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IL GRUPPO FIORENTINO ( SERRA RENATO , 1915 )
StampaPeriodica ,
Poche lettere di pochissimi letterati possono valere per documento di sincerità e di giudizio schietto come tutte quelle di Renato Serra . In generale , a leggere la « corrispondenza » d ’ altri , ci tocca far sempre un po ’ di tara , quando non la si vuole accettare con assoluta sfiducia e nessuna adesione . Tanto si sa , tra un anno le cose muteranno , e voglia il cielo che dopo avervi scritto amorosamente , il tale o talaltro non sia andato per le vie e per i caffé a dir corna di voi . Un epistolario di Serra un giorno sarà tutta una scuola morale , e dentro vi si troveranno studi e bozzetti letterari da illuminare diversamente l ’ attività di questo incomparabile scrittore , in apparenza distratto e pigro , ma pieno di fervore e d ’ impeto lavorativo , che ha solo il torto , davanti agli occhi della gente , di non imbastire volumi , ad assicurarsi nelle biblioteche del Regno uno scaffale particolare per l ’ opere complete , segnate e catalogate . Trascrivo , quasi , per intera , una recentissima lettera . Darà piacere a pochi , dispiacere a molti . Mi sono indotto a farlo appunto per questo . Anche per illustrare un trimestre di discussioni e contumelie che si sono svolte intorno e contro « La Voce » , a delizia degli sfaccendati e per merito di una teppa giovanina organizzata per réclame personale . Sopra tutto mi consolano alcuni giudizi del Serra su due o tre uomini che stimo . Chiedo perdono a quei nobili cuori che ne soffriranno . g . d . r . Mio caro De Robertis , ... È curioso come la nuova « Voce » abbia avuto tanto potere di irritazione sopra quella gente di Roma : peccato non poterci capitare , come speravo , alla fin del mese ; mi sarei goduta una commedia deliziosa , per un pomeriggio , all ’ Aragno . Con tanto più gusto , in quanto hanno tirato in ballo anche me , da un po ’ di tempo , e il mio volumetto , come un pretesto per dare addosso a voi , e a quelli , in generale , di Firenze . Quando penso che se c ’ è un peccato , in quelle pagine , è quello di non aver voluto prender di fronte , come si meritavano , proprio e soli quei pochi scrittori che esistono per me : e fra quei pochi Papini e Soffici , prima di tutti , forse . Come ho sentito questo rimorso a legger via via in questi mesi tutte quelle mezze stroncature dispettose e stitiche delle « Cento pagine » e dell ’ « Arlecchino » e del « Giornale » : per una volta che mi era capitata l ’ occasione di dire una verità , che sarebbe stata una gioia per me e un dispiacere per tante care persone , me la sono lasciata sfuggire come uno sciocco . Pazienza . Chissà che non torni ! Intanto devo contentarmi di sentir dire che Soffici è « materiale » o che Papini è « frammentario » e « stravagante » : e anche questo mi diverte : con una gioia di cristiano che fa penitenza e mortificazione . Giustissimo . E io ne ho detto bene , perché siamo amici , e poi perché sono agli stipendi della Libreria della « Voce » . Più giusto ancora . Così sconto un altro peccato , che non è di ieri : di aver voluto sempre coltivare , nei miei rapporti con la « Voce » e col gruppo fiorentino , piuttosto che la simpatia naturale e sincera nell ’ animo , e per tutte le cose essenziali , le differenze e le resistenze , con una cura di esattezza , che confinava con l ’ ingiustizia . Ma sarebbe tutta una storia e non è tempo da raccontarla : bisognerebbe anche spiegare in che senso e con che animo mi sia chiuso lungamente in una sorta di prigione di letteratura provinciale e di modestia e di ossequio umanisticamente preciso , che era piuttosto che una forma naturale , una dissimulazione e una difesa provvisoria dell ’ animo insofferente , desideroso di salvare insieme la sua negligenza del presente e la sua libertà dell ’ avvenire . Se stampassi le mie pagine carducciane , dovrei raccontare un capitolo di questa storia : anche il mio carduccianesimo non è stato che una superstizione volontaria , in cui mi piaceva insieme di nascondere e di coltivare sotto la specie dell ’ umiltà il mio diritto all ’ eresia . È lo stesso gusto ironico che mi porta comunemente nelle mie relazioni cogli uomini , e anche con le donne , a concedere a me stesso un diritto di amore e di stima , che non so