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La bandiera tricolore ( Jemolo Arturo Carlo , 1961 )
StampaQuotidiana ,
Mi ha commosso la lettera dei monarchici piemontesi che vorrebbero esporre la bandiera il 17 marzo ( il diciassette , non il 27; è del 17 marzo la legge con cui Vittorio Emanuele assume per sé e successori il titolo di re d ' Italia ) , ma a condizione che il drappo recasse lo stemma sabaudo . Mi auguro che la loro richiesta sia accolta ; vi scorgerei soprattutto la tranquilla coscienza di una repubblica che non ha ancora quindici anni di vita , ma che sembra ormai alla quasi totalità degl ' italiani la sola forma statale concepibile , sì che se molti altri ritorni del passato sono da temere , quello al capo dello Stato che è tale solo perché appartiene ad una certa famiglia , sia tra i più impensabili . Se nutro scarsa simpatia per certi monarchici , più persuasi che mai che la monarchia non ritornerà , senza nessun legame con la tradizione sabauda , senza nessun desiderio di provocare crisi di regime , ma che costruiscono piccoli partiti con lo stesso accorgimento con cui in seno alle grandi anonime si possono creare gruppi omogenei , che possedendo un dieci per cento , anche meno , delle azioni , possono negoziare un apporto decisivo nelle assemblee - questi monarchici piemontesi , tutti volti ancora alle glorie sabaude , oltre Vittorio Emanuele II a Vittorio Amedeo , ad Emanuele Filiberto , mi sono veramente simpatici . Così come a Croce finivano di essere cari gli ultimi nostalgici borbonici , e recensiva con qualche compiacimento un dimenticato romanzo di Amilcare Lauria , che raffigurava due antichi ufficiali di Ferdinando II , mai riconciliati con l ' Italia , ma che si entusiasmavano e commuovevano leggendo sui giornali degli eroismi e dei sacrifici italiani nello scontro di Dogali . In un mondo ove tutti guardano all ' avvenire e dimenticano ciò ch ' è alle spalle ( salvo per la piccola parte in cui glorie o rancori siano ancora merce utilizzabile ) , ove il disinteresse delle masse per la storia è generale , a chi ritiene che questo disinteresse sia imbarbarimento non può dispiacere certo tenace attaccamento al passato . Il tricolore ! Quando io nascevo c ' erano ancora , particolarmente a Roma e nell ' antico Stato pontificio , delle famiglie che lo rifiutavano ; in certi palazzi dell ' aristocrazia nera non apparve che con 1'11 febbraio 1929; in altri una prima timida apparizione l ' aveva fatta nel 1915 . Nella stessa Torino del cinquantenario sembrava grosso ardimento che qualche istituto religioso , dinanzi alle cui finestre sfilavano cortei , l ' inalberasse . Ma nessun confronto con ciò ch ' era seguito in Francia , dove per un buon secolo , fino alla prima guerra mondiale , erano rimasti tenaci gli astii contro il tricolore ; dove ancora intorno al 1890 vecchie damigelle chiuse negli aviti castelli di provincia guardavano con sbigottimento i nipoti che militavano sotto il tricolore ; il conte di Chambord aveva rinunciato al trono piuttosto che accettarlo ; nella striscia rossa del suo drappo aristocratici e legittimisti scorgevano ancora tutto il sangue versato dalla Rivoluzione francese . In Italia è apparso segno di convergenza ; quando ancora non era ammesso in chiesa e nelle processioni , i circoli cattolici adornavano con nastri tricolori i loro stendardi bianchi od azzurri ; il partito comunista lo accettò senza esitare , sia pure affiancato alla bandiera rossa del proletariato mondiale . Il fascismo ebbe senso politico sufficiente per comprendere che non era il caso di modificare la bandiera ; nello stemma dello Stato furono inseriti i fasci littori ; la bandiera rimase inalterata . Si sovvertivano tutte le istituzioni , l ' eredità risorgimentale era tutta dispersa , ma si avvertiva che nei cuori degl ' italiani ancora viveva , che occorreva celare quanto possibile quella dispersione , almeno agli occhi dei semplici , non toccare ai simboli . Saggiamente la Repubblica non appose sul tricolore né berretti frigi , né croci , né spade , né libri , né falci ; volle fosse la bandiera di tutti . E tale deve restare ; la concessione che auspico è per un giorno di rievocazione del passato ; non dovrebbe aprire la via all ' uso di due bandiere . Certo , non è una bandiera , non un simbolo , che può attenuare le divisioni profonde , il modo radicalmente diverso di guardare alle mète da raggiungere , al nuovo assetto che ci si deve proporre . Un abbraccio in un giorno di festa non elimina questi distacchi . Può solo giovare a ricordare , anche ai più remoti da ogni senso nazionalista , anche a chi si sente cittadino del mondo , la realtà di questa famiglia italiana , che ha suoi problemi , sue solidarietà ( Torino avverte più che mai , attraverso l ' intensa immigrazione , come i mali di altre regioni assurgano a mali nazionali , come certi germi infetti allignino più prosperosi in un tessuto più ricco : ingenua e fallace speranza , quella che basti il benessere economico a stroncare certe malattie sociali ) . Anche il cittadino del mondo che sia uomo di buona volontà comincerà a cercar di fare il bene tra coloro cui è vicino , di ripulire il giardinetto della sua casa . Non si risolve alcun problema con abbracci e con oblii ; occorre però ben distinguere le nostalgie cui non possiamo aderire ma che non recano in sé alcun pericolo per l ' indomani , da correnti d ' idee gravide di minacce , soprattutto da quei movimenti irrazionalistici , fondati sul culto della razza o del sangue , sulla esaltazione della violenza , suscettibili di minare il mondo della ragione , del lavoro pacifico , che ci sforziamo di edificare . Mi sembra che la Repubblica abbia dato segno di non essere afflitta dai complessi d ' inferiorità , dai timori senza perché , che troppa parte hanno avuto ed hanno nella trama della vita italiana , non volendo dimenticare nelle manifestazioni , nei discorsi del centenario , l ' apporto che diede la monarchia alla formazione della unità . I sintetici ed equilibrati articoli di Salvatorelli hanno rappresentato il giusto terreno su cui ci si deve porre . I riconoscimenti del passato non possono avere alcun peso sulla realtà del presente e dell ' avvenire . Tanto più , come nel caso , quando non danno vita a miti ; se Napoleone ed in una certa misura anche Luigi XIV possono essere ombre che oltr ' Alpe déstino qualche apprensione , è perché il predominio del potere militare , la divinizzazione di un uomo , l ' accentramento dello Stato nelle mani di uno solo , costituiscono pericoli sempre incombenti . La figura del Re Galantuomo non può essere invocata a dare lustro ad alcuna concezione illiberale , ad approntare giustificazioni storiche a qualsiasi colpo di mano ai danni della legalità democratica . Per questo , mi auguro che sia concesso ai monarchici piemontesi , per la celebrazione torinese del centenario , quel che domandano .