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Il romanzo del «'91» ( Fusco Gian Carlo , 1958 )
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L ' Officina Militare Pirotecnica , a Porta Mazzini , sulla strada di Imola , era , per quei tempi , uno stabilimento più che rispettabile . Vi lavoravano circa 2000 operai . Si pensi che nel 1876 un censimento economico aveva assodato che le maestranze impiegate nell ' industria vera e propria comprendevano in tutto 460 mila individui . L ' Ansaldo di Genova , per esempio , ne occupava dai 1500 ai 1600 nei momenti di punta . All ' Officina Militare di Bologna , i due terzi della mano d ' opera era femminile : addetta al dosaggio delle polveri e al caricamento delle cartucce . Direttore dello stabilimento era il generale Luigi Stampacchia , pugliese , tipico rappresentante della vecchia classe militare , generosamente baffuto , paternamente burbero . Ma il colonnello Garau , un sardo dagli occhi di fuliggine sotto sopracciglia folte e quasi sempre aggrottate , capo del reparto sperimentale , aveva tutt ' altro carattere . Oltracciò , come tutti gli ufficiali nati sotto la bandiera del regno sabaudo , non vedeva troppo di buon occhio i colleghi meridionali . La saldatura fra « piemontesi » e « borbonici » era , d ' altronde , assai fresca . Vincenzo Muricchio capì fin dal primo incontro che la convivenza col colonnello sarebbe stata spinosa . Non avendo simpatia per la vita d ' ufficio , espresse timidamente il desiderio di occupare la carica meno sedentaria dell ' officina . Il colonnello , dopo averlo fulminato da sotto le sopracciglia , gli troncò la parola : « Capitano ! Non l ' hanno mandato a Bologna per ballare il valzer . Non spetta a lei decidere dove stare e cosa fare . Favorisca raggiungere immediatamente l ' Ufficio Metalli , al quale l ' ho già destinata ! » . L ' Ufficio Metalli aveva il compito di calcolare e saggiare l ' efficienza di materiali impiegati nella confezione delle cartucce , in rapporto agli effetti balistici . Proprio in quei giorni , il personale che vi era addetto stava studiando un problema assai grave . Da qualche settimana , la sostituzione della polvere nera con un esplosivo antifumogeno era un fatto compiuto . Ma soltanto in teoria . Il posto dei due grammi di polvere , che costituivano la carica delle cartucce Weterly , era stato preso dalla « balistite » . Questa nuova sostanza eliminava completamente le vecchie , acri fumate : presentava , però , un inconveniente non meno preoccupante . La polvere nera ( che i soldati chiamavano « tabacco » ) era ben lontana dall ' avere la forza dirompente della balistite . Qualche imperfezione nei bossoli era stata , perciò , sempre tollerabile . Ma la pressione esercitata dallo scoppio delle nuove cariche sulla parete del bossolo era talmente violenta , da provocare incidenti sanguinosi , solo che l ' ottone fosse minimamente incrinato . Durante le prove al poligono di tiro , molte delle 10.000 cartucce adoperate avevano provocato l ' esplosione del fucile e cinque o sei soldati ci avevano rimesso le dita . Essendo assolutamente impossibile aumentare lo spessore dei bossoli , condizionati al calibro dell ' arma , non restava che scartare rigorosamente i bossoli incrinati . Visto oggi , il problema è di una semplicità addirittura infantile ; ma basta riportarsi al 1889 , per capire , una volta di più , quanta strada abbia fatto la tecnica , e con che vertiginosa velocità , in meno di settant ' anni . Per le operaie bolognesi addette alla confezione delle cartucce , individuare le incrinature capillari dell ' ottone era compito difficilissimo , quasi impossibile . Per quanto le disgraziate si consumassero gli occhi sui bossoli , senza peraltro rallentare il ritmo del lavoro , era talmente fioca e vaga la luce che scendeva dalle finestre polverose , protette da grate , scavate come feritoie nei muri spessi due metri , da togliere ogni garanzia al controllo più volenteroso . Né l ' aggiunta di luce artificiale poteva giovare granché . Escluse per ovvie ragioni le lampade a petrolio o a gas , furono appese sui banconi di caricamento alcune lampadine elettriche : modeste bolle di vetro , nelle quali i filamenti di carbone , simili a vermiciattoli incandescenti , emettevano un bagliore rossiccio e sbadiglioso . Curve attorno ai banconi di rozzo castagno , le operaie sgranavano gli occhi sui tubetti d ' ottone . Li scrutavano talmente da vicino , che le ciglia sfioravano il metallo . D ' altronde , correva voce che la Duplice stesse architettando un ' aggressione proditoria ai danni della Triplice . Il ministro della guerra , Bertolè Viale , era inquieto . Sollecitava , con lunghi dispacci cifrati , una maggior produzione di cartucce . Si era già raggiunta la « prodigiosa » sfornata di 500.000 pezzi al giorno . Troppi , per un lavoro tanto delicato . Fu allora che il capitano Vincenzo Muricchio , il quale non aveva affatto l ' aria di un topo da esperimenti , rivelò per la prima volta le sue migliori qualità ; le stesse che di lì a poco dovevano affrettare la nascita del «'91» . Il colonnello Garau non era tipo da prendere in considerazione le questioni sociali o da lasciarsene impietosire . Il suo motto , durante le agitazioni popolari , era quello del generale Bava - Beccaris : « Voi cantate i vostri inni , noi spariamo i nostri cannoni » . Per eliminare i bossoli difettosi