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Il giudizio estetico ( Montale Eugenio , 1958 )
StampaQuotidiana ,
Una quarantina d ' anni fa , in un suo dotto e bizzarro libro che non credo abbia destato molte discussioni : La scepsi estetica , il filosofo Giuseppe Rensi si sforzava di dimostrare che il giudizio estetico è sempre soggettivo e non può aspirare all ' assolutezza . Secondo il Rensi , di uno che avesse preferito , supponiamo , Parzanese a Dante , Franz Lehár a Beethoven in nessun modo poteva dirsi che fosse nel falso . Nel mondo dell ' estetica non c ' era verità e errore , ma solo il gusto individuale , sempre vero e inconfutabile . La tesi non fu presa molto sul serio . Teneva allora il campo la filosofia idealistica , per la quale l ' individuo era qualcosa come un felice inganno , una illusione ; e ben pochi si arrischiavano a mettere in dubbio l ' assolutezza del giudizio estetico . Anche in questo settore o spicchio della vita individuale l ' individuo era battuto a favore del super - individuo : lo Spirito Universale . Nemmeno mezzo secolo è passato , e già i filosofi sembrano correre altre vie . Due mesi or sono , a Venezia , in un « simposio di estetica » , l ' insigne storico della filosofia medievale Étienne Gilson affermò che la ragione umana non riesce neppure a sfiorare l ' intimo processo della creazione artistica . La ragione , secondo Gilson , coglie l ' opera d ' arte quand ' esca è fatta , quando è diventata un oggetto , non può coglierla nel suo divenire . Il linguaggio dell ' artista e il linguaggio del critico non sono omogenei . Se lo fossero , il critico dell ' arte pittorica si esprimerebbe dipingendo ; il critico dell ' arte musicale si esprimerebbe scrivendo altra musica ; il che non avviene . L ' arte è dunque creazione di oggetti che prima non esistevano , non è linguaggio o almeno non è linguaggio razionale : mentre la critica , che ha per suo strumento il linguaggio , non è che ricognizione di oggetti già fatti . Caduto il principio dell ' imitazione del vero nelle arti che furono dette figurali o plastiche ( nessuno dei molti intervenuti sembrò porre in dubbio la necessità di questa caduta ) , ne consegue che non può darsi critica razionale dei prodotti di queste arti . L ' arte d ' oggi , in gran parte delle sue manifestazioni , non è dunque giudicabile in alcun modo ; anzi l ' arte non fu giudicabile mai , perché l ' antica critica fondata sul principio della mimesi , dell ' imitazione , non compiva che l ' inventario di una più o meno felice adeguazione al vero , ma restava muta dinanzi all ' ineffabilità dell ' arte . A riprova delle sue idee il Gilson portava il fatto che nel mondo delle arti non ha validità il principio di contraddizione . La scienza evolve , una tesi dimostrata vera elimina la tesi contraria . In arte , di due tesi opposte non avviene che una elida l ' altra . Non potrete mai dimostrare che una canzonetta di Modugno sia inferiore all ' Odissea ; potrete dire che sono due cose diverse . ( Naturalmente , non mi valgo sempre degli stessi termini del Gilson : che non cita Modugno e definisce la figuratività come imagerie ; ma il senso non varia . ) La prima e vera obiezione che potrebbe farsi è che esiste un ' arte : la poesia , la quale si serve della parola e possiede dunque uno strumento omogeneo a quello della critica . Ma il Gilson ha previsto l ' obiezione e ha tentato di smontarla . In realtà , a suo avviso anche la critica della poesia si fonda sull ' apprezzamento della imagerie , cioè sull ' involucro che fa di una poesia un oggetto , ma non coglie il moto irrazionale che sceglie la parola ( quella parola e non un ' altra ) come materia . La critica letteraria si risolve perciò in una storia di contenuti , o tutt ' al più in un ' indicazione di « luoghi » più o meno suggestivi . Il più e il meglio le sfugge : anche la poesia non conosce evoluzione ed evade dal tempo . E a questo punto è opportuno notare quanto il Gilson sia vicino , almeno qui , al pensiero del Croce , che potrebbe sembrare toto coelo diverso . Anche per l ' idealismo crociano non si dà storia della poesia , ma storia di poeti ; anzi qualcuno , portando quel pensiero alle ultime conseguenze , crede che si dia solo storia delle singole opere di poesia , essendo il poeta stesso , come unico autore di opere diverse , un ' astrazione . Come si vede , filosofi di opposte tendenze possono , per diverse vie , proporre la medesima distruzione dell ' individuo . Non so se la tesi del Gilson abbia destato obiezioni . A Venezia tutti sembravano convinti che la distruzione dell ' imagerie nelle