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ROMA NUOVA ( OJETTI UGO , 1938 )
StampaQuotidiana ,
12 aprile . ROMA . Da quasi un anno per l ' esposizione mondiale del 1942 hanno cominciato a spianare di là dalla basilica di San Paolo le collinette verso il bosco d ' eucalitti che una volta difendeva dalla malaria l ' abazia delle Tre Fontane . Tempi preistorici : allora , quando eravamo ragazzi , andare alle Tre Fontane era un ' escursione per la quale si partiva da casa con la colazione o la merenda nel tascapane . Era un ' escursione e quasi un ' esplorazione perché a chi di noi s ' allontanava dalla strada Laurentina gli anziani annunciavano pericoli addirittura di morte per le buche e le frane delle cento vecchie cave di pozzolana , nascoste tra cardi e pruni , popolate di serpi e , alle prime piogge , di rospi e raganelle . Il mondo s ' è fatto più piccolo e , dicono , più sicuro . Per uguagliare questo pianoro di cinquecento ettari , lungo , presso a poco , quanto dal Campidoglio a piazza del Popolo , anzi fino al Ministero della Marina , e largo altrettanto , si dovranno smuovere cinque milioni e mezzo di metri cubi ; e già se n ' è smossa quasi la metà . Ma l ' importante è che , spenta e chiusa dopo sei mesi l ' esposizione , là non tornerà un arido deserto di calcinacci di cemento , con altrettanti trabocchetti e buche come quelle di terra che spianatori e costruttori trovano adesso e cólmano . Là resterà una città , un altro grande e comodo e monumentale quartiere di Roma , col suo lago , le sue strade , piazze , giardini , alberate , fontane , con la sua chiesa , i suoi musei , teatri , uffici e alberghi , a sette od otto minuti dal Colosseo : Roma nuova , come nella suddetta preistoria chiamavamo la Roma da via Nazionale in su . Insomma adesso il cómpito dato da Mussolini a Vittorio Cini è di preparare , sì , una grande e ricca e piacevole esposizione dove la gente abbia da imparare e da divertirsi senza affaticarsi , ma anche lo schema e l ' ossatura d ' una bella città . Il durevole , prima di succedere all ' effimero , deve intanto dargli , poiché siamo a Roma e si ragiona da romani , forma , comodità e maestà : problema , prima di tutto , d ' architettura . Per adesso , tutti d ' accordo , perché v ' è soltanto il nudo terreno , anzi il luogo dove uomini e macchine vanno preparando il terreno . A settentrione di là d ' un gran prato verde s ' intravvede di Roma un quartiere nuovo nuovo , non propriamente monumentale , ma una nebbiola bassa e azzurrina lo vela gentilmente ; e dietro il Gianicolo appare la cima della cupola di San Pietro , d ' argento opaco , come una luna che sorge . Il silenzio è rotto da fischi di locomotive , da brevi ànsiti di macchine scavatrici , fondi talvolta come ruggiti quando il raffio addenta terra e sassi e le catene cigolano . Ma l ' aria immobile ingoia d ' un colpo ogni suono e il silenzio torna padrone : un silenzio d ' eternità . Il suolo vulcanico su cui i re e la repubblica fondarono e aggrandirono Roma , è simile a questo , falda a falda : al sole un palmo o due di terra buona da seminare ; sotto questo po ' di terra , pozzolana bigia o rossa e tufo , buoni per murare e per costruire . Dove una volta le frane e adesso le macchine hanno tagliato il terreno , questi filoni orizzontali appaiono netti , sovrapposti regolarmente come gli strati di fondazione d ' un grande edificio . Poco da mangiare , molto da lavorare ; poco da godere , molto da costruire : non sono queste le basi morali dell ' antica Roma ? E senza questa miracolosa pozzolana laziale che con poco grassello di calce fa presa anche sott ' acqua , compatta per millenni più d ' una roccia , l ' architettura romana , la forma cioè e il volto di Roma , e l ' incrollabile prova