ritenne buon sistema tempestare di multe le operaie . Molte di quelle disgraziate , pagate una lira al giorno , arrivavano ogni mattina in diligenza dai paesi vicini . Alcune si facevano , all ' alba , perfino sei o sette chilometri a piedi , e altrettanti la sera . A partire dal 1880 , specialmente in Emilia , erano sorti circoli , associazioni e cooperative di lavoratori . La parola di Costa , Lazzari , Bissolati e Turati alimentava un socialismo in cui si mescolavano l ' arditismo garibaldino , il cuore di De Amicis e la commozione civile di Pascoli . Era un socialismo molto lontano da Marx , ma più vicino alla natura degli italiani e alla riscossa del Risorgimento . Tutto sommato , controllava le masse assai meno dell ' attuale comunismo . Le autorità provinciali vivevano meno tranquille di quelle d ' oggi . Specialmente fra la Romagna e il Po . Le multe a catena del colonnello Garau stavano per creare pasticci nello stabilimento di Bologna , allorché il capitano Muricchio , rammentandosi degli specchi ustori ideati da Archimede a Siracusa , trovò il sistema di quintuplicare la luminosità delle lampade a filamento di carbone . Bastava avvitarle in una conchiglia foderata di metallo ben lucidato o addirittura di specchio . Nacquero così , in embrione , i primi « riflettori parabolici » usati dall ' Esercito . Puntati sui tavoloní dello stabilimento , permisero alle operaie di scartare la quasi totalità dei bossoli difettosi . In conseguenza di ciò , il colonnello Garau chiamò a rapporto il suo ingegnoso capitano e gli disse così : « Dovrei punirla per aver adoperato , nelle sue esperienze ottiche , materiale dello stato senza riempire l ' apposito modulo di richiesta e aspettarne l ' approvazione , debitamente vistata dalla sezione staccata di artiglieria . Ma in considerazione dell ' utilità dei suoi riflettori , mi limito a un rimprovero verbale semplice . Debbo tuttavia significarle la mia soddisfazione per il suo attaccamento all ' Officina . Vada pure » . E il capitano , battuti seccamente i tacchi , andò . Oggi , a distanza di quasi settant ' anni , rammenta benissimo quella giornata di marzo ; i tetti bolognesi ancora screziati di neve ; le operaie , dalle mani screpolate dal freddo , che ormai gli sorridevano , timidamente , come a un amico . Rammenta anche la vaga tristezza che le parole asciutte del colonnello gli avevano lasciato nell ' anima . Tanto che quella sera , anziché spassarsela allegramente coi colleghi più brillanti nei soliti locali di via Indipendenza , via Rizzoli e via Galliera , si ritirò presto nella stanzetta a pigione ( lire venti mensili compresa la lavatura della biancheria e il riscaldamento ) e si sprofondò nelle letture preferite . Testi e riviste di balistica , naturalmente ; e in modo speciale alcune pubblicazioni assai recenti che trattavano un argomento di appassionante attualità : i fucili militari a ripetizione di piccolo calibro . Quello , e non le lampade a riflettore , era l ' obiettivo da raggiungere ! Il Weterly , a parte il suo peso eccessivo ( kg. 4,100 ) e la mole ingombrante delle munizioni , non era un cattivo fucile . Creato nel 1870 , l ' esercito olandese lo adottò contemporaneamente al nostro . Nato come arma a retrocarica a un solo colpo , il capitano d ' artiglieria Vitali lo aveva modernizzato , qualche anno dopo , applicandovi un meccanismo a « ripetizione » . È vero che lo scontro di Dogali , nell'87 , avrebbe forse potuto risolversi in modo meno disastroso per la nostra truppa se ogni soldato avesse avuto con sé maggior numero di cartucce ; ma è altrettanto vero che contro i nostri 500 morti caddero ben 1800 seguaci di ras Alulà . Il Weterly era , dunque , assai preciso e munito di un ordigno di caricamento difficilmente inceppabile . La strage di Dogali non portò , comunque , a una seria revisione del nostro apparato militare . Gli strali dell ' opinione pubblica sfiorarono lo stato maggiore , allora capeggiato dal generale Enrico Cosenz , e andarono a piantarsi nella redingote di Francesco Crispi . Gli aedi nazionali si allearono con gli avversari del ministro siciliano . D ' Annunzio , che in seguito doveva diventare il « cantore » ufficiale di ogni impresa « d ' oltremare » , definì « bruti di Dogali » i soldati caduti attorno al tenente colonnello De Cristoforis . Carducci si rifiutò d ' inaugurare il monumento a quei valorosi , dichiarando che non avrebbe speso una parola per le « vittime di una spedizione inconsulta » . Nel maggio del 1890 , quando il collonnello Garau si recò a Roma , Vittorio Emanuele , ventunenne , assunse il suo primo comando di reggimento : il l ° fanteria , di stanza a Napoli . Il principe scriveva spesso al colonnello Osio , che era stato suo « governatore » , le sue impressioni di comandante . Leggendole oggi , si ha la sensazione di quanto il futuro re fosse amareggiato e deluso . Eccone una : « Mi rincresce di fare il terribile , mi secca di fare il cane , ma il giorno di Pasqua ho fatto una vera catastrofe , alla 12a Compagnia , dove una piccola inchiesta da me fatta fece risultare gravi irregolarità nell ' ordinare il servizio di picchetto armato : ho punito il furiere e cinque graduati ; inoltre ho inflitto il massimo di 45 giorni , come prima punizione , a un soldato avellinese , classe 1869 , che si era fatto esentare dal picchetto , imponendosi a due suoi compagni . Ho potuto far cogliere