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Trattare con l'imputato Milosevic ( Rodotà Stefano , 1999 )
StampaQuotidiana ,
È accettabile una conclusione " non etica " di una guerra " etica " ? Questo interrogativo era già nell ' aria dal momento in cui s ' era definito Milosevic come l ' Hitler dei Balcani . Ed era divenuto più stringente dopo la sua incriminazione per crimini di guerra e contro l ' umanità : si temeva proprio che questo fatto avrebbe reso più difficile , o addirittura impossibile , una conclusione negoziata del conflitto . Si può , infatti trattare con un criminale ? La trattativa sembrava così impigliarsi in un vincolo etico e in un ostacolo giuridico . Ma poi la politica ha fatto sentire forte la sua voce , e la desiderata pace sembra ormai a portata di mano . Tutto semplice , dunque , con la politica che riafferma la sua autonomia dalla morale e la sua superiorità sul diritto ? Anche questa volta bisogna diffidare dalle semplificazioni , dalla voglia di voltare in fretta una pagina sgradevole . La guerra serba lascia sul terreno morti e distruzioni , ma pure problemi aperti , domande in cerca di risposta , che condizioneranno negli anni a venire le forme organizzative del mondo , il destino dei diritti , le sorti della guerra e della pace . Ritorniamo al modo in cui la guerra venne avviata , nel quale si potrebbe essere indotti a ritrovare una logica opposta a quella che sta portando alla sua conclusione . Allora l ' esigenza etica di reagire alla pulizia etnica e l ' affermazione del diritto di ingerenza umanitaria presentavano la politica non nella sua orgogliosa autonomia , ma nelle sembianze dell ' ancella della morale e del diritto . Prima ancora d ' una necessità politica , era l ' imperativo etico e giuridico ad imporre il ricorso alle armi . Subito , però , divennero evidenti le contraddizioni e i limiti dell ' argomento etico e di quello giuridico . Può l ' etica accettare il sacrificio dei civili innocenti ? Può il diritto tramutarsi in indifferenza rispetto al modo in cui i poteri vengono esercitati ? L ' etica impone anche misura , proporzione : più i giorni passavano , più si coglieva lo scarto tra l ' azione bellica e i sacrifici imposti a popolazioni incolpevoli , gli stessi serbi e i kosovari più di prima perseguitati e scacciati . Il diritto è regola , stabilita in anticipo : il " diritto d ' ingerenza umanitaria " che si stava faticosamente costruendo , esige una precisa e preventiva individuazione di chi può esercitarlo , non può mai essere inteso come una sorta di delega in bianco rilasciata a Stati o alleanze perché intervengano dove e quando gli piaccia . Così , dietro lo schermo etico e giuridico ricomparivano , nude , la forza e la spietatezza della politica . Proprio per ricostruire un ' accettabile condizione etica e giuridica , allora , diveniva indispensabile giungere alla conclusione della guerra . Di una superiorità morale della pace hanno parlato tutti i filosofi che si sono cimentati nell ' impresa ardua di dare ad essa una fondazione che potesse farla divenire " perpetua " . Ma , al di là dell ' intima forza di questo principio , vi è un ' urgenza nelle cose che impone di non legare alla vicenda personale di un governante l ' umana sorte di milioni di persone , già destinate e vivere per un tempo non breve in condizioni difficili , in territori devastati e con un ' economia distrutta . Un ' implacabile intransigenza morale avrebbe di nuovo portato a quella mancanza di misura e di proporzionalità che mina la forza dell ' argomento etico . Negare ogni legittimità alla trattativa con Milosevic avrebbe portato ad una situazione nella quale l ' unica via d ' uscita sarebbe stata l ' uccisione del tiranno . Ma trattare non significa assolvere o condonare . Non sto postulando l ' indifferenza della politica rispetto alle regole del diritto ed alle esigenze della morale . Voglio più semplicemente dire che bisogna ritrovare lucidità nel ridefinire le relazioni tra queste diverse sfere , oscurate dalla strumentalità e dall ' approssimazione con cui sono