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« Tu sai che sono sotto minaccia di un gravissimo danno ? Il 1° novembre debbo presentarmi al distretto militare . Pensi tu alla terribilità del mio caso ? Diciotto mesi di caserma ? I1 suicidio sicuro . » Con quest ' animo Gabriele D ' Annunzio partiva soldato a ventisei anni . Classe 1863 , ma iscritto a un ' università del regno ( che non frequentò mai ) , gli spettava il rinvio , ma ora , come succede spesso in questi casi , d ' improvviso , con terrore , vedeva dinanzi a sé un anno ( e non diciotto mesi ) di vita militare . Scelse la cavalleria , e lo destinarono al l4° , che alla fine del 1889 stava accantonato a Roma , nella caserma del Macao . Ma in caserma non stette molto , perché quasi subito lo mandarono all ' ospedale per una crisi di nevrastenia . A ventisei anni era uno scrittore già celebre , aveva appena pubblicato Il piacere , apparteneva alla cerchia della « Cronaca bizantina » , e così gli ufficiali medici non digiuni di lettere ebbero per lui più di una premura : licenze , permessi serali , l ' uso di una camera tutta per sé . Dimesso , raggiunse il 14° quando già il reggimento era tornato alla sua sede , Faenza , ma anche lì fu l ' ospedale , stavolta per le febbri malariche . Sugli esami per la nomina a sottotenente i biografi sono vaghi e contraddittori ; sappiamo che ebbe diciassette ventesimi in composizione italiana , e che il colonnello , bontà sua , lo incoraggiò a continuare per quella strada . Non sappiamo invece se e come superò le altre prove . Una cosa è però certa , che non fece mai il servizio di prima nomina , e che nell ' ottobre del 1890 era in congedo illimitato . La divisa dell ' ufficiale la indossò venticinque anni più tardi , rientrando in trionfo dal nono glorioso « esilio » parigino . L ' orazione di Quarto , le accoglienze entusiastiche delle folle italiane , gli attacchi a Giolitti , che voleva la neutralità , Gabriele D ' Annunzio s ' era subito fatto portavoce di quella agguerrita e vociona minoranza che - così parve a molti - in quel maggio 1915 prevalse , dalla piazza , sulla volontà generale del Paese . Ora il dado era tratto , ed egli indossava la divisa dei lancieri di Novara . Una disposizione speciale superava l ' ostacolo della scarsa statura ( 1,64 comprese le scarpe ) insufficiente per la « cavalleria pesante » . Cappotto d ' ordinanza , berretto d ' ordinanza , gambali d ' ordinanza , il tenente Gabriele D ' Annunzio , di anni cinquantadue , credeva sinceramente d ' essere un soldato qualunque . Una sera di fine maggio , congedandosi dagli amici dopo una cena , concludeva : « Ecco l ' alba , compagni , ecco la diana , e fra poco sarà l ' aurora . Abbracciamoci e prendiamo commiato » . Così partì . Ma non fu un soldato qualunque , e non poteva esserlo . Si sistemò a Venezia , sul Canal Grande , nella « casetta rossa » , proprietà d ' un suddito tedesco , il conte Hohenlohe , dove conduceva la sua solita splendida vita , dispendiosissima . Non gli sarebbero bastate 7000 lire al mese , gli scriveva Albertini , esortandolo a scrivere di più per il Corriere , « Dove si trovano settemila lire al mese quando produci poco o nulla ? Canta ! Produci ! Lavora ! » . E lui di rimando : « Sì , dopo la cantata , tenderò il cappello , come i canterini girovaghi , e pioveranno le palanche » . In attesa delle palanche sognava l ' azione . Il 20luglio , anniversario di Lissa , una squadra navale italiana avrebbe dovuto incrociare a dimostrazione nelle acque di Pola , e il tenente dei lancieri chiese d ' essere della partita . Ma al comando non gli diedero molto ascolto , fecero un mucchio di difficoltà , e lui non partì . Infuriato