della sua durata non esisterebbero . Bisogna diffidare , lo so , delle similitudini ; ma gli acquedotti e il Colosseo sono insieme fatti e idee . L ' aratro che adopera il senatore Cini non è per fortuna quello che adoperò Romolo tracciando il solco quadrato . È meccanico , va giù col vomere fino a settanta centimetri , rovescia terra e pezzi di tufo ; e la trattrice che lo trascina , sobbalza come un carro armato all ' assalto d ' una trincera . Talvolta lo sforzo è tanto che la corda d ' acciaio si strappa . Sùbito dietro l ' aratro , i badilanti caricano sui vagoncini la terra sconvolta , e appena i venti vagoncini sono colmi , la piccola locomotiva se li trascina via fischiettando , laggiù dove il terreno s ' ha da alzare e non da abbassare . Mille e cento sono adesso questi operai ; scamiciati , impolverati e contenti , nella certezza d ' avere lavoro per quattr ' anni . Uno s ' è ficcato tra l ' orecchio e la tempia una di queste piccole orchidee selvatiche , bianche e verdi come il fiore dell ' aglio , e mentre il rosario dei vagoncini parte con un fracasso di ferraglie sulle verghe malconnesse della decoville , s ' appoggia con le due mani sul manico del badile , guarda lontano e a mezza voce canta : Vivere senza malinconia , Vivere senza più gelosia ... Mentre canta , è più solo lui dei compagni silenziosi che allineati aspettano un ' altra fila di vagoncini , vuoti . Un minuto : arriva , e i manovali le si mettono a fianco . Una goccia di saliva sulla palma delle mani , e il lavoro ricomincia , così puntuale che si coglie il ritmo delle pale ficcate nella terra , della terra rovesciata nel carrello , del lampo bianco della pala in aria . Così ordinato fosse il lavoro di tutti noi , con quella pausa del fiore e del canto . La ragione sarà che io purtroppo non riesco a diventare ancora il vero uomo moderno , homo occidentalis mechanicus neobarbarus ; ma il fatto è che il lavoro d ' una macchina mi piace quando assomiglia nei gesti al lavoro umano , centuplicato , s ' intende , nella forza , e senza rischio mai di stanchezza perché la macchina con un poco di lubrificante è sempre giovane e sempre attenta . Insomma per me il modello del mondo resta ancora l ' uomo , e la macchina non è ancora diventata il modello dell ' uomo : difetto grave , e il peggio è che talvolta me ne vanto . Ora delle oneste macchine le quali lavorano qui , le più simpatiche mi sembrano le scavatrici . Una me la sono goduta stamane da vicino , e il soprastante che me ne spiegava i congegni , le sorrideva affettuoso come a un bel cavallo da circo , docile e lustro , e aveva ragione quando diceva : Le manca la parola , le manca . Quella infatti alzava il braccio con la benna , l ' avvicinava al greppo da mordere , contro gli puntava quattro lucide zanne d ' acciaio aguzze come pugnali , e oscillando un poco per lo sforzo gliele conficcava dentro fino in fondo . Poi le quattro zanne si rizzavano , e zolle , sassi , schegge , terriccio entravano nella benna giusto giusto , ché la scavatrice non ne aveva afferrato un pugno di troppo . Allora il braccio si girava e si fermava preciso sopra un carrello del trenino . La benna s ' apriva ed empiva il carrello ; e la macchina tornava a puntare i denti contro il costone da abbattere . L ' omino che era il cervello della macchina , maneggiava due leve con più leggerezza d ' un cavaliere quando tira a destra o a sinistra la briglia . Il soprastante accanto a me fissava l ' orologio : La benna contiene un metro cubo e venti . In ventisette secondi si riempie e si scarica . Dieci di queste macchine scavatrici lavorano a preparare il pianoro per l ' esposizione ; ma tanto pesano che bisogna saggiare bene il terreno prima di collocarle , non abbiano a sprofondare in uno di questi