un ladro e consegnarlo al tribunale . Ho potuto mettere la mano su quattro ladri che infestavano la compagnia : a uno ho inflitto i 45 giorni a due i 15 di rigore e per uno convoco oggi la commissione di disciplina . Poco fa ho inflitto í 30 giorni ( 15 più 15 ) a un soldato che pagava un compagno per farsi sostituire di ' corvée ' , minacciandolo se non lo sostituiva . Il mio plotone allievi ufficiali ha raggiunto il numero di ben 104 allievi : fra breve saranno 103 , perché ne ho scacciato uno per aver rubato un libro a un compagno . Oggi un consiglio di disciplina reggimentale ha all ' unanimità deciso per la rimozione del tenente Baríola ( nipote del generale ) per grave mancanza contro l ' onore : mi sono dovuto decidere a fare questa esecuzione : è il secondo ufficiale che liquido dal principio dell ' anno e temo che testé un paio d ' altri saranno per avere la stessa fine » . Ed ecco un ' altra lettera del colonnello Vittorio Emanuele allo stesso Osio , ancora più significativa : « Oggi ho visto a San Potito i lavori che il Genio sta facendo . Un mese fa mi fu riferito che nella volta del camerone occupato dalla 1a Compagnia si erano formate delle lesioni . Andai subito a vedere e non essendo rassicurato da quanto vidi , mandai subito a chiamare il capitano del Genio ( ora l ' hanno fatto maggiore ) che aveva i quartieri dalla parte superiore della città . Questo egregio signore vide e pronunciò essere lesioni limitate al solo intonaco . Non essendo ancora tranquillo per la pelle dei miei soldati , feci chiamare il colonnello del Genio che verificò esservi forse qualche pericolo . Non ancora contento , parlai della cosa al generale Corvetto , che , quando ero a Persano , fece visitare il fabbricato al generale De Benedictis ; a farla breve , la volta fu dichiarata in pericolo imminente ; furono fatte sgombrare e mandate in Castel dell ' Ovo due mie compagnie ; e tolto l ' intonaco , si scoprirono numerose e profonde lesioni . Incredibile ma vero ! » . Esistono , nel carteggio fra il principe e Osio , altre annotazioni e osservazioni , dalle quali risulta in modo trasparente che Vittorio , nel biennio '90-92 , si accorse , per diretta esperienza , quanto fosse lontano il suo esercito da quello ideale che aveva sognato , giovinetto , leggendo i classici greci e romani . Gli ufficiali carichi di debiti , ricattati dagli strozzini , impegolati con gente di malaffare , ivi compresi i « camorristi » , erano una quantità . Le soperchierie dei sottufficiali furieri , all ' ordine del giorno . La tranquilla , oleografica ignoranza di molti ufficiali d ' alto grado , una piaga profonda . Il colonnello Garau , preannunciato da un dispaccio protocollato « segretissimo » , non fece anticamera . Fu subito ammesso alla presenza del ministro Bertolè Viale , il quale , per la circostanza , aveva convocato il capo di S . M . Cosenz e il tenente generale Cesare Ricotti Magnani , una delle colonne dell ' Esercito , futuro ministro . Il colonnello esibì il materiale che si era portato da Bologna e illustrò ai tre generali i meriti del nuovo calibro 7 , nonché i vantaggi presentati dalle pallottole incamiciate di acciaio . Fece la sua relazione mantenendo una secca posizione di attenti , a fronte alta , con militare sobrietà . I tre generali , sul cui petto spiccavano le decorazioni guadagnate nelle battaglie per l ' unità patria , esaminarono piuttosto freddamente fucili , proiettili , bersagli e pallottole . Le pupille acute del generale Cosenz , che nel '60 aveva risalito l ' Italia meridionale assieme a Garibaldi e Bixío , lampeggiavano dietro gli occhiali cerchiati di semplice metallo bianco . Ricotti , reduce di Crimea , si pizzicava , di tanto in tanto , la punta dei baffetti brizzolati . Alla fine , i tre si appartarono in fondo al salone barocco , parlamentarono una decina di minuti , quindi pronunciarono il loro responso per bocca del ministro : « Caro colonnello , mi compiaccio per quanto è riuscito a portarci . Siamo sulla buona strada . Ma la faccenda dei proiettili rivestiti d ' acciaio , purtroppo non va bene . C ' è di mezzo quella benedetta Convenzione di Ginevra ! Non è mica più come al nostro bel tempo , che la guerra si faceva come si voleva e , perbacco ! , si vinceva come si poteva ! Ora c ' è Ginevra : una città che ha un nome da vivandiera . A Ginevra hanno stabilito , tutti d ' accordo , che non si possono usare pallottole di ferro o d ' acciaio , perché possono arrugginire e infettare le ferite . Figuriamoci ! Infettare ! Noi , che ai nostri giorni ci medicavamo le ferite con la saliva ! Ma lasciamo andare ... Perciò , il suo fucile è una bella cosa , ma le pallottole non vanno . Bisogna trovare qualche altra diavoleria , per accontentare madama Ginevra . Torni a Bologna e ci tenga informati . Ciarea » . Altro che promozione a generale ! Il colonnello Garau prese il primo diretto per Bologna , non senza aver appioppato alcuni giorni di rigore ai militari del suo seguito . Durante il viaggio , preparò accuratamente il « cicchetto » da somministrare a Muricchio e agli altri dell ' Ufficio Metalli ; colpevoli di non avergli ricordato la Convenzione di Ginevra , stramaledetta invenzione di vecchie zitelle ! Come se in guerra , dove ci si ammazza più che si può , le infezioni fossero una preoccupazione seria ! Roba da matti ! Nel '93 , quando Menelik II denunciò il patto di Uccialli , il