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La gita a Chiasso ( Arbasino Alberto , 1963 )
StampaQuotidiana ,
I rapporti fra letteratura e industria sono un argomento di viva e stimolante attualità , se non da quando esiste la letteratura , per lo meno da quando esiste l ' industria . Perciò fa bene Elio Vittorini a lamentare con doloroso sbigottimento l ' arretratezza della letteratura industriale prodotta da tanti suoi amici e colleghi , e i loro impacci , e i loro « squarci pateticamente ( e pittorescamente ) descrittivi che risultano di sostanza naturalistica » : insomma , la loro mancanza di fiato davanti alle novità del secolo . Non per nulla infatti un dibattito come quello in corso dal « Menabò » alle altre riviste che si accodano al pesce - pilota è una esercitazione soltanto precettistica : incapace di produrre opere creative dà origine soprattutto a norme didattiche in favore del « tema unico » , a esortazioni retoriche tipo quelle altre « ai campi ! » , « alla battaglia del grano ! » , « alle colonie ! » , « al posto al sole ! » , « all ' Arcadia ! » , « al sonetto ! » , « all ' ottava ! » , « alla sestina ! » . Diventa così chiaro agli occhi di tutti come il vero problema non sia stato identificato con esattezza . Non sarà cioè quello dei rapporti fra letteratura e industria , vecchia solfa , ma un altro molto più scottante nella nostra cultura attuale : come mai un numeroso gruppo di letterati indecisi si abbandoni quest ' anno e tutti insieme a una tornata accademica esclusivamente teorizzante , e rinunciando alla narrativa e alla saggistica si restringa invece alla pedagogia e all ' ammonimento . Naturalmente non si deploreranno mai abbastanza l ' isolamento e il provincialismo e l ' ignoranza e l ' inciviltà dei vent ' anni fascisti , l ' arresto e lo smarrimento della patria cultura . Ma perché - ci si chiede - oggi noi che non ne abbiamo nessuna colpa dobbiamo ancora star male e soffrir sempre pene gravissime in conseguenza del fatto che un gruppetto di letterati autodidatti negli anni Trenta invece di studiarsi qualche grammatica straniera e di fare qualche gita a Chiasso a comprarsi un po ' di libri importanti ( tradotti e discussi da noi solo adesso , ma già pubblicati e ben noti fin da allora ) abbia buttato via i trent ' anni migliori della vita umana lamentandosi a vuoto e perdendo del tempo a inventare la ruota o a scoprire il piano inclinato mentre altrove già si marciava in treno e in dirigibile , o almeno si lavorava utilmente in vista dei decenni futuri ? Bastava arrivare fino alla stanga della dogana di Ponte Chiasso , due ore di bicicletta da Milano , e pregare un qualche contrabbandiere di fare un salto alla più vicina drogheria Bernasconi e acquistare , insieme a un Toblerone e a un paio di pacchetti di Muratti col filtro , anche i Manoscritti economico filosofici di Marx ( 1844 ) , il Tractatus logico - philosophicus di Wittgenstein ( 1921 ) , Civiltà di massa e cultura di minoranza del Dottor Leavis ( 1930 ) , le Idee per una fenomenologia di Husserl ( 1931 ) , e magari I principii della critica letteraria di I.A. Richards ( 1928 ) , Cultura e ambiente di Leavis e Thompson ( 1933 ) , L ' uomo del risentimento di Max Scheler ( 1933 ) , L ' Africa fantasma di Michel Leiris ( 1934 ) , Linguaggio , verità e logica di A.J. Ayer ( 1936 ) , Axel ' s Castle di Edmund Wilson ( 1931 ) , Enemies of promise di Cyril Connolly ( 1938 ) , La formazione dello spirito scientifico di Gaston Bachelard ( 1938 ) , Sette tipi d ' ambiguità di William Empson ( 1930 ) , Capire la poesia di Cleanth Brooks e R . Penn Warren ( 1938 ) , Mariti e mogli di Ivy Compton - Burnett ( 1931 ) , un po ' di Blanchot e Bataille assortiti , nonché di Henry Green e Anthony Powell , e il meglio di Forster , dai romanzi intorno al1910 ai saggi del 1936 , passando per il Passaggio in India che è del 1924 . Ci si sarebbero risparmiati alcune decine d ' anni di penose indecisioni intorno a illusioni senza avvenire , come primo vantaggio , e soprattutto la scomodità dell ' apprendistato coi capelli bianchi . I