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La società delle bocche cucite ( Fusco Gian Carlo , 1958 )
StampaQuotidiana ,
Quando , nella primavera del 1956 , la mafia volle fare intendere a don Carmelo Napoli che per lui era arrivato il momento di « pensare alla salute » , gli spedì un pacco postale contenente una testa di cane . Don Carmelo , impresario di pompe funebri , fioraio e maneggione in diverse « partite » , capì subito la portata dell ' avvertimento : « Se continui a mordere e ad abbaiare , farai la stessa fine » . Il tarchiato necroforo era quel che i palermitani chiamano « uomo di pancia » : poco disposto a lasciarsi intimidire o spaventare . Gettò la testa nel pozzo nero e attraverso l ' impalpabile telegrafo dei bassifondi fece sapere a quei « cornuti ammazzacani » che avrebbero avuto molto filo da torcere , prima di farla da padroni nella zona dei Mercati generali . Ma quindici giorni dopo , mentre don Carmelo se ne stava placidamente seduto nei pressi del suo negozio , in pieno giorno , in uno dei vicoli più centrali e popolati della vecchia Palermo , alcune lingue di fuoco saettarono dallo sportello di un ' utilitaria e gli saldarono il conto . La salma di don Carmelo era da poco tumulata , quando Tanuzzo Galatolo , « pezzo duro » del quartiere l ' Acquasanta , fu avvicinato per strada da un bambino scalzo e spettinato , il quale gli mise in mano una scatoletta dicendo : « Don Gaetano , cinquecento lire mi diedero perché ve la consegnassi » . « Chi fu , a incaricarti ? » , chiese Galatolo , rigirandosi in mano la scatola . Il bambino strinse le spalle , alzò gli occhi al cielo , allargò le braccia e tirò via di corsa . La scatoletta di cartone era di quelle che normalmente contengono fermagli metallici per riunire documenti ; ma Galatolo vi trovò soltanto tre noccioli d ' oliva ben ripuliti . Io e voi avremmo pensato a uno scherzo . Invece , il « ras » dell ' Acquasanta si accigliò . Se fra gli innamorati dell ' Ottocento esisteva un linguaggio dei fiori , nel mondo della mafia esiste un linguaggio dei noccioli : « Non ti resta altro da succhiare , compare . Mettiti l ' anima in pace » . Ventiquattro ore dopo , dietro i cancelli del mercato ortofrutticolo , Tano Galatolo cadde nel suo sangue . Testa di cane , noccioli d ' oliva , pettine rotto , lampadina fulminata ( i morti non hanno bisogno di luce ) , zampa di gatto , altri oggettini insignificanti , bastano ad annunciare le condanne capitali decretate dalla mafia . O meglio : da una « cosca » ( vale a dire « gang » ) di mafiosi decisi a sopprimere i membri di una « cosca » concorrente . Guerriglia interna . Quando , invece , la vittima designata non appartiene all ' « onorata famiglia » ( e in questo caso i « picciotti » incaricati dell ' esecuzione prendono ordini « dall ' alto » ) , è inutile farsi precedere da simboli di quel genere . Non verrebbero capiti . Per mettere sull ' avviso un « babbo » , un « babbeo » , cioè , estraneo alla « società » , e intimargli di non ficcare il naso in un certo affare , basta una visita della « masticogna » . Un certo giorno , un tipo in berretta qualsiasi suona alla porta della persona da mettere « a posto » , oppure la ferma per strada . Con aria molto deferente , quasi con umiltà , le tiene un discorsetto di questo genere : « Vossia deve farci un piacere . Non deve più intricarsi ( interessarsi ) di quell ' appalto » . Oppure : « Vuole un consiglio , voscenza ? Per qualche tempo non si faccia più vedere dalle nostre parti . C ' è gente molto nervosa » . Poche parole , formalmente inoffensive , tutt ' altro che minacciose , ma pronunciate con una tecnica speciale : una ben staccata dall ' altra , con forza , come se fossero altrettanti bocconi duri da masticare ( l ' espressione « masticogna » lo dice ) . Fu per uno di quegli « avvertimenti » angosciosi che Giuseppe