primo «'91» non era ancora stato consegnato all ' esercito . Nel 1894 apparvero sull ' « Illustrazione Italiana » le prime immagini « ufficiali » del nuovo fucile , assieme alla notizia che in certe vetrine di armaioli , a Milano e Bologna , erano apparsi dei fucili dello stesso calibro e modello , adattati per la caccia al camoscio e allo stambecco . Dopo aver accusato un po ' tutti di « tradimento » e « spionaggio » ( reati allora di moda ) , si scoprì che alcuni fucili e moschetti non perfettamente riusciti , e che pertanto l ' armeria di Terni avrebbe dovuto immediatamente distruggere a colpi dí maglio , erano stati « intrallazzati » da un capo tecnico , il quale se li era portati a casa , li aveva trasformati e ceduti a un armaiolo . Il capo tecnico , avente a carico moglie , madre , suocera e cinque figli , il tutto con una paga giornaliera di circa tre lire , chiese perdono in ginocchio , ma finì in prigione per un numero d ' anni superiore a quello dei fucili sottratti . L ' anno seguente , 1895 , il 7 dicembre , Menelik II ( che cinque anni prima aveva coniato monete con la testa di re Umberto ) mandò una colonna di 20.000 uomini a liquidare i 2500 soldati che , agli ordini del maggiore Toselli , occupavano l ' Amba Alagi , sulla frontiera dello Scioa . Gli abissini , provenienti dalle montagne dell ' Amara , erano scalzi ma muniti di quegli ottimi fucili Weterly che il negus aveva ottenuto col trattato di Uccialli ; i nostri , a parte qualche centinaio di «'91» ricevuti , con contagocce , dalla madre patria , erano anch ' essi armati di Weterly , ma non così in buono stato come quelli del nemico . Dopo una mischia furibonda , uno contro dieci , tutti í nostri uomini caddero sul campo , nessuno escluso , dal comandante all ' ultimo conducente di muli . I feriti vennero passati a fil di spada . Fu certamente il più fosco Natale della nostra storia . Il generale Baratieri , che in seguito alle sue modeste vittorie contro i Dervisci e ras Mangascià era considerato come un misto di Scipione e Alessandro Magno , diventò bersaglio di attacchi giornalistici , vignette umoristiche e sberleffi popolari . Restò tuttavia in Africa , poiché il suo vecchio amico Crispi , divenuto presidente del Consiglio nonostante la Banca Romana , ne difese caldamente la posizione . Il 7 gennaio 1896 , al Barattieri che gli chiedeva uomini , migliaia di fucili «'91» e un forte quantitativo di munizioni , Críspi inviò il seguente telegramma : « Il Paese aspetta da te una vittoria risolutiva . Quanto alle tue richieste , Mocenni ( ministro della Guerra ) mi fa notare che un invio di nuove truppe sarebbe non soltanto inutile ma dannoso , poiché non avremmo da armarle e approvvigionarle convenientemente . Ti abbraccio Francesco » . Era un po ' poco . Infatti , qualche settimana dopo , ai primissimi di marzo , una valanga urlante di abissini , che già ci avevano tolta Macallè , si abbatté sulle nostre truppe nella conca di Adua , capitale del conteso Tigrè . Non fu , come molti credono , un ' unica battaglia campale durata alcuni giorni : fu un carosello di scontri e mischie feroci combattute , fra imboscate e sorprese tattiche , nell ' altopiano attorno al Monte Sullotà . I guerrieri di Menelik , dopo aver accorciate le distanze con una nutrita massa di fuoco , attaccarono in ogni luogo all ' arma bianca , col pugnale e la scimitarra . Il più grave , fu che il nostro schieramento non era affatto difensivo , ma in formazione d ' avanzata : poiché i tre comandanti in sottordine del corpo di spedizione Arimondi , Dabormida e Albertone avevano ricevuto dal comandante in capo , Baratieri , l ' improvviso ordine di marciare sul grosso degli abissini , ciascuno a capo di una colonna . L ' ordine scritto era accompagnato da un foglietto a quadretti , su cui il generale aveva schizzato a matita , un piano molto sommario dell ' operazione . Quell ' attacco non aveva , a conti fatti , alcuna giustificazione strategica ; ma il Baratieri temeva di essere sostituito dal collega Baldissera , arrivato dall ' Italia invece delle armi richieste , e perciò aveva fretta di brillare . La colonna Albertone , investita per prima , sulla sinistra , tentò di ripiegare al centro , dove travolse la colonna Arimondi mentre si stava attestando su posizioni di resistenza . La colonna Dabormida , sulla destra , non sapendo dove esattamente si trovassero gli altri nostri reparti , si mosse a casaccio , perse l ' orientamento , sbagliò strada , s ' isolò completamente e venne sopraffatta . La mattina del 5 marzo 1896 , giunse a Roma il rapporto di Baratieri e Baldissera ( « Non ti fidar di quella gente nera ! » cantavano i contadini e gli operai lavorando ) sull ' esito della battaglia . Rapporto spaventoso , nonostante le prime cifre fossero alquanto ammaestrate : 10.000 soldati uccisi , feriti o prigionieri , sui 17.000 che avevano combattuto ; 200 ufficiali , compreso il Dabormida , rimasti sul campo di battaglia . Tutte le artiglierie e il 90% delle armi individuali e delle munizioni , rimasti in mano nemica . Baratieri , rimosso dal comando , si ebbe , volta a volta , per diversi anni , le seguenti qualifiche : imbelle , imbecille , tardo , fellone , inetto , rammollito e traditore . Baldissera , che lo sostituì , ebbe l ' incarico dal ministro Di Rudinì , successore di Crispi , di sganciarsi ripiegando cautamente . Strada facendo , Adigrat