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Vagisce appena il nuovo italiano nazionale ( Pasolini Pier Paolo , 1965 )
StampaQuotidiana ,
L ' intervento di Citati sulla « nuova questione » della lingua mi sembra utile per due ragioni : a ) riporta il discorso alla realtà dell ' osservazione , al di là di tutte le esperienze « ritardate » e un po ' banali che ognuno che interviene nel dibattito dimostra di possedere ; b ) impone una delucidazione sulla parola « comunicatività » . È vero che Citati si mostra « negativo » sull ' impostazione generale del problema e quindi tende a rovesciare la situazione , per criticarla : ma allora devo dire che io avevo « battezzato » un infante , non una persona adulta . Il « nuovo italiano nazionale » vagisce , è virtuale . Come sarà questo bambino da grande ? Assomiglierà ai genitori ? Sarà un figlio degenere ? Sarà ligio e ordinato ? O sarà folle e fuori della legge ? Siccome nessuno di noi ha doti di cartomante , è questo un problema che fatalmente si presenta come insolubile . Io non ho fatto nessuna descrizione linguistica dell ' italiano nuovo , ho detto solo che è nato . La sua nascita è dovuta alla presenza di un nuovo tipo di borghesia potenzialmente egemonica ecc. ecc. ( vedi « Il Giorno » del 6 gennaio scorso ) : la questione è in definitiva più politico - sociale che linguistica . Ma su questo terreno Citati non poteva e non voleva spingersi : tuttavia , ripeto , per quel tanto che il problema è problema linguistico il suo intervento non poteva essere più utile . Cominciamo dal punto a ) . In Italia non esistono osservatorii linguistici , neanche credo nelle riviste specializzate , che regolarmente , sistematicamente , si pongano come rilievi socio - linguistici , e - con la puntualità dei bollettini meteorologici che dicono « Che tempo fa » - ci dicano « Che lingua fa » . Citati nel suo articolo - pessimista com ' è sulle generalizzazioni e ideologizzazioni dei temi - ci dà un ottimo referto « linguologico » ( inventiamo un altro orrendo termine ! ) : « che lingua fa » in un treno delle linee Roma - Milano o Napoli - Torino ? Con orecchi di linguista amaro e sconfortato , Citati ha raccolto del materiale molto significativo : il discorso deragliante di un compagno di viaggio ( dalla sintassi smoccolata , dai nessi smangiati , dai cursus incastrati e inestricabili , senza soluzione di continuità , dai « sì » sostituiti da un atroce « esatto » , detto con tutti i denti fuori ) : e lo propone come esempio ideale del reale italiano che si parla oggi . È vero , Citati ha ragione . Mentre il « nuovo italiano nazionale » vagisce nelle aziende del Nord , l ' italiano medio , la koinè dialettizzata , e la valanga dei dialetti e dei gerghi , da quello letterario a quello della malavita , continuano , per inerzia , il loro sviluppo . E la storia della crescita dell ' italiano nazionale che io ho indicato , è la storia del rapporto tra la nuova stratificazione tecnologica - quale principio unificante e modificante dell ' italiano - con tutte queste stratificazioni precedenti e tutti questi tipi di linguaggi ancora vivi . Il proletario del Nord Il « monstrum » linguistico che le orecchie di Citati hanno captato con la precisione di un apparato scientifico , è un momento di questa fase evolutiva , è l ' italiano che si parla realmente oggi in Italia , è un « vagito » : il fondo è quello medio dell ' italiano letterario adottato dalla borghesia come una specie di lingua franca , l ' archetipo soprattutto sintattico è il latino , il centro socio - politico diffusore « primario » è la burocrazia , il centro irradiatore effettivo le « infrastrutture di base » , il fondo antropologico è quello umanistico ecc. ecc . : però c ' è qualcosa di nuovo , rispetto a un simile discorso udito nelle III classi dei diretti degli anni quaranta , e anche cinquanta : è nato un nuovo « modello sociale » per l ' umile parlante del Sud - o comunque per l ' appartenente alle stratificazioni ritardatarie dell ' umile Italia - : questo modello è il proletario del Nord borghesizzato attraverso il possesso di nuovi tipi di beni di consumo e di un nuovo livello linguistico che esprime tale possesso . Nell ' archetipo latino si è insinuato lo spirito dell ' « esattezza » , della « comunicazione funzionale » , che essendo esattamente il contrario del latino - possedendo cioè una sintassi di sequenze progressive , ed essendo profondamente nominale rende pazzesca la sintassi latina , carica di forme concorrenti , di possibilità allocutorie e di subordinazioni . Così anche per l ' italiano di Moro , che io ho scelto come esempio dell ' azione omologante e unificante esercitata