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Villaggi ( Ginzburg Natalia , 1970 )
StampaQuotidiana ,
Sono andata a vedere , a Palazzo Braschi , la mostra dei grandi naifs jugoslavi . I naifs jugoslavi sono pittori contadini . Dipingono su vetro . Fanno parte d ' una scuola che si chiama « Zemlja » , cioè terra . Il caposcuola , che si chiama Generalovic , non ha mandato i suoi quadri alla mostra perché uno dei pittori invitati , cioè Lackovic , non gli andava . Così dicevano nelle sale della galleria e non so se sia vero o se sia una chiacchiera . Non ho mai visto i quadri di Generalovic . Fino a poco prima di visitare la mostra , non sapevo nulla né della scuola « Zemlja » , né di Lackovic , né di Generalovic . Questo per mia ignoranza , perché a quanto ho saputo i naifs jugoslavi sono famosissimi . Se ho voluto visitare questa mostra non è stato per amore della pittura , ma perché avendo io saputo che erano pittori - contadini , pensavo che avrei visto dei villaggi . Tutta la vita ho sempre sentito grande curiosità di vedere villaggi , ovunque , nella realtà e nei quadri . Quando sono in treno , guardo e scelgo nella campagna villaggi dove forse vorrei vivere . Nello stesso tempo , mentre penso la mia vita perduta in mezzo a prati o rocce o abbarbicata sull ' alto d ' una collina , mi prende una sensazione pungente di vertigine e malinconia . Perché unito al desiderio di abitare in campagna , vive in me non meno forte e profondo il sospetto che vivendo in campagna mi struggerei di noia e solitudine . Ma nelle pieghe di quella noia si nasconde per me un incanto segreto . Questi sono i miei pensieri abituali mentre vado in treno , pensieri totalmente oziosi perché non mi propongo e forse nemmeno desidero veramente di lasciare la città in cui vivo da molti anni . In un ' epoca ormai lontana della mia vita , abitai in campagna per alcuni anni . Quel villaggio io non l ' avevo scelto ma altri l ' avevano scelto per me . Difatti era un confino di polizia . Pure avendo preso a poco a poco ad amarlo , non dimenticai mai , nel tempo che dovetti soggiornarvi , che non l ' avevo scelto e non smisi mai di sognare altri e più remoti villaggi . Quel villaggio non era per nulla sperduto nella campagna ma invece stava schierato su una strada larga , polverosa e piena di biciclette e carretti . La casa dove abitavo era sopra la farmacia . Avendo io allora bambini piccoli trovavo la presenza di quella farmacia assai comoda e rassicurante . Tuttavia essa distruggeva in me ogni sensazione di stare in campagna . Le nostre finestre non guardavano sulla campagna ma su tetti e vicoli . Sulla porta della farmacia sedeva la farmacista . Di lei dicevano che « parlava col diavolo » . Perché e quando mai parlasse col diavolo quella grassa e gentile farmacista in vestaglia e ciabatte , non lo so . Ma l ' idea che le aleggiasse intorno questo sospetto mi rallegrava facendomi sembrare il paese strano e primitivo . Perché in verità quel paese era assai poco strano e in fondo anche assai poco primitivo benché sporco e povero . Alzando gli occhi vedevo le colline . Sulle colline erano villaggi e casali dove avrei amato vivere . Ma soprattutto c ' era , non molto lontana dal paese , una frazione chiamata Cavallari , cinque o sei case sparse in mezzo a un acquitrino , e io usavo figurarmi la mia vita là . Certo era un gioco ozioso della mia frivola immaginazione . Camminando nei prati per arrivare a Cavallari si affondava nel fango fino al ginocchio e nei vicoli fra quelle case nere e diroccate si affondava nel letame . Cavallari , dagli abitanti del paese dove io stavo , era chiamato « Piccolo Parigi » per dileggio . Credo che se mi fosse accaduto di vivere per più di un giorno nel Piccolo Parigi sarei impazzita . Vi andavo a volte per qualche ora e conobbi là alcuni contadini . Essi erano tutt ' altro che lieti di vivere in quel fango e li soccorreva soltanto una secolare abitudine . Non avevano né acqua né luce e per comprare una candela o una cartina d ' aghi dovevano fare chilometri . Avendo io le idee quanto mai confuse progettavo di battermi nei miei anni futuri per strappare quei contadini a quel miserevole luogo ma nello stesso tempo accarezzavo il sogno di passare la mia vita futura in una di quelle nere cucine soffocate nel fumo e nel letame e affacciarmi la sera a guardare il tramonto su quel desolato acquitrino . Se avevo all ' origine un ' immagine di villaggi idilliaca e pastorale , con ruscelli bisbiglianti e tenera erba , essa certo andò distrutta per sempre nel fango del Piccolo Parigi e nei vicoli del paese in cui vissi . Non che non vi fossero là tenera erba e pecore , ma il fango , il fumo e la noia regnavano incontrastati in quei luoghi e ne formavano la realtà essenziale . Conobbi varie frazioni e sobborghi in quella vallata