e Cassala furono liberate dall ' assedio . Nell ' ottobre del '96 , la pace fu firmata . A Menelik fu riconosciuta « un ' indipendenza assoluta e senza riserve » , più la sovranità del Tigrè , più 10 milioni a titolo d ' indennizzo . Nei mesi che seguirono , le statistiche ministeriali segnalarono che la fabbricazione del «'91» aveva acquistato , finalmente , un ritmo encomiabile . Il tenente generale Tancredi Saletta , capo di stato maggiore , ne prese atto con viva soddisfazione . Se mai il «'91» , nato nell ' Officina Pirotecnica di Bologna dalle intuizioni del capitano Muricchío e dal lavoro paziente di tanti tecnici , fu protagonista assoluto di una pagina militare , ciò avvenne proprio fra l ' estate del 1916 e quella del 1917 : quando lo stato maggiore , capeggiato da Luigi Cadorna , si ostinò a spezzare con battaglie frontali , assalti all ' arma bianca continui e tentativi di sfondamento diretto , la resistenza di un nemico arroccato su posizioni di resistenza formidabili , annidato dietro il ventaglio micidiale delle mitragliatrici e i grovigli spinosi dei reticolati . A distanza di quarant ' anni , riesaminando le testimonianze più obiettive del primo conflitto mondiale , si resta ancora sgomenti , immaginando quelle onde brulicanti di uomini « oscuri » infrangersi invano contro le difese nemiche , al grido disperato dei loro motti guerreschi . Gli alpini del « Susa » che cadevano a plotoni quasi affiancati sull ' Ortigara , gridando « A brusa , souta ' l Susa ! » ; quelli dell ' « Ivrea » , che scattavano alla baionetta urlando il loro « Tuic un ! » , tutti per uno . Coloro che riferendosi alla rotta di Caporetto , nell ' autunno del '17 , emettono giudizi avventati sull ' efficienza media del soldato italiano , ignorano o dimenticano che soltanto nella stolta battaglia della Bainsizza perdemmo 150.000 uomini , con impressionante percentuale di caduti . E a giudicare severamente il generale Cadorna basterebbe il comunicato diramato dal Comando Supremo il 28 ottobre 1917 , per annunciare il rovescio di Caporetto : « La mancata resistenza dei reparti della seconda Armata , vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico , ha permesso alle forze austrogermaniche di rompere la nostra ala sinistra sulla fronte Giulia » . Così , mentre nelle retrovie sconvolte i «'91» erano adoperati per fucilare sul posto i retrocedenti della seconda Armata , si cercava , come primo provvedimento , di addossare ogni responsabilità del disastro alla « viltà » degli uomini « oscuri » che per mesi e mesi erano stati gettati , come cose , nella fornace di ostinate e stupide battaglie frontali . A Caporetto , perdemmo circa 400.000 uomini , centinaia di migliaia di armi individuali , centinaia di batterie d ' artiglieria leggera e pesante , innumerevoli depositi di materiali d ' ogni genere . Nonostante la maggioranza dei nostri soldati in rotta avesse conservato le armi ( come , a distanza di 23 anni , avvenne in Albania , in Africa e perfino nel calvario del fronte russo ) , la strada di Caporetto , fra colonne di profughi sconvolti , civili e villaggi abbandonati , apparve tristemente disseminata di fucili , affusti , carriaggi , munizioni . Ai posti di blocco , i soldati inermi venivano molto spesso sottoposti alla decimazione . I « vili » dell ' ottobre '17 dimostrarono di essere tutt ' altro che tali nel giugno del 1918 , allorché gli austriaci , sia pure stremati , trovarono inflessibile resistenza ai loro violenti attacchi su tutto il nuovo fronte , dagli Altipiani al mare , sul Grappa e sul Piave . Ma Vittorio Veneto , nonostante l ' ebbrezza della vittoria , non riuscì a chiudere la piaga che quattro anni di una guerra mal diretta da generali in polemica fra loro e minata alle spalle da esibizionismi politici avevano aperta nel popolo italiano . Un solco profondo divideva le masse deluse e insoddisfatte e una classe dirigente che nascondeva sotto astratti schemi politici la sua mancanza d ' idee e di convinzioni . Gli uomini « oscuri » che Cadorna aveva additati al disprezzo degli italiani nell ' autunno del '17 tornarono a casa con una polizza da 1000 lire e un vestituccio blu di cattiva stoffa elargito dallo stato . Erano in stragrande maggioranza contadini , poiché la gran massa degli operai siderurgici era stata esonerata e , sia pure nelle strettoie della militarizzazione , era rimasta nelle officine . I giovani ufficiali di complemento , alcuni dei quali erano partiti per la guerra imberbi e ne ritornavano maturi ma senza precise capacità professionali , sprofondavano nell ' abbandono morale . Tutti contro tutti , per un vago ma profondo senso di rancore . Non rientra nei limiti di questa storia l ' analisi del « fenomeno » fascista . Ma c ' interessa l ' apparizione delle armi in dotazione all ' esercito fra le mani degli squadristi , in camicia nera , che parteciparono alle spedizioni punitive dell ' immediato dopoguerra e nell ' ottobre del 1922 presero parte , nel numero di oltre 30.000 , alla marcia su Roma . L ' armamento dei seguaci di Mussolini era , per lo più , quello degli « arditi » di guerra , le « fiamme nere » costituite per operazioni d ' assalto : bombe « sipe » a forma di pigna , pugnali da tenere « fra i denti » , rivoltelle Glisenti o Mauser , con fodero di legno , trovate nei magazzini austriaci o addosso agli ufficiali nemici fatti prigionieri . Ma basta avere