StampaQuotidiana ,
La
vedova
Mondella
,
avendo
confidato
Lucia
alle
mura
del
convento
di
Monza
,
se
ne
torna
in
baroccio
ai
suoi
monti
.
Si
fa
smontare
al
convento
di
Pescarenico
e
chiede
del
padre
Cristoforo
.
Chi
cercate
,
buona
donna
?
Il
padre
Cristoforo
.
Non
c
'
è
.
Starà
molto
a
tornare
?
Mah
!
Dov
'
è
andato
?
A
Palermo
.
Eh
la
Peppa
!
Ma
così
si
legge
nella
primitiva
redazione
del
romanzo
,
quando
ancora
s
'
intitolava
Fermo
e
Lucia
.
Nei
Promessi
Sposi
il
dialogo
acquista
in
mimica
e
verisimiglianza
.
In
tanto
,
chi
viene
ad
aprire
è
una
cara
conoscenza
:
fra
Galdino
delle
noci
.
Oh
la
mia
donna
,
che
vento
v
'
ha
portato
?
Vengo
a
cercare
il
padre
Cristoforo
.
Il
padre
Cristoforo
?
Non
c
'
è
.
Oh
,
starà
molto
a
tornare
?
Ma
...
?
disse
il
frate
,
alzando
le
spalle
e
ritirando
nel
cappuccio
la
testa
rasa
.
Dov
'
è
andato
?
A
Rimini
.
Cominciamo
a
ragionare
:
l
'
autore
ammette
che
già
l
'
«
andare
a
piedi
da
Pescarenico
a
Rimini
è
una
bella
passeggiata
»
(
qualche
cosa
come
quattrocento
chilometri
)
;
fino
a
Palermo
,
poi
!
A
tenere
insieme
presenti
il
testo
di
Fermo
e
Lucia
(
1821-1823
)
e
quello
delle
due
edizioni
dei
Promessi
Sposi
(
1827-1840
)
è
come
andare
lungo
la
spiaggia
quando
il
mare
ha
il
respiro
più
corto
e
ancora
si
scorgono
i
segni
e
i
detriti
che
le
onde
lunghe
avevano
impresso
e
portato
sulla
sabbia
.
Onda
lunga
:
il
frate
a
Palermo
;
onda
corta
:
il
frate
a
Rimini
.
Onda
lunga
:
il
fattaccio
di
Gertrude
spiegato
per
filo
e
per
segno
;
onda
corta
:
«
la
sventurata
rispose
»
.
Onda
lunga
,
la
fine
in
frenesia
di
don
Rodrigo
sul
cavallo
scavezzato
;
onda
corta
,
la
sua
agonia
sulla
paglia
nella
capanna
del
lazzaretto
;
e
lo
stesso
dicasi
per
tutto
quanto
nel
romanzo
da
principio
era
eccessivo
,
feroce
,
sguaiato
,
stonato
anche
nella
santimònia
come
nella
scena
del
«
banchetto
»
di
pane
e
acqua
recitata
dal
cardinale
Federigo
in
conspetto
alla
turba
acclamante
dei
fedeli
,
o
di
meno
accettabile
quale
appunto
la
trottata
di
più
che
mille
miglia
sul
cavallo
di
San
Francesco
,
dalla
Brianza
alla
Conca
d
'
oro
,
d
'
un
povero
cappuccino
.
Ciò
è
molto
istruttivo
.
A
tanta
disciplina
discrezione
dolcezza
il
Manzoni
prosatore
non
poteva
arrivare
alla
prima
e
gli
convenne
lasciarsi
andare
giù
per
la
china
d
'
una
impetuosa
improvvisazione
,
per
poi
risalire
l
'
erta
«
pensandoci
su
»
,
lentamente
,
cautamente
,
per
anni
e
anni
.
Voglio
dire
che
se
il
povero
frate
non
fosse
partito
col
foglio
di
via
dell
'
«
obbedienza
»
per
oltrestretto
,
con
molta
probabilità
non
sarebbe
arrivato
neanche
sulle
rive
del
Marecchia
.
Resta
poi
da
dire
che
se
il
romanziere
fosse
rimasto
incastrato
a
Fermo
e
Lucia
,
dove
pure
il
romanzo
,
in
quanto
romanzo
,
c
'
era
già
tutto
,
d
'
un
Manzoni
prosatore
,
a
un
secolo
di
distanza
,
appena
si
pispiglierebbe
.