e cercai di pensarvi la mia vita con acuta curiosità , con desolazione e desiderio . Del paese in cui stavo conoscevo ormai le minime pieghe , i minimi buchi e i vicoli , e la mia noia d ' averlo davanti agli occhi era sterminata . Andavo a vedere altre frazioni e sobborghi come uno si gira e si rigira in un letto per cercare punti più freschi . Mi avrei dato non so cosa per aprire gli occhi un mattino sui balconi di una città . Eppure vissi felice in quei luoghi . Perché non è vero che la noia escluda la felicità . Esse possono sussistere insieme e unirsi in un viluppo inestricabile . Ricordando la noia di quegli anni conservo in me la persuasione assoluta che la vita in un paese in campagna sarebbe quella che io sceglierei se l ' uomo potesse scegliere il suo destino . Per tornare alla mostra di Palazzo Braschi , ci sono andata dunque per vedere dei villaggi . Ne sono uscita con una nostalgia di villaggi profonda e pungente . Desideravo essere una persona precisa , e cioè desideravo essere il pittore contadino Ivan Vecenaj . I grandi naifs jugoslavi che hanno esposto quadri in questa mostra sono essenzialmente quattro : Vecenaj , Rabuzin , Lackovic e Kovacic . Dirò subito che non mi piace Rabuzin . Dal catalogo ho saputo che non è un contadino ma un imbianchino . Questo spiega di lui molte cose . Evidentemente imbiancando muri avrà addensato dentro di sé molto bianco . Nei suoi quadri c ' è una costante luce bianca . Per i cieli rosa e celeste viaggiano nuvole che sembrano palle di neve , al suolo giacciono immensi palloni verdi come immensi meloni o limoni e sono foglie . Cerchi lontani di piccole case non testimoniano vita umana essendo i suoi villaggi , orti e campi sigillati in una geometria immota . I paesaggi di Rabuzin sembrano paradisi luminosi e gelidi , non destinati agli uomini ma alle nuvole , ai meloni e ai limoni , e chiusi per sempre in una vitrea e nivea primavera . Essi mi hanno affascinato ma li ho trovati agghiaccianti . Lackovic mi ispira maggiore simpatia . Lackovic fa degli uomini piccolissimi seguiti da cani piccolissimi che sembrano volpi . Fa delle pianure invernali e delle lune rosse e rotonde , dei villaggi armoniosamente composti in un delicato intrico di arbusti . Dipinge come un bambino vivace , spiritoso e ciarliero . Tuttavia i suoi orizzonti non sono infiniti , né sono mai sterminate le sue distese di campi . Ogni suo paesaggio è raccolto nella vivacità e nella grazia . In questa mostra i due pittori che amo sono Kovacic e Vecenaj . Kovacic ha paludi d ' un verde grigiastro , autunni fiammeggianti e villaggi invernali dipinti con attenzione intensa e intensa tristezza . Perché l ' orizzonte nei quadri di Lackovic non sia infinito , e sia invece infinito nei paesaggi di Kovacic e di Vecenaj , non lo so , ma penso che tutto il segreto della pittura stia in questo punto . I quadri di Ivan Vecenaj sono nella prima stanza . Dopo aver visto gli altri sono ritornata da lui e penso che lo preferisco a tutti . I suoi paesaggi sono dipinti con estrema minuzia nei minimi e più lontani particolari e l ' orizzonte sopra di essi è fosco e solenne . Nel mezzo del paesaggio campeggia a volte un evento drammatico : brucia una casa ; san Giovanni è seduto con la sua aquila ; un vaso di fiori azzurri è stato posato su una distesa di neve ; una donna insegue le sue oche ; hanno crocifisso Gesù . I colori di Vecenaj sono crudeli e violenti . Le sue figure umane sono tozze e stupefatte . Hanno larghi volti legnosi , larghe mani ossute e nodose , stanchissime e forti . I suoi animali sono irsuti e aspri , pieni di penne e di peli . Ogni quadro dice l ' aspra fatica del vivere e la desolata solitudine dell ' uomo nella campagna . Ogni quadro dice come sia sterminata e senza risposta la natura intorno alle opere degli uomini , intorno ai villaggi . Dal catalogo ho appreso che Vecenaj vive sempre nel suo villaggio e fa il contadino . Questo mi ha dato gran gioia , perché avrei trovato tristissimo doverlo pensare in un anonimo appartamento d ' una qualche città , col telefono e l ' ascensore . Quando sono uscita dalla mostra era il crepuscolo . C ' era folla , traffico e rumore . Gli occhi non riuscivano a fermarsi su niente , non c ' era che disordine , le strade non erano più strade ma solo gente e automobili , i suoni laceravano le orecchie . Mi consolava il pensiero che tutto questo fosse risparmiato a Vecenaj . Era , in quel grigio crepuscolo , l ' unico pensiero che mi consolava . Per me stessa , desideravo due cose , ed erano tutt ' e due impossibili : desideravo essere Vecenaj , e desideravo di stare per sempre in uno dei villaggi che lui ha dipinto . Stare là come la guardiana di oche , o come l ' aquila , o san Giovanni , o Gesù . Avere ai miei piedi quella campagna . Avere sulla mia testa quel cielo .