StampaQuotidiana ,
L
'
intervento
di
Citati
sulla
«
nuova
questione
»
della
lingua
mi
sembra
utile
per
due
ragioni
:
a
)
riporta
il
discorso
alla
realtà
dell
'
osservazione
,
al
di
là
di
tutte
le
esperienze
«
ritardate
»
e
un
po
'
banali
che
ognuno
che
interviene
nel
dibattito
dimostra
di
possedere
;
b
)
impone
una
delucidazione
sulla
parola
«
comunicatività
»
.
È
vero
che
Citati
si
mostra
«
negativo
»
sull
'
impostazione
generale
del
problema
e
quindi
tende
a
rovesciare
la
situazione
,
per
criticarla
:
ma
allora
devo
dire
che
io
avevo
«
battezzato
»
un
infante
,
non
una
persona
adulta
.
Il
«
nuovo
italiano
nazionale
»
vagisce
,
è
virtuale
.
Come
sarà
questo
bambino
da
grande
?
Assomiglierà
ai
genitori
?
Sarà
un
figlio
degenere
?
Sarà
ligio
e
ordinato
?
O
sarà
folle
e
fuori
della
legge
?
Siccome
nessuno
di
noi
ha
doti
di
cartomante
,
è
questo
un
problema
che
fatalmente
si
presenta
come
insolubile
.
Io
non
ho
fatto
nessuna
descrizione
linguistica
dell
'
italiano
nuovo
,
ho
detto
solo
che
è
nato
.
La
sua
nascita
è
dovuta
alla
presenza
di
un
nuovo
tipo
di
borghesia
potenzialmente
egemonica
ecc.
ecc.
(
vedi
«
Il
Giorno
»
del
6
gennaio
scorso
)
:
la
questione
è
in
definitiva
più
politico
-
sociale
che
linguistica
.
Ma
su
questo
terreno
Citati
non
poteva
e
non
voleva
spingersi
:
tuttavia
,
ripeto
,
per
quel
tanto
che
il
problema
è
problema
linguistico
il
suo
intervento
non
poteva
essere
più
utile
.
Cominciamo
dal
punto
a
)
.
In
Italia
non
esistono
osservatorii
linguistici
,
neanche
credo
nelle
riviste
specializzate
,
che
regolarmente
,
sistematicamente
,
si
pongano
come
rilievi
socio
-
linguistici
,
e
-
con
la
puntualità
dei
bollettini
meteorologici
che
dicono
«
Che
tempo
fa
»
-
ci
dicano
«
Che
lingua
fa
»
.
Citati
nel
suo
articolo
-
pessimista
com
'
è
sulle
generalizzazioni
e
ideologizzazioni
dei
temi
-
ci
dà
un
ottimo
referto
«
linguologico
»
(
inventiamo
un
altro
orrendo
termine
!
)
:
«
che
lingua
fa
»
in
un
treno
delle
linee
Roma
-
Milano
o
Napoli
-
Torino
?
Con
orecchi
di
linguista
amaro
e
sconfortato
,
Citati
ha
raccolto
del
materiale
molto
significativo
:
il
discorso
deragliante
di
un
compagno
di
viaggio
(
dalla
sintassi
smoccolata
,
dai
nessi
smangiati
,
dai
cursus
incastrati
e
inestricabili
,
senza
soluzione
di
continuità
,
dai
«
sì
»
sostituiti
da
un
atroce
«
esatto
»
,
detto
con
tutti
i
denti
fuori
)
:
e
lo
propone
come
esempio
ideale
del
reale
italiano
che
si
parla
oggi
.
È
vero
,
Citati
ha
ragione
.
Mentre
il
«
nuovo
italiano
nazionale
»
vagisce
nelle
aziende
del
Nord
,
l
'
italiano
medio
,
la
koinè
dialettizzata
,
e
la
valanga
dei
dialetti
e
dei
gerghi
,
da
quello
letterario
a
quello
della
malavita
,
continuano
,
per
inerzia
,
il
loro
sviluppo
.
E
la
storia
della
crescita
dell
'
italiano
nazionale
che
io
ho
indicato
,
è
la
storia
del
rapporto
tra
la
nuova
stratificazione
tecnologica
-
quale
principio
unificante
e
modificante
dell
'
italiano
-
con
tutte
queste
stratificazioni
precedenti
e
tutti
questi
tipi
di
linguaggi
ancora
vivi
.
