StampaPeriodica ,
Il
7
novembre
1917
il
piccolo
nucleo
dei
rivoluzionari
bolscevichi
2.000
in
tutta
la
Russia
riusciva
con
audacissima
azione
a
impadronirsi
del
potere
nel
più
grande
Stato
unitario
della
terra
.
Gli
spalancò
la
via
non
tanto
la
forza
delle
armi
,
quanto
il
crollo
del
vecchio
apparato
statale
zarista
avvenuto
nel
marzo
e
l
'
ansia
di
pace
e
di
terra
dei
contadini
soldati
.
È
probabile
che
i
bolscevichi
fossero
all
'
epoca
più
gli
interpreti
che
i
creatori
di
una
situazione
.
Ma
essi
seppero
antivedere
la
direzione
dell
'
onda
sociale
formidabile
che
tutti
poteva
travolgere
sul
suo
cammino
,
loro
eccettuati
;
loro
che
appunto
in
ragione
di
quella
audacia
riuscirono
a
riordinare
le
acque
sconvolte
,
anzi
a
così
solidamente
arginarle
da
impedire
anche
le
più
lievi
increspature
.
Sotto
la
dittatura
grandi
cose
furono
compiute
in
questi
diciassette
anni
.
Spezzata
la
controrivoluzione
,
spodestato
il
profitto
e
vinta
la
fame
terribile
degli
inizi
si
costruì
una
grande
industria
di
stato
,
si
collettivizzarono
le
campagne
,
si
educarono
diecine
di
milioni
di
giovani
.
La
stabilità
insolente
del
regime
sovietico
,
comunque
si
voglia
giudicarlo
,
umilia
il
mondo
borghese
.
Esso
fornisce
l
'
alternativa
,
costituisce
una
sfida
.
E
l
'
alternativa
,
la
sfida
,
la
dialettica
,
dei
principi
e
delle
esperienze
,
furono
e
saranno
sempre
sorgenti
di
liberazione
e
di
perfezionamento
.
Ma
si
attuò
il
socialismo
?
Neppure
i
bolscevichi
osano
sostenerlo
.
La
loro
pretesa
è
che
la
via
sulla
quale
si
sono
messi
è
la
via
buona
,
anzi
l
'
unica
via
che
porti
al
socialismo
.
Si
può
discutere
:
non
già
perché
la
via
sia
durissima
,
ma
perché
troppo
spesso
costringe
a
marciare
in
una
direzione
contraria
alle
méta
.
Il
socialismo
non
è
dittatura
,
non
è
iper
-
Stato
,
non
ammette
il
freddo
sacrificio
di
più
generazioni
d
'
uomini
a
piani
imposti
dall
'
alto
;
soprattutto
non
si
concilia
con
l
'
obbedienza
passiva
dei
più
.
Nel
migliore
dei
casi
bisogna
ammettere
che
si
è
ancora
lontani
,
molto
lontani
dal
socialismo
in
Russia
.
Il
socialismo
fu
sempre
concepito
come
l
'
attuazione
integrale
del
principio
di
libertà
,
come
umanesimo
totale
.
La
violenza
,
le
terribili
discipline
,
le
socializzazioni
,
i
piani
,
si
presentano
,
nei
confronti
del
socialismo
,
come
dei
mezzi
,
alcuni
indispensabili
,
altri
discutibili
,
ma
pur
sempre
dei
mezzi
da
porsi
al
servizio
dell
'
uomo
.
Che
cosa
è
allora
un
socialismo
senza
libertà
,
uno
Stato
socialista
che
non
può
vivere
se
non
eternando
la
dittatura
?
È
un
socialismo
che
dalle
cose
non
è
ancora
passato
nelle
coscienze
,
che
anzi
per
rivoluzionare
le
cose
è
costretto
ad
opprimere
le
coscienze
:
è
uno
Stato
che
,
pur
proponendosi
di
liberarla
,
schiaccia
la
società
.
Ecco
perché
noi
,
pur
riconoscendo
che
la
rivoluzione
di
ottobre
di
cui
la
Russia
celebra
in
questi
giorni
l
'
anniversario
,
è
un
evento
che
apre
una
epoca
nuova
nella
storia
dell
'
umanità
,
pur
affermando
che
la
caduta
del
regime
sovietico
costituirebbe
una
tremenda
jattura
che
dobbiamo
concorrere
ad
evitare
,
e
che
la
sua
esperienza
è
decisiva
per
tutti
i
movimenti
rivoluzionari
,
noi
non
riusciamo
ad
esaltarci
nel
ricordo
esclusivo
di
Ottobre
.
Ciò
che
ci
esalta
,
ciò
che
profondamente
sentiamo
,
è
invece
la
grande
epopea
della
Rivoluzione
Russa
.
Chi
abbatté
lo
zarismo
?
Chi
ne
minò
le
fondamenta
morali
e
politiche
?
Chi
fece
del
proletariato
di
Mosca
e
di
Pietroburgo
l
'
avanguardia
della
classe
operaia
mondiale
?
Chi
portò
tra
i
contadini
la
speranza
in
un
Millennio
che
dai
cieli
dei
Popi
si
trasferiva
sulle
terre
di
questa
terra
?
Chi
?
Il
partito
bolscevico
?
È
troppo
poco
.
I
bolscevichi
raccolsero
per
tutti
:
forse
era
fatale
che
fosse
così
.
Ma
quanti
prima
di
loro
,
con
loro
e
anche
dopo
di
loro
,
oggi
dimenticati
e
magari
diffamati
,
lavorarono
e
morirono
per
la
Rivoluzione
Russa
?