ammettere negli altri verso di me . Così mi è accaduto con Prezz . e con gli altri , per molto tempo : fin da quando Prezz . mi conobbe la prima volta attraverso l ’ amicizia di Ambrosini , se ben ricordo , e mi venne a cercare con una generosità , a cui io mi credetti in obbligo di rispondere con una negligenza annoiata e chiusa ; e poi sempre stimando molto lui e gli altri , con amicizia e gratitudine , non mi sono curato di averne da loro nessun contraccambio ; anzi mi riusciva strano quello che pur mi veniva gratuitamente , e mi piaceva nei miei rapporti con loro di esagerare il « passatismo » e l ’ umanesimo e tutti i particolari dell ’ educazione letteraria , che pur ci distinguevano , fino a farne un principio assoluto di irritazione quasi e di ostilità . Avevo ragione dal mio punto di vista ; di uomo sincero che non vuol esser tenuto da più di quel che vale , e sopra tutto di quel che fa : non potevo confondermi io , letterato per combinazione e senza nessuna certezza , né d ’ ingegno né di propositi , con gente che dell ’ arte e della vita spirituale faceva la ragione vera dell ’ esistenza : avevo ragione anche di salvare e di godere la mia diversità . Ma certo , per quel che sono i rapporti pratici , avrei potuto star più vicino a quelli che in fondo erano i soli giovani che potevo stimare , e parlare con loro e vivere nello stesso mondo . Invece , son rimasto lontano : spingendo il partito preso fino al punto di ignorare per anni ed anni quasi completamente Papini e le sue cose ; non già per disprezzo ; ma così , perché l ’ occasione l ’ aveva portato , e io non cercavo altro . In quanto al volumetto poi , posso dire che nello scriverlo il mio atteggiamento non cambiava ; anzi ! Ricordo di averne discusso , prima di scrivere , con Prezzolini , pigliando gusto io ad accentuare quasi fino alla mistificazione il mio « rôle » di lettore dilettante , inetto così a riconoscere come ad apprezzare i tentativi di novità e i progressi dell ’ ultima generazione ; e lui si arrabbiava sul serio , difendendo in sé e nei suoi amici le sue cose più care , contro la mia ingiustizia per proposito . Scrivendo non cambiai nulla : e posso dire che ebbi quasi uno scrupolo meticoloso di esprimere il mio giudizio , che allo stringer dei conti non poteva esser altro che di ammirazione e di simpatia , su Papini e Soffici , e gli altri minori , in una forma imbarazzata da tante attenuazioni e riserve da non meritare nessuna gratitudine . Una simpatia difficile e antipatica , se si può dire : il contrario dell ’ ossequio e della giustizia benevola , che ho reso ad altri piuttosto per sforzo di buona volontà , e in fondo per disprezzo . Supponevo anche che le mie parole non potessero interessarli molto , e in genere che di me non dovessero fare nessun conto : e mi sarebbe seccato imbarazzar qualcuno con delle lodi , che dovessero mai riuscirgli obbligo di qualche compenso . Inoltre , c ’ era la necessità prima , del tono e della banalità che bisognava mantenere nel libro , almeno in apparenza . Ciò m ’ imponeva di non mostrare di pigliar troppo sul serio della gente che il pubblico borghese prende sul serio , sì , ma senza accorgersene : così io mi dovevo guadagnare il diritto di prenderli sul serio con una certa disinvoltura sprezzante di linguaggio e di modi . In fondo , qualche cosa di giusto , o , se vuoi , di sincero , è venuto fuori lo stesso . Tutte le mie reticenze stilistiche non son bastate a nascondere il mio sentimento di certe qualità profonde e schiette di quelli scrittori , che io amo . E anche nel mio riassunto così volontariamente scolorito e ristretto , le personalità vere e più nuove spiccano , bene o male , sulla folla delle maschere e delle comparse . Ma io ne ho colpa meno di tutti . Se mai , avrei la colpa di essermi divertito troppo a giocare di mezze tinte e di sfumature verbali , per dare alla verità il sapore del luogo comune e della banalità dietro la quale mi era permesso cercare per mio gusto e senza dar nell ’ occhio qualche accento più preciso e più ricco di espressione . ( La colpa principale era poi di avere accettato di scrivere un volume su quel soggetto , e con quei limiti : io . Sapendo che non avrei potuto né compromettermi intero , né sottrarmi del tutto a ogni responsabilità personale con una cronaca puramente