Il
proletario
del
Nord
Il
«
monstrum
»
linguistico
che
le
orecchie
di
Citati
hanno
captato
con
la
precisione
di
un
apparato
scientifico
,
è
un
momento
di
questa
fase
evolutiva
,
è
l
'
italiano
che
si
parla
realmente
oggi
in
Italia
,
è
un
«
vagito
»
:
il
fondo
è
quello
medio
dell
'
italiano
letterario
adottato
dalla
borghesia
come
una
specie
di
lingua
franca
,
l
'
archetipo
soprattutto
sintattico
è
il
latino
,
il
centro
socio
-
politico
diffusore
«
primario
»
è
la
burocrazia
,
il
centro
irradiatore
effettivo
le
«
infrastrutture
di
base
»
,
il
fondo
antropologico
è
quello
umanistico
ecc.
ecc
.
:
però
c
'
è
qualcosa
di
nuovo
,
rispetto
a
un
simile
discorso
udito
nelle
III
classi
dei
diretti
degli
anni
quaranta
,
e
anche
cinquanta
:
è
nato
un
nuovo
«
modello
sociale
»
per
l
'
umile
parlante
del
Sud
-
o
comunque
per
l
'
appartenente
alle
stratificazioni
ritardatarie
dell
'
umile
Italia
-
:
questo
modello
è
il
proletario
del
Nord
borghesizzato
attraverso
il
possesso
di
nuovi
tipi
di
beni
di
consumo
e
di
un
nuovo
livello
linguistico
che
esprime
tale
possesso
.
Nell
'
archetipo
latino
si
è
insinuato
lo
spirito
dell
'
«
esattezza
»
,
della
«
comunicazione
funzionale
»
,
che
essendo
esattamente
il
contrario
del
latino
-
possedendo
cioè
una
sintassi
di
sequenze
progressive
,
ed
essendo
profondamente
nominale
rende
pazzesca
la
sintassi
latina
,
carica
di
forme
concorrenti
,
di
possibilità
allocutorie
e
di
subordinazioni
.
Così
anche
per
l
'
italiano
di
Moro
,
che
io
ho
scelto
come
esempio
dell
'
azione
omologante
e
unificante
esercitata
dalla
tecnologia
sul
linguaggio
politico
:
e
che
Alberto
Moravia
ha
criticato
.
A
livello
infinitamente
più
alto
,
anche
il
«
linguaggio
politico
»
di
Moro
si
presenta
come
uno
dei
primi
«
vagiti
»
dell
'
italiano
nascente
:
certo
-
Moravia
ha
ragione
-
nell
'
italiano
di
Moro
permane
la
sua
formazione
umanistica
,
l
'
ideale
latino
ecc.
ecc
.
:
ma
,
con
maggiore
evidenza
e
maggiore
coscienza
,
anche
qui
,
anche
in
questa
formazione
e
in
questo
ideale
,
si
insinua
il
nuovo
tipo
di
lingua
,
che
essendo
la
lingua
della
produzione
e
del
consumo
-
e
non
la
lingua
dell
'
uomo
-
si
presenta
come
implacabilmente
deterministica
:
essa
vuole
soltanto
comunicare
funzionalmente
,
non
vuole
né
perorare
,
né
esaltare
,
né
convincere
:
a
tutto
questo
ci
pensano
gli
slogan
della
pubblicità
.
Ecco
insomma
che
dobbiamo
passare
al
punto
b
)
:
alla
delucidazione
della
parola
«
comunicatività
»
.
Io
dicevo
nel
saggio
che
ha
provocato
questo
dibattito
che
la
nuova
stratificazione
tecnica
modifica
e
omologa
tutti
i
tipi
di
linguaggi
della
koinè
italiana
,
nel
senso
della
comunicazione
,
a
discapito
dell
'
espressività
.
Tale
espressività
derivava
dal
fatto
che
l
'
italiano
era
fondamentalmente
letterario
,
cioè
fuori
della
storia
,
e
quindi
tendeva
a
conservare
in
una
specie
di
empireo
espressivo
tutte
le
sue
stratificazioni
storiche
,
che
non
avevano
il
potere
socio
-
politico
di
superarsi
e
annullarsi
.
