StampaQuotidiana ,
Nel
1961
Enzo
Bettiza
,
da
quattro
anni
corrispondente
da
Vienna
,
fu
trasferito
a
Mosca
;
e
non
senza
disappunto
abbandonò
il
prezioso
«
fossile
»
che
per
cultura
ed
estrazione
familiare
gli
era
tanto
caro
.
Nato
a
Spalato
jugoslava
,
studente
liceale
nell
'
italianissima
Zara
,
figlio
di
un
irredentista
dalmata
cittadino
italiano
e
di
una
montenegrina
,
Bettiza
si
è
sempre
considerato
un
mitteleuropeo
e
più
precisamente
un
Altósterreicher
,
sentimentalmente
legato
alla
sua
«
defunta
»
capitale
.
Alla
nuova
residenza
egli
non
giunge
tuttavia
impreparato
.
Ha
una
moglie
goriziana
,
parla
perfettamente
la
lingua
slovena
,
conosce
il
serbo
-
croato
e
il
tedesco
,
non
gli
è
difficile
impadronirsi
del
russo
.
Gli
sarà
perciò
meno
dura
quella
crisi
di
rigetto
ch
'
egli
,
confrontandosi
con
altri
suoi
colleghi
italiani
,
ci
descrive
nel
suo
nuovo
libro
Il
diario
di
Mosca
(
Longanesi
)
,
rendiconto
dei
quattro
anni
da
lui
trascorsi
in
quella
città
e
prima
parte
di
un
'
opera
che
avrà
un
seguito
.
Più
che
preparato
Bettiza
era
vaccinato
.
Ha
assistito
all
'
ingresso
dei
titoisti
a
Spalato
,
giovane
comunista
ha
contemplato
con
un
misto
di
desolazione
e
di
esultanza
l
'
impoverimento
della
famiglia
;
in
seguito
ha
lasciato
il
partito
,
definitivamente
immunizzato
dal
fideismo
marxista
.
In
che
cosa
poteva
respingerlo
la
nuova
sede
?
L
altro
pericolo
,
l
'
insabbiamento
,
a
cui
vanno
soggetti
gli
stranieri
che
si
stabiliscono
in
Russia
fu
da
lui
evitato
studiando
il
fenomeno
davvicino
,
nei
giornalisti
stranieri
che
vivono
da
molti
anni
in
quella
capitale
.
L
'
immensa
Russia
ha
una
dimensione
temporale
diversa
dalla
nostra
.
La
lentezza
,
la
monotonia
,
l
'
incolore
opacità
del
mastodonte
sovietico
possono
indurre
chi
vi
soggiace
ad
una
sorta
di
claustrofilia
.
Non
vale
la
pena
di
uscirne
,
tutto
il
resto
del
mondo
è
un
technicolor
di
cui
si
perde
anche
il
desiderio
.
Quando
Bettiza
giunge
a
Mosca
la
destalinizzazione
ha
già
compiuto
molti
passi
e
forse
sta
facendone
qualcuno
indietro
.
Tukacevski
e
quasi
tutti
i
generali
che
Stalin
ha
mandato
a
morte
sono
stati
riabilitati
;
ma
in
altri
settori
non
si
avvertono
veri
mutamenti
.
Qualcuno
trova
che
si
esagera
.
Con
Stalin
,
dichiara
confidenzialmente
un
cremlinologo
,
si
sapeva
benissimo
dove
si
andava
a
finire
;
ma
con
Kruscev
nulla
è
prevedibile
.
Dopo
tutto
Stalin
non
era
per
niente
incolto
,
afferma
un
poeta
che
recita
i
suoi
versi
dinanzi
a
folle
entusiaste
.
Narratori
e
teatranti
godono
di
qualche
maggiore
libertà
ma
accettano
i
benevoli
consigli
della
censura
.
La
più
nota
gazzetta
letteraria
è
meno
prudente
ma
manca
del
tutto
la
stampa
d
'
informazione
.
Le
notizie
,
se
ci
sono
,
si
devono
cercare
tra
le
righe
della
«
Pravda
»
.
Quel
che
conta
negli
articoli
di
quel
giornale
non
è
il
generico
ottimismo
ma
quell
'«eppure...»,
quel
«
tuttavia
»
che
sarà
il
campanello
d
'
allarme
di
qualche
alto
funzionario
periferico
.
Quel
«
tuttavia
»
permetterà
ai
cremlinologi
(
nuovo
ramo
di
una
più
vasta
scienza
,
la
sovietologia
)
di
tirare
l
'
oroscopo
.