Intravaia cambiò improvvisamente umore , nel novembre del 1953 , prima di sparire in modo tanto misterioso ? Intravaia era nato nel luglio del 1910 . Al momento della scomparsa , aveva da poco compiuto 43 anni . Bruno , distinto , vestito con una certa eleganza , capace di parlare e scrivere correntemente l ' inglese , il francese e il tedesco , nessuno avrebbe immaginato le sue origini modeste , gli umili mestieri della sua gioventù . Invece , a quindici anni , con addosso i suoi primi calzoni lunghi , era andato a lavorare in Inghilterra , come fattorino di albergo . Giuseppe Intravaia era preciso , ordinato , sentimentale . Annotava tutto su rettangolini di carta che portava in tasca , e ogni sera ricopiava quegli appunti su grossi quaderni . Con la moglie , Ninfa Grado , ch ' egli chiamava sempre Ninfina o Ninfuzza , era un marito perfetto . Idolatrava il figlio Piero , che nell ' autunno del '53 aveva otto anni , al punto che un giorno aveva detto alla moglie : « Stanotte ho sognato che il nostro bambino aveva venti anni e partiva per fare il soldato . Anche nel sonno , ho provato un dolore insopportabile . Ho deciso . Quando Piero andrà militare , noi andremo ad abitare nella città dove lo destineranno , per averlo vicino » . Cameriere di bordo sui bastimenti della Tirrenia , Intravaia si era pian piano elevato . Per alcuni anni aveva lavorato , in posizione assai modesta , con alcune ditte esportatrici di agrumi di Palermo . Finché non diventò uno dei maggiori esponenti di un importante « consorzio agrumario » in provincia di Messina . Nel maggio del 1952 , l ' Assessorato per l ' Industria e il Commercio della Regione siciliana lo nominò suo rappresentante ufficiale alle fiere di Nuova York e di Toronto , nel Canada . Restò al di là dell ' Atlantico circa due mesi . Forse , quel viaggio segnò nella sua vita ordinata e tranquilla una svolta fatale . Il 5 ottobre 1953 , Giuseppe Intravaia partì da Monreale . Era uno dei soliti viaggi di affari , per conto del Consorzio produttori Torrenova , con sede a Sant ' Agata di Militello . Viaggi che spesso lo portavano anche all ' estero : tanto da fargli ottenere con facilità il passaporto per tutti i paesi del mondo , compresa la Russia . Partì con due valigie e , come sempre , l ' ombrello ben arrotolato nella foderina di seta : come da ragazzo aveva visto in Inghilterra . Si fermò alcuni giorni a Messina , quindi proseguì per Genova . Era di umore perfettamente normale . A Genova , Intravaia sbrigò diverse faccende , appoggiandosi a un certo Catalano , suo corrispondente d ' affari . Verso il 15 ottobre , si trasferì a Basilea , dove , oltre ai commercianti che riforniva di agrumi , avvicinò due famiglie di turisti , conosciute nell ' estate del '52 a Giacalone , villeggiatura nei dintorni di Monreale . Ritornò a Genova il 31 ottobre 1953 . Ed è a cominciare da quel giorno che la sua figura si appanna ; acquista , attraverso qualche lettera scritta alla moglie e poche , vaghe testimonianze , un che di enigmatico , d ' inafferrabile . Al rientro dalla Svizzera , Intravaia appariva preoccupato . Quando il Catalano gli chiese se avesse qualche fastidio , qualche pensiero molesto , raccontò che durante la sua permanenza a Basilea si era fatto visitare da un buon internista , il dottor Erich Goldschmidt , della Friedrichstrasse , il quale gli aveva prescritto una certa dieta . Si trattava di una malattia grave ? No : qualche disordine all ' intestino ; ma non era , comunque , una cosa allegra . Eppure , agli occhi di Catalano , il commerciante di Monreale aveva un ' aria troppo triste e abbattuta , per essere spiegata a quel modo . Soltanto una diagnosi gravissima , addirittura infausta , avrebbe potuto giustificare i lunghi silenzi , le fissità distaccate di Giuseppe Intravaia . Cinque o sei giorni dopo , Intravaia decise improvvisamente di