Decembristi
che
col
loro
martirio
provarono
l
'
utopia
di
una
trasformazione
liberale
dell
'
impero
;
santi
maledetti
che
si
levarono
soli
,
tra
l
'
indifferenza
e
l
'
ostilità
universali
,
a
predicare
il
nuovo
verbo
,
morendo
negli
esilii
e
nelle
galere
;
Herzen
che
da
Londra
faceva
giungere
il
suono
della
sua
Campana
nella
patria
lontana
,
finché
anche
quel
suono
non
fu
più
ascoltato
;
Bakunin
,
cavaliere
errante
della
rivoluzione
;
Netchaieff
e
la
lunga
tragica
serie
dei
terroristi
impiccati
,
tra
cui
il
fratello
di
Lenin
,
o
seppelliti
per
venti
anni
consecutivi
in
galera
,
come
la
Figner
;
la
stupenda
fioritura
di
scrittori
che
alla
rivoluzione
portarono
il
fermento
e
la
consacrazione
dell
'
arte
;
le
migliaia
di
giovani
che
rinunciarono
alla
loro
classe
per
«
andare
al
popolo
»
;
gli
operai
,
affratellati
con
gli
intellettuali
nei
circoli
segreti
,
che
dopo
il
1900
trascineranno
la
massa
in
epici
scioperi
,
che
nel
1905
si
drizzeranno
in
piedi
e
saranno
schiacciati
,
ma
che
proseguiranno
la
lotta
e
nel
1917
vivranno
la
breve
illusione
di
una
liberazione
gioiosa
e
poi
,
a
ottobre
,
dovranno
rassegnarsi
a
recare
un
ordine
duro
e
terribile
nel
caos
minacciante
affinché
tutto
non
andasse
perduto
e
tre
generazioni
di
giovani
non
si
fossero
sacrificate
invano
.
Tutto
questo
e
molto
più
di
questo
è
la
Rivoluzione
Russa
.
È
questa
Rivoluzione
che
noi
vogliamo
ricordata
,
che
noi
esaltiamo
,
non
già
in
contrapposto
alla
rivoluzione
di
ottobre
,
ma
oltre
,
più
in
alto
di
Ottobre
,
perché
in
essa
,
negli
uomini
e
nei
movimenti
che
la
prepararono
e
la
condussero
a
un
primo
inizio
ritroviamo
i
nostri
maestri
e
i
motivi
fondamentali
che
ci
animano
nella
lotta
.
Siamo
consapevoli
della
difficoltà
,
della
complessità
del
nostro
atteggiamento
di
fronte
alla
Russia
Sovietica
.
Più
semplice
sarebbe
esaltarla
senza
riserve
,
come
fanno
i
comunisti
.
L
'
adesione
totale
consente
loro
di
appoggiarsi
a
uno
Stato
,
assicura
loro
un
grande
potere
di
attrazione
e
di
propaganda
.
Il
loro
programma
,
straordinariamente
concreto
,
si
riassume
in
una
frase
:
fare
altrove
,
fare
in
Italia
ciò
che
fu
fatto
,
ciò
che
si
fa
in
Russia
.
Mai
dei
rivoluzionari
furono
tanto
convincenti
e
realisti
.
Ma
possono
i
rivoluzionari
,
nella
fase
di
attacco
,
aderire
senza
discriminazioni
,
senza
critiche
a
un
ordine
positivo
e
limitato
così
lontano
dall
'
ideale
a
cui
si
richiamano
,
a
un
ordine
ancora
fonte
di
tante
ingiustizie
ed
errori
;
a
uno
Stato
,
a
una
politica
,
a
una
diplomazia
,
a
una
ragion
di
Stato
?
Porre
la
questione
è
risolverla
.
I
rivoluzionari
non
possono
fare
della
politica
nel
senso
ordinario
della
parola
;
non
possono
transigere
sui
principi
e
chiuder
gli
occhi
sui
mali
esistenti
.
La
forza
di
rovesciare
un
mondo
,
più
che
dalle
esperienze
positive
altrui
,
viene
dalla
visione
di
un
mondo
ideale
.
Se
quel
mondo
ideale
lo
si
identifica
in
un
mondo
esistente
e
imperfetto
,
il
potenziale
rivoluzionario
è
destinato
a
cadere
.
Fare
la
rivoluzione
russa
in
Italia
?
Ma
l
'U.R.S.S
.
è
uno
Stato
che
milioni
di
persone
hanno
visitato
in
lungo
e
in
largo
,
toccando
con
mano
pregi
e
difetti
,
grandezze
e
miserie
.
Dopo
diciassette
anni
di
esistenza
,
l
'U.R.S.S
.
non
è
più
un
ideale
.
Costituisce
tutt
'
al
più
un
mito
per
le
folle
incolte
e
sofferenti
,
e
un
incoraggiamento
per
noi
.
Difatti
Mussolini
autorizza
tranquillamente
le
edizioni
italiane
dei
discorsi
di
Stalin
,
le
storie
del
bolscevismo
,
la
Vita
di
Trotzky
,
mentre
i
funzionari
fascisti
posano
a
filobolscevichi
.
Leviamoci
dunque
l
'
illusione
che
si
possa
fare
in
Italia
la
copia
,
sia
pure
riveduta
e
corretta
,
della
rivoluzione
di
ottobre
.
Nella
storia
del
nostro
paese
,
il
giacobinismo
fornisce
già
un
esemplare
infelice
di
rivoluzione
ricalcata
.