Il
comune
lettore
sorvola
sul
«
tuttavia
»
che
di
solito
appare
nelle
ultime
righe
dell
'
articolo
;
ma
le
vere
notizie
deve
cercarle
in
qualche
giornale
straniero
(
se
lo
trova
o
se
riesce
a
leggerlo
)
.
Non
c
'
è
stata
vera
riabilitazione
neppure
per
Pasternak
.
Gli
si
riconoscono
qualità
di
poeta
ma
si
osserva
che
il
romanzo
non
era
pane
per
i
suoi
denti
.
La
sua
dacia
non
diventerà
un
museo
nazionale
.
In
un
Paese
dove
la
mummia
di
Lenin
-
tolta
dal
mausoleo
quella
di
Stalin
-
è
meta
di
un
continuo
e
adorante
pellegrinaggio
,
un
senso
d
'
incombente
mummificazione
generale
desta
l
'
attenzione
del
giornalista
che
voglia
sfuggire
al
mortale
invito
.
Bisogna
sfuggire
al
primo
click
,
dice
Frane
Barbieri
,
altro
dalmata
che
è
corrispondente
di
un
giornale
di
Zagabria
.
Come
si
difendono
gli
stranieri
?
I
francesi
vivono
in
un
mondo
a
sé
,
distaccati
.
Gli
inglesi
sono
più
curiosi
che
interessati
,
non
abbandonano
mai
il
loro
fondamentale
empirismo
,
mentre
i
tedeschi
sono
irretiti
,
imprigionati
da
quel
complesso
di
amore
-
odio
per
il
mondo
russo
che
non
sarà
una
sorpresa
per
chi
abbia
letto
il
grande
romanzo
di
Gonciarov
e
qualche
altro
classico
della
letteratura
russa
.
In
Oblomov
il
personaggio
di
Stolz
,
tedesco
,
è
l
'
eroe
positivo
,
sebbene
di
una
positività
assai
mediocre
,
e
non
mancano
esempi
in
altri
autori
.
Da
Bielinski
in
poi
,
assai
prima
che
il
pensiero
di
Marx
giungesse
in
Russia
,
la
filosofia
di
Hegel
ha
fatto
strage
nell
'
intelligenza
slava
(
molto
prima
che
in
Italia
,
sia
detto
tra
parentesi
)
.
Nessuna
inimicizia
è
così
grande
come
quella
che
scoppia
tra
lontani
parenti
,
tra
affini
.
Ed
è
proprio
su
questo
tema
che
Bettiza
ci
dà
alcune
delle
sue
pagine
migliori
,
perché
in
lui
l
'
amore
per
le
idee
è
di
gran
lunga
superiore
all
'
amore
per
gli
uomini
.
E
non
è
,
intendiamoci
,
ch
'
egli
non
sia
un
attento
osservatore
degli
uomini
;
ma
il
fatto
è
che
il
color
locale
,
la
barzelletta
,
l
'
aneddoto
sono
del
tutto
estranei
ad
un
temperamento
come
il
suo
.
Uno
scrittore
impressionistico
avrebbe
speso
molte
pagine
per
descriverci
gli
orrori
di
quell
'
hotel
Lux
dove
a
migliaia
di
uomini
furono
inflitte
mostruose
torture
per
ottenere
confessioni
di
inesistenti
congiure
,
autoaccuse
,
delazioni
;
dove
quella
«
historia
generai
de
la
infamia
»
progettata
dal
Borges
ha
scritto
una
delle
sue
vette
più
ingloriose
.
Tre
o
quattro
pagine
sole
,
plumbee
,
dure
,
senza
un
filo
di
commozione
,
ma
proprio
per
questo
tanto
più
dure
nel
giudizio
.
Ne
sanno
qualcosa
i
giovanissimi
russi
di
oggi
?
Bettiza
è
incline
a
credere
che
non
ne
sappiano
nulla
,
o
meglio
che
non
vogliano
saperne
nulla
.
D
'
altronde
,
chi
è
meglio
qualificato
a
descrivere
i
grandi
eventi
della
storia
?
Chi
li
ha
vissuti
o
colui
che
li
osserva
da
lontano
,
col
cannocchiale
,
esperto
del
prima
e
del
poi
,
delle
cause
e
delle
conseguenze
?
Il
non
comprendere
,
il
non
voler
comprendere
ciò
che
ci
sta
davanti
agli
occhi
non
è
specifico
della
mentalità
slava
,
sebbene
l
'
immensa
costellazione
sovietica
,
tanto
diversa
nelle
sue
componenti
,
abbia
avuto
un
comune
destino
:
quello
di
saltare
a
piè
pari
almeno
un
secolo
passando
da
un
'
autocrazia
feudale
a
un
tipo
di
collettivismo
anche
più
accentratore
,
non
certo
previsto
da
Marx
che
mai
nascose
la
sua
antipatia
per
il
mondo
russo
.
