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LA LUNA E LE STELLE. ( OJETTI UGO , 1923 )
StampaQuotidiana ,
Firenze , 30 marzo . Di notte , all ' Osservatorio , d ' Arcetri , sopra Firenze . Chi ha mai cantato in questo secolo ansioso e sapiente le lodi dell ' ignoranza , e quanto essa giovi alla felicità ? E quanto alla poesia , cioè alla maraviglia ? Non dico dell ' ignoranza che ignora anche sé stessa ; ma di quella che dobbiamo dentro noi curare e custodire come una riserva di giovinezza , anzi d ' infanzia , per sovvenire l ' età matura . Amore , fede , coraggio , speranza , le più belle qualità dell ' uomo , hanno bisogno d ' un tanto d ' ignoranza come l ' oro si fa più resistente al conio con un poco di lega . Sto seduto in una stanza di legno rotonda , accanto a una lampada velata ; e poiché niente capisco di quello che mi circonda , mi conforto con questi pensieri . A un passo da me un vecchino canuto muove una lucida ruota che ha il mozzo confitto nella parete , e una cupola scorre giro giro sopra i muri della stanza con tutte le sue persiane , scalette e ballatoi , così dolcemente volubile che il moto dei suoi congegni dà appena il suono d ' un sospiro . Un giovane astronomo , biondo , ilare e magro , il professore Giorgio Abetti , curvo sopra una tavola , guardando un libro brulicante di cifre e con la matita segnando su una scheda altri numeri , dà brevi comandi all ' uomo della ruota come il capitano d ' una nave al suo timoniere . Navigano nel firmamento . In mezzo alla stanza il telescopio ha l ' aria sorniona d ' un « grosso calibro » infrascato sulla sua piazzola . Nella penombra lo seguo con l ' occhio fino alla bocca e m ' accorgo che la cupola , quant ' è larga , è tagliata da un ' apertura nera palpitante di stelle ; sembra la bocca d ' un cetaceo schiusa ad afferrare tra le due mandibole quel che le càpiti nel mar delle tenebre . Subito parteggio per le stelle contro il mostro : pel mistero , contro la scienza accoccolata qui a spiare l ' infinito da questa fessura . Se l ' astronomo adesso m ' annunciasse : Il cielo s ' è rannuvolato , stanotte non si vede niente , confesso che sorriderei come a uno dei tanti scherzi che il cielo fa all ' uomo e ai suoi saldi propositi . Ma , fermata la cupola , Giorgio Abetti ha ormai con una manovella puntato il suo cannocchiale , ha spento un ' altra lampada , è salito su per una ripida scaletta , ha messo l ' occhio all ' oculare , e dall ' alto mi chiama . Quando gli sono vicino e m ' appoggio a lui , scorgo nella sua pupilla un punto bianco tanto splendente che mi pare debba forargliela e abbacinarlo . Guardi Orione , mi dice , e mi lascia solo su quella cima . Lancio un ultimo sguardo all ' arco di firmamento che s ' incurva sulla mia testa , alle tante stelle che rabbrividiscono in quel fosco gorgo , e metto l ' occhio alla lente . La prima impressione è che il cielo sia vuoto . Su quel fondo di velluto nero i diamanti delle stelle sono più grandi , è vero , e d ' una luce più pura ed immobile , ma sono più radi . Ne vedo quattro come agli angoli d ' un trapezio , e altri tre a sinistra . Più fisso quel vuoto , più esso mi si fa lontano profondo e pauroso . Il suo mistero che già m ' era divino , m ' appare nullo , gelido e disperato . E quel tanto d ' umanità con cui religioni , superstizioni e astrologie hanno da decine e decine di secoli cercato di legare il cielo alla terra chiamando a nome gli astri come se potessero udirci , legando il destino di noi lunatici , marziali o gioviali ai presunti comandi di quelli , ecco , mi si disperde in un infinito indifferente e vacuo , in una notte stupida e senza fondo , così che penso d ' afferrarmi a queste leve e manubri per non precipitarvi a capofitto dal trampolino della mia scaletta . Intanto m ' afferro alle immagini e ai paragoni . E poiché fissando così la costellazione d ' Orione comincio a vederle attorno un chiarore confuso , una nubecola triangolare che ha la forma d ' un ' Affrica messa lassù per traverso , mi sembra che quelle