scrisse a Calandra in persona : « Stamani , poiché m ' hanno impedito di andare a svegliare la triste Trieste con l ' avvertimento e col grido italiano , stamani io ho perduto alcuni minuti di vita sublime » . Si mossero subito le alte sfere , intervenne addirittura il generale Cadorna , e da quel momento Gabriele fu libero di far la guerra dove e come volesse : sulla terra , sul mare ma soprattutto nel cielo . Se in quella guerra non fu il solo privilegiato , fu certamente lui il maggiore , il primo . Diede anzi l ' esempio più cospicuo di quell ' arditismo che gli alti comandi favorirono , convinti che fosse una trovata tattica . La Prima guerra mondiale ha avuto ben pochi comandanti di grande immaginazione strategica . Sul fronte italiano ( come su quello francese dopo la Marna , del resto ) tutto si ridusse alla « guerra di logoramento » , una continua macina di vite umane , dall ' una all ' altra parte , fino a che non soccombesse per estinzione la meno forte , la meno numerosa . Per rimediare , sprovvisti com ' erano di un vero « pensiero » strategico , i generali ricorsero alla tattica dei « colpi di mano » . Così in Italia nacquero i reparti degli arditi : truppe sceltissime , libere da ogni altro servizio e dai gravosi turni di trincea , con vestiario , armamento , paga e altri vantaggi eccezionali , giungevano in linea solo quando ce n ' era bisogno , compivano la rapida missione e tornavano nelle retrovie . Tutti bei giovani spavaldi , questi professionisti del « colpo di mano » tenevano , in servizio e fuori , un contegno che possiamo definire dilettantesco , artistico . Spregiavano la disciplina , sbeffeggiavano sia i poveri fantaccini che i pezzi grossi , i papaveri della burocrazia , prima militare e poi politica . Obbedivano soltanto al superiore diretto . Si sentivano parte di un ' aristocrazia , e non soltanto militare . Finita la guerra diventeranno quasi tutti fascisti , ma del fascismo saranno l ' ala più turbolenta , più riottosa , più anarcoide . Il fascismo non vedrà l ' ora di sbarazzarsene , in qualunque modo , anche comprandone l ' inazione . D ' Annunzio era dei loro , il più grosso . Dopo tanto indugiare , ecco improvviso il battesimo del fuoco , il 7 di agosto , su un biposto pilotato dall ' eroico Giuseppe Miraglia . Cominciavano appena allora a usare gli aerei per il bombardamento tattico , e infatti fu poco l ' esplosivo buttato sull ' arsenale , ma molte le bandierine tricolori , e i messaggi . Due idrovolanti austriaci si levarono per intercettarli , ma tutto andò liscio , anzi Gabriele , inebriato da quel suo primo volo , annotava sul diario di bordo due versi della Vispa Teresa : « Vivendo , volando , che male ti fo ? » . E invece sognava la morte , purché fosse una morte ilare , bella e giovane , come un amplesso definitivo . Non a caso scritti , imprese guerresche e amori si accavallano e si intricano più che mai in questi anni di guerra . D ' un suo convegno amoroso parla così : « Ha ventisette anni , è nel culmine della giovinezza , quando la prima fame è sazia e cominciano gli indugi sul sapore . Ha ventisette anni , e non s ' avvede che questa assodata giovinezza è ingiustizia e ingiuria a me . Per avere ventisette anni darei il libro di Alcyone . E insiste , col tono dello scialacquatore un po ' trattenuto : « Che darei per avere ventisette anni ! Anche Laus vitae anche Alcyone anche Forse che sì forse che no » . Come se lo tormentasse il presagio di una morte vecchia e turpe . « Oggi a cavallo , avevo non so che senso giovanile del mio corpo . Ma là , nella fotografia di ieri , nella istantanea spietata , sono già vecchio . » Ecco perché la morte eroica dei suoi amici , dei suoi