Spirito
rivoluzionario
Ora
per
la
prima
volta
,
almeno
virtualmente
e
ipoteticamente
(
c
'
è
da
fare
i
conti
almeno
con
il
marxismo
e
la
classe
operaia
)
,
tale
potere
socio
-
politico
esiste
,
e
per
la
prima
volta
,
dunque
,
almeno
teoricamente
,
la
nuova
stratificazione
linguistica
è
in
grado
di
superare
le
altre
,
e
di
livellare
l
'
italiano
.
Dicevo
ancora
nella
replica
citata
sul
«
Giorno
»
che
mentre
nelle
altre
nazioni
linguisticamente
unite
lo
spirito
tecnologico
si
presenta
come
evolutivo
,
in
Italia
si
presenta
come
rivoluzionario
,
in
quanto
coincide
con
la
formazione
in
potenza
di
una
classe
egemonica
.
Il
primo
fenomeno
che
io
potevo
supporre
era
dunque
una
forte
tendenza
dell
'
italiano
alla
comunicazione
,
per
analogia
con
le
lingue
che
prima
dell
'
italiano
avevano
avuto
una
esperienza
unitaria
,
nazionale
dovuta
alla
presenza
di
una
classe
egemonica
identificantesi
con
l
'
intera
nazione
(
le
monarchie
,
le
grandi
borghesie
)
.
Tuttavia
quella
che
per
altre
nazioni
è
stata
un
'
esperienza
di
secoli
per
l
'
Italia
sarà
probabilmente
un
'
esperienza
da
bruciarsi
in
pochi
anni
o
decenni
:
nell
'
atto
stesso
in
cui
l
'
italiano
comincia
a
diventare
«
comunicativo
»
nel
senso
delle
descrizioni
linguistiche
classiche
(
Francia
,
Inghilterra
eccetera
)
,
esso
quasi
subito
,
seguendo
il
destino
di
tutto
il
mondo
capitalistico
,
passa
al
nuovo
tipo
di
«
comunicatività
»
,
quella
appunto
delle
tecnocrazie
tecnologiche
.
Ora
,
la
comunicatività
linguistica
dell
'
industrializzazione
ancora
umanistica
era
comunicazione
in
senso
,
diciamo
,
filosofico
:
e
la
stessa
espressività
non
era
che
una
«
comunicazione
»
espressiva
,
una
mozione
di
sentimenti
,
dopo
tutto
.
La
«
comunicatività
»
del
mondo
della
scienza
applicata
,
dell
'
eternità
industriale
,
si
presenta
come
strettamente
pratica
.
E
quindi
mostruosa
,
quando
nessuna
parola
avrà
senso
se
non
funzionale
entro
l
'
ambito
della
necessità
:
sarà
inconcepibile
l
'
espressione
autonoma
di
un
sentimento
«
gratuito
»
.
Il
determinismo
linguistico
sarà
dunque
la
caratteristica
della
comunicatività
tecnologica
.
Una
comunicatività
simile
a
noi
sembra
mostruosa
,
e
,
a
suo
modo
-
ha
ragione
Citati
-
,
espressiva
!
Ma
il
nostro
punto
di
vista
,
dentro
gli
ultimi
baluardi
del
mondo
classico
,
è
comodo
:
e
l
'
orrore
della
comunicatività
tecnologica
si
presenta
come
espressivo
solo
se
messo
in
contatto
con
la
nostra
idea
della
comunicazione
e
dell
'
espressività
.
Come
tale
ci
appare
munito
di
tutto
l
'
armamentario
folle
,
sovvertitore
,
sacrilego
del
gergo
.
E
in
realtà
la
comunicazione
tecnologica
è
gergale
:
nulla
nasce
in
funzione
così
strettamente
pratica
come
il
gergo
(
il
divertimento
e
la
vivacità
sono
elementi
fiancheggiatori
:
pregergali
,
dialettali
)
.
Ma
il
gergo
rivela
i
suoi
caratteri
divertenti
solo
se
usato
in
funzione
espressiva
:
cioè
messo
a
contatto
con
una
lingua
colta
,
non
gergale
,
o
altrimenti
espressiva
.
Insomma
la
comunicatività
da
noi
pensabile
,
caratteristica
del
mondo
futuro
,
tutto
industrializzato
e
tecnicizzato
,
nella
«
eternità
industriale
»
,
si
presenta
come
un
linguaggio
di
alienati
:
e
come
tale
ci
può
fare
anche
angosciosamente
ridere
,
come
ci
fa
ridere
il
«
franglais
»
di
cui
parla
Citati
.
Ma
c
'
è
poco
da
ridere
.