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Sette giorni lunghi un secolo ( Mieli Paolo , 1978 )
StampaPeriodica ,
Roma . Seicento secondi , tra le nove e cinque e le nove e quindici di giovedì 16 marzo . E il tempo servito alle Brigate Rosse per uccidere cinque agenti di scorta , rapire il presidente della DC Aldo Moro , far perdere le proprie tracce e assestare un colpo allo stomaco della fragile Repubblica italiana . Senza commettere un solo errore , con una perfezione tecnica che ha prodotto nell ' opinione pubblica un disorientamento forse maggiore di quello causato dal sequestro di Moro in sé . L ' operazione scatta poco prima dell ' alba , in via Brunetti , una piccola strada vicino a piazza del Popolo . Qui un gruppo di « sconosciuti » squarcia le quattro ruote del pulmino appartenente al fioraio Antonio Spiriticchio . Scopo dell ' azione impedire al fioraio di andare , come ogni mattina , a vendere tulipani e mimose all ' angolo tra via Stresa e via Fani . Al suo posto ci sarà uno dei dodici brigatisti ( la donna ) , che farà da palo ai rapitori del presidente democristiano . Altri quattro , travestiti da steward delle linee aeree , si nasconderanno davanti al bar Olivetti , da mesi chiuso perché fallito . Gli altri sette saranno sulle cinque automobili e sulla Honda che subito dopo il fulmineo attacco porteranno i terroristi lontano dal luogo del rapimento . Alle nove e quattro compare in cima a via Fani l ' automobile su cui viaggia Moro , seguita a pochi metri dalla vettura di scorta . Il leader democristiano , diretto alla breve messa mattutina cui assiste ogni giorno , sta sfogliando i giornali seduto sul sedile posteriore . Il suo taccuino prevede una giornata molto importante : alla Camera si discute il varo del governo nato dal suo lento lavorio durato cinquantaquattro giorni . Moro continua a leggere i giornali . La scorta è tranquilla in entrambe le vetture . Dopo qualche attimo le due vetture sono superate dall ' automobile dei brigatisti , targata corpo diplomatico ; questa , appena giunta davanti al bar chiuso frena bruscamente provocando un tamponamento tra la macchina di Moro e quella della scorta . Quel che accade nelle frazioni di secondo successive non è ancora stato ricostruito con precisione ; di certo si sa solo che i brigatisti hanno colpito uno ad uno gli uomini della scorta ( solo un agente è riuscito ad uscire dalla macchina e a sparare tre colpi di pistola prima di essere centrato da un proiettile in fronte ) , afferrano Moro e si dileguano per via Stresa e via Trionfale . Di lì , almeno una parte di loro si dirige in via Belli , una stradina privata per accedere alla quale è necessario tagliare con un tronchese una catenella , poi in via Massimi e infine in via Licinio Calvo , un ' altra piccola strada destinata a passare alla storia come simbolo dell ' inefficienza della polizia italiana . Qui , infatti , alle nove e venticinque del 16 marzo i brigatisti lasciano una sola macchina ; qualche ora dopo ne porteranno un ' altra e due giorni dopo una terza . Il tutto sotto lo sguardo di polizia e autorità inquirenti . Quelle stesse autorità inquirenti che intanto fanno trasmettere per TV 20 foto di « brigatisti » la metà delle quali non sono di brigatisti , due sono della stessa persona e altre due di persone già in prigione da tempo . Ma queste non sono le sole prove di inadeguatezza e smarrimento offerte dagli inquirenti in questa settimana . La mattina di quel giovedì di passione , politici e sindacalisti avevano tenuto i nervi abbastanza saldi . Certo , l ' emozione aveva provocato qualche sbandamento : Carlo Donat Cattin imputava quant ' era accaduto all ' accordo con i comunisti per dar vita al nuovo governo Andreotti , Ugo La Malfa chiedeva l ' introduzione della pena di morte , il senatore Giuseppe Saragat suggeriva di impiegare i paracadutisti nella guerra alle Brigate Rosse , alcuni deputati DC suggerivano al ministro dell ' Interno Francesco Cossiga di dimettersi , altri erano sopraffatti da crisi di pianto . Ma nel complesso la reazione politica ( scioperi e manifestazioni convocati a metà mattina , edizioni straordinarie dei giornali di partito ) era riuscita ad arginare la paura e gli isterismi che si manifestavano qua e là nella popolazione ( accaparramento di generi alimentari e rintanamento nelle case ne erano apparsi i segnali più vistosi ) . La proclamazione dello sciopero generale , ripopolando le piazze , contribuì a sbloccare queste psicosi . Inizialmente nel Partito comunista qualcuno , come Giancarlo Pajetta , aveva giudicato sbagliata la decisione di Lama , Benvenuto e Macario di indire lo sciopero . Ma doveva ricredersi quando alle Botteghe Oscure cominciarono ad arrivare le notizie dalle fabbriche : quasi dappertutto gli operai , spesso prima ancora delle direttive delle confederazioni , avevano incrociato spontaneamente le braccia . Se lo sciopero