sott ' occhio la testimonianza fotografica delle « spedizioni punitive » e della « marcia » finale , per constatare che numerosi squadristi erano armati con fucili e moschetti «'91» . Non vi è dubbio che molti di essi furono « passati » , sotto mano , alle camicie nere da ufficiali che simpatizzavano col movimento mussoliniano . Non esistono a tutt ' oggi prove concrete che nel 1921-22 le autorità militari , facenti capo al ministero della Guerra , abbiano ufficialmente favorito gli squadristi rifornendo di armi . Sappiamo soltanto che alcuni comandanti di reparto « lasciarono socchiusi » i magazzini e le armerie , assumendosi personalmente il rischio ( del resto assai limitato ) di tale operato . Sappiamo che a Firenze , il colonnello comandante l'84a Fanteria , con caserma in corso Tintori , concesse agli squadristi locali alcuni camion «18 BL » in sovrannumero e un certo quantitativo di «'91» con le relative munizioni ; sappiamo che diversi fucili , un paio di mitragliatrici « Saint - Etienne » e un certo numero di bombe uscirono di notte tempo da una caserma di Cremona , comandata da un colonnello legato da vecchia amicizia con Roberto Farinacci ; una quantità abbastanza rilevante di armi , rivoltelle e fucili , fu consegnata ai fascisti da singoli ufficiali , anche di Marina , alla Spezia , a Napoli , ad Ancona : ma specialmente a Foggia e a Bari , dove le « spedizioni » per annientare le « leghe » dei braccianti della Capitanata erano più frequenti che altrove . A Bologna , un maggiore dei bersaglieri fece avere un quantitativo abbastanza modesto di armi ai giovanotti col teschio cucito sul petto che obbedivano a Leandro Arpinati e Arconovaldo Bonaccorsi . Ma è doveroso dire che nel 1921 , sotto la presidenza del Consiglio dell ' onorevole Bonomi , fu aperta un ' inchiesta a carico degli ufficiali delle Forze Armate che avevano procurato armi alle camicie nere . Non bisogna del resto dimenticare che almeno quattro generali facevano parte , fin dalla così detta « vigilia » , delle formazioni fasciste : De Bono , Fara , Ceccherini e Zamboni , i quali parteciparono regolarmente alla « marcia » del 28 ottobre ; e che altri generali e ufficiali superiori , benché più cautamente , avevano aderito al fascismo fin dalle sue prime avvisaglie . A Mussolini e ai suoi « quadrumviri » non mancavano certo autorevoli intermediari presso i magazzini militari . Ma non furono certo i «'91» , le bombe e le mitragliatrici che aprirono la strada della capitale agli squadristi per i quali Oscar Uccelli , più tardi prefetto , preparò una base logistica a Perugia . L ' Appia , la Salaria , l ' Aurelia , la Flaminia , le Ferrovie dello Stato , furono facile cammino per coloro che parevano la salvezza giovanile , entusiasta e disinteressata di un mondo stanco e confuso . In Etiopia , dall ' ottobre del 1935 al maggio del '36 , fra truppe di primo impiego , complementi e riserve , combatterono circa 250.000 uomini . Il «'91» di Adua , di Tripoli , della Bainsizza e del Píave , nato nella Bologna di Carducci , costruito a Terni e nelle armerie ausiliarie del Garda , nelle due taglie di fucile e moschetto , fu l ' arma degli uomini incorporati nella « Tevere » , nella « Gavinana » , nella « Peloritana » , nella « XIII Marzo » ; dei genieri partiti dai centri di mobilitazione di Firenze , Bologna , Roma , Santa Maria Capua Vetere , Piacenza ; degli alpini , dei carristi , dei « dubat » . Quanto alle armi di reparto e di copertura , affluirono a Massaua e Mogadiscio in numero assai considerevole : 5700 mitragliatrici , 155 batterie d ' artiglieria e 145 carri armati , fra i quali molti veloci , del tipo «C.L.», « Carden Loyd » . In quanto tempo aveva calcolato di concludere la sua impresa imperiale , Mussolini ? Essendosi autonominato nel luglio del 1933 ministro della Guerra , la cosa lo riguardava doppiamente . Suo capo di stato maggiore era un generale designato d ' Armata , che spesso aveva cantato Giovinezza di fronte alle truppe inquadrate e che un giorno aveva presentato al « duce » la « rispettosa e unanime domanda degli ufficiali in s.p.e. » di ottenere l ' onore della tessera fascista . Mussolini lo aveva ascoltato con espressione austera , poi , come soffocando un ' onda di commozione , aveva risposto : « Fate sapere agli ufficiali , superiori e subalterni , che sono fiero di loro . Il fascismo è fiero di accogliere , all ' ombra delle insegne legionarie , i quadri dell ' Esercito » . Aveva taciuto un momento , quindi si era alzato , aveva fatto il giro della scrivania e , dopo un abbraccio virile , più che altro un brusco urto spalla contro spalla , aveva concluso : « Quanto a voi , camerata Baistrocchi , siete degno di quest ' ora solenne » . Con la collaborazione entusiasta di Baistrocchi , e quella alquanto più cauta del sottosegretario Pariani , di Graziani , Badoglio e De Bono , fu stabilito il piano d ' operazioni in Etiopia . Attacco massiccio e violento nel settore eritreo , perno di resistenza , con manovre di disturbo e puntate di alleggerimento sul fronte somalo . Il tutto doveva concludersi in un massimo di otto mesi , per non incappare nella stagione delle piogge . Ma Mussolini , che amava le coincidenze storiche , aveva già fermamente stabilito che la proclamazione dell ' Impero avvenisse il 21 aprile , natale di Roma . Invece , gli fu possibile annunciare al mondo il grande evento soltanto il 