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Bologna , 2 . È la guerra . Un pezzo di guerra dentro una città ordinata , civile e tranquilla . Un pezzo di guerra che si è abbattuto su questa vecchia stazione attraverso la quale tutti siamo passati , decine di volte , nella nostra vita . E rivederla oggi così sconvolta , invasa dai vigili del fuoco , da infermieri , dai militari , tutti con le mascherine sulla bocca e gli occhi allucinati , faceva male al cuore . « È come in guerra » diceva un poliziotto giovane . E lui che la guerra finora l ' aveva vista solo al cinema , ne viveva imprevedibilmente un atto , e quale atto ! , in questo primo sabato d ' agosto riservato tutt ' al più a qualche incidente stradale dovuto al Grande Esodo . « Trent ' anni di stazione ho fatto » mi sussurra un ferroviere con gli occhiali , alto , anziano , offrendomi una sigaretta con la mano che trema « ma non ho mai visto una cosa simile . Nemmeno in guerra . » Torna sulla bocca di tutti la parola che evoca la strage inutile , incomprensibile . E come in guerra a chi tocca tocca . Tra le vittime ci sono sempre , come nei bollettini dei bombardamenti , tante donne e bambini , perché sono loro i più goffi , impacciati , lenti nel cercare e trovare una via di fuga . Ma poi che via di fuga potevano immaginar di cercare , questi viaggiatori , che nei sottopassaggi e sulla banchina aspettavano un treno che doveva condurli al sole , alle vacanze al mare ? Avevano zaini , pacchi , borse di plastica , valigie zeppe di sandali , costumi da bagno , magliette e jeans , riempite ieri sera in allegria . Ora queste loro povere cose colorate si ammucchiano contro le pareti nell ' atrio della stazione , e questi bagagli sventrati serviranno forse soltanto a facilitare un riconoscimento . E ne viene una pena , un ' amarezza , un dolore acuto , come se ognuno di quegli oggetti ci appartenesse , come se ognuna di quelle vittime sconosciute facesse un po ' parte anche della nostra famiglia . Tutti gli orologi della stazione sono fermi alle 10.25 . È fermo l ' orologio dell ' atrio sopra il tabellone degli arrivi e partenze , oggi inutile , sopra l ' edicola dei giornali chiusa . È fermo l ' orologio esterno sul frontone della stazione dove si fermavano i taxi per scaricare i viaggiatori in partenza . Il piazzale è tenuto sgombro dalla polizia e dall ' esercito . C ' è molta gente dietro le transenne . Ma non c ' è un grido : né un ' invettiva , né una protesta . E ciò che stupisce , e dà una sensazione di irrealtà , è proprio questo silenzio appena rotto dall ' ordine di un medico che chiama una barella per l ' ultimo cadavere estratto dalle macerie . E in silenzio le infermiere corrono chiuse nel loro camice bianco , la mascherina allacciata sul volto , le mani nei guanti gialli di gomma a raccogliere un altro corpo massacrato . Ci gettano sopra rapidamente un lenzuolo , con gesti accorti . Ed è tutto . Qualcuno segna un numero . L ' identificazione avverrà , se sarà possibile , più tardi . Tutt ' intorno , davanti alla stazione , ci sono le ambulanze , è la Croce Viola di Bologna , la Croce Rossa di Modena , ci sono i furgoni bianchi dell ' Associazione Maria Buturini di Barberino di Mugello , del Centro di rianimazione di Parma . Decine di mezzi di soccorso , da tutta la regione e dalle province vicine , si sono concentrati qui , in questo pezzo di guerra , in questo spezzone di trincea , a curare la ferita che si è aperta come una voragine a fianco del binario numero 1 , dove transitano i rapidi Roma - Milano e Milano - Roma . Un ' ala intera della stazione , quella che dall ' ingresso porta a sinistra ai binari 3 , 4 e 5 attraverso i relativi sottopassaggi , è crollata sotto la violenta , inspiegabile esplosione . I pompieri sui loro ponteggi verniciati di rosso si muovono rapidi , sgombrando