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UNO STATICO ORATORIO LA «FIACCOLA» DI DE LULLO ( De Monticelli Roberto , 1958 )
StampaQuotidiana ,
Prima di recarci a teatro , ieri sera , avevamo dato una scorsa ad alcune recensioni di giornali romani , settimanali e non , che de La fiaccola sotto il moggio , presentata dalla Compagnia De Lullo - Falk - Guarnieri - Valli , nella regia di Giorgio De Lullo , parlavano in tono entusiastico e per Rossella Falk , interprete del personaggio di Gigliola , adottavano l ' impegnativa definizione di « grande attrice » . Già , quindi , pregustavamo , oasi rara nel nostro mestiere , una serata di alto teatro , con un testo discutibile , ma illustre , e una regia e un ' interpretazione , se non eccezionali , poco meno . Si sa che , nonostante le sue ambizioni di ripetere l ' immagine di Elettra , un ' Elettra ambientata in terra d ' Abruzzo , La fiaccola sotto il moggio resta un dramma naturalistico e , niente da fare , decadente . Il suo motivo autentico , e più intimo , non è quello della vendetta riparatrice di Gigliola contro Angizia , la « femmina di laico » che le ha ucciso la madre ; quella vendetta per cui Oreste fa strage di Egisto e Clitennestra . D ' Annunzio proietta perentoriamente l ' azione verso quella catastrofe ma intanto ciò che veramente gli sta a cuore è l ' amara musica che viene dal disfacimento della casa dei Sangro . Punta al tramonto sanguigno che conclude la tragedia greca e arriva al crepuscolo , polveroso e perplesso , del decadentismo principio di secolo . Nella casa dei Sangro c ' è , a cercarlo , tutto il repertorio dei crepuscolari : la fontana muta che non dà più acqua ; il grido del fanciullo : « Sono un povero malato - altro non posso che morire ... » ; che qualche anno dopo riecheggerà Sergio Corazzini , poeta morto , ventenne , di tisi ; la « sillaba del tarlo » ; « la polvere delle cose consunte » ; le pergamene corrose , memoria di una grandezza perduta ; le statue dei vecchi re , caduti dalle nicchie e con la testa mozza ; la portantina dal velluto stinto , come il sangue di Simonetto ; e di suo padre Tibaldo , quel sangue pallido che ha tuttavia torbide accensioni e concilia la vampa per la serva assassina alla vigliaccheria e all ' impotenza ad agire . Il sapore di morte che è in questa tragedia fin dai primi versi non deriva dalla pura determinazione ad agire degli eroi classici ; ma caso mai proprio dal suo contrario ; da quella perplessità , da quella decadenza , da quel rovinio che è nelle cose e negli uomini e che D ' Annunzio esprime con gli arcaici , malinconici fasti del suo linguaggio . È chiaro che tragedia vera e propria non c ' è ; c ' è una specie di allucinazione torbida , che ha ancora una sua indubbia forza teatrale ( l ' opera sopporta sulle spalle , coperte da uno scialle a lutto , cinquantatré anni buoni ) purché venga , rispettato quell ' ambiente , che D ' Annunzio descrive con le sue fulgide didascalie ; e i personaggi si muovano secondo la loro coerenza drammatica , perché insomma si tratta di un ' Elettra borbonica e Tibaldo dev ' essere un barone consunto e vizioso , la femmina di Luco , Angizia , una criminale aspra donna plebea , il Serparo un Deus ex - machina uscito da sotterranei di città morte ; e così via . Giorgio De Lullo ha invece messo in scena La fiaccola sotto il moggio , senza credere ai suoi valori che , poco o molto , sono quelli indicati sopra ; e l ' ha trasformata in una specie di alto oratorio , di immobile lettura . Dizione spiegata , leggermente inamidata da una punta accademica , statuarietà dei personaggi su una specie di piattaforma rotonda , di cui la strana scena , allusiva , irreale , creata da Pier Luigi Pizzi , ripeteva il movimento . Così , niente più casa dei Sangro , dove tutto è « consunto , corroso , fenduto , coperto di polvere , condannato a perire » ; niente più azione , plausibilità allucinata , come il testo richiede . Insomma , uno stile da tragedia classica per un testo che di classico non ha nulla , se non le unità aristoteliche , di tempo , di luogo e d ' azione . Scelta questa linea , lo spettacolo è coerentissimo , rigoroso , con quei suggestivi rintocchi di musica sullo sfondo ; ma , chiamateci codini , non è più La fiaccola sotto il moggio . Rossella Falk ha realizzato fedelmente l ' immagine che del personaggio di Gigliola ha voluto darci il regista e ha avuto , specialmente nei primi due atti , quando è stata applaudita a scena aperta , forti accenti tragici ; ma non ci pare che abbia approfondito le ragioni di disperata dolcezza dell ' eroina , quella sua amara perplessità che fermenta sotto un volto impassibile . Romolo Valli è stato un Tibaldo malinconico e sfatto , il più vicino , fra gli interpreti , allo spirito autentico del testo ; acre ed efficace l ' Angizia di Elsa Albani , piuttosto esile il Simonetto di Umberto Orsini e poco funzionali Corrado Nardi e Nino Marchesini , rispettivamente l ' Acclozamora e il Serparo . Completano il cast Italia Marchesini , Nicky De Fernex e Gabriella Gabrielli . Successo ; e molti applausi anche al regista , alla fine . Ma , con buona pace degli entusiasti , De Lullo e compagni , nel nostro teatro , hanno fatto ben altro .