9 maggio : e di quei 18 giorni di ritardo non perdonò mai il vecchio , disgraziato De Bono , nonostante lo avesse nominato maresciallo d ' Italia per meriti eccezionali , dopo avergli tolto il comando delle truppe eritree , nel novembre '35 , e aver messo al suo posto Badoglio . In realtà , dopo le prime , incontrastate operazioni , la facile occupazione di Adigrat , Axum , Adua e Macallè , non dissimilmente da quanto era accaduto quarant ' anni prima a Baratieri nello stesso teatro di guerra , i due ras più avveduti dell ' armata etiopica attaccarono con circa 80.000 uomini il nostro schieramento offensivo , costringendoci a un frettoloso ripiegamento su Axum e minacciando di accerchiare i reparti dislocati attorno a Macallè . Il povero De Bono , tormentato dalle fitte dell ' artrite ( lui le chiamava « le mie camolette » ) , già sfiduciato riguardo l ' andamento fascista , non aveva previsto tutto ciò e non aveva quindi predisposto una precisa linea di arroccamento . Il vecchio generale d ' Armata lasciò l ' Eritrea , fu promosso ma da quel momento messo praticamente in disparte . Sul fronte somalo , Graziani riuscì a rintuzzare un attacco in forze di ras Destà e lo inseguì fino a Neghelli , sottoponendo le truppe alla fatica di due marce forzate , per concludere l ' operazione prima che Badoglio , nel suo settore , ottenesse i primi successi . Fu in febbraio che le forze eritree , con le due battaglie decisive del Tembien , riuscirono a mettere in rotta le forze di ras Cassa e ad aprirsi la strada verso Addis Abeba . Ma furono necessari poderosi interventi d ' aviazione e , spiace ricordarlo , l ' uso degli aggressivi chimici . Il 9 maggio 1936 , in un tardo e piovoso pomeriggio , Mussolini annunciò al balcone di Palazzo Venezia , che í « Sette colli di Roma » tornavano ad essere illuminati , dopo 19 secoli , dalla gloria imperiale . Allo stesso modo che nel 1911 , al principio della campagna di Libia , Elvira Donnarumma aveva lanciato Tripoli sarà italiana , la soubrette Nikuzza , accompagnata dalla chitarra di Mario Latilla , padre di Gino , rese popolare Faccetta nera . Nelle vetrine dei profumieri apparve il « Tabacco d ' Harar » . Il tè , sottoposto a sanzioni , fu sostituito dal « karkadè » , coltivato sull ' altopiano abissino . Si cominciò a chiedere , sotto banco , il « caffè di caffè » . La campagna d ' Etiopia costò complessivamente allo stato dai 600 agli 800 miliardi in valuta attuale . Servì a rinverdire la fiducia dell ' uomo della strada nel fascismo ; ma rivelò agli esperti di cose militari , come Vincenzo Muricchio , che la potenza delle nostre armi , dopo 14 anni di fascismo , era aumentata in senso scenico , ma non sostanziale . Sotto le squadriglie da caccia e da bombardamento , valorizzate dalle imprese di De Pinedo , Balbo , Valle e Maddalena , le fanterie non erano cambiate . Gli « spallacci » adottati nell'11 segavano ancora le collottole come guinzagli . Anche se la giacca aveva perso il soffocante colletto chiuso , le fasce gambiere restavano , inutili , a far prudere i polpacci . E nessuno ancora pensava che il vecchio «'91» fosse ormai inadeguato ai propositi di aggressione e di « guerra lampo » che il « regime » , non pago dell ' avventura etiopica , andava maturando e minacciando . La seconda guerra mondiale dimostrò , infatti , che i singoli soldati , nella cornice della retorica imperiale , erano rimasti gli stessi di trent ' anni prima , con un po ' meno voglia di morire . Il 12 settembre 1943 , quattro giorni dopo l ' illusorio armistizio annunciato da Badoglio , la Divisione « Puglie » costituita dal 71° e 72° reggimento fanteria , motto : « Ad summum » , alle sommità , mostrine bianche e verdi , si trovava dislocata nel Kossovo , regione a nordest dell ' Albania , e dell ' Albania divenuta provincia dopo il crollo della Jugoslavia , il 18 aprile 1941 . La Divisione , che durante la campagna di Grecia si era valorosamente battuta nel settore di Clisura , partecipando all ' epica difesa di « quota 731» , accettò compatta l ' ordine di Badoglio , legittimato dal giuramento al re e alla bandiera . I diecimila uomini della grossa unità erano fermamente disposti a combattere contro i tedeschi , qualora l ' ex - alleato avesse assunto un atteggiamento provocatorio . Il grosso della « Puglie » era a Prizren , capitale del Kossovo . Nei quattro giorni che seguirono il messaggio di Badoglio , nell ' ostinata calma dell ' ultima estate , compagnie e battaglioni si prepararono a fronteggiare un eventuale attacco germanico . Si parlava di una divisione corazzata « Goering » , a riposo sui confini della vicina Bulgaria , pronta a marciare contro gli italiani . In vista di tale possibilità , furono approntate postazioni per mitragliatrici , mortai e cannoni anti - carro alla periferia orientale della città , dove era possibile dominare d ' infilata il lungo e polveroso stradale candido e deserto , dal quale i tedeschi avrebbero dovuto per forza arrivare . Ma la mattina del giorno 14 giunse l ' ordine , dai superiori comandi di Corpo d ' Armata e di Armata , di cessare ogni preparativo di difesa ed offesa , poiché i tedeschi avevano dichiarato di rispettare l ' armistizio e di non volere in alcun modo ostacolare un eventuale rimpatrio dei reparti italiani . Anzi , per dimostrare la loro perfetta buonafede , le truppe germaniche in Albania erano disposte a consegnare