non fosse stato indetto , si sarebbe verificato un clamoroso caso di scavalcamento . Nel pomeriggio però la classe politica commise i primi errori : il dibattito parlamentare per il precipitoso ( anche se giustificato ) varo del governo fu trasmesso in televisione senza un ' adeguata chiave di lettura , col risultato che buona parte dei telespettatori o si sentivano disorientati , o sospettarono che si trattasse d ' un diversivo dal vero , tragico problema del momento . Lo stesso presidente del Consiglio Giulio Andreotti , forse stremato dalla tensione ( fra l ' esposizione del programma alla Camera e quella al Senato fu costretto a cambiare l ' abito inzuppato dal sudore e fu paralizzato da conati di vomito ) , non offrì ai parlamentari e al pubblico quel che ci si attendeva da lui : un chiaro , esauriente punto sulla situazione . Emozione e urgenza erano comunque buone attenuanti , in quei primi errori . Più tardi , cioè nei giorni immediatamente successivi , non lo potevano più essere . I giorni successivi sono stati occupati da tutti i partiti in un estenuante susseguirsi di vertici che portavano a risultati poco vistosi . Fu senz ' altro una consolazione veder seduti a uno stesso tavolo Berlinguer , Zaccagnini , Craxi , Biasini e Romita . Ma la cosa non produsse effetti di gran rilievo . Lunghe discussioni sull ' eventualità di mettere una taglia da un miliardo sui rapitori di Moro ( si è deciso di no ) , sull ' opportunità di impiegare l ' esercito nella ricerca dei terroristi ( si è deciso di sì , dopo due giorni ) , sulla proclamazione dello stato di pericolo pubblico ( si è deciso di no ) , sull ' istituzione di un fermo di polizia di quattro giorni ( si è deciso di no ) , sul potenziamento delle tecniche e dei mezzi ( si è rimasti nel generico ) . E dopo questa sequela di esclusioni e rinvii quali misure si sono adottate ? Il governo ha riesumato i provvedimenti previsti dall ' accordo del luglio scorso . Nel frattempo la mobilitazione popolare cominciava a venir meno , il transatlantico di Montecitorio iniziava a svuotarsi ( sabato e domenica è rimasto come sempre deserto ) e il sequestro di Moro stava diventando un affare di normale amministrazione . Intanto cominciavano a parlare gli « esegeti » . Qualcuno ( il deputato comunista Antonello Trombadori , il democristiano Andrea Borruso , il neoministro del Lavoro Vincenzo Scotti ) ha intravisto in ciò che è successo alla fine della scorsa settimana quasi una prova generale in vista di un colpo di Stato , nessuno di loro si è avventurato alla ricerca di chi potrebbe tentare oggi un golpe nel nostro paese , « ma bisogna stare ugualmente attenti perché quando lo straordinario diventa ordinario » ha detto Scotti parafrasando un motto di Che Guevara , « qualcuno può tentare un colpo di Stato » . Quasi a suggerire che tra non molto tempo anche il rapimento Moro potrà essere considerato come un fatto ordinario , uno tra i tanti segnali della crisi endemica della società italiana . Se e quando accadrà , quello sarà il segno che l ' Italia è entrata in una di quelle fasi della storia ( come furono la crisi della Repubblica di Weimar in Germania , l ' assassinio di Dollfuss nel '34 in Austria , l ' ondata di terrorismo in Spagna alla metà degli anni Trenta , per non parlare di ciò che è accaduto in quasi tutta l ' America latina tra gli anni Sessanta e l ' inizio degli anni Settanta ) che sfociano nella guerra civile , nel colpo di Stato o in tutti e due . In questo senso è altrettanto sintomatica e inquietante la comparsa a Milano di un primo « squadrone della morte » ( uccisione a freddo di due giovani d ' estrema sinistra a Milano ) . Così come inquietante è il modo con cui stampa , televisione , partiti sembrano sperare che la soluzione dei problemi venuti alla luce col rapimento di Moro possa venire indagando meglio su che tipo di « testina Ibm » abbia battuto il messaggio delle Brigate Rosse , o ispezionando con maggiore accuratezza via Licinio Calvo . Fino a questo momento , non sembra probabile che polizia , o carabinieri , o guardia di finanza , o l ' esercito , o tecnici inviati dalla Germania federale troveranno la « prigione del popolo » in cui l ' onorevole Moro è rinchiuso e « processato » . Se anche ci riuscissero - come tutti sperano - i problemi posti da questo parossistico acutizzarsi della violenza politica in forme nuove e terribilmente efficaci non sarebbero risolti . Andrebbero affrontati con un dibattito approfondito , e un coinvolgimento del paese senza precedenti : prima che l ' adozione di leggi super repressive , imposte dal succedersi degli eventi prima ancora che dalla scelta del Parlamento , appaia come l ' unica via praticabile . Intanto , al processo di Torino , Curcio e suoi amici annunciano il processo ad Aldo Moro , parlando come se fossero i presidenti di un « controtribunale » . E il presidente del tribunale vero , mette a verbale .