La
rivoluzione
italiana
provvederà
per
vie
sue
,
secondo
le
necessità
e
le
lotte
italiane
ed
europee
.
La
Russia
,
con
la
quale
si
stabiliranno
certo
rapporti
fraterni
,
sarà
per
noi
non
un
punto
di
arrivo
ma
di
partenza
;
sarà
soprattutto
un
capitale
di
preziose
esperienze
.
Sia
ben
chiaro
che
siamo
mossi
a
dir
questo
non
da
una
ridicola
ambizione
provinciale
,
da
una
assurda
riedizione
del
mito
del
Primato
italiano
;
ma
dal
convincimento
della
originalità
irriducibile
di
ogni
rivoluzione
e
della
necessaria
autonomia
della
coscienza
rivoluzionaria
,
la
quale
esige
rottura
integrale
con
ciò
che
è
in
nome
di
ciò
che
deve
essere
.
Nel
«
deve
essere
»
la
Ceka
,
le
masse
deportate
,
i
casi
,
piccoli
o
grandi
che
siano
,
Trotzky
,
Serge
,
Petrini
,
la
meccanica
dittatoriale
,
l
'
oppressione
burocratica
,
non
rientrano
.
L
'
imperativo
categorico
non
si
lascia
mettere
al
condizionale
.
I
comunisti
,
aderendo
completamente
alla
realtà
russa
attuale
,
alienano
senza
avvedersene
la
loro
spontaneità
rivoluzionaria
;
costretti
a
preoccuparsi
più
di
riscuotere
la
fiducia
di
Mosca
che
la
fiducia
dell
'
Italia
,
non
riescono
a
dire
una
parola
nuova
e
fresca
ai
giovani
.
Quanti
tra
loro
sentono
l
'
assurdo
di
una
lotta
contro
la
dittatura
fascista
condotta
in
nome
di
un
'
altra
,
anche
se
diversissima
,
dittatura
!
Quanti
vorrebbero
spezzare
il
rigido
quadro
teorico
e
pratico
per
ristabilire
un
contatto
semplice
e
umano
coi
fatti
,
con
la
realtà
italiana
,
con
la
stessa
realtà
russa
!
Ma
non
possono
.
L
'
ostracismo
che
li
minaccia
,
quando
non
ne
fa
dei
ribelli
,
li
piega
.
Tuttavia
noi
non
sappiamo
essere
esclusivi
;
non
pretendiamo
di
possedere
il
monopolio
del
vero
.
Riconosciamo
che
l
'
immensità
della
esperienza
in
corso
nella
Russia
rende
probabilmente
inevitabile
l
'
esistenza
di
un
forte
partito
comunista
in
Italia
;
riconosciamo
che
esso
si
è
battuto
in
questi
anni
con
grande
coraggio
.
Ma
sosteniamo
la
necessità
assoluta
dell
'
esistenza
di
un
'
altra
corrente
rivoluzionaria
,
più
aderente
alla
storia
,
alle
esperienze
,
ai
bisogni
italiani
e
più
libera
nei
suoi
atteggiamenti
verso
la
Russia
.
Non
è
detto
che
le
due
correnti
debbano
combattersi
.
Nell
'
ora
dell
'
attacco
marceranno
unite
.
StampaQuotidiana ,
Se
si
domanda
perché
il
sistema
educativo
vigente
in
Italia
è
comunemente
giudicato
insoddisfacente
,
la
risposta
è
semplice
:
esso
non
risponde
o
risponde
solo
parzialmente
e
imperfettamente
alle
esigenze
della
società
contemporanea
.
Le
attitudini
cui
esso
fa
appello
e
che
tende
a
sviluppare
non
sono
quelle
che
mettono
l
'
individuo
in
grado
di
assolvere
i
suoi
compiti
nella
vita
sociale
e
di
ottenere
il
successo
;
l
'
informazione
generica
e
disordinata
che
esso
fornisce
,
la
cosiddetta
«
cultura
generale
»
,
non
serve
a
dare
all
'
individuo
il
possesso
di
quel
patrimonio
limitato
ma
preciso
di
nozioni
che
lo
rendono
padrone
della
funzione
che
sarà
chiamato
a
esercitare
.
Considerato
nella
sua
impostazione
generale
,
con
l
'
eccezione
di
alcune
sue
parti
,
il
sistema
educativo
vigente
si
dimostra
inadeguato
rispetto
allo
scopo
che
ogni
sistema
educativo
deve
proporsi
:
quello
di
rendere
gli
individui
adatti
ad
inserirsi
in
modo
attivo
ed
efficace
nel
corpo
sociale
cui
appartengono
.
La
mancanza
di
un
serio
impegno
di
lavoro
in
tutti
i
partecipanti
del
sistema
,
siano
essi
docenti
o
discenti
mancanza
che
viene
spesso
ascritta
a
cattiva
volontà
o
a
disprezzo
per
i
valori
culturali
è
probabilmente
dovuta
al
senso
di
inutilità
che
accompagna
un
lavoro
che
non
risponde
al
suo
scopo
,
cioè
che
non
apre
agli
individui
la
possibilità
di
una
riuscita
felice
nella
vita
che
li
attende
.
Eppure
il
nostro
sistema
educativo
(
come
quello
di
altri
popoli
occidentali
)
è
l
'
erede
ultimo
,
per
quanto
degenere
,
di
una
tradizione
nobilissima
.
L
l
'
erede
della
tradizione
liberale
dell
'
educazione
,
della
paideia
greca
,
dell
'
ideale
educativo
che
gli
antichi
ritennero
proprio
degli
uomini
liberi
e
che
il
Cristianesimo
medievale
,
il
Rinascimento
,
l
'
Illuminismo
e
il
mondo
moderno
hanno
esaltato
e
fatto
proprio
.