(
Che
lezione
,
per
i
«
contenutisti
»
che
si
sentono
vocati
a
consegnare
alla
carta
quanto
più
consistenti
partite
di
vita
sia
loro
possibile
accaparrare
!
)
.
Com
'
è
parimente
vero
che
il
Manzoni
non
sarebbe
riuscito
quel
prodigioso
tessitore
ch
'
egli
è
se
in
un
primo
tempo
non
avesse
steso
un
po
'
alla
carlona
,
con
la
mano
ancora
pesante
,
la
malatrama
di
quell
'
affrettato
canovaccio
.
(
Che
lezione
,
per
i
«
calligrafi
»
che
si
fanno
scrupolo
di
offendere
il
candore
della
pagina
con
una
parola
di
troppo
!
)
.
Tutti
ricordano
il
ritratto
che
di
Margherita
di
Savoia
fa
il
Carducci
in
Eterno
femminino
regale
:
Ella
sorgeva
con
una
rara
purezza
di
linee
e
di
pose
nell
'
atteggiamento
e
con
una
eleganza
semplice
e
veramente
superiore
sì
dell
'
adornamento
gemmato
sì
del
vestito
(
color
tortora
,
parrai
)
largamente
cadente
.
In
tutti
gli
atti
,
e
nei
cenni
,
e
nel
mover
raro
dei
passi
e
della
persona
,
e
nel
piegar
della
testa
,
nelle
inflessioni
della
voce
e
nelle
parole
,
mostrava
una
bontà
dignitosa
;
ma
non
rideva
né
sorrideva
mai
.
Riguardava
a
lungo
,
cogli
occhi
modestamente
quieti
,
ma
fissi
;
e
la
bionda
dolcezza
del
sangue
sassone
pareva
temperare
non
so
che
,
non
dirò
rigido
,
e
non
vorrei
dire
imperioso
...
«
Questo
è
schietto
e
puro
Manzoni
»
,
assevera
Giulio
Bertoni
(
Lingua
e
poesia
,
Firenze
1937
,
pag
.
205
)
,
che
aveva
probabilmente
nell
'
orecchio
le
descrizioni
della
Signora
di
Monza
e
della
madre
di
Cecilia
.
Senonché
,
a
proposito
del
medesimo
passo
carducciano
Mario
Praz
(
La
carne
,
la
morte
e
il
diavolo
nella
letteratura
romantica
,
Milano
1930
,
pag
.
433
)
esce
a
dire
:
«
Chi
non
sente
che
il
movimento
della
prosa
aulica
di
Stelio
[
leggi
:
D
'
Annunzio
]
nel
Fuoco
,
prende
origine
di
qui
?
»
.
Concediamo
pure
che
qualche
parte
di
vero
sia
nel
rilievo
dell
'
uno
e
l
'
altro
insigne
filologo
a
quei
tre
periodi
carducciani
(
io
forse
ci
ritroverei
anche
qualche
pennellata
del
Tommaseo
ritrattista
di
belle
donne
)
e
togliamo
un
momento
idealmente
di
mezzo
la
pagina
da
essi
citata
al
doppio
confronto
,
per
il
gusto
raro
di
vedere
una
volta
stare
a
fronte
l
'
autore
del
Piacere
e
quello
della
Morale
cattolica
,
come
chi
dicesse
il
diavolo
e
l
'
acqua
santa
.
Che
si
dicono
,
che
fanno
?
Disagio
e
meraviglia
sono
reciproci
.
Avesse
dovuto
riempire
lui
la
trama
dei
Promessi
,
da
che
verso
D
'
Annunzio
l
'
avrebbe
tirata
?
Potreste
garantire
ch
'
egli
non
avrebbe
assunto
il
punto
di
vista
di
don
Rodrigo
e
del
conte
Attilio
piuttosto
che
quello
del
padre
Cristoforo
?
Magari
dopo
vinta
la
tentazione
di
fare
del
cappuccino
un
personaggio
sul
tipo
di
quel
fra
'
Lucerta
di
Terra
vergine
che
muore
di
emorragia
cerebrale
per
la
rientrata
voglia
d
'
una
bella
villana
?
(
«
Ohibò
,
ohibò
,
le
ragazze
non
istanno
bene
coi
cappuccini
»
era
del
resto
anche
l
'
opinione
d
'
uno
degli
scherani
d
'
Egidio
che
avean
dato
mano
al
ratto
della
povera
giovane
in
Fermo
e
Lucia
)
.