stelle s ' affatichino a districarsi come da una rete per venirmi incontro . Giochi . Davanti a quei grossi lontani irraggiungibili diamanti posati a caso su quel fiocco d ' ovatta , il vecchio trucco di prestar l ' anima nostra a tutto quello che ci circonda , perfino a stelle e a pianeti , diventa vano e puerile come lanciar sassi al sole . Che vede ? Vedo dietro sette stelle una nuvola . La nebulosa d ' Orione . La distinguerà meglio sulle fotografie . Le stelle le vede chiare ? Chiare . Sono stelle giovani e caldissime . Provo ancóra su questi due umani aggettivi a ricontemplarle e a godermele . Niente . Discendo . Adesso metterò l ' apparecchio sulla luna . La cupola ricomincia a girare , il telescopio continua a seguirne la fenditura mediana . Io metto le mie speranze nell ' amica luna , tanto vicina , docile e nostra . Quando l ' apparecchio è al punto , torno lassù . Prima la guardo con un cannocchiale più piccolo : è al primo quarto , una calottina d ' argento mal fuso , con le bave ancóra e le bolle e le schiume . Metto l ' occhio al cannocchiale più potente : vedo solo un gran disco di gesso illuminato come da una lampada elettrica troppo forte . La luce radente sottolinea con ombre nette i cigli dei cento crateri , e un ricordo di guerra mi vien su dal cuore : da un osservatorio d ' inverno , sul Pasubio un pianoro nevoso tutto sforacchiato dai proiettili nemici . Rivedo le pareti di larice dell ' osservatorio , la tavola rozza , i binoccoli , il telefono , i bicchierini di Strega , il fondello che fa da portacenere , il cane barbone che ha imparato ad alzarsi in piedi quando arriva il colonnello ; rivedo i compagni che mi narrano il bombardamento notturno e m ' indicano laggiù gli ultimi reticolati ridotti dalla neve gelata a un candido muretto uguale uguale che ha l ' ombra segnata col tiralinee ; i compagni che mi descrivono l ' uscita d ' una pattuglia vestita di bianco , sotto la luce della luna , per raccogliere un ferito austriaco e lo avevano invece trovato morto assiderato , dentro una mano rattrappita la fotografia d ' una donna ( Ma che fotografia ! Una cartolina illustrata col ritratto di una canzonettista scollata fin qui .... ) e l ' avevano sepolto così in una cassa tant ' alta perché non avevano più potuto distenderne le membra rattratte ; e fanno a gara , i compagni , a magnificarmi le fattezze di lei , certo viva di là , e nessuno pensa più alle fattezze di lui povero morto .... La luna e la guerra . Ora che le sono così vicino , mi riassale come un odio per lei che riconduceva a data fissa sugli accampamenti , sui villaggi , sulle città , aeroplani , dirigibili , bombe , urli , rovine ; e riodo i tre urli della sirena e il tiro degli antiaerei e quello delle mitragliatrici e il rombo dei motori e lo scroscio delle bombe sulla città pallida e vuota che pareva morta , che faceva il possibile per assomigliare a lei , voglio dire a questa luna maledetta , perché lei ne avesse pietà . Vede bene ? Benissimo . Quelle tre conche si chiamano Teofilo , Cirillo e Caterina . Quella distesa è il Mare Tranquillitatis . Quella più in alto .... giri il manubrio a destra .... è il Mare Serenitatis . E poi il Mare Nectaris .... Lassù , quei nomi da manifesto per stagione balneare ; e noi quaggiù dovevamo correre , acquattarci , sparare , dopo secoli e secoli che l ' umana imbecillità aveva adorato e invocato in tutte le lingue e in tutte le metriche il suo tranquillo astro d ' argento . Adesso , a guardare quei crateri spenti e sgonfiati , con quel cocuzzolo o con quella buca nel centro , m ' immagino che siano tante mammelle smunte dai mille e mille poeti dei secoli che furono . E sono contento di vederla così , senza una stilla d ' acqua o un respiro di vapore , arida , calcinata e finita . Scusi , professore ; a memoria d ' astronomo , si è mai notato alcun mutamento in questo rudere d ' un mondo ? Mai . Da Galileo ad oggi , sempre la stessa . Sono soddisfatto e rallegrato . Giorgio Abetti è paziente con me . Mi mostra Saturno che è una