andare alla Spezia , dove abitava un fratello della moglie , l ' ingegner Grado . Prima di prendere il treno , con le due valigie e il fedele ombrello , chiese al Catalano un prestito di 40.000 lire . A Basilea aveva speso più del previsto ( soltanto al dottor Goldschmidt aveva versato un onorario di 220 franchi ) , ed era rimasto a corto di fondi . Conoscendo con che ordine scrupoloso l ' amico fosse solito organizzare la propria vita , Catalano restò alquanto sorpreso da quella richiesta . Alla Spezia , come d ' abitudine , Intravaia fu ospite del cognato ingegnere . Durante i suoi viaggi stagionali , passando da quelle parti , una breve sosta in casa dei parenti era solito farla . Quella volta , invece , si fermò a lungo . Pareva indeciso , restio a muoversi , quasi insabbiato . Spesso , a tavola , restava con gli occhi inchiodati alla finestra . Intanto , a Monreale , un giorno della prima decade di novembre , avvenne un fatto curioso . Un noto commerciante di agrumi palermitano si presentò all ' abitazione dell ' Intravaia , in via Veneziano , e chiese alla signora Ninfa di consegnargli alcune cose appartenenti al marito : un assegno di 125.000 lire , due libretti di risparmio al portatore , uno con 490.000 lire , l ' altro con 24.000 , e la chiavetta della cassetta postale n . 37 , di cui l ' Intravaia era titolare da un paio d ' anni . La signora , sapendo che il commerciante in questione aveva continui rapporti d ' affari col marito assente , non ebbe alcuna difficoltà a soddisfare la richiesta . Solo più tardi , ripensandoci , la trovò strana . I1 visitatore le aveva detto che quella roba andava subito spedita alla Spezia , su richiesta del marito . Ma a parte il fatto che Peppino avrebbe potuto rivolgersi direttamente a lei , per la quale non aveva mai avuto segreti : cosa poteva farsene , alla Spezia , di due libretti al portatore accesi sulla filiale palermitana della Commerciale , e soprattutto della chiavetta corrispondente a una cassetta postale lontana più di mille chilometri ? Il 23 novembre , ancora ospite del cognato , Giuseppe Intravaia ricevette dalla Sicilia una lettera azzurra . Con la sua calligrafia da terza elementare , il figlio Piero lo informava di essere indisposto . Una leggera febbre influenzale lo costringeva a letto da qualche giorno . Il commerciante scrisse immediatamente alla moglie un espresso , chiedendo particolari sulla malattia del bambino . Tre giorni dopo , il 26 novembre , giunse un telegramma di risposta : il piccolo Piero si era completamente rimesso . Ricevendo una notizia del genere , Intravaia avrebbe dovuto , logicamente , rallegrarsi . Senonché , in quel telegramma , vi era un particolare molto strano : non era firmato dalla signora Ninfa , e nemmeno da qualche altro parente più o meno prossimo . Era stato spedito e firmato da una ditta di agrumi con la quale Giuseppe Intravaia aveva avuto spesso rapporti d ' affari . Dopo quel telegramma , il commerciante , anziché apparire soddisfatto , sembrò colto dal panico , dall ' ansia di partire , di precipitarsi a casa . Infatti , la sera di quello stesso 26 novembre , prese il treno , con le sue valigie e l ' immancabile ombrello , ben stretto nella fodera . Il pomeriggio del giorno seguente , alle 7 , a Napoli , Intravaia si imbatté per caso in un cugino che da tempo non vedeva : il dottor Candido , commissario di Pubblica Sicurezza . Restò in sua compagnia circa un ' ora . Rifiutò fermamente un invito a cena , non accettò neppure un caffè , dicendo che il medico glielo aveva proibito . Qualche minuto dopo le 8 , si congedò dal cugino : « Scusami , ma debbo andare d ' urgenza alla posta per spedire un telegramma » . Aveva un ' espressione pensosa , preoccupata . Si allontanò giù per via Toledo a passi frettolosi . Il dottor Candido lo seguì un momento con lo sguardo . Fu l ' ultima persona al mondo che vide con certezza Giuseppe Intravaia . Perché la forma umana intravista qualche ora dopo , dal colonnello di Finanza in pensione Calogero La Ferla , in una cabina a due cuccette , a bordo della nave Città di Tunisi , poteva essere l ' Intravaia , ma anche tutt ' altra persona . La città di Tunisi , in servizio di linea fra Napoli e Palermo , salpò in perfetto orario , alle 20.30 del 27 novembre 1953 . Sul libro del commissario , la cabina di seconda classe n . 