Dico
che
è
quasi
più
facile
immaginarsi
un
Manzoni
che
lavori
al
Piacere
che
non
un
D
'
Annunzio
che
attenda
sul
serio
ai
Promessi
Sposi
...
Tornando
al
punto
:
D
'
Annunzio
che
riecheggia
inconsciamente
Carducci
che
riecheggia
involontariamente
Manzoni
...
Caro
Ugo
,
caro
Massimo
,
(
Vedi
Corriere
della
Sera
del
14
e
del
21
ottobre
)
,
caro
Giulio
e
caro
Mario
,
caro
Gabriele
e
carissimo
don
Lisander
,
sarebbe
questa
,
per
caso
,
la
Tradizione
?
Avversarsi
,
sconoscersi
,
vilipendersi
;
peggio
,
ignorarsi
;
peggio
ancora
,
esser
convinti
d
'
aver
trovato
il
proprio
bene
precisamente
nelle
letterature
più
remote
dallo
spirito
della
letteratura
materna
,
e
non
cessare
per
questo
d
'
appartenere
in
pieno
alla
stessa
grande
famiglia
,
non
è
forse
questa
la
Tradizione
?
L
'
esemplificazione
porterebbe
lontano
.
Si
potrebbero
rifilare
alla
Feroniade
di
nascosto
certi
versi
d
'
Alcione
e
nessuno
s
'
accorgerebbe
del
tassello
;
neanche
il
Monti
.
Laus
vitae
e
Il
Giorno
:
D
'
Annunzio
e
l
'
abate
Parini
:
si
possono
pensare
opere
e
uomini
più
distanti
?
Eppure
talune
rigirate
perifrasi
nel
primo
,
e
per
maggiore
singolarità
nei
passi
dove
più
il
poeta
ambiva
investire
liricamente
aspetti
della
vita
contemporanea
,
m
'
hanno
fatto
tornare
a
mente
certi
arguti
artifizi
del
poemetto
settecentesco
.
Quel
«
carro
elettrico
»
(
che
poi
sarebbe
il
tranvai
elettrico
:
Maia
,
verso
5537
)
il
quale
corre
tra
la
ferrea
fune
sospesa
e
il
duplice
ferro
seguace
,
e
più
ancora
quel
telefono
(
ibid
.
v
.
2681
)
per
il
quale
la
voce
sonora
formata
dal
labro
spirante
in
cavo
artificio
s
'
ingolfa
,
di
sillaba
in
sillaba
vibra
tacitamente
lontana
,
ravvivasi
come
in
profonda
búccina
e
favellare
l
'
ascolta
l
'
orecchio
inclinato
,
m
'
hanno
indotto
a
ricercare
nel
Giorno
la
pagina
dove
si
parla
dell
'
inventore
del
microscopio
e
quella
(
Notte
,
v
.
287
)
dove
si
cantano
le
laudi
del
canapè
.
Vero
è
che
il
«
cavo
artificio
»
e
la
«
profonda
bùccina
»
levano
ogni
voglia
di
telefonare
,
mentre
quel
canapè
«
di
tavole
contesto
e
molli
cigne
»
,
col
«
pàtulo
appoggio
»
per
il
dorso
e
i
flessuosi
bracciuoli
per
i
gomiti
,
«
mal
repugnante
e
mal
cedente
insieme
Sotto
ai
mobili
fianchi
»
,
fa
già
voglia
di
sbottonarsi
il
colletto
e
lasciarvisi
cadere
.
Ma
è
che
la
peregrinità
circonlocutoria
pariniana
è
ricomperata
appieno
dall
'
ironia
che
vi
serpeggia
per
entro
a
ludibrio
di
quella
società
manierosa
della
quale
l
'
Abate
scopre
perfidamente
gli
altarini
,
mentre
l
'
annunciatore
della
Decima
Musa
arrotonda
il
suo
indovinello
coll
'
ozioso
impegno
di
chi
proprio
sul
serio
chiamasse
la
barba
«
onor
del
mento
»
.
D
'
Annunzio
,
voi
dite
,
non
sta
tutto
lì
;
(
rispondo
:
ci
mancherebbe
altro
!