dalla tecnologia sul linguaggio politico : e che Alberto Moravia ha criticato . A livello infinitamente più alto , anche il « linguaggio politico » di Moro si presenta come uno dei primi « vagiti » dell ' italiano nascente : certo - Moravia ha ragione - nell ' italiano di Moro permane la sua formazione umanistica , l ' ideale latino ecc. ecc . : ma , con maggiore evidenza e maggiore coscienza , anche qui , anche in questa formazione e in questo ideale , si insinua il nuovo tipo di lingua , che essendo la lingua della produzione e del consumo - e non la lingua dell ' uomo - si presenta come implacabilmente deterministica : essa vuole soltanto comunicare funzionalmente , non vuole né perorare , né esaltare , né convincere : a tutto questo ci pensano gli slogan della pubblicità . Ecco insomma che dobbiamo passare al punto b ) : alla delucidazione della parola « comunicatività » . Io dicevo nel saggio che ha provocato questo dibattito che la nuova stratificazione tecnica modifica e omologa tutti i tipi di linguaggi della koinè italiana , nel senso della comunicazione , a discapito dell ' espressività . Tale espressività derivava dal fatto che l ' italiano era fondamentalmente letterario , cioè fuori della storia , e quindi tendeva a conservare in una specie di empireo espressivo tutte le sue stratificazioni storiche , che non avevano il potere socio - politico di superarsi e annullarsi . Spirito rivoluzionario Ora per la prima volta , almeno virtualmente e ipoteticamente ( c ' è da fare i conti almeno con il marxismo e la classe operaia ) , tale potere socio - politico esiste , e per la prima volta , dunque , almeno teoricamente , la nuova stratificazione linguistica è in grado di superare le altre , e di livellare l ' italiano . Dicevo ancora nella replica citata sul « Giorno » che mentre nelle altre nazioni linguisticamente unite lo spirito tecnologico si presenta come evolutivo , in Italia si presenta come rivoluzionario , in quanto coincide con la formazione in potenza di una classe egemonica . Il primo fenomeno che io potevo supporre era dunque una forte tendenza dell ' italiano alla comunicazione , per analogia con le lingue che prima dell ' italiano avevano avuto una esperienza unitaria , nazionale dovuta alla presenza di una classe egemonica identificantesi con l ' intera nazione ( le monarchie , le grandi borghesie ) . Tuttavia quella che per altre nazioni è stata un ' esperienza di secoli per l ' Italia sarà probabilmente un ' esperienza da bruciarsi in pochi anni o decenni : nell ' atto stesso in cui l ' italiano comincia a diventare « comunicativo » nel senso delle descrizioni linguistiche classiche ( Francia , Inghilterra eccetera ) , esso quasi subito , seguendo il destino di tutto il mondo capitalistico , passa al nuovo tipo di « comunicatività » , quella appunto delle tecnocrazie tecnologiche . Ora , la comunicatività linguistica dell ' industrializzazione ancora umanistica era comunicazione in senso , diciamo , filosofico : e la stessa espressività non era che una « comunicazione » espressiva , una mozione di sentimenti , dopo tutto . La « comunicatività » del mondo della scienza applicata , dell ' eternità industriale , si presenta come strettamente pratica . E quindi mostruosa , quando nessuna parola avrà senso se non funzionale entro l ' ambito della necessità : sarà inconcepibile l ' espressione autonoma di un sentimento « gratuito » . Il determinismo linguistico sarà dunque la caratteristica della comunicatività tecnologica . Una comunicatività simile a noi sembra mostruosa , e , a suo modo - ha ragione Citati - , espressiva ! Ma il nostro punto di vista , dentro gli ultimi baluardi del mondo classico , è comodo : e l ' orrore della comunicatività tecnologica si presenta come espressivo solo se messo in contatto con la nostra idea della comunicazione e dell ' espressività . Come tale ci appare munito di tutto l ' armamentario folle , sovvertitore , sacrilego del gergo . E in realtà la comunicazione tecnologica è gergale : nulla nasce in funzione così strettamente pratica come il gergo ( il divertimento e la vivacità sono elementi fiancheggiatori : pregergali , dialettali ) . Ma il gergo rivela i suoi caratteri divertenti solo se usato in funzione espressiva : cioè messo a contatto con una lingua colta , non gergale , o altrimenti espressiva . Insomma la comunicatività da noi pensabile , caratteristica del mondo futuro , tutto industrializzato e tecnicizzato , nella « eternità industriale » , si presenta come un linguaggio di alienati : e come tale ci può fare anche angosciosamente ridere , come ci fa ridere il « franglais » di cui parla Citati . Ma c ' è poco da ridere .