19 risultava occupata dal colonnello La Ferla e dal « commissionario » d ' agrumi Giuseppe Intravaia . Un cameriere di bordo sistemò in un angolo della cabina due grosse valigie e un ombrello strettamente arrotolato . Il colonnello in pensione , settantacinquenne , si coricò presto : prima che il compagno di viaggio si facesse vedere . I vecchi hanno il sonno leggero . Durante la notte , un certo tramestio svegliò l ' ex - ufficiale . Fra le palpebre socchiuse , vide un ' ombra che stava frugando febbrilmente in una valigia . « Si sente male ? » , chiese , a mezza voce , il colonnello . « Non posso dormire » , borbottò l ' ombra , rimise a posto la valigia ed uscì . La mattina dopo , all ' attracco di Palermo , nessuno ritirò le due valigie e l ' ombrello dalla cabina 19 . Quegli oggetti restarono lì un paio di giorni , finché un cameriere non li mise in un ripostiglio fra le cose dimenticate . Qualche giorno più tardi , quando la signora Ninfa , disperata , segnalò alla polizia l ' inesplicabile sparizione del marito , le valigie tornarono alla luce e furono rovistate . In mezzo alla biancheria da lavare , il commissario di P . S . in servizio portuale trovò due passaporti intestati a Giuseppe Intravaia , uno scaduto , pieno di visti di frontiera , l ' altro rinnovato , con un visto di espatrio per la Svizzera , in data 16 novembre 1953 . Partendo dalla Spezia , Intravaia aveva con sé due vestiti : uno marrone e uno grigio , nuovo , acquistato a Basilea . Aveva un impermeabile e un cappotto . In una delle due valigie , fu trovato il vestito marrone , e sotto di esso un campione di stoffa grigia corrispondente all ' abito acquistato in Svizzera . Dell ' impermeabile e del cappotto , nessuna traccia , né in valigia né altrove . In una valigia , fu trovato un guanto di pelle marrone . Il destro , Intravaia aveva tre dita della mano sinistra mutilate delle falangi superiori , perse in un incidente giovanile . D ' estate era solito applicare puntali di gomma ai moncherini del pollice , indice e medio della sinistra . D ' inverno portava i guanti . Dov ' era finito il guanto sinistro , che Intravaia , uomo ordinatissimo , si sfilava immancabilmente prima di coricarsi e riponeva , assieme all ' altro , sempre nel medesimo posto ? E se quella notte non si era coricato , perché il guanto destro , scompagnato , era rimasto chiuso in valigia ? In una delle sue valigie , fu rinvenuto anche un pezzetto di carta con su scritto : « Vado a Palermo per vedere mio figlio » ; sul retro , due cognomi : quello di un commerciante d ' agrumi napoletano e quello di una personalità politica isolana . Suicidio ? Come crederlo , con tutta la fretta che Intravaia aveva di rivedere il suo bambino ? E da Napoli , appena lasciato il cugino commissario di P . S . , non aveva forse telegrafato a un amico di andarlo a prendere all ' arrivo della città di Tunisi ? Amico che , peraltro , pur avendo ricevuto il telegramma diverse ore prima che la nave entrasse in porto , non si recò all ' appuntamento . Incidente ? Giuseppe Intravaia aveva fatto il militare nella Marina da guerra , per alcuni anni era stato cameriere sui piroscafi . Aveva dimestichezza con la vita di bordo , con le scalette , i boccaporti , le murate . Poteva finire in acqua , per una svista , tanto più che il mare , quella notte , era liscio come l ' olio ? Qualche tempo dopo la sua