travi e macerie . Di tanto in tanto , un nuovo crollo solleva polvere e calcinacci . Fa caldo , ormai c ' è un sole a picco . Appoggiate alle biciclette , ragazze in vestiti leggeri , giovani in canottiera , uomini anziani , osservano senza parlare il trasporto dei cadaveri sulle barelle . Di una donna si vedono solo i piedi nelle scarpe di gomma e le caviglie gonfie . « Doveva essere vecchia » mormora qualcuno al mio fianco . E lo dice con tenerezza . I cadaveri vengono caricati su un autobus che ha ancora la sua brava targa in vista . È il numero 37 . Ai finestrini sono stati stesi teli bianchi . Un domenicano sta fermo davanti al predellino e , mano a mano che arrivano , dà l ' assoluzione « sotto condizione » a quelle povere salme . Il tempo passa rapido ma interminabile . Sulla città è scesa un ' afa pesante . Però la gente non si allontana dal piazzale della stazione . Anzi , altra gente arriva e si ferma senza parlare . E , sotto i loro occhi , continua a svolgersi il rito delle barelle chiamate di corsa , caricate di un corpo avvolto in un lenzuolo , depositate nell ' autobus numero 37 . « Forse adesso arriva Pertini » dice qualcuno . Un altro commenta : « La guerra civile è la peggiore di tutte le guerre » . Il cielo è quasi grigio . La città è come ferma , attonita , silenziosa . Per arrivare alla stazione ho attraversato lunghe strade vuote . Dai muri , un manifesto annuncia per domani uno show di Renato Zero . Bar e negozi chiusi . Forse soltanto perché è sabato pomeriggio , ma forse anche perché la città è già naturalmente in lutto . Comunque , appare così a chi arriva . Mentre le ore passano , una disperata stanchezza sembra scendere sulle ragazze vestite di bianco , i pompieri , i poliziotti , i soldati , i ferrovieri che hanno occupato da stamattina la stazione . Il piccolo domenicano che assolve si asciuga il sudore della fronte e non vuol dire il suo nome . Ma c ' è su queste facce stanche anche una straordinaria compostezza , il rifiuto ad abbandonarsi a gesti di nervosismo e di isteria . La stessa compostezza si legge sui volti della gente che continua ad ammassarsi contro le transenne senza premere , senza protestare , senza gridare . Questa compostezza , quest ' ordine , questa severità , questa stanchezza controllata , sembrano il connotato essenziale della città . È come se tutti camminassero un po ' in punta di piedi , come se tutti parlassero a bassa voce . Non solo e non tanto perché ci sono questi morti da estrarre e seppellire , ma come per voler riflettere su se stessi , sulla propria storia , sul proprio particolare di essere . E questi morti forniscono all ' esame di coscienza un ulteriore elemento di riflessione . « Dio , quante cose son successe in questi anni » confessa , quasi a se stessa , una donna anziana . Nessuno crede all ' incidente . La tragedia viene vissuta fino in fondo come una tragedia politica , come un ulteriore prezzo che la città paga a un ' aggressione di cui non sono chiari né l ' origine e né il fine . E questa oscurità genera nuova sofferenza . « Una volta » dice uno « sapevamo chi era il nemico » . Una volta . Quando c ' era la guerra vera . Si combatteva e si moriva anche allora , ma era un ' altra cosa , faccia a faccia , ognuno lealmente sotto la sua bandiera . Ora la città ha l ' impressione di essere obiettivo di un nemico invisibile e imprendibile , come in un ' allucinazione . E per difendersi , la gente non sa che fare se non stringersi l ' uno con l ' altro , come dietro quelle transenne , aspettando che arrivi Pertini , in silenzio e in dignità . Così è Bologna in queste ore . Da un muro , un manifesto che ricorda la strage dell ' Italicus sembra l ' unico grido di protesta . E se anche la tragedia di oggi avesse quel segno ? Ma che segno aveva esattamente la tragedia dell ' Italicus ?