Secondo
questo
ideale
(
la
cui
presenza
nel
mondo
greco
è
stata
illustrata
da
Werner
Jaeger
nella
sua
monumentale
Paideia
)
,
esiste
una
forma
o
natura
perfetta
dell
'
uomo
e
l
'
educazione
deve
realizzarla
in
tutti
gli
individui
che
ne
sono
capaci
.
L
'
educazione
è
la
formazione
del
singolo
,
la
maturazione
dell
'
individuo
,
il
raggiungimento
di
una
forma
compiuta
;
'
è
simile
allo
sviluppo
di
una
pianta
e
di
un
organismo
,
è
una
«
georgica
dell
'
anima
»
,
secondo
l
'
efficace
espressione
di
Francesco
Bacone
.
Fa
parte
integrante
di
questo
concetto
la
credenza
nella
fondamentale
uniformità
delle
attitudini
o
delle
disposizioni
umane
;
la
credenza
in
un
unico
tipo
di
intelligenza
,
ritenuto
adatto
,
una
volta
formato
,
ad
affrontare
tutti
i
problemi
e
le
situazioni
e
a
dirigere
qualsiasi
specie
di
lavoro
o
di
attività
umana
.
L
'
educazione
liberale
tende
perciò
a
formare
l
'
uomo
come
tale
,
l
'
uomo
nella
totalità
e
maturità
dei
suoi
poteri
,
nella
sua
essenza
indipendente
da
ogni
situazione
specifica
e
da
ogni
compito
particolare
.
Una
formazione
professionale
o
specifica
,
l
'
addestramento
a
compiti
particolari
,
la
scoperta
e
lo
sviluppo
di
attitudini
specializzate
,
cadono
fuori
di
questa
educazione
o
sono
ritenuti
aspetti
subordinati
o
accidentali
di
essa
.
Ciò
che
è
importante
è
formare
l
'
uomo
:
una
volta
formatolo
,
ogni
capacità
particolare
si
sviluppa
da
sé
.
Un
'
intelligenza
diventata
matura
è
pronta
a
qualsiasi
funzione
:
questa
maturità
può
dunque
raggiungersi
indipendentemente
dalla
diversità
delle
funzioni
e
anteriormente
ad
ogni
applicazione
a
qualcuna
di
esse
.
Questo
ideale
educativo
,
che
è
forse
la
maggiore
eredità
del
mondo
classico
,
ha
dominato
il
pensiero
filosofico
e
pedagogico
del
secolo
scorso
ed
è
stato
condiviso
ugualmente
da
positivisti
e
idealisti
,
empiristi
e
razionalisti
.
Esso
ha
inoltre
permeato
di
sé
le
istituzioni
educative
del
mondo
occidentale
,
dominando
incontrastato
fino
ad
alcuni
decenni
fa
.
Ma
se
si
confronta
questo
ideale
con
le
richieste
che
la
società
contemporanea
pone
all
'
educazione
,
il
contrasto
appare
lampante
.
Ad
una
fase
sufficientemente
avanzata
dello
sviluppo
tecnico
-
industriale
,
la
società
esige
che
ogni
individuo
sia
rapidamente
addestrato
al
compito
specifico
che
lo
attende
.
Questa
società
non
ha
bisogno
di
«
uomini
»
senz
'
altra
qualifica
,
ma
di
operai
specializzati
,
di
tecnici
,
di
ingegneri
,
di
ragionieri
,
di
dirigenti
d
'
azienda
;
nonché
di
avvocati
,
di
giudici
,
di
amministratori
,
di
medici
,
di
insegnanti
e
di
innumerevoli
altre
categorie
di
persone
,
ognuna
a
sua
volta
divisa
in
numerose
specificazioni
.
Essa
non
sa
che
farsene
di
un
'
intelligenza
buona
a
tutto
,
ma
che
in
realtà
è
disarmata
nei
confronti
di
situazioni
specifiche
per
le
quali
non
abbia
apposito
addestramento
,
non
sa
che
farsene
di
una
«
cultura
generale
»
,
lunga
e
difficile
ad
acquistarsi
,
ma
difficilmente
spendibile
negli
spiccioli
delle
informazioni
occorrenti
ai
lavori
specifici
.
Esige
invece
che
i
talenti
o
le
disposizioni
individuali
siano
messi
in
luce
e
sviluppati
rapidamente
con
tecniche
adatte
di
addestramento
;
che
ogni
individuo
sia
istradato
,
appena
possibile
,
verso
quella
specie
di
addestramento
cui
il
suo
talento
l
'
indirizza
e
che
il
suo
bagaglio
di
informazioni
sia
rigorosamente
limitato
a
questo
scopo
.
Pertanto
solo
l
'
individuo
unilateralmente
orientato
,
cioè
attrezzato
in
un
campo
ristretto
e
specifico
e
tetragono
ad
ogni
distrazione
da
questo
campo
,
ha
probabilità
di
successo
nella
società
contemporanea
.
Questa
certo
non
ignora
che
un
certo
quantum
di
umanità
o
di
qualità
umane
è
indissolubilmente
connesso
con
le
abilità
che
essa
richiede
;
ma
non
fa
calcolo
su
questa
umanità
o
la
considera
solo
allo
scopo
di
ottenere
il
rendimento
massimo
delle
abilità
di
cui
ha
bisogno
.