misteriosa sparizione , risultò che il modesto « commissionario » di agrumi Intravaia aveva conti piuttosto rilevanti intestati a suo nome in diverse banche della Siria , del Canada , di Londra , di Berna ; numerosi libretti di risparmio accesi in cinque o sei banche italiane ; grossi crediti esigibili da commercianti siciliani , napoletani , genovesi , svizzeri . Due valigie , un ombrello . Un vestito marrone , un po ' di biancheria sudicia , un guanto scompagnato . Un ' ombra nella notte , intenta a cercare qualcosa in una valigia . Un vecchio colonnello in pensione che si riaddormenta , cullato dalle vibrazioni dello scafo . Un bambino di otto anni , una moglie affranta , che ripete ancora , dopo cinque anni : « Il mio Peppino è stato ucciso ! » . Come , da chi , perché ? Dove finì la chiave della cassetta postale n . 37 ? Perché qualcuno si presentò a ritirarla ? Perché il telegramma del 26 novembre 1953 , rassicurante circa la salute del piccolo Piero , non era firmato , come sarebbe stato naturale , dalla signora Intravaia , ma da gente estranea alla famiglia ? Un telegramma tranquillizzante che mise in agitazione il destinatario . Questa è la storia romanzesca di Giuseppe Intravaia , l ' uomo che sparì , una notte del novembre '53 , come una bolla di sapone . Una storia già velata dalla polvere dell ' archivio . Una delle tante . È difficile non sentirvi , come un alito freddo , la presenza implacabile delle « bocche cucite » . Lunedì scorso , 13 ottobre , all ' imbrunire , in via dell ' Addolorata , a Corleone , è stato ucciso Carmelo Lo Bue . Non valsero i pattugliamenti straordinari dei carabinieri , su e giù per le antiche strade , sassose come torrenti in secca , a ritardare il suo appuntamento con la morte . Era nipote dell ' ottuagenario capomafia Calogero Lo Bue , sostituito tre anni fa dall ' italo - americano Vincent Collura , che fu « impiombato » nel febbraio del '57 . Tutto ciò non serve ad arrestare il « tritacarne » della mafia , e neppure a rallentarlo di un giro . La testa calva di Carmelo Lo Bue è rimasta a biancheggiare sui sassi grigi , al momento prestabilito . La sera del 13 ottobre , dopo l ' Avemaria , nella luce fiacca proiettata dalle botteghe , la gente di Corleone ha formato í soliti capannelli bisbiglianti . Come sempre , quando il paese è « fresco di morte » , le donne , vecchie e giovani , in lutto cronico , parlottavano voltando le spalle alla strada ; perché è bene , in certi casi , che le « femmine » non vedano quello che « sta capetando » . Scene uguali , la medesima atmosfera greve e sinistra , lo stesso « scirocco morale » fecero seguito a migliaia di omicidi , nell ' ultimo mezzo secolo . 11 17 maggio 1915 , quando l ' autore accertato o presunto degli ultimi delitti , Luciano Liggio , era ancora assai lontano dal nascere , i corleonesi si riunirono a commentare , senza muovere le labbra , l ' uccisione di Bernardino Verro , organizzatore di cooperative agricole . Anche allora , 43 anni fa , i rintocchi dell ' Avemaria si erano appena smorzati . Giovani siciliani di leva e anziani richiamati , crucciati nel grigioverde , si preparavano a fare la guerra . Nel cielo di tutto il mondo si addensava una bufera di sangue . Ma le « coppole storte » della mafia , obbedienti soltanto alla loro « legge » , avevano un solo obbiettivo : Bernardino Verro . Novembre 1918 . Anche nei più remoti villaggi della Sicilia , le campane squillanti a doppio salutarono l ' armistizio . Decine e decine di milioni di uomini , in venti nazioni , festeggiarono la pace . Ma nei dintorni di Corleone , proprio quel 4 novembre , due sicari silenziosi e duri , incuranti d ' ogni altra cosa , aguzzavano gli occhi d ' onice sulla curva solitaria di una certa trazzera . Aspettavano al varco Antonio Barbaccia . Barbaccia , da una decina di giorni , stava aspettando , con antica