commerciale e anonima . Avevo creduto di giustificarmi davanti a me stesso , dicendo : faccio un volumetto tanto per provare , e per prendere quelle duecentolire : e il volumetto non deve significare altro che questo e poi m ’ è capitato di consumare non so quanti mesi per limare e assottigliare e ridurre nei termini modesti del discorso comune le impressioni che mi si presentavano naturalmente troppo vivaci e prolisse ; personali , insomma . E con tutta questa fatica non mi è riuscito di sfuggire l ’ equivoco ) . Ricordo che capitando a Firenze , dopo aver passato qualche giorno con voi , ebbi qualche rimorso , pensando a quello che avevo scritto , di non essere stato abbastanza netto nell ’ espressione di certi giudizi e nella graduazione di certi valori ( potrei dire anche di te , per es . ; che , perché avevi parlato troppo bene di me , io volli essere più misurato e più stretto nel farti un posto ) . Ma non volli correggere nulla lo dissi anche allora , a te , se non erro ; per un certo scrupolo ; non piacendomi , fra l ’ altro , che un episodio fortuito come un viaggio e una conversazione , dovesse portare miglioramento a pagine che erano nate con un difetto d ’ origine . E lasciai le cose com ’ erano ; senza aggiungere nulla per Linati , che avevo avuto il torto di non saper scoprire io da prima ; senza ritoccar troppo la figura di Papini . che pure avevo avuto il torto di scoprire troppo in ritardo e di sghembo , dall ’ Uomo finito , e da un ricordo confuso dei pezzi lirici sulla « Voce » , che rilessi e apprezzai pienamente quando tu me li mandasti , in seguito . Tutta questa può essere una chiacchierata un po ’ oziosa . Me n ’ accorgo dopo che ci son dentro ; ed è tardi per rimediare . Prendila soltanto come un pretesto per passare un po ’ di tempo insieme ; allora , tutte le chiacchiere son buone . Poi , il principio da cui son partito era legittimo . Era , lo ripeterò per conclusione , il rammarico di non aver detto chiaro e per disteso quello che sento di Papini e di Soffici ; in paragone anche con gli altri giovani che scrivono e che m ’ interessano come Linati e Baldini . Questo sopra tutto mi piace , da un po ’ di tempo . Ma quando sento scoprire in quella sua facilità e sensualità sinuosa che non arriva al suono pieno e al colore puro , ma pur raggiunge una certa felicità secondaria , di consapevolezza e di equilibrio interno , con gioco di luci e di pause e di risposte ( io trovo in quel gioco qualche cosa che somiglia a me o almeno , a tentativi che io conosco per esperienza mia ) un valore di novità e di « spiritualità » da opporre , poniamo , alle impressioni di Soffici , come una qualità superiore ; allora mi vien voglia di far capire una buona volta a questo branco di beoti come anche nella più sciolta e abbandonata e lazzarona frase di Soffici ci sia tanto di potenza espressiva , e di purificazione , ossia concentrazione e creazione e insomma spiritualità , da far le spese a non so quante colonne cincischiate e ricamate di altri . Forse che un accento solo di novità vera non vale tutta una serie di modulazioni ? Così come c ’ è più spirito nella bestemmia di un ragazzo maleducato che in tutto lo « spiritualismo » confettato e interessato di un vecchio filosofo di mestiere ! Ma anche codesta è tutta una questione , da riprendere a miglior tempo ; che lo meriterebbe . Dico della questione , se ci sia realmente nella nostra prosa e nelle nostre voci liriche un progresso e un arricchimento , nel senso di quella che un Bellonci chiamerebbe coscienza delle « pause » e del « ritmo interno » ; oppure spiritualità . Credo veramente che ci sia . Ma bisogna renderne conto più esatto ; e non credere che sia una cosa nuova , nostra . E poi , bisogna mostrare che questo progresso è un po ’ in tutti ; senza possibilità di distinguere , o peggio , di ritenere inferiori , quelli che hanno raggiunto una felicità più immediata e semplice come appunto Papini e Soffici in paragone di quelli che devono contentarsi di qualche effetto più industrioso e in apparenza ! più raro , o addirittura si dibattono ancora in un travaglio iniziale , con un tormento che può apparire più ricco di possibilità in una forma astratta ed elementare , in cui la difficoltà e la pena rappresentano una sorta di grandezza scontata prima d ’ esser posseduta ...