Il
rendimento
nel
lavoro
è
difatti
l
'
unica
cosa
cui
una
società
tecnicamente
organizzata
(
qualunque
sia
il
suo
assetto
politico
-
sociale
)
è
intrinsecamente
o
costituzionalmente
interessata
,
perché
è
la
condizione
prima
del
suo
funzionamento
.
In
queste
condizioni
,
la
credenza
nell
'
unità
dell
'
intelligenza
in
tutti
gli
uomini
tende
a
sparire
o
a
divenire
inoperante
.
Le
parole
famose
che
si
trovano
all
'
inizio
del
Discorso
del
metodo
di
Cartesio
,
«
Il
buon
senso
o
la
ragione
è
naturalmente
uguale
in
tutti
gli
uomini
»
,
che
già
nel
campo
della
filosofia
avevano
suscitato
dubbi
e
contrasti
,
non
trovano
risonanza
in
un
mondo
tecnicamente
organizzato
.
Certamente
,
nessuno
dubita
che
l
'
intelligenza
sia
la
natura
propria
dell
'
uomo
e
tutti
rendono
omaggio
all
'
antica
e
venerabile
definizione
dell
'
uomo
come
animal
rationale
.
Ma
da
un
pezzo
molti
filosofi
sanno
che
la
cosiddetta
intelligenza
non
è
che
la
capacità
di
prevedere
e
progettare
e
che
questa
capacità
assume
,
nei
diversi
individui
,
forme
diverse
,
talora
eterogenee
,
talora
addirittura
incompatibili
l
'
una
con
l
'
altra
.
Ora
proprio
su
questa
diversità
fa
leva
la
struttura
tecnologica
della
società
contemporanea
.
Nello
stesso
dominio
della
scienza
,
la
figura
dello
«
scienziato
»
che
con
le
sue
«
intuizioni
»
avvia
la
ricerca
a
nuovi
indirizzi
o
scoperte
non
è
sparita
dalla
realtà
ma
non
rientra
nel
calcolo
del
progresso
scientifico
.
Tale
progresso
fa
calcolo
oggi
soltanto
su
una
massa
anonima
e
composita
di
«
ricercatori
»
che
spingono
le
loro
indagini
nel
maggior
numero
di
direzioni
possibili
in
ogni
campo
specifico
:
sicché
la
scoperta
o
l
'
innovazione
insorga
come
un
risultato
statistico
dal
grande
numero
delle
ricerche
,
più
che
dall
'
intuizione
geniale
di
un
solo
scienziato
.
Ed
è
chiaro
che
quando
una
tale
situazione
si
realizzasse
di
fatto
completamente
,
un
premio
,
come
il
Nobel
,
che
ora
viene
assegnato
al
merito
della
scoperta
,
assumerebbe
lo
stesso
significato
di
quello
offerto
al
biglietto
vincente
di
una
lotteria
.
L
prevedibile
che
la
crisi
dell
'
educazione
liberale
si
concluderà
con
la
fine
dell
'
educazione
liberale
.
Se
una
società
tecnicamente
organizzata
deve
sopravvivere
-
e
deve
sopravvivere
se
deve
sopravvivere
la
parte
maggiore
dell
'
umanità
-
le
esigenze
che
essa
pone
all
'
educazione
dovranno
essere
accolte
e
i
sistemi
educativi
dovranno
incardinarsi
su
di
esse
,
abbandonando
l
'
antico
ideale
liberale
.
f
prevedibile
che
,
più
o
meno
rapidamente
,
i
sistemi
educativi
del
nostro
paese
e
dei
paesi
occidentali
,
e
via
via
quelli
degli
altri
paesi
del
inondo
,
si
evolveranno
nel
senso
di
tali
esigenze
.
Ma
con
quest
'
evoluzione
rischieranno
di
andare
perduti
i
valori
fondamentali
cui
mirava
l
'
ideale
liberale
dell
'
educazione
:
l
'
armonia
o
l
'
equilibrio
della
personalità
,
lo
spirito
di
critica
e
di
libertà
,
la
ricerca
disinteressata
,
l
'
agonismo
sportivo
,
la
comunicazione
e
la
comprensione
tra
gli
uomini
.
Un
ragioniere
o
un
tecnico
che
non
abbia
altri
interessi
fuori
del
suo
lavoro
e
che
per
tutto
il
resto
segua
la
routine
offertagli
dall
'
ambiente
che
lo
circonda
,
è
,
dal
punto
di
vista
umano
,
una
specie
di
mostruosità
:
perché
è
incapace
di
entrare
in
colloquio
con
se
stesso
e
con
gli
altri
.
Ci
saranno
sempre
,
certo
,
la
letteratura
e
l
'
arte
,
la
religione
o
la
filosofia
come
correttivi
possibili
di
questo
isolamento
.
Ma
chi
può
garantire
che
queste
cose
non
si
riducano
a
riti
formalistici
,
a
suppellettili
di
lusso
o
a
sterili
passatempi
,
quando
non
facciano
appello
a
interessi
debitamente
coltivati
?
Il
rimpianto
del
passato
,
l
'
ignoranza
e
il
misconoscimento
del
presente
e
dei
suoi
bisogni
,
le
lamentele
inconcludenti
sono
povere
scappatoie
di
fronte
a
questo
problema
.
Né
fa
avanzare
di
un
passo
verso
la
soluzione
di
esso
l
'
esaltazione
dei
valori
che
si
presumono
in
pericolo
.