rassegnazione , la morte . La incontrò quel pomeriggio . Stramazzò mentre le campane del suo paese annunciavano la fine del primo macello mondiale . Né guerra , né pace , né passo di pattuglie , né lacrime di figli , né suppliche di madri , né interpellanze alla Camera : nulla può arrestare gli « uccisori » della mafia , quando arriva il momento di colpire . Forse non sono neppure feroci , nemmeno crudeli . Sono soltanto dei « robot » , la cui intima freddezza contrasta coi ciuffi meridionali e il lampeggiare degli occhi mediterranei . Forse , sotto un ' apparenza calda , meridionale , conservano fredde gocce di sangue normanno , o impassibili globuli di sangue levantino . I « grandi capi » del gangsterismo siculo - americano , a Chicago e Nuova York , tristi e laconici sotto pesanti cappelli di feltro garantito , da cento dollari , non hanno più nulla di latino . Marciano , implacabili , fra due taciturne guardie del corpo , come cavalieri di un ' Apocalisse moderna . Il vento dell ' enorme miseria patita in gioventù li spinge alle spalle . Impararono l ' uso del gabinetto a vent ' anni , spesso più tardi . Offrono a « bambole » come Virginia Hill , Liz Renay o Hope Dare , collane di diamanti degne di una regina , sanno perdere al gioco cifre colossali senza scomporsi ; lasciano cinquanta dollari di mancia ai camerieri del Morocco : ma continuano a chiamare il gabinetto « bacauso » . Perché í loro nonni e padri , quando arrivarono in America , non conoscevano altro gabinetto che il terreno incolto « dietro casa » Back - house . La ricchezza e la miseria generano , in modo diverso , la stessa solitudine . Non hanno patria . Obbediscono soltanto a due leggi : « fai paura » o « aver paura » . Tutto il resto , per le « coppole » di Corleone per i « feltri » di Nuova York , è riempitivo . Il delitto di Corleone del 13 ottobre , attribuito alla solita disparità d ' interessi fra i soci vivi e defunti dell ' « azienda armentizia » di Piano Scala , è la controprova , se ve ne fosse bisogno , che il regno della mafia attorno a Palermo , Caltanissetta , Agrigento e Trapani , è più forte che mai . Pensare di poterlo liquidare con le solite , vetuste repressioni poliziesche , con le deportazioni in massa , i blocchi permanenti , le leggi straordinarie ( si potrebbero anche chiamare « illegalità » eccezionali ) di cui andava impettito il prefetto Cesare Mori , fiero di aver mandato alle isole anche i bambini di dieci anni , sarebbe follia più che ingenuità . La mafia è , prima di tutto , in Sicilia come negli Stati Uniti , uno strumento troppo utile per soccombere ai risentimenti moralistici e alle operazioni della burocrazia militare . Dietro le spalle del funzionario o del generale incaricato di drastici provvedimenti possono maturare intese e accordi a più alto livello . Nel 1927 , mentre Cesare Mori , in giacca di fustagno e stivali gialli , polverizzava intere popolazioni , mute di sgomento e gialle di malaria , Mussolini strizzava l ' occhio ai grandi mafiosi , già muniti di tessera e scudetto . Il Machiavelli di Predappio , individuate le profonde infiltrazioni dell ' « onorata società » fra gli emigrati siciliani in Tunisia , stava servendosene per introdurre clandestinamente nell ' Africa Occidentale francese armi e munizioni , da impiegare in un ' eventuale rivolta filo - italiana . Attraverso la stessa identica rete di collegamenti che oggi alimenta il traffico delle sigarette americane e degli stupefacenti , gli agenti segreti di Mussolini riuscirono a piazzare nelle cantine di Tunisi e Biserta 30.000 moschetti , 12.000 pistole , 3 milioni di proiettili , 90 mitragliatrici e 3000 bombe a mano . Le spedizioni , in un ' atmosfera da scoglio di Quarto , partivano perlopiù da Trapani , Gela e Licata . È inutile dire che molte delle armi destinate alla nostra riscossa mediterranea restavano