compagni d ' ardimento - Giuseppe Miraglia , Gino Allegri , Giovanni Randaccio - non è soltanto un grosso dolore , ma anche un ' occasione per contemplare la propria morte , idealizzandola : « Così la morte non era più di un passaggio fra due luci , ma era la congiunzione chiara di due luci . Tale fu poi per me da quel punto » . Dopo di lui la retorica della morte , la retorica del teschio e delle tibie incrociate , ha funestato l ' Italia . Ma la retorica è venuta dopo . Quando cantava , dei compagni di Buccali , « siamo trenta d ' una sorte , e trentuno con la morte , eia , l ' ultima , alalà ! » , Gabriele era sincero . In guerra rischiò seriamente la vita ; e forse il destino suo fu tragico proprio perché la morte gli toccò vecchia e turpe e dorata , nel mausoleo di Gardone . Persino la sua maggior ferita in guerra fu per un banale incidente di volo . Il 16 gennaio l ' aereo pilotato dal tenente di vascello Bologna dovette per il maltempo tornare indietro , e scendere sul mare di Grado , ma per un errore di visuale ( l ' acqua sotto il sole fece specchio ) ammarò troppo bruscamente , e Gabriele andò a sbattere la testa contro la mitragliatrice di prua . Il sangue fu poco , ma la lesione interna gravissima . Quando finalmente il poeta , tutto preso com ' era da un giro di conferenze e di serate benefiche in Lombardia , lasciò che i maggiori oculisti italiani lo visitassero , si vide che s ' era staccata la retina dell ' occhio destro , e che l ' occhio s ' era perduto . Indispensabile che per parecchie settimane restasse a riposo completo , a letto , nella camera buia . Al buio , appunto , scrisse il Notturno . Gli era giunta intanto la prima medaglia d ' argento e a settembre poteva riprendere a volare . « Ora io sarei contento » , scriveva all ' Albertini , « che questa mia rientrata in servizio attivo fosse annunziata ; per varie ragioni , tra le quali questo nuovo titolo alla mia promozione - della m ' infischio , come sai . Ma i miei amici zelanti si meravigliano , poiché Guglielmo Marroni da tenente è passato maggiore senza mai essere stato al fuoco . » Gli amici zelanti ci entrano poco , e non era vero che lui se ne infischiasse . Al contrario , non l ' abbandonò mai questa ambizione un po ' puerile e patetica di avere , come si diceva ambiguamente nel gergo degli ufficiali di carriera , « un bel petto » . Al fido Tom Antongini scriveva , per esempio : « Ora il ministro della Guerra è Lyautey , che mi conosce bene . Forse è più facile parlare di quella famosa Croce » . E ancora , sempre all ' Antongini : « A proposito , m ' era stata annunziata la medaglia d ' oro « serba » - che tanti hanno avuto - e l ' ordine di Leopoldo « belga » . Ne sai nulla ? » . Ora , il re dei belgi aveva altre gatte da pelare . Il re dei serbi era in fuga sopra un carro tirato da buoi , fra colonne di dispersi e fuggiaschi , e cercava di raggiungere la costa adriatica , dove si sarebbe imbarcato su una nave da guerra italiana . Ma la Croix de Guerre l ' ebbe , ed anche la britannica Military Cross . In quanto all ' Italia , gli diedero tutto quel che consentiva il regolamento , e quando occorse modificarono il regolamento per dargli di più : cinque medaglie d ' argento , una d ' oro , tre promozioni per merito di guerra ( fino a tenente colonnello ) , la Croce dell ' Ordine militare di Savoia . Davvero un « bel petto » . Persino una medaglia di bronzo . « Il bronzino di Buccari » , diceva Gabriele stizzito . Quei tre motoscafi siluranti , ciascuno con un equipaggio di dieci uomini , fecero nella notte fra il 10 e l ' 1 l febbraio 1918 un ' arditissima incursione nella rada istriana di Buccari , al comando del capitano di fregata Costanzo