)
e
pensate
anche
:
Se
la
Tradizione
è
l
'
onor
del
mento
,
benefà
Bontempelli
a
raccomandarci
di
infischiarcene
.
Ma
,
della
Tradizione
,
il
cavo
ordigno
e
l
'
onor
del
mento
sono
,
come
altri
innumerevoli
spezzati
di
magniloquenza
o
di
ardua
criptoloquenza
,
i
ferrivecchi
;
la
cui
secolare
giacenza
nei
magazzini
della
Tradizione
poetica
italiana
denuncia
per
altro
un
attaccamento
,
che
non
può
esser
fortuito
,
ai
modi
più
nobili
.
Muse
straccione
non
hanno
mai
fatto
fortuna
in
Italia
.
Viene
poi
il
momento
che
una
ispirazione
verace
riconforta
coonesta
ed
abbella
anche
i
ferrivecchi
.
Quando
Leopardi
ode
«
augelli
far
festa
»
nessuno
si
sogna
di
arricciare
il
naso
perché
il
poeta
non
ha
scritto
uccelli
,
passeri
o
cardelli
.
Quando
è
verso
di
Ungaretti
iniziale
di
più
d
'
una
sua
poesia
:
uno
di
quei
suoi
versi
fatti
d
'
una
sola
parola
lungamente
vibrata
e
sospesa
che
hanno
fatto
tanto
ridere
gli
sciocchi
.
Quando
mi
morirà
questa
notte
e
come
un
altro
potrò
guardarla
...
Ma
centomila
poesie
italiane
,
di
sommi
e
di
mediocri
,
auliche
o
popolari
,
oziose
o
concitate
,
allegre
o
sentimentali
,
cominciano
con
«
quando
»
.
Basta
riandare
con
la
memoria
le
poesie
imparate
a
scuola
.
«
Quando
Orion
dal
cielo
...
»
,
«
Quando
Giason
dal
Pelio
...
»
e
tante
altre
rimasteci
impresse
dalle
prime
letture
autonome
;
basta
scorrere
gl
'
«
indici
dei
capoversi
»
in
fondo
alle
raccolte
di
tanti
poeti
antichi
e
moderni
(
e
quanto
più
sono
poeti
di
corda
lenta
;
ma
Stecchetti
esagera
!
)
:
tutto
il
Parnaso
italiano
è
uno
scampanio
di
«
quando
»
,
da
Petrarca
a
Parzanese
,
da
Carducci
a
Ungaretti
.
(
Specie
i
sonetti
.
«
Quando
»
in
vista
,
sonetto
in
pista
.
Contro
quattordici
sonetti
di
Petrarca
aperti
in
«
quando
»
,
sta
una
sua
sola
canzone
.
Ma
è
il
più
bel
«
quando
»
della
lirica
italiana
:
«
Quando
il
soave
mio
fido
conforto
...
»
)
.
Esiste
,
per
finire
,
anche
una
poesia
,
unica
del
suo
genere
,
che
con
un
«
quando
»
termina
:
un
«
quando
»
paurosamente
isolato
e
interrogativo
.
È
l
'
ode
alla
Guerra
di
Carducci
,
scritta
giusto
di
questi
giorni
cinquant
'
anni
or
sono
,
in
occasione
del
terzo
Congresso
internazionale
per
la
Pace
,
solennemente
inaugurato
in
Campidoglio
il
2
novembre
1891
:
jettata
Pace
,
il
giorno
dei
Morti
!
I
congressisti
,
con
molti
battimani
e
qualche
battibecco
,
portarono
a
termine
i
loro
lavori
e
trascorsero
bellissime
giornate
romane
fra
luminarie
ricevimenti
e
serate
di
gala
.
Trionfava
nei
ritrovi
la
bella
baronessa
Suttner
,
che
aveva
pubblicato
da
poco
un
romanzo
intitolato
Abbasso
le
armi
.
Il
3
novembre
Carducci
prese
la
penna
.
Dopo
aver
ragionato
in
venti
strofe
qualcuna
stupenda
le
fatali
,
buone
e
cattive
,
ragioni
della
guerra
,
chiudeva
dicendo
pace
è
vocabolo
mal
certo
.
Dal
sangue
la
Pace
solleva
candide
l
'
àli
.
Quando
?
La
risposta
era
implicita
nell
'
ode
stessa
:
mai
.
Ancora
me
ne
dispiace
per
la
bella
baronessa
!