dolori della nostra cultura derivano dal fatto che una numerosa « classe unica » di letterati degli anni Trenta non si è ancora messa al passo con le idee dei loro coetanei del resto del mondo , e affronta in ogni nuovo anno scolastico un programma di studi estremamente limitato . Di qui il bizzarro spettacolo di maestri di scuola che fanno ripetere la lezione a tutta la classe insieme , e la classe docilmente impara ogni anno una nuova canzone , la esegue in coro , tutti passandosi la stessa parola d ' ordine nello stesso momento - « cultura di massa » , « Spitzer » , « Wittgenstein » , « fenomenologia » , « alienazione » - succhiandola come una caramella e sputandola fuori di colpo appena ne spunta una nuova : veramente dimenticandosela , come se non fosse mai esistita . Come non dovrebbe capitare nella cultura , che è coesistenza di idee , e invece succede normalmente nella moda , dove per decreto di sarte la gonna è più lunga o la manica è più corta per una stagione sola e mai di più . Perciò l ' immagine che si è venuta formando dei nostri sofisti attuali non può essere che quella di un gruppo di mediocri signori anziani di scarsa cultura e di formazione tardiva , volonterosi e patetici come Jaufré Rudel in vista delle rive del Libano , che vengono avanti passo passo pretendendo dopo tanti faux pas di far scoperte e d ' impartir lezioncine in base alle traduzioni recenti di autori che conoscevamo fin dai tempi quando loro bamboleggiavano ancora con Pian della Tortilla ( mentre noi leggevamo Forster ) o ricadevano nella Antologia di Spoon River ( mentre studiavamo Auden ) . Com ' è goffo vedere per esempio cominciare a spuntare adesso i nomi di Trilling o di Ayer , o affiorare addirittura Bachelard , morto l ' anno scorso a ottant ' anni . Mi fa lo stesso effetto di quando si scoprono Firbank o Rolfe con quarant ' anni di ritardo ( per tacere naturalmente i casi di Forster , della Compton - Burnett e dell ' Ulysses ) ; ma un caso addirittura tipico è quello di Salinger , di cui si scopre con entusiasmo il bel libro di quindici anni fa contemporaneamente al disastro totale in America del suo ultimo che è una sciocchezza . E volendo si potrebbe star già pregustando le prossime scoperte di William Empson e di Ivor Winters , di Klossowski e di Starobinski , dei versi di Thom Gunn e di Yves Bonnefoy ; e magari del Dottor Leavis ( andato in pensione dall ' Università di Cambridge l ' anno scorso per limiti d ' età ) ; e magari di Henri Focillon , di cui si celebra quest ' anno il ventennale della morte . C ' è poi l ' obiezione formale . Da quando in qua si scrive in quel modo ? Si è abituati a leggere , generalmente si capisce quello che scrivono Edmund Wilson o Roland Barthes , Philip Toynbee o Claude Lévi - Strauss ; non vedo allora perché dovrei far degli sforzi per decifrare gli eccessi di auto - indulgenza di alcuni vanesii minori che si abbandonano alla incomunicabilità della « prima stesura » per non far la fatica di chiarire il proprio pensiero neanche a se stessi , senza preoccuparsi se la confusione stilistica è il segno più certo di confusione nella testa , e senza un minimo di riguardo per il lettore , trattato come un cliente costretto ad acquistare la paccottiglia di un negozio sfornito . No . Non ci sto . Come cliente vado a spendere i miei soldi in negozi più in ordine , se non vedo bene e non mi si fa capire l ' articolo che mi si tenta di vendere . Voglio chiarezza , lucidità , ragioni critiche ; pretendo concisione , possibilità di sommari e compendi , dal momento che , lo si sa , non esiste opera di pensiero veramente significativa che non si possa riassumere in poche proposizioni . Altrimenti non compro ( e peggio per i venditori , non per me ) , così come al ristorante non accetto una minestra in mano , la voglio sul piatto , e non faccio entrare in casa chi mi si presenta alla porta in mutande . Del resto si può fare una prova . Dietro le giuste malinconie di Umberto Eco sul « Menabò » stesso per l ' inadeguatezza dei mezzi espressivi a disposizione di molti letterati per affrontare i nuovi