perlina col suo anelluccio di smalto bianco molto grazioso , poco costoso , come ve n ' è cento nelle botteghe di Ponte Vecchio . Mi mostra Giove che s ' alza adesso , circonfuso ancóra dal fiato d ' uno sbadiglio , tinto di bianco rosso e verde , secondo è , per fortuna , la moda . Andiamo via , ché è quasi mezzanotte . Dal panico del vuoto infinito , ecco sono ridisceso a ridere , che è la povera vecchia difesa donataci dalla Provvidenza contro i pensieri troppo grandi . La mia guida mi conduce a vedere le sale terrene dell ' Osservatorio , la biblioteca , l ' archivio , le fotografie . Astronomo figlio d ' astronomo , giovane com ' è , ha viaggiato mezza terra per veder le sue stelle . Dall ' osservatorio di Mount Wilson in California , da quello Yerkes presso Chicago all ' osservatorio di Greenwich accanto a Londra e a quello di Potsdam accanto a Berlino , egli ha veduto , studiato , confrontato tutto ; e quando mi nomina questo o quell ' astronomo celebre , mi sembra che pel mondo egli sia andato cercando tutti gli uomini che tengono la faccia volta all ' insù . Ma l ' idea è sbagliata perché adesso gli astronomi coi loro grandi specchi prendono le stelle e se le portano tremanti sul loro tavolino , senza nemmeno soffrir l ' incomodo che abbiamo noi di torcere il collo per interrogarle . L ' astronomo insomma della vecchia leggenda che per guardar le stelle cadeva nel pozzo , è d ' una razza perduta da molti anni . Ora all ' Osservatorio d ' Arcetri verrà non so che gran lente dalla Germania « in conto riparazioni » ; e la Fondazione William Hale nordamericana aiuta coi suoi dollari l ' Abetti a costruirsi una Torre solare per sorvegliare , d ' accordo con Mount Wilson , il sole anche di qui . L ' America , l ' America torna ogni minuto nella conversazione , qui sulla collina di Galileo , come nelle conferenze politiche di Londra , Parigi o Losanna . Le grandi fotografie del cielo , venute anch ' essi d ' oltreoceano , mi riafferrano con lo stesso fascino dello spettacolo al telescopio . A guardare quella su cui la nebulosa d ' Orione appare sconvolta e stracciata da gorghi e vortici di luce e d ' ombra sembra d ' udire l ' urlo d ' un gran vento che in quelli eccelsi faccia stormire le stelle . Da un lato , contro il nero stellato , la nebulosa si delinea con un netto profilo da cui avanza una testa di mostro simile a una garguglia sul fianco d ' una cattedrale gotica ; e tutto quel profilo è segnalo da un ciglio candido , luce d ' altri astri , d ' altri mondi , d ' altri soli , d ' altri iddii , che l ' uomo non vedrà mai se non nell ' estasi d ' un ' adorazione . E molte altre fotografie vedo del sole , con folti intrichi di riccioli come d ' un vello leonino , tagliati qua e là dai labbri sinuosi di ferite profonde . La terra in proporzione quant ' è grande ? L ' astronomo ha in mano una matita . La mette perpendicolare sulla fotografia così da segnare un punto largo quanto la punta della matita : Questa sarebbe la terra . Basta . Sento che l ' impensabile torna a stordirmi ed esco all ' aperto . Ecco Firenze , Firenze segnata anch ' essa soltanto dai suoi lumi , ma tutta nostra , tutta nota , tutta bella , tutta umana . Il ciglio alberato del colle sta davanti alla città , come una gran ribalta . Lassù a destra , tra due cipressi , si gonfia la collina di Settignano , con la piramide dei suoi lumi che l ' assomiglia a un altare coi ceri accesi . A sinistra laggiù , da una massa bruna alta e nuda pendono due o tre lunghe collane d ' oro , quasi da un vascello le catene che lo tengono all ' àncora in questo golfo di tenebre . E la chiesa di Santa Maria Novella , sono i fanali lungo i binarii della stazione . Di fronte a noi , su dall ' alone di due sciami di luci , là un fuso bianco , qua un fuso nero s ' alzano e si perdono nel cielo , come due pigre fumate , il campanile di Giotto , la torre d ' Arnolfo . Pian piano ritroviamo la città , le sue strade , i suoi monumenti , il luogo delle nostre case : amabili come mai . Addio , povere stelle .