Né
credo
che
in
Marx
agisse
quell
'
ambivalenza
che
Bettiza
ha
posto
in
luce
con
tanta
precisione
.
Fabrizio
del
Dongo
non
si
rese
conto
di
essere
coinvolto
nella
battaglia
di
Waterloo
così
come
molti
tedeschi
e
molti
italiani
non
videro
ciò
che
stava
accadendo
sotto
i
loro
occhi
.
La
storia
che
non
si
ripete
mai
,
in
questo
si
ripete
sempre
.
Vede
chi
vuole
e
pochi
sono
nella
condizione
di
volere
.
E
sono
certo
che
anche
in
Russia
la
pietà
è
di
gran
lunga
più
forte
della
ferocia
.
Un
luogo
comune
,
accettato
da
tutti
coloro
che
conoscono
la
grande
letteratura
russa
,
è
che
in
quei
paesi
sia
vivo
e
ineliminabile
il
sentimento
religioso
.
Su
questo
punto
la
testimonianza
di
Bettiza
non
suona
discorde
.
Nella
Russia
d
'
oggi
la
religiosità
non
è
solo
fuoco
sotto
la
cenere
ma
assume
anche
forme
spettacolari
:
non
tali
però
da
mettere
in
causa
la
solidità
del
regime
.
Non
c
'
è
grande
differenza
tra
quelli
che
ascoltano
in
massa
le
poesie
di
chitarristi
stipendiati
dallo
Stato
e
coloro
che
affollano
le
cerimonie
della
Chiesa
ortodossa
e
i
culti
non
certo
clandestini
della
seconda
Chiesa
russa
,
riconosciuta
dallo
Stato
,
quella
dei
Vecchi
Credenti
,
non
riconosciuta
dall
'
Ortodossia
.
Pare
che
all
'
origine
di
questo
scisma
tardo
-
seicentesco
sia
un
diverso
modo
di
farsi
il
segno
della
croce
.
Con
tre
dita
o
con
due
(
a
pizzico
)
?
Poi
sorsero
altre
divergenze
dottrinali
che
ignoro
.
I
Vecchi
Credenti
sono
milioni
,
hanno
le
loro
chiese
,
i
loro
preti
,
una
loro
organizzazione
.
E
come
ho
già
detto
anche
l
'
orrendo
teschio
di
Lenin
esercita
una
morbosa
attrazione
mistica
sui
visitatori
che
sostano
in
fila
per
essere
ammessi
alla
beatitudine
.
Lo
spettacolo
dev
'
essere
allucinante
.
Non
è
affatto
prevedibile
una
futura
mummificazione
di
Kruscev
.
Non
lo
era
neppure
nel
'6l'62
,
quando
Bettiza
scriveva
questo
suo
diario
.
La
prova
secca
,
precisa
,
lineare
di
Bettiza
non
è
quella
del
journal
,
non
consente
citazioni
,
estrapolazioni
.
Non
vuol
essere
«
prosa
d
'
arte
»
nel
significato
più
dubbio
della
parola
.
D
'
altronde
Bettiza
considera
questo
libro
e
i
suoi
precedenti
(
tra
gli
altri
quel
Fantasma
di
Trieste
che
fu
tradotto
in
molte
lingue
)
come
il
materiale
che
dovrebbe
confluire
in
un
futuro
romanzo
mitteleuropeo
,
globale
,
sinfonico
,
«
completamente
distaccato
dagli
umori
passeggeri
dello
scrittore
»
.
Ardua
impresa
in
un
tempo
nel
quale
arte
e
scienza
tendono
piuttosto
al
micro
che
al
macroscopico
.
Ma
non
è
lecito
porre
limiti
alle
giuste
ambizioni
di
uno
scrittore
tanto
dotato
.
Può
darsi
che
un
giorno
egli
si
avveda
che
il
Diario
di
Mosca
e
quelli
che
eventualmente
seguiranno
sono
già
il
romanzo
ch
'
egli
,
in
astratto
,
vagheggiava
.
Un
romanzo
che
ha
un
solo
personaggio
:
l
'
uomo
,
il
Singolo
di
fronte
alla
Moltitudine
.
La
scomparsa
del
singolo
sarebbe
la
fine
dell
'
avventura
umana
;
e
di
questo
la
provvidenza
ci
ha
dato
già
qualche
annuncio
ma
non
la
sentenza
definitiva
.
Può
darsi
che
ce
la
risparmi
,
anche
se
non
l
'
abbiamo
meritato
.