Forse
l
'
avviamento
ad
una
soluzione
si
può
ottenere
soltanto
,
dopo
una
franca
e
serena
accettazione
della
situazione
contemporanea
,
proponendosi
le
seguenti
domande
:
Possono
i
valori
umani
rientrare
nelle
condizioni
di
sopravvivenza
della
stessa
struttura
tecnologica
della
società
moderna
?
E
se
è
così
,
in
quali
aspetti
di
questa
struttura
debbono
inserirsi
o
conservarsi
e
quali
forme
devono
assumere
a
questo
scopo
?
Una
risposta
spregiudicata
a
tali
domande
può
essere
solo
frutto
di
indagini
lunghe
e
difficili
;
ma
,
se
una
risposta
c
'
è
,
forse
(
si
tratta
però
di
una
speranza
più
che
di
una
previsione
)
l
'
educazione
liberale
potrà
risorgere
dalle
sue
ceneri
.
StampaQuotidiana ,
Caro
Scansini
,
non
credo
che
la
Rai
l
'
abbia
con
noi
.
Credo
soltanto
che
i
suoi
dirigenti
e
operatori
siano
paralizzati
dalla
paura
di
dimostrare
che
non
l
'
hanno
con
noi
.
I
partiti
ai
quali
devono
i
loro
posti
e
carriere
li
obbligano
a
darci
l
'
ostracismo
,
e
loro
ce
lo
danno
nell
'
unico
modo
in
cui
possono
darcelo
:
ignorandoci
.
Le
nostre
notizie
non
sono
considerate
notizie
,
anche
se
poi
si
rivelano
le
più
fondate
di
tutte
.
E
le
nostre
opinioni
vengono
sottaciute
sebbene
noi
siamo
,
per
unanime
riconoscimento
,
uno
dei
due
unici
giornali
(
l
'
altro
è
Repubblica
)
che
in
Italia
«
fanno
opinione
»
.
Purtroppo
,
è
un
'
opinione
che
non
coincide
con
quella
dei
partiti
che
si
lottizzano
la
Rai
trattandola
come
la
nostra
classe
politica
usa
trattare
tutte
le
cose
e
i
servizi
di
Stato
,
e
cioè
come
loro
patrimonio
privato
,
da
spartire
secondo
i
rapporti
di
forza
,
cioè
come
i
predoni
si
spartiscono
il
bottino
della
diligenza
assaltata
.
Naturalmente
noi
che
li
additiamo
alla
pubblica
opinione
come
autentiche
truffe
e
la
causa
di
tutte
le
malversazioni
,
siamo
esclusi
da
questi
giuochi
,
e
non
soltanto
da
quelli
della
Rai
-
Tv
.
Ci
sono
giornali
che
,
con
centinaia
di
miliardi
di
debito
,
continuano
a
trovar
credito
presso
le
banche
.
Perché
?
Perché
sono
nel
giuoco
.
Noi
che
ne
siamo
fuori
,
se
abbiamo
bisogno
di
dieci
milioni
,
dobbiamo
chiederli
ai
lettori
(
che
ce
li
danno
subito
)
;
dalle
banche
,
nemmeno
una
lira
,
perché
nel
giuoco
non
ci
siamo
.
E
'
la
nostra
debolezza
materiale
,
caro
Scansini
,
ma
è
anche
la
nostra
forza
morale
.
Ma
non
cerchi
di
persuaderne
sua
figlia
:
è
inutile
.
StampaQuotidiana ,
Fino
dalle
7,30
il
recinto
riservato
al
pubblico
nelle
Assise
va
popolandosi
discretamente
.
Giù
nel
cortile
del
palazzo
di
giustizia
passeggiano
molte
guardie
e
carabinieri
.
Altri
molti
agenti
sono
sparsi
nell
'
aula
e
nell
'
antisala
,
agli
ordini
diretti
del
commissario
Rossi
.
Si
notano
molti
questurini
in
borghese
.
L
'
accesso
ai
giornalisti
nei
posti
riservati
viene
regolato
rigorosamente
.
Gl
'
imputati
vengono
introdotti
nel
gabbione
alle
8,15
.
Essi
serbano
un
contegno
apparentemente
tranquillo
;
Palizzolo
è
pallidissimo
e
sorride
al
fratello
Eugenio
che
corre
a
stringergli
la
mano
,
quindi
scambia
poche
parole
con
Maggio
,
unico
dei
difensori
suoi
presenti
.
Degli
avvocati
soltanto
la
parte
civile
è
al
completo
.
Stante
l
'
ora
mattutina
non
sono
presenti
che
Melloni
e
Becchini
.
Più
tardi
sopraggiungono
Salerno
e
Venturini
.
Quando
si
apre
l
'
udienza
alle
8,30
,
circa
200
persone
sono
nel
recinto
del
pubblico
.
Fatto
l
'
appello
dei
giurati
e
degli
imputati
,
il
Presidente
passa
subito
a
svolgere
il
riassunto
.
Egli
che
appare
assai
sofferente
,
comincia
dal
fare
l
'
elogio
dei
giurati
che
con
spirito
di
abnegazione
hanno
seguito
diligentemente
lo
svolgersi
di
questo
immenso
processo
.
Dice
che
il
loro
esempio
è
degno
di
essere
tramandato
alla
storia
.
Il
comm
.
Frigotto
con
rapidissima
sintesi
ricostruisce
la
narrazione
dell
'
assassinio
di
Notarbartolo
al
Ponte
Curreri
,
cominciando
dal
rinvenimento
del
cadavere
di
Notarbartolo
e
passando
subito
a
ricordare
tutte
le
indagini
compiute
dalla
polizia
e
dai
carabinieri
per
raggiungere
i
colpevoli
.