provvisoriamente le armi ai nostri comandi , mentre noi avremmo fatto altrettanto . Dopo le trattative , ognuno avrebbe ripreso le sue e tutto si sarebbe svolto nel reciproco rispetto . Nel pomeriggio , si vide un velo di polvere alzarsi dal rettilineo proveniente dal confine bulgaro , Non erano i carri della « Goering » : si trattava di una modesta camionetta color canarino , sulla quale si trovavano un maresciallo della Wehrmacht , un sergente e due soldati semplici . Nonostante l ' atteggiamento fermo e l ' aria baldanzosa , si vedeva che i quattro , sotto sotto , erano piuttosto preoccupati . Si passavano la lingua sulle labbra e si scambiavano occhiate furtive . Erano i quattro incaricati di assistere al disarmo « provvisorio » della Divisione . Il che avvenne , sotto una pioggia leggerissima e uggiosa , la mattina presto del giorno dopo , 15 settembre . Tutti gli effettivi della « Puglie » , fanti , genieri , artiglieri , militari di sussistenza e di sanità , sfilarono ( per la prima volta cinque per cinque , secondo il sistema tedesco ) di fronte a un tavolino piazzato nel centro di un vastissimo e brullo spiazzo . Dietro al tavolino , il maresciallo germanico , assistito dai suoi commilitoni , consultava i quaderni di carico e scarico relativi alle armi e alle munizioni . Plotone dopo plotone , compagnia dopo compagnia , i soldati abbandonavano , su diversi mucchi , i loro «'91» , le baionette , i pacchi rosa di munizioni , le giberne e gli spallacci . Lontano , alle spalle del maresciallo , che si era messo occhiali cerchiati di acciaio , i monti erano fantasmi color bistro , sfumati nei vapori del maltempo . Un enorme silenzio pesava sotto il fruscio lieve della pioggia . Qualche ragazzo serbo , fermo agli estremi confini dello spiazzo , osservava la scena . Accatastati sulla fanghiglia gialla , i «'91» nereggiavano come vecchi rottami . Ancora i soldati non lo sapevano : ma intuivano che quello era il primo passo verso due anni di doloroso e umiliante internamento in Germania . E capirono che ciò li aspettava , dopo tanti sacrifici e tanti rischi affrontati , allorché un « anziano » del '12 , uno degli ultimi della lunghissima processione , al momento di consegnare il fucile , ci ripensò e fece l ' atto di allontanarsi tenendoselo . Il maresciallo si alzò , gli corse dietro , lo afferrò per una spalla berciando invettive incomprensibili e gli abbozzò un ceffone . Lo abbozzò soltanto : perché subito si guardò attorno e rise sgangheratamente , fingendo di aver scherzato . Anche quelli della « Puglie » arrivarono ai campi di concentramento tedeschi dopo sette giorni e sette notti di spaventoso viaggio in carri bestiame , attraverso l ' Ungheria , la Carinzia , l ' Austria , la Baviera e la Prussia occidentale . Quanto ai «'91» abbandonati sul fango di Prizren , i tedeschi li utilizzarono per armare le bande montanare arruolate nel Dibrano con la promessa di « carta bianca » nel saccheggio . Ma molti di quei fucili passarono , dopo qualche settimana , nelle mani dei soldati italiani , rimasti alla macchia in Jugoslavia e Montenegro , che attraverso stenti infiniti , fame freddo e malattie , andarono a ingrossare i reparti partigiani comandati da Giuseppe Broz , non ancora conosciuto come « maresciallo Tito » . Furono quelli , oggi raramente ricordati , i primi italiani che fra la deportazione e il collaborazionismo scelsero la lotta contro il nazismo . Primi , con gli sventurati soldati della « Acqui » a Cefalonia , passati per le armi senza misericordia dai tedeschi , che invece ancora rispettavano e onoravano i « pezzi grossi » , soli veri responsabili del nostro crollo disastroso . Primi , accanto ai marinai del Dodecanneso , agli allievi dell ' Accademia Navale , portati in massa da Venezia a Brindisi dal loro intrepido comandante , ammiraglio Bacci di Capaci . Per quasi due anni , sino al maggio del 1945 , le formazioni partigiane e i reparti ricostituiti dagli Alleati nel Corpo Volontario di Liberazione , si batterono contro i tedeschi e gli italiani , spesso addirittura adolescenti , che a fianco dei tedeschi continuavano a combattere . I «'91» , moschetti e fucili , che i partigiani si erano procurati dai reparti dell ' esercito discioltisi dopo 1'8 settembre o con colpi di mano contro caserme e depositi , incontrarono sui monti della Lombardia , del Piemonte , della Toscana , del Veneto , dell ' Emilia , dell ' Umbria , i «'91» che i giovani soldati di Salò , inquadrati e addestrati parte nell ' Italia settentrionale parte in Germania , avevano ricevuto dai tedeschi . Lunghi mesi di inevitabile guerra civile perfezionarono la rovinosa conclusione di una guerra mal preparata , stoltamente dichiarata , diretta con ineffabile imperizia . Ma era già cominciata la stagione dei « mitra » : quelli che nell ' ultimo anno di guerra , i soldati avevano soltanto intravisto , e molto di rado , sulla spalla di qualche ufficiale della « Milizia M.M. » , i così detti « lupi di Galbiati » . Mitra dalla sovracanna bucherellata , mitra tedeschi corti da tenere sospesi sul ventre , mitra americani e inglesi paracadutati sulle Alpi e sugli Appennini . E col mitra , venne in uso corrente un ' espressione dura , cinica , agghiacciante : « far fuori » . L ' Italia del «'91» , coi suoi errori , le sue glorie , le sue illusioni , le sue ingenuità , i suoi impettiti luoghi comuni , era per sempre finita .