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CRIMINE E PUNIZIONE ( Abbagnano Nicola , 1966 )
StampaQuotidiana ,
Ad ogni crimine particolarmente crudele , a ogni fenomeno delittuoso che si ripeta con insolita frequenza o gravità , l ' opinione pubblica di tutto il mondo reagisce chiedendo l ' aggravamento delle pene corrispondenti . Si tratta di una reazione naturale , perché la società e i singoli individui che la compongono si sentono minacciati da quei fenomeni nella loro sicurezza e nella base stessa della loro coesistenza . Ma è una reazione che dà per scontato che basti l ' aggravamento della pena per impedire il ripetersi o l ' aggravarsi dei crimini ; ed è questa una credenza tutt ' altro che naturale perché si fonda su una determinata teoria filosofica della punizione . La filosofia morale e giuridica ha sempre dibattuto e dibatte oggi con maggiore frequenza e vivacità il problema del fondamento o della giustificazione della punizione , problema che , nella forma più generale , si può esprimere dicendo : Su che cosa si fonda il diritto di punire ? La risposta a questo problema consiste nello specificare il fine che la punizione deve raggiungere . E questo fine può essere specificato in tre modi diversi . In primo luogo , si può ritenere che la pena ha lo scopo di restituire l ' integrità dell ' ordine morale offeso o violato dal crimine , di ripristinare nella coscienza del reo , come degli altri , la maestà o la sacralità della legge lesa . Nella terminologia contemporanea , questo è detto il concetto remunerativo della pena . In secondo luogo , la pena può avere per scopo l ' emendamento o la salvezza del reo , cioè la sua rieducazione al rispetto della legge . Questo si chiama il concetto emendativo o curativo della pena . In terzo luogo , la pena può avere lo scopo di difendere la società , sia prevenendo il reato con il timore che essa ispira , sia mettendo il reo nell ' impossibilità di nuocere ulteriormente . Questo si chiama il concetto utilitario della pena perché è stato per la prima volta introdotto e difeso da filosofi utilitaristi ( Beccaria , Bentham ) . Questi tre concetti , per quanto abbiano basi teoretiche diverse , sono spesso utilizzati in modo misto o confuso , sia da filosofi o giuristi che discutono il fondamento della pena , sia dai sistemi penali vigenti che spesso si ispirano indiscriminatamente a più d ' uno di essi . Ma le discussioni recenti hanno mostrato che essi sono tra loro incompatibili e che conducono a conseguenze diverse soprattutto nella determinazione della misura della pena . La teoria remunerativa della punizione deriva dal presupposto che esiste nel mondo una legge universale di giustizia la quale esige che chi ha inflitto ad altri un danno qualsiasi debba subirlo nella stessa misura . Kant conduceva sino al paradosso questo concetto , affermando che anche quando la società civile si dissolvesse con il consenso di tutti i suoi membri , dovrebbe prima giustiziare l ' ultimo assassino che si trovasse in prigione . t chiaro che da questo punto di vista la somministrazione della pena dovrebbe rispondere alla regola dell ' occhio per occhio , dente per dente ed escluderebbe ogni possibilità di considerare le circostanze che possono aggravare o attenuare la colpa del reo . La misura della pena sarebbe stabilita una volta per tutte e non sarebbe suscettibile di essere aumentata o diminuita , perché sarebbe determinata unicamente dall ' entità dell ' offesa ... Dall ' altro lato , la concezione terapeutica della punizione , che ha nobili precedenti perché si può trovare esposta nel Gorgia di Platone , sembra negare ogni proporzione oggettiva tra il reato e la pena . Se la pena è come la purga , che deve purificare il reo dalle scorie del male , essa è tanto più efficace quanto più è forte , indipendentemente dalla colpa commessa . E perché non infliggere punizioni a tempo indeterminato cioè sino al ravvedimento del reo e che durino ( per una colpa qualsiasi ) anche tutta la vita , se egli non si ravvede ? Il concetto curativo della pena è oggi sostenuto da moralisti , psicanalisti e filantropi che vorrebbero abolito , nei confronti del reo , ogni atteggiamento di condanna o di indignazione affinché egli sia considerato soltanto come un malato da curare . E a un malato non c ' è nulla da rimproverare né da perdonare come non c ' è nulla da rimproverare o perdonare a