arti visive e della tonalità naturale ( ammesso che essa esista ) nella musica sia ormai conquista della quale non può farsi a meno . L ' unica risposta da me letta porta la firma di uno storico dell ' arte medievale , Sergio Bettini , ed è apparsa sulla rivista della Biennale veneziana ( « La Biennale » , gennaio - marzo 1958 ) . Il Bettini non contraddice del tutto il Gilson , ma propone alcune rettifiche o vie d ' uscita . Pensiamo , egli dice , all ' architettura , che Aristotile , e non lui solo , escludeva dal novero delle arti appunto perché essa non si propone l ' imitazione del vero . Oggi tutte le opere d ' arte dovranno essere « lette » come opere architettoniche , prescindendo definitivamente dall ' imagerie che può formarne il pretesto . Se è arte l ' architettura ( e nessuno osa più negarlo ) , se noi possiamo leggerne le opere anche senza tener conto della loro destinazione pratica , così potremo leggere come opere architettoniche anche le più strane pitture tachistes o informali : o anche , aggiungiamo noi , le più strazianti musiche elettroniche . Ma è una lettura , riconosce il Bettini , estremamente difficile , alla quale noi non siamo ancora addestrati . A suo avviso , nell ' arte che ha rinunziato alla mimesi , solo un capello divide il capolavoro dall ' aborto . Compito del critico è di cogliere questa differenza infinitesimale e di indicarla ; ma con quali parole ? Forse solo con una interiezione , un mugolio . Sostanzialmente il Bettini sembra d ' accordo col Gilson nel ritenere che dell ' arte moderna ( e forse d ' ogni arte ) non può farsi utile discorso . II critico d ' oggi non può essere che un rabdomante che con la sua bacchetta tocca qui e tocca là ; ma non ha nessun monopolio del vero . Si può pensare diversamente da lui senza essere imputati di falsità . E qui si torna alle idee del troppo dileggiato ( allora ) Giuseppe Rensi . Un tempo il corso e ricorso delle stesse idee avveniva lentamente , nel giro di secoli . Oggi s ' è fatto rapidissimo . Torniamo un passo addietro . Non dovete credere che questo universale relativismo porti l ' accademico di Francia Étienne Gilson a un pessimismo assoluto . Se la ragione umana ha dei limiti , l ' uomo deve lavorare e agire con gli strumenti di cui dispone . E il Gilson , trasferendosi inopinatamente sul piano dell ' empiria , pensa che studiando le correnti e le modificazioni del gusto individuale si possa disporre le opere d ' arte nel tempo e si possa classificarle secondo criteri di probabile validità estetica . È vero : su un piano strettamente teorico sarà sempre impossibile confutare chi preferisca le sculture di fil di ferro esposte a Venezia alle opere di Michelangelo : chi anteponga alla Gioconda un paio ( stracciato ) di calze di nylon debitamente esposte in cornice . Ma esiste pure , di epoca in epoca , un consenso delle maggioranze , un certo numero di indicazioni collettive che non possiamo trascurare . Si trasformi dunque l ' indagine estetica in uno studio statistico dei gusti e delle « mode » : si fondino a tale intento istituti di ricerca ad hoc ; e forse si potrà individuare qualche norma utile agli artisti e ai profani « consumatori » d ' arte . Ma potranno simili norme sfuggire alle accuse di soggettività che si muovono al giudizio dei singoli ? In verità , questa parte del discorso del Gilson , del resto appena abbozzata , ci sembra singolarmente campata nelle nuvole . Oggi la pietra d ' inciampo delle speculazioni estetiche non è più data dall ' architettura , ma dalla poesia , dall ' arte della parola . La poesia , che per metà è discorso e per metà è altra cosa , è orinai un ' intrusa in considerazioni di questo genere . Lo è , d ' altronde , sempre stata : fin da quando si è parlato della poesia e « delle arti » , unificando e insieme distinguendo . Non è mai avvenuto , nemmeno nelle punte estreme del surrealismo , che un poeta , uno scrittore , rinunciasse del tutto alla raffigurazione , all ' imagerie . Ammettiamo pure che le manifestazioni non figurali delle arti visive abbiano avuto il merito ( o l ' effetto ) di porre in crisi l ' arte figurativa , l ' abbiano resa più che mai difficile : e ammettiamo altresì che da almeno cent ' anni , per la suggestione che le viene dalle altre arti , la poesia stessa si sia fatta sempre meno mimetica , meno rappresentativa . Resta pur sempre la speranza che l ' arte della parola , arte inguaribilmente semantica , presto o tardi faccia sentire il suo contraccolpo anche sulle arti che pretendono di essersi affrancate da ogni obbligo verso l ' identificazione e la rappresentazione del vero .