grottoni . Quando nel 1885 sul fianco settentrionale del Campidoglio si tentò di piantare le fondazioni del monumento a re Vittorio Emanuele , non s ' incontrarono che tane e cunicoli tagliati per cavar tufo o per difendere l ' arce ; e la somma che s ' era stanziata per erigere tutto il Vittoriano , bastò appena a riempire e consolidare quell ' alveare . Così qui . Il suolo traditore è provato continuamente dalle sonde , le quali ogni poco incontrano il vuoto . Quando s ' è determinato così il luogo d ' una caverna nascosta , si cinge subito con una stecconata quadra , perché carri o macchine non s ' avventurino là sopra . Sono chilometri e chilometri di gallerie da cavar pozzolana , alcune praticabili dai carretti , anche se adesso ostruite dagli scoscendimenti . A guardarle dall ' alto , profonde e cupe tra rovi e sterpi , sembrano rifugi di trogloditi o di banditi o , nei primi secoli dopo Cristo , di cristiani perseguitati . Talune catacombe sono infatti nate così , in questi antri . Tre aeroplani che volano alti a triangolo , mi fanno alzare gli occhi al cielo . Per godere un paesaggio la luce è quello ch ' è la voce per capire un uomo . Anche la luce ha un tono . Se mi trasportassero addormentato a Roma , a Firenze , a Venezia , a Milano e svegliandomi spalancassero la finestra sul cielo vuoto , io mi vanterei di saper dire , dalla luce , dove mi trovo ; ma forse è un ' illusione come quando , se odo uno parlare , mi provo a non badare al senso delle parole ma solo al suono e alla modulazione della voce , e a giudicarlo così , colui che parla , sincero o retore , affranto o audace , meschino o magnanimo . La mia guida m ' indica il punto verso Roma dove la via Imperiale taglierà il viale di pioppi delle Tre Fontane . La via Imperiale sarà l ' asse dell ' esposizione , si biforcherà per passare su due ponti il lago , attraverserà il bosco e dalla Porta del Mare filerà lucida e diritta verso Castel Fusano e il lido . Via , lago , bosco : tutto è ancora sulla carta , e laggiù verso mezzodì mi commuove la sorte d ' un bel ciuffo di pini a cupola perché essi sono già realtà . Si tenterà di trasportarli , diciamo così , in vaso . Morranno ? Vivacchieranno estenuati , sostenuti da tre puntelli ? Siamo venuti dentro una baracca a guardare la planimetria a colori dell ' esposizione : opera difficile meditatissima ed equilibrata cui per mesi e mesi ha atteso Marcello Piacentini . Ecco gli edifici che sopravviveranno , ecco le strade , ecco i luoghi di sosta per le automobili , ecco la stazione della ferrovia sotterranea , ecco i giardini , ecco la chiesa , ecco il lago della città futura . Quale altra città avrà un così bel lago , tra sponde di pietra , con un teatro aperto all ' uno dei capi , con una scalinata di marmo bianco e oro da cui l ' acqua scenderà sfavillando ? Meraviglie . Ma questa mattina ho anche meno fantasia del solito . La carta resta carta , il verde non riesce ai miei occhi a diventare bosco , né il turchino acqua . Il gran vuoto fuori della baracca , il cielo altissimo e quasi bianco negli eccelsi , i fischi rauchi delle piccole locomotive , la collinetta col bosco d ' eucalitti , ai nostri piedi le grotte nere aperte , chi sa , da secoli , laggiù quel folto di pini che stanno per morire ; questa solitudine che abbiamo appena cominciato a sconvolgere con metodo inesorabile e che tra un anno sarà irta di bianchi scheletri di case e di palazzi ; questa solitudine che , salvo qualche carrettiere e qualche cacciatore , era inviolata , anzi dimenticata da millenni , ecco quello che m ' attira stamane , soltanto perché non lo rivedrò più . Vivere senza malinconia ... cantava il manovale . Ma no , un poco di malinconia aiuta a vivere . La malinconia non è che l ' ombra della memoria .