state analizzate in questo drammatico periodo . l ' interlocutore Milosevic rimane l ' imputato Milosevic davanti al Tribunale penale internazionale . Comprendo la difficoltà di accettare questa distinzione , e anche il rischio che ad essa venga rivolta una critica di scarso realismo . Ma queste sono le difficoltà obiettive di una situazione in cui le nuove dimensioni del mondo sfidano le logiche tradizionali , mostrano l ' inadeguatezza di vecchie istituzioni e di vecchi concetti , e la fatica con la quale si cerca di costruire un quadro istituzionale adeguato . Al Tribunale penale internazionale spetta ora il difficile compito di agire con imparzialità , di scrollarsi di dosso il sospetto d ' essere il troppo docile strumento d ' una parte politica . Non è un tribunale dei vincitori , davanti al quale vengono trascinati in catene gli sconfitti . Agisce nel fuoco dei conflitti , e quindi è destinato a fare i conti con le difficoltà di svolgere i processi e soprattutto di far eseguire le condanne , per ragioni che sono tutte dipendenti dalla politica . Si può imprigionare un capo di Stato ? Stiamo così ridefinendo , insieme , le modalità della politica , le regole del diritto , lo spazio dell ' etica . Non ci aggiriamo , soltanto , smarriti , lungo gli incerti confini tra diritto e morale . è pure alla politica , a lungo invocata durante il conflitto serbo come unica alternativa alle armi , che bisogna attribuire un ruolo adeguato , non essendo ormai sufficiente fermarsi all ' affermazione della sua autonomia come irrinunciabile lascito della modernità . Dobbiamo sicuramente guardarci da una politica sottomessa all ' etica in modo da farne puro strumento per imporre valori non condivisi , opprimendo così minoranze e dissenzienti . Ma dobbiamo pure guardarci da una politica ridotta a ragion di Stato , per la quale ogni regola giuridica è impaccio , di cui è legittimo liberarsi . l ' esigenza di legalità è ineliminabile , a livello nazionale e sovranazionale . La guerra in Serbia ha mostrato la debolezza delle istituzioni esistenti , ma non ha smentito , anzi ha reso più urgente e drammatica , la ricerca di una nuova " forma costituzionale " del mondo . Si tratta ora di definire come debba svolgersi questo processo , e chi debba esserne protagonista . Tra le molte definizioni di quest ' ultima guerra , una mi è sembrata particolarmente felice , e inquietante . Si è parlato di guerra " costituente " , così sottolineando come il potere di delineare l ' assetto futuro della comunità internazionale sia sfuggito ai luoghi della democrazia e si sia concentrato in quelli della forza . Proprio a questa deriva bisogna sottrarsi , partendo anche dalla constatazione realistica della debolezza delle istituzioni esistenti , di un ' Onu che sembra al tramonto e di un ' Europa che fatica a manifestarsi . Al tempo stesso , però , non ci si può rifugiare negli schemi che hanno accompagnato altri tempi e altri mondi . Proprio nel momento in cui con violenza tornano a manifestarsi i nazionalismi , non bisogna pensare che di nuovo si sia vincolati dalle logiche della sovranità nazionale . La parabola di questo concetto , così lucidamente investigata da Hans Kelsen già al tempo della prima guerra mondiale , sembra avviarsi verso la sua conclusione . Le dimensioni del mondo non possono più essere chiuse in confini nazionali , anche se continueranno ad essere insidiate da ricorrenti " tribalizzazioni " . Questo vuol dire che a nessuno Stato - nazione può essere attribuito un diritto di vita o di morte sui destini di chiunque . Ma vuol dire anche che dobbiamo contrastare le pretese tribali ed etniche , quando vestono impropriamente i panni di uno dei nuovi diritti collettivi , quello all ' autodeterminazione dei popoli . Si negherebbe , altrimenti , il pluralismo , ritenuto ormai un valore irrinunciabile . Come all ' interno delle comunità nazionali , così nella dimensione internazionale , dobbiamo rifiutare la logica dei ghetti , che produce separazione e distanza dall ' altro , e dunque è terribile matrice di nuovi conflitti .