chi agisce sotto l ' azione di una droga o dell ' ipnosi . Dall ' altro lato , non manca chi vede in questo concetto un magnifico pretesto per giustificare l ' azione di qualsiasi governo assolutista del tipo di quello descritto da Orwell nel 1984 . Per mandare una persona a « curarsi » ( cioè per toglierla dalla circolazione ) non è necessario che essa si dimostri delinquente o malvagia : basta che sia considerata « malata » cioè che non si adegui alle regole imposte dal governo . In ogni caso , da questo punto di vista , non soltanto la pena non può essere commisurata all ' offesa , ma , strettamente parlando , non esiste neppure una « pena » ; esiste una « cura » che , nonostante la sua apparenza filantropica , può prestarsi a tutti gli arbitri . A queste difficoltà si sottrae il terzo concetto della pena , quello che la considera come uno strumento di difesa della società civile . Cesare Beccaria esprimeva con una formula aurea questo concetto quando affermava : « Le pene che oltrepassano la necessità di conservare il deposito della salute pubblica sono ingiuste di loro natura » ( Dei delitti e delle pene , par . 2 ) . La dannosità che un ' azione comporta per la società è , come già riconosceva Hegel , la sola possibile misura per l ' entità della pena . Ma Hegel osservava anche ( e giustamente ) che questa misura è variabile in rapporto alla situazione storica della società stessa . La gravità della pena non può essere stabilita una volta per tutte , in rapporto al danno o all ' offesa cui essa corrisponde , né può essere stabilita in rapporto alla « malvagità » del delinquente o , se si preferisce , alla « malattia » di cui è affetto . Le circostanze storiche possono rendere opportuno o indispensabile l ' aggravamento di pena per reati considerati comunemente « minori » e una diminuzione di pena per reati « maggiori » . « Un codice penale » diceva Hegel « appartiene particolarmente al suo tempo e alla situazione della società civile nel tempo » . L questo indubbiamente il concetto della punizione cui implicitamente si fa appello quando , in certe circostanze , l ' opinione pubblica o i politici o i giuristi e gli stessi legislatori chiedono per certi reati l ' aggravamento o la diminuzione della pena . Non avrebbe senso infatti una modificazione qualsiasi della pena se questa dovesse corrispondere sempre esattamente al danno che il reo ha inflitto ad altri : d ' altra parte , non avrebbe senso il prolungamento della cura dei singoli nel caso di una epidemia o l ' abbreviazione di essa nei casi isolati . L ' atteggiamento dell ' opinione pubblica nei confronti dei crimini che per la loro gravità o per la loro frequenza la colpiscono in modo particolare è determinato , sia pure inconsciamente , dal senso della pericolosità che un crimine assume nelle situazioni che si ripetono con una certa frequenza in un periodo o in una fase della società civile . Certamente questo atteggiamento , forse proprio per la sua motivazione inconscia , è più emotivo che razionale e l ' emozione non è una buona guida in simili faccende . Un calcolo , per quanto possibile esatto , degli effetti che un aumento di pena può avere , a lunga scadenza , sulla frequenza e la gravità dei crimini , è indispensabile e questo calcolo può essere fondato soltanto su dati psicologici e sociologici , su statistiche e su previsioni probabili . Ed è da tener presente , a questo proposito , un ' avvertenza di Cesare Beccaria che troppo spesso viene ignorata e cioè che « la certezza di un castigo , benché moderato , farà sempre una maggiore impressione che non il timore di un altro più terribile , unito con la speranza dell ' impunità » . Pene terrificanti , ma inapplicate o inapplicabili , non hanno alcun effetto deterrente e non costituiscono una difesa efficace della società e dei suoi membri . Pene minime , ma certe e adeguate al danno che un reato può arrecare alla società civile in una certa situazione , sono le più efficaci . La misura , dicevano gli antichi saggi , è l ' ottima fra le cose ; ma è anche la più difficile . E nella nostra società così complessa , nella quale una quantità di fattori , talora imprevisti , entrano continuamente in azione , la misura della punizione non può essere fornita da concezioni antiquate , da vecchie tavole di leggi , da vaghe aspirazioni umanitarie , ma solo da indagini precise , illuminate da una valida teoria .