fanciulla . Io voglio far un ' opera crudele e disonesta : voglio , narrandoti la fiammeggiante leggenda dell ' avvenire , distruggere il tuo mordente sorriso , farti impallidire le guance e farti fremere ogni fibra del corpo , ogni piega dell ' anima , pel raccapriccio e per l ' orrore . Oggi la città è bella perché così Iddio la volle , mentre poco la vogliono così gli uomini . Ma quando nella morbida e indolente natura dell ' uomo sarà entrata quella vivacità attiva ed operosa che non si perde in vuoto cicaleccio , in vaghe aspirazioni ed in sogni grandiosi ; quando alla lenta coscienza che si addorme volentieri nell ' ammirazione sarà subentrata l ' operosa coscienza che tenta vie migliori e di niuna s ' appaga e cerca raggiungere l ' alto scopo con ogni sforzo ; quando alla fantasia che crea , alla mente che trova , alla intelligenza che indovina , non rimarrà più disubbidiente ed inerte il braccio che opera ; quando accanto all ' artista che sogna sorgerà il popolo che intende , il borghese che pensa e l ' aristocratico che sente : allora solamente la città sarà stupenda . Ora ella s ' adorna di fiori , ma è povera ; ora ella sorride , ma appena appena il lacero vestito , che fu di porpora , copre le belle membra ; ora ella è gaia , ma spera solo dalle piogge benefiche il lavacro , che terge le sue strade nere e sporche , ora balla e canta sulle sue sponde odorose , dove il mare accompagna le sue danze e le sue canzoni , ma nel suo porto non accorrono ancora le navi dai gonfi fianchi carichi di mercanzie ; ora . biancheggiano le ville di cui s ' adornano i suoi colli , ma non sale ancora al cielo , incenso gradito , il fumo grigio dei mille opifici . Che importa ! Questo giorno verrà ed allora la città sarà santa . Pensa , o poetica amica , al felice connubio dell ’ arte con la natura , pensa alla celeste armonia fra l ' uomo che crea ed il mondo da lui creato , pensa alla città che sarà bella e buona , tutta bianca e colorita dal sole , senza macchie , senza cenci : oh , allora , allora ! O lontano avvenire , o giorno splendido che come quello di Faust meriteresti di essere fermato ... Ma la divina città che amiamo deve morire ; la crediamo immortale ed è sacrata alla morte ; la crediamo eterna e la sua vita è tenue come quella di un bambino . Deve morire . morrà ; si dovrà dire al viandante pensoso e malinconico : qui fu Napoli . Tutto le potremo dare : il lavoro che la nobiliti , il commercio che l ' arricchisca , l ' acqua che la lavi , il sole che penetri nelle larghe vie , ma non la sottrarremo alla morte . Sarà ninfa ridente , azzurra , rosea , bionda di sole , piena di gioventù , fremente di vita , ma sarà morente . Lo dice la profetica leggenda , ripetuta di bocca in bocca , che circola nelle vie , che entra nelle botteghe , che sale nei salotti della nobiltà . Verrà il novissimo giorno . Vedi tu quella montagna ai cui piedi si stendono i bei villaggi bagnati dal mare , sui cui fianchi verdi cresce la vigna del vino generoso ; vedi quella montagna striata da lugubri fasce nere ? È lei che farà morire Napoli : così dice la leggenda profetica . Arde il fuoco liquido , bolle e schiuma nei fianchi della montagna e si accumula da secoli pel giorno funesto ; di fuori appena una nuvoletta di fumo bianco ed innocente rivela il profondo lavorio . Correvano le bighe e le quadrighe per le vie di Pompeja la bella . Amavano al sole i leggiadri garzoni dalle tuniche bianche e le fanciulle dai candidi pallii , si vestivano di bisso e si profumavano di nardo le seducenti etere , correvano giovani e vecchi al foro , alle terme , ai teatri , sulle porte delle case erano sospese corone di rose olezzanti : la montagna volle e Pompeja morì . Quando la montagna vorrà , Napoli sarà distrutta : e il terribile e bel vicino che noi guardiamo con ammirazione e quasi con affetto , poiché egli è tanta parte della bellezza napoletana , sarà il carnefice . E nessuno ne saprà l ' ora , né il giorno . Nella città la gente tumultuosa andrà ai consueti uffici , correrà dove il piacere la chiama , dove la chiama il dolore , amerà , odierà , godrà , piangerà , vivrà insomma come se nulla fosse . Nel cielo sereno brilleranno le stelle ; nell ' aria calma s ' eleverà la sottile penna di fumo . Poi , sul cratere , comparirà une punto rosso , come un lumicino acceso lassù , come un carboncino ; i napoletani si stringeranno nelle spalle e mormoreranno : solite storie . L ' eruzione crescerà con molta lentezza e gli uomini di scienza d ' allora ne constateranno i fenomeni e ne annunzieranno la prossima fine ; ma l ' eruzione crescerà sempre , continuamente . Un rombo sotterraneo comincerà a far tremare i vetri delle case ; tre strisce vivide di lava scorreranno lungo i fianchi della montagna ; il cielo cupo si tingerà di rosso , il fondo del mare sarà rosso ; giungeranno i forestieri a contemplare il mirabile spettacolo , i napoletani si affolleranno sul molo , a S . Lucia , a Mergellina , sui terrazzi , sulle colline , compresi di ammirazione . Ma dai villaggi che sono sotto il monte principierà a fuggire la gente spaurita e si riverserà nella città , dove sarà accolta a braccia aperte – e la lava procederà sempre . Nuove bocche si apriranno . La lava è a Resina . Ma i napoletani non temono : il Vesuvio è loro vecchio amico , vuole scherzare , è un brontolone , ma presto tacerà . Poi vi è San Gennaro , che con le dita sollevate in atto d ' imperio , comanda alla lava di non avanzarsi ; le donne pregano il parroco della cattedrale a portare in piazza San Gennaro di argento o il prezioso suo sangue che è conservato nelle ampolline . In qualche chiesetta si prega . Una mattina il sole non viene fuori , una fitta nube grigia nasconde il cielo , piove cenere ; i napoletani sorridono ancora e vanno ai loro affari sotto quella strana pioggia . Ma il giorno seguente il rombo diviene tumultuoso , le scosse di terremoto si succedono l ' una all ' altra , orribili convulsioni squassano il monte , sui cui fianchi si aprono dappertutto bocche di fuoco , le lave si uniscono , si fondono , sono una lava sola , è una montagna di lava che cammina verso la città coi suoi ruscelli di fuoco ; soffocanti fetori di zolfo ammorbano l ' aria , piove cenere calda e pesante , acqua bollente , piovono lapilli infuocati sulla città : riuniti al grande vulcano corrispondono , con pauroso miracolo ridestati , le eruzioni dei monte Echia , dell ' Epomeo e di Pozzuoli . Piove la morte . Nel clamore disperato dei morenti , nel fragore delle case che nel tuono del terremoto , nella spaventosa tempesta del mare che si rizza incollerito o ribelle , nel bagliore sanguigno che capovolge la natura e le cose , la lava entra in Napoli e Napoli finisce di morire in un incendio colossale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . E che ? Tu sorridi ancora , orgogliosa creatura ? Ti comprendo : leggo nel tuo pensiero come in un libro dalle pagine aperte . Tu pensi quello che io penso ; tu sorridi a quella morte ; questa Napoli che fu creata dall ’ amore , che visse nella passione della luce , dei colori smaglianti , dei profumi violenti , delle notti innamorate , visse nel lusso grandioso della natura e nella espansione superba del sentimento , questa città appassionata morirà bene , morirà degnamente nell ’ altissima e fiammeggiante apoteosi di fuoco .