Delinea
efficacemente
la
nobilissima
figura
della
povera
vittima
,
di
cui
fa
un
vivissimo
elogio
e
ricorda
le
varie
istruttorie
seguitesi
dall
'
autorità
giudiziaria
per
accertare
la
responsabilità
dei
maggiormente
indiziati
,
Carollo
,
Garufi
e
Fontana
.
Ricorda
il
loro
primo
proscioglimento
,
il
nuovo
arresto
dei
due
primi
e
il
loro
rinvio
alle
Assise
di
Milano
.
Accenna
alle
varie
causali
,
alle
quali
il
delitto
è
stato
attribuito
,
fra
cui
,
la
più
insistente
,
quella
relativa
agli
astii
incontrati
da
Notarbartolo
al
Banco
di
Sicilia
con
Palizzolo
ed
altri
consiglieri
.
Rileva
che
il
nome
di
Palizzolo
corse
per
le
bocche
di
tutti
poco
tempo
dopo
il
delitto
come
quello
del
mandante
,
e
gradatamente
,
dopo
aver
descritto
le
fasi
delle
varie
istruttorie
seguitesi
,
viene
a
parlare
del
processo
di
Milano
;
ove
fu
lanciata
dal
figliuolo
della
vittima
l
'
accusa
contro
Palizzolo
il
cui
nome
fu
ripetuto
poi
da
un
'
infinità
di
testimoni
come
colui
che
fosse
accusato
dalla
voce
pubblica
come
mandante
,
fino
dai
primi
momenti
che
si
ebbe
notizia
dell
'
assassinio
.
Il
Presidente
conclude
rapidamente
questa
parte
fino
al
rinvio
di
Palizzolo
,
Fontana
e
Garufi
alle
Assise
di
Bologna
.
Quindi
comincia
a
spiegare
i
quesiti
...
I
giurati
finalmente
entrano
nella
loro
camera
di
deliberazione
:
sono
le
21,50
.
Nell
'
aula
il
pubblico
si
abbandona
ad
un
cicaleccio
vivacissimo
facendo
le
più
disparate
previsioni
sull
'
esito
del
verdetto
.
Molta
folla
rumoreggia
fuori
,
trattenuta
da
guardie
e
carabinieri
regolanti
l
'
accesso
.
Oltre
quelle
poche
centinaia
di
fortunati
che
sono
riusciti
a
penetrare
nel
recinto
riservato
al
pubblico
,
ove
si
notano
,
nonostante
l
'
ora
tarda
parecchie
signore
ed
alcuni
preti
,
il
vestibolo
.
Lo
scalone
,
gli
ambulatori
del
Palazzo
di
giustizia
spesseggiano
di
folla
.
Una
grande
,
morbosa
curiosità
ha
invaso
tutti
.
L
'
attesa
del
verdetto
è
divenuta
febbrile
,
intensa
.
I
giurati
escono
dalla
sala
delle
deliberazioni
alle
ore
23,25
.
L
'
attesa
è
intensissima
.
Si
cerca
di
leggere
nei
loro
visi
la
sentenza
di
condanna
o
l
'
assoluzione
;
ma
nulla
essi
fanno
trapelare
.
Tutti
sono
imperscrutabili
,
ora
come
durante
l
'
intero
lunghissimo
dibattimento
.
Il
Presidente
,
per
precauzione
,
ha
fatto
venire
un
medico
.
Fra
un
silenzio
di
tomba
,
il
capo
dei
giurati
Gualtiero
Guaiani
,
posta
la
mano
sul
cuore
,
pronunzia
la
formula
sacramentale
:
«
Sul
mio
onore
e
sulla
mia
coscienza
il
verdetto
dei
giurati
è
il
seguente
:
Questione
l
ª
principale
-
L
'
accusato
Fontana
Giuseppe
è
colpevole
di
avere
la
sera
del
1°
febbraio
1893
,
lungo
il
tratto
ferroviario
Termini
-
Trabia
,
in
uno
scompartimento
di
prima
classe
,
inferto
da
solo
e
con
altri
o
immediatamente
con
altri
cooperato
ad
inferire
,
con
arma
da
taglio
al
comm
.
Emanuele
Notarbartolo
lesioni
,
che
furono
causa
della
di
lui
morte
e
ciò
con
intenzione
di
ucciderlo
?
A
maggioranza
:
sì
.
Sono
accordate
le
attenuanti
.
Questione
2ª
-
L
'
accusato
Fontana
Giuseppe
ha
commesso
il
fatto
di
cui
fu
ritenuto
colpevole
,
con
premeditazione
?
A
maggioranza
:
sì
.
Questione
3ª
principale
-
L
'
accusato
Palizzolo
Raffaele
è
colpevole
di
avere
determinato
altri
a
commettere
l
'
omicidio
in
danno
del
comm
.
Emanuele
Notarbartolo
?
A
maggioranza
:
sì
.
Sono
accordate
le
attenuanti
.
Questione
4ª
-
L
'
accusato
Palizzolo
Raffaele
ha
commesso
il
fatto
di
cui
fu
ritenuto
colpevole
con
premeditazione
?
A
maggioranza
:
sì
.
I
primi
sì
relativi
a
Fontana
e
a
Palizzolo
vengono
accolti
da
applausi
,
e
da
grida
di
bene
e
bravo
.
Il
presidente
scampanella
furiosamente
.
Il
momento
è
veramente
solenne
.
I
difensori
appaiono
commossi
e
commossi
sono
evidentemente
i
giurati
medesimi
.
Il
presidente
ordina
che
vengano
introdotti
gli
imputati
.
