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FINE DI DUE EPOCHE. DALLA CINA AL DOLLARO ( Spadolini Giovanni , 1971 )
StampaQuotidiana ,
C ' è qualcuno che ha paragonato la mossa americana per il dollaro alla bomba di Nixon per la Cina . Identiche le procedure ; analoghe le reazioni a catena , appena cominciate ma dagli sviluppi imprevedibili . Con l ' annuncio della visita a Pechino , il presidente degli Stati Uniti poneva fine ad un ' epoca , l ' epoca degli assetti post - bellici sul piano delle relazioni internazionali , l ' epoca di Yalta culminata nell ' equilibrio del terrore atomico , reciprocamente bilanciato , fra Washington e Mosca . Con la sospensione della convertibilità fra dollaro e oro , allargata ad un piano neppure troppo dissimulato di protezione dell ' industria americana , Nixon liquida la politica di Bretton Woods , che aveva affidato al dollaro la funzione di moneta internazionale di riserva , e prepara la detronizzazione dell ' oro - il magico Sovrano tanto caro al generale De Gaulle - delineando un ritorno ad un sistema di rapporti economici che avrà ben poco a che fare col « Kennedy Round » e con tutti i giganteschi sforzi di liberalizzazione dei mercati mondiali . Non si può negare che Nixon sia un grosso giocatore di poker . Con l ' apertura alla Cina di Mao , in funzione di bilancia verso l ' Unione Sovietica , il presidente degli Stati Uniti ha messo consapevolmente in crisi tutto il sistema delle tradizionali alleanze americane in Asia , a cominciare dal Giappone e senza contare Formosa , nella speranza , che attende la conferma dei fatti , di un nuovo e più valido equilibrio inglobante la grande « realtà Cina » . È una sfida , da cui dipende il futuro della presidenza Nixon ma non solo quello . Con la decisione spregiudicata e realistica sul dollaro , a parte le indiscutibili motivazioni tecniche , Nixon ha messo in difficoltà le economie dei paesi alleati od amici - il Giappone per l ' Asia , la Germania di Bonn e un po ' tutto il Mec per l ' Europa - pur di creare le condizioni volte a superare la crisi del dollaro che rischiava di riflettersi , coi danni congiunti dell ' inflazione e della recessione , sul tenore di vita americano . Nessuno ha il diritto , in materia , di scagliare la prima pietra . La Francia gollista e post - gollista , che da dieci anni pratica la guerra al dollaro - appena temperata dal sapiente scetticismo di Pompidou e dal sagace realismo di Giscard d ' Estaing - è l ' ultimo paese che può levare un grido di protesta contro l ' iniziativa unilaterale degli Stati Uniti , ispirata a quegli stessi criteri di patriottismo ad oltranza che fioriscono sulle rive della Senna . La Germania , che procedette mesi fa alla rivalutazione del marco con tranquilla indifferenza per i danni che ne sarebbero derivati agli Stati Uniti , non ha neppure essa i titoli sufficienti a condannare una misura che nasce da una crisi obiettiva in campo monetario cui Bonn ha contribuito in misura determinante . La realtà è quella che è e va giudicata col massimo di freddezza possibile . Il dato dell ' interesse nazionale , inteso con una punta di pragmatismo evocante nostalgie e vibrazioni isolazioniste , torna a prevalere nella politica generale non meno che in quella economica di Nixon : conformemente alle scaturigini repubblicane della sua stessa filosofia politica . Il filo - europeismo , non esente da errori e da ingenuità , dell ' epoca dei democratici rischia di diventare un ricordo di tempi lontani . La partnership euro - americana sognata da Kennedy appartiene al libro dei sogni , e per di più dei sogni svaniti . Gli Stati Uniti si muovono con realismo , con concretezza , con una difesa puntuale e aderente dei loro interessi : dalla legge Mills , che danneggia settori delicati dell ' esportazione europea , a tutto il campo delle spese militari per la difesa comune , un campo in cui Washington denuncia una crescente stanchezza per l ' esclusivo peso gravante sulle sue spalle . Il « pentapolarismo » , adombrato da Nixon , significa , nella mente degli americani , la preparazione ad una vera , e non retorica , assunzione di responsabilità economiche e finanziarie da parte delle cinque forze , inclusa , anzi preminente , la quarta , l ' Europa occidentale . Washington è stanca di fare il gendarme del mondo , magari per riceverne in cambio fischi e improperi ; la fine della guerra nel Vietnam implicherà tutta una rielaborazione , e revisione , e riduzione degli impegni americani nel mondo ( non si riparla forse di taglio delle forze Usa in Europa , in significativa coincidenza con la tempesta monetaria ? ) . Sullo sfondo delle misure che hanno accompagnato il « ridimensionamento » del dollaro , a cominciare dal pesante tasso del dieci per cento sulle importazioni , non manca neppure una certa preoccupazione per la concorrenza economica e finanziaria che il « quarto grande » Europa , una volta costituito sul serio , potrebbe finire per esercitare nella gara per i mercati mondiali . Ma sarebbe un motivo di più per stimolare l ' Europa , l ' Europa comunitaria nel suo insieme , ad assumere coscienza dei suoi doveri irrinunciabili . Non c ' è più il solo filo diretto fra Cremlino e Casa Bianca ; l ' ombrello americano non può bastare ; il giuoco si allarga . Mao incita l ' Europa a farsi forte ; Ciu En - lai rivolgeva di recente auguri di successo e di sviluppo al Mercato comune . Qual è stata invece la risposta della Comunità europea ? Il quadro dell ' ultima riunione di Bruxelles non potrebbe apparire più sconsolante . Un ' altra occasione è stata perduta ; un ' altra speranza delusa . È mancata una risposta europea all ' America : base per ogni futuro negoziato , premessa di ogni necessario equilibrio . Il contrasto franco - tedesco , contenuto sul piano politico , è riesploso su quello economico . Parigi non vuole inchinarsi alla realtà dell ' economia tedesca in via di continua , e meritata , espansione ; guarda ad un primato del franco , e ad un legame con l ' oro , che sono fuori della realtà . La linea realistica e seria seguita dalla delegazione italiana ci assicura che tutte le speranze di un ragionevole compromesso non sono perdute , per la prossima sessione di Bruxelles . La babele monetaria non rappresenta una soluzione : con alcuni paesi che si regolano in un modo , altri in modo diverso od opposto . Le incognite dell ' anarchia economica sono almeno altrettanto gravi delle rinnovate minacce di protezionismo e di barriere economiche proibitive che si levano su un mondo alla ricerca disperata di più larghe solidarietà . Per l ' Italia , poi , non c ' è da scherzare . Il nostro sistema economico è forse il più esposto ai contraccolpi di una lotta commerciale e valutaria condotta senza esclusione di colpi . La guerra che da qualche parte si vorrebbe muovere alla saggia politica del governatore Carli - presupposto della relativa stabilità monetaria con cui abbiamo affrontato il recente ciclone - rientra in quel clima di dilettantismo in cui , purtroppo , primeggiano taluni socialisti di casa nostra . Sognatori ancora , dopo tante delusioni e tante crudeli smentite , di una autarchia incapace di resistere alla prima difficoltà . Altro che l ' eccessivo accumulo di dollari nelle casse della Tesoreria ! Non manca mai una nota di umorismo nelle crisi più difficili .