Ciano . I risultati pratici furono scarsi : un piroscafo austriaco affondato . Ma oltre ai siluri , in quella rada lanciarono anche tre bottiglie sigillate e ornate di nastri tricolori , con dentro un messaggio , che si chiudeva così : « Un buon compagno - il nemico capitale , fra tutti lo inimicissimo , quello di Pole e Cattaro - è venuto a beffarsi della taglia » . Questo il punto : sul fronte italiano ormai l ' Austria stava combattendo due guerre , una contro l ' Italia , l ' altra contro D ' Annunzio . La taglia sulla sua testa c ' era veramente , sin dal 1915 . E se sfogliamo i giornali umoristici austriaci di allora , si vedono subito i due bersagli fondamentali : l ' italiano bassotto , baffuto , nero , con il cappello da brigante calabrese , e D ' Annunzio , in abiti femminili , fra nubi di profumi e di cipria . Ecco la controprova di quanto fosse efficace , ben articolata , puntuta , la propaganda di Gabriele . Vien voglia di chiedersi perché i tecnici della persuasione , tanto numerosi e rumorosi ai giorni nostri , non abbiano mai pensato di studiare in questo senso la sua vita e la sua opera . Un volo e una canzone , una visita alle prime linee e un articolo sul Corriere , tutto quel che D ' Annunzio fece in guerra fu anche propaganda di prim ' ordine . E la propaganda , come ben sappiamo , illumina non soltanto la cosa che si lancia , ma anche la persona che provvede al lancio . Non a caso i pubblicitari « firmano » . D ' Annunzio firmava , sempre , tutti i manifesti buttati sul nemico . Ecco un suo arrivo al fronte . « Truppe non logore , sfinite : per rifarle ci vuol ben altro che il teatro del soldato ... Arriva D ' Annunzio a gran corsa . È sempre come una ventata di aria fresca . " Sapete " ; dice , " bisogna smetterla con l ' hip , hip , hurrah . Roba da barbari . Siamo o non siamo latini e omerici ? Dunque eia , eia , alalà ! Attenti : eia , eia , eia !..." E tutti in coro a rispondere : alalà ! » Ora , noi possiamo anche dubitare che dopo un turno di trincea sul Carso , il fante - un contadino della bassa Italia - potesse sentirsi « omerico » e « rifarsi » con un alalà . Ma chi lo comandava , il tenentino che aveva lasciato gli studi l ' anno prima e che sognava ( tutto in un sogno solo ) la grandezza d ' Italia , la vittoria e i favori delle belle donne , quel tenentino sicuramente tornava in linea convinto di dover « gittare il cuore nella trincea nemica » e andare a riprenderselo . Del resto D ' Annunzio era ben consapevole di quest ' azione propagandistica . Prima della nona battaglia dell ' Isonzo , ecco il suo solito arrivo « a corsa » con l ' alalà , come lo racconta lui in privato , scrivendone all ' Antongini : « Parto domani per la fronte , dove faccio l ' ufficio di mascotte per le " spallate " » . Memento audere semper , non piegare d ' un ' ugna , l ' orbo veggente , sufficit animus : l ' imaginifico era diventato un eccezionale trovatore di « slogans » . E si legga questa sua disposizione di volo , prima d ' un attacco su Pola : « Quando tutte le bombe siano andate a segno , ciascun equipaggio si leverà in piedi , compreso il pilota di destra , e lancerà il grido attraverso i fuochi di sbarramento : alalà » . Eppure D ' Annunzio è anche l ' autore di un memoriale sull ' impiego strategico dell ' aviazione da bombardamento che i comandi lessero con molta attenzione . È uno scritto tecnicamente assai buono , con non poche idee che precorrono i tempi : l ' uso degli aerei siluranti , per esempio , il valore psicologico delle incursioni a lunga distanza , l ' impiego massiccio dei bombardieri , contro l ' opinione corrente di allora , che voleva limitare gli aerei a compiti di osservazione di