regolarmente in Sicilia , a sostituire gli arsenali sequestrati da Cesare Mori . Nel 1945 , quando i baroni crearono l 'E.V.I.S . ( Esercito Volontario Indipendenza Siciliana ) , spendendo più parole che quattrini , un nobiluomo palermitano si ricordò di avere ancora , nascoste in una villa di campagna , diverse armi sottratte ai carichi « irredentistici » di trenta anni fa . Per quanto un po ' muffite , Concetto Gallo , generale in seconda dell ' indipendentismo ( il primo , sulla carta , era Giuliano ) , le distribuì alle reclute in addestramento al Quartier Generale di San Mauro , sopra Caltagirone . Anche Mussolini , fautore di una « politica solare » , ripulitore di angolini , antepose la ragion politica alla distruzione radicale della mafia . E come lui , dopo di lui , l ' opportunismo politico , variamente colorato , spinse alcuni esponenti democratici della Sicilia occidentale a compromessi e patteggiamenti , più o meno segreti , coi capi delle « bocche cucite » . Ognuno per conto proprio , fingendo d ' ignorare le rispettive manovre , i candidati alle elezioni del '46 , del '48 e via dicendo , strinsero accordi coi medesimi « pezzi da 90» : distributori di voti « ciechi » , trasferibili , a decine di migliaia e con un semplice cenno , da un capo all ' altro dello schieramento elettorale . Prezzo dei voti , la promessa di favoritismi , vantaggi economici , tolleranza e impunità . Nel 1924 , in un famoso comizio per le elezioni di Palermo , Vittorio Emanuele Orlando dichiarò pubblicamente di apprezzare le « virtù virili » e le « alte qualità umane » dei mafiosi . Tali accenti suscitarono , allora , alte polemiche . Ma tutto sommato , malcostume a parte , le condizioni economiche e gli interessi prevalentemente agricoli dell ' Isola mantenevano le collusioni fra politici e mafia a un livello piuttosto modesto , a proporzioni paesane , di « cosca » e di famiglia . D ' altra parte , il gioco delle « clientele » elettorali era diffuso e scontato in tutto il Meridione . Anche nella Sicilia orientale , dove la mafia non ebbe mai radici , l ' influenza dei baroni creava o distruggeva , spesso a capriccio , la fortuna di un uomo politico . Celebre il caso di due candidati , Crisafulli Mondio , agrario , e di Cesarò , democratico sociale , ambedue condizionati dall ' appoggio del barone locale . Costui disponeva di 2999 voti . Si trovava in grande imbarazzo circa la loro assegnazione : non già per scrupoli di natura politica , ma perché i due gli erano egualmente cari e simpatici . Tagliò la testa al toro , una settimana prima delle elezioni , disponendo , tramite campieri , massari e uomini di fiducia , che 1499 voti andassero a un candidato e 1500 all ' altro . Oggi la mafia è assai diversa da quella che sosteneva alle urne Vittorio Emanuele Orlando . L ' aiuola siciliana produce frutti assai più ghiotti di quelli di una volta . Molti zeri si sono accodati alla cifra del reddito regionale . L ' « onorata società » , trasferitasi negli Stati Uniti , ha frequentato l ' università di « Tammany Hall » , centrale siculo - americana del partito democratico a Nuova York ; ha guardato a fondo nel meccanismo politico - mercantile del Paese più ricco e sanguigno del mondo ; ha imparato come si « controlla » un sindacato , un grande porto , come si può legare una fabbrica di abiti o di motori a una catena di alberghi o di case da gioco . Ha imparato , soprattutto , a maneggiare e impiegare il danaro con estrema disinvoltura : considerandolo un mezzo e non un fine . Ecco perché , attualmente , i legami fra la mafia e certi uomini politici dell ' Isola sono più pesanti e complessi ; ecco perché , prevedendo l ' aggravarsi di una situazione già purulenta negli anni dell ' immediato dopoguerra , la rivista « dossettiana » « Cronache Sociali » , già citata nel corso di questa rapida inchiesta , incitava