aspetti della realtà , basta prelevare qualche campioncino di prosa da queste medesime riviste per analizzare gli strumenti linguistici adoperati nel trattarne . Basta aprire a caso : quante volte la struttura sintattica di base è ancora quella oratoria del Seicento , intorbidita dagli urti e dalle pressioni di sistemi filosofici rivali e incompatibili , mai d ' accordo sull ' uso da fare e sul senso da dare ai termini , tanto più equivoci e indiscriminati in quanto perdono col tempo le virgolette che indicano ammicco . E dovremmo contentarci di intuizioni impressionistiche , motti sibillini , lampeggiamenti baluginanti , vagiti ... Ma soprattutto un narcisismo incredibile molto curioso per due ragioni . Una , che la oscurità risulta grottesca perché non è una scelta deliberata ma un faute de mieux ; e civettare sul « volere e non potere » è per lo meno uggioso e triste . L ' altra che questo narcisismo mostra fini paradossalmente moraleggianti : « le cose per noi non van bene , quindi ( a fin di bene ) rientriamo nelle catacombe dell ' ermetismo » , detto poi da parte di chi dall ' ermetismo non era mai riuscito a venir fuori ... Ma questa attrattiva del linguaggio mandarino , la frequente nostalgia dell ' allusività per iniziati , da clan privilegiato o da élite scostante , mi sembra l ' atteggiamento più reazionario che si possa immaginare oggi , col suo doppio registro : complice - cifrato con gli addetti ai lavori , e altezzoso - paternalistico ( « perché so meglio dite quel che deve andar bene per te ... » ) quando si rivolge alla massa operaia non su un giornale proletario in una colonna e mezzo di limpida prosa comprensibile almeno alla metà dei lettori , ma in formule schifiltose su riviste esoteriche che non costano mai meno di mille lire . Mi pare in sostanza che ornamenti retorici e compiacenze ermetiche finiscano per risultare i perfetti equivalenti degli arazzi e dei trumeaux in mezzo ai quali i « baronetti rossi » tradizionalmente proclamano la loro solidarietà con la classe lavoratrice ( rappresentata poi dal solito benzinaro che viene a far quattro salti in casa ) . Cioè tipicamente la politica di Maria Antonietta , con le sue brioches e tutto . E come si fa allora a non pensare che l ' ideale ultimo sia a questo punto lo stesso : far dei giochini sconsiderati e irresponsabili alle spalle del proletariato , considerandolo di volta in volta banco di prova e massa di manovra , cavia per ricerche sociologiche e spedizioni emozionanti e analisi di mercato , sempre come oggetto comunque , con l ' assoluzione morale della sinistra e prendendo intanto anche un po ' di soldi dagli industriali « buoni » . E cinismo per cinismo è chiaro che questa specie di socialismo per le dame vale né più né meno che il francescanesimo coi venti stipendi . Meglio ancora una coltivazione dell ' orto di Candide , per così poco , o un traino del carretto di Madre Coraggio per sentieri defilati . Lo so bene che il tango moralistico sulla ricchezza oggi è altrettanto frivolo che invocare la miseria di ieri come alibi , quando si parla di affari culturali , e con un bel rictus di nevrastenia in più . Però , oltre i temi che ci vengono suggeriti quest ' anno per le nostre penitenze , vorrei limitarmi a ricordare la fame di Orwell e la malattia di Lawrence , le stanzette di St . Germain des Prés dove gelano come la piccola fiammiferaia i collaboratori di « Les temps modernes » e l ' assegno per le collaborazioni al « New Statesman » non certo più cospicuo della retribuzione del piccolo scrivano fiorentino : miserie certo non meno dolorose di quelle di casa nostra degli anni Trenta , ma anche un certo ritegno nel non dire troppi sì per amore del soldo o per vanità di farsi vedere più à la page degli altri ; una certa ostinazione nel leggere comunque i libri che contano , invece di sedersi lì esclamando « non si può , pazienza » ; e in più una certa precisione nel mettere in chiaro da che parte si sta . Non però scegliendo Cromwell o Robespierre , Lincoln o Licurgo : ma in base alle forze politiche effettivamente esistenti .