intercettamento . E il volo su Vienna fu impresa unica nella Prima guerra mondiale . E il merito fu interamente suo , perché D ' Annunzio ci pensava sin dallo scoppio delle ostilità . Era un ' impresa assai difficile , sempre sconsigliata e talvolta osteggiata dai comandi . I Caproni disponibili allora , da 300 hp , non avevano autonomia neanche per il solo volo di andata . Quelli da 450 hp , costruiti più tardi , potevan bastare a patto che si aggiungessero dei serbatoi supplementari , ma questo imponeva di ridurre al minimo il carico utile . Al campo di San Pelagio lavorarono febbrilmente per settimane . Prima di accettare l ' impresa , i comandi vollero fare un volo di prova di mille chilometri sulla Valle Padana . E siccome D ' Annunzio non era pilota , si dovette trasformare un monoposto ( quello di Natale Palli ) incastrando un seggiolino in un incavo ricavato fra le lamiere del serbatoio supplementare . L ' ordine di operazione era rigoroso : non lanciare bombe , ma limitarsi a un ' azione dimostrativa , non lasciarsi impegnare dagli aerei da caccia austriaci , troppo più veloci , essere pronti ad azionare un dispositivo per la distruzione dell ' apparecchio , scendere a 700 metri sulla capitale nemica per il lancio utile dei manifestini . Decollarono la mattina del 9 agosto , una squadriglia di undici apparecchi in formazione serrata . Tre dovettero subito ridiscendere per un guasto . Il pilota Sarti fu costretto ad atterrare in territorio nemico . In sette dunque raggiunsero Vienna a far sentire « il rombo della giovane ala italiana » che « non somiglia a quello del bronzo funebre nel cielo mattutino » . Tornarono , e già quando furono sul cielo di Venezia l ' Italia seppe dell ' impresa e impazzì . Qualcuno propose di incoronare di lauro il Comandante , in Campidoglio . La guerra di D ' Annunzio fu dunque questa : il coraggio sposato alla retorica , l ' intelligenza alla consapevole volontà di propaganda , e poi l ' ambizione , il vagheggiamento estetico della bella morte , la poesia che si trasforma in vita vissuta , il poeta che passa la mano al Comandante . Non fu la guerra degli altri , dei poeti , degli scrittori , degli intellettuali suoi contemporanei . Costoro partirono tutti per il fronte . Molti ci andarono volontari , ciascuno spinto da un motivo che non era sempre identico a quelli altrui . Nella guerra , fra costoro , ci fu chi vide la lotta dei popoli contro gli imperi , e ci fu chi vide la conclusione del Risorgimento , e chi seppe impararvi la nuda lezione della fratellanza fra gli uomini . Se noi oggi vogliamo capire che cosa fu la Grande guerra leggiamo le pagine di Emilio Lussu , di Giuseppe Ungaretti , di Carlo Emilio Gadda , di Renato Serra , di Carlo Salsa , di Ardengo Soffici . Li leggiamo proprio perché loro fecero la guerra da soldati , in mezzo ai soldati . D ' Annunzio fece la sua splendida guerra con uno stretto manipolo di giovani che gli somigliavano , o che si sforzavano di somigliargli . La visse e la sentì come il supremo fastigio di una vita eroica . Non ebbe la corona in Campidoglio , ma entrò , vivo , in un mausoleo , il Vittoriale . Ma intanto era venuta la pace . Una pace gallica , inghilese , stelligera , per dirla con le sue parole , non certo una pace italiana , che facesse per esempio dell ' amarissimo Adriatico un golfo italiano . Un suo scritto che chiedeva appunto per l ' Italia tutta la costa dalmata fino a Valona non fu accettato dal Corriere . Era la fine del 1918 e in tutta l ' Europa , già stremata dalla guerra , la spagnola mieteva altre vittime , più numerose ancora . Prese la spagnola anche D ' Annunzio : chiuso nella « casetta rossa » meditava l ' impresa di Fiume .