caldamente la classe dirigente siciliana a sganciarsi dal vecchio carro , ad abbandonare le tradizionali combutte . L ' esortazione , oggi come oggi , è ancora più valida . Mai come in questo momento , mentre le sue antiche strutture economiche e sociali si stanno rapidamente evolvendo , la Sicilia ebbe necessità di rinnovare il proprio quadro sociale . Ciò che purtroppo non avvenne circa un secolo fa , con lo sbarco di Garibaldi , e l ' avvento dell ' unità nazionale affrettato dal forcipe franco - inglese , in funzione antitedesca , è oggi in via di realizzazione . Dal bozzolo confuso di una terra contadina e pastorile , allagata di solitudini e di silenzi , umiliata dalla trascuratezza dei governi , sta per uscire una farfalla industriale . L ' emancipazione delle province orientali , Messina , Catania , Siracusa , va estendendosi verso occidente . Se in questo processo di trasformazione , una vasta , profonda e coraggiosa revisione del costume politico non estrometterà dalla vita pubblica dell ' Isola l ' influenza corruttrice della mafia , l ' antica peste feudale s ' impossesserà delle fabbriche , delle miniere , degli uffici , dei trasporti , degli appalti . Dopo le paure di un Medioevo agrario , i siciliani conosceranno i terrori di un Medioevo industriale . Più forte di qualsiasi partito o corrente di partito . La Sicilia è una terra antica e generosa . La sua popolazione , cinque milioni di individui , un decimo di quella italiana , è il prodotto di molteplici incroci , di vicissitudini storiche che vanno dagli albori della civiltà umana allo sbarco alleato dell ' estate '43 . Genti del Nord , del Sud , dell ' Occidente e dell ' Oriente vi s ' incontrarono ; vi lasciarono lembi di linguaggio , usanze , tempeste d ' odio , furie d ' amore . Perfino la mafia , degenerata attraverso i secoli , ma specialmente negli ultimi quarant ' anni , in strumento di oppressione e d ' « intrallazzo » , nacque dal bisogno di sopperire in qualche modo alla deficienza e alla trascuratezza dei poteri centrali . Non è possibile che in un « humus » tanto ricco non si trovino , senza necessità di leggi umilianti e di battaglioni in assetto di guerra , le forze necessarie a vincere la malvivenza organizzata e il malcostume politico . Nel 1949 , Angelo Vicari , allora prefetto di Palermo , oggi prefetto di Milano , fece pervenire alle superiori autorità un coraggioso rapporto sul riprovevole comportamento di alcuni parlamentari siciliani , palesemente legati , se non addirittura affiliati alla mafia . Vicari era , allora , uno dei più giovani , forse il più giovane prefetto d ' Italia . Nato nella Sicilia orientale , a Sant ' Agata di Militello , in provincia di Messina , arrivò a Palermo in tempo per ereditare il peso di tutti gli intrighi , indipendentistici , separatistici , briganteschi , accumulatisi dal '43 alle elezioni del luglio '48 . Siciliano dell ' altra sponda , poco più che quarantenne , di idee vivaci e moderne , il prefetto mise decisamente il dito sulla piaga , o perlomeno su una delle piaghe principali . Consigliò di neutralizzare d ' urgenza alcuni uomini politici di primo piano . Il coraggioso rapporto , dopo aver ondeggiato come una foglia d ' autunno , scivolò nelle pieghe secolari della vita romana . Svanì . Oggi , dietro le belle casse da morto , con borchie di ottone e maniglie di bronzo , intagli e intarsi , dentro le quali i mafiosi trucidati viaggiano verso il cimitero , non è raro vedere , vestito di scuro , pallido e commosso , uno di quei parlamentari che il prefetto Vicari , nove anni or sono , nominò nel suo fantomatico rapporto . Il giorno che i « pezzi da 90» come Michele Navarra di Corleone e Vanni Sacco di Camporeale , come Gerolamo Vizzini e Ciccio Cottone , andranno al camposanto senza deputati , la Sicilia occidentale conoscerà , finalmente , una nuova stagione .