Questi
entrano
nella
gabbia
fra
numerosi
carabinieri
che
vi
rimangono
.
Gli
imputati
sono
pallidissimi
.
Palizzolo
fa
sforzi
per
imporsi
la
calma
,
ma
la
sua
agitazione
è
evidente
.
I
due
Vitali
e
Bruno
rimangono
tranquilli
.
Palizzolo
giunge
le
mani
sorridendo
tristamente
,
poi
piega
le
braccia
e
rimane
con
gli
occhi
socchiusi
,
scrollando
il
capo
nervosamente
.
Fontana
abbassa
gli
occhi
e
congiunge
le
mani
nervosamente
;
ma
il
suo
viso
nulla
lascia
trasparire
della
sua
agitazione
.
L
'
avv
.
Cevidalli
presenta
le
conclusioni
della
P
.
C
.
con
le
quali
chiede
siano
applicate
le
pene
di
legge
,
condannando
gli
accusati
ai
danni
da
liquidarsi
in
separata
sede
.
Il
P
.
M
.
Bertola
fra
l
'
attenzione
generale
presenta
le
proprie
richieste
:
Per
Palizzolo
,
mandante
dell
'
assassinio
Notarbartolo
,
chiedo
la
condanna
a
trent
'
anni
.
Scoppiano
grida
di
bene
e
bravo
.
Il
clamore
è
assordante
e
gli
zittii
non
riescono
a
farlo
cessare
e
occorre
una
energica
scampanellata
presidenziale
per
far
tornare
la
calma
.
Bertola
riprende
:
Per
Fontana
la
posizione
è
identica
a
quella
di
Palizzolo
;
chiedo
quindi
che
si
condanni
a
trenta
anni
.
Palizzolo
con
voce
vibrata
:
Domando
la
parola
!
Presidente
.
Aspettate
un
momento
.
Quindi
il
presidente
chiede
ai
difensori
dei
condannati
che
cosa
abbiano
ad
aggiungere
prima
che
la
Corte
emetta
la
sentenza
.
Venturini
,
difensore
di
Palazzolo
,
dichiara
di
rimettersi
alla
giustizia
della
Corte
.
Stoppato
,
difensore
di
Fontana
,
altrettanto
.
Il
Presidente
concede
la
parola
a
Palizzolo
.
In
questo
momento
scocca
la
mezzanotte
.
Fra
grande
silenzio
l
'
ex
deputato
di
Palermo
con
voce
convulsa
ma
forte
,
dice
placatamente
:
«
Una
sola
parola
»
!
Poi
prorompe
:
«
Signori
giurati
,
siete
stati
ingannati
.
Sono
innocente
,
Iddio
saprà
vendicarmi
,
non
su
voi
,
signori
giurati
,
ma
su
chi
mi
ha
assassinato
»
.
Fontana
grida
,
stendendo
la
mano
verso
i
giurati
:
«
Anch
'
io
sono
innocente
,
lo
giuro
sulla
tomba
di
mia
moglie
»
.
La
Corte
si
ritira
per
emettere
la
sentenza
.
Nell
'
aula
si
animano
conversazioni
vivaci
,
discussioni
svariate
sull
'
esito
del
processo
.
Per
sentimento
di
delicatezza
non
vi
riferisco
qual
sia
il
tono
generale
di
tali
discorsi
.
Riproduco
soltanto
questa
frase
che
fiorisce
sulle
bocche
di
moltissimi
:
«
Bologna
si
è
fatto
onore
»
.
Il
Presidente
legge
la
sentenza
colla
quale
Palizzolo
e
Fontana
sono
condannati
a
30
anni
di
reclusione
ciascuno
,
a
10
anni
di
sorveglianza
speciale
,
all
'
interdizione
perpetua
dai
pubblici
uffici
,
all
'
interdizione
legale
durante
la
pena
.
Palizzolo
e
Fontana
alla
rivalsa
dei
danni
alla
parte
lesa
Notarbartolo
e
alle
spese
.
Scoppia
un
grande
clamore
di
applausi
.
Il
presidente
scampanella
,
quindi
dice
:
Dichiaro
chiusa
la
sessione
aperta
il
9
settembre
;
ringrazio
i
giurati
del
servizio
prestato
per
tanti
mesi
nell
'
interesse
della
giustizia
.
L
'
aula
si
sfolla
rumorosamente
fra
gli
applausi
e
le
grida
di
:
viva
la
giustizia
bolognese
.
StampaPeriodica ,
Borghese
o
proletario
il
nostro
movimento
?
Borghese
assolutamente
no
.
L
'
antiborghesismo
non
è
in
noi
una
civetteria
verbale
non
siamo
di
quelli
che
hanno
paura
delle
parole
;
è
la
conseguenza
di
una
meditata
e
definitiva
condanna
dell
'
ordine
,
dell
'
economia
,
degli
istituti
,
della
morale
borghese
.
Croce
ed
Einaudi
hanno
un
bell
'
ammonirci
che
la
borghesia
è
un
falso
concetto
e
che
la
classe
non
esiste
;
noi
la
borghesia
italiana
la
ritroviamo
con
nettissima
intuizione
di
classe
attorno
al
fascismo
.
Questa
borghesia
,
in
Italia
e
in
Europa
,
la
sentiamo
e
la
vogliamo
condannata
.
I
suoi
diritti
sono
privilegi
.
Le
sue
libertà
si
risolvono
in
soprusi
.
Il
fatto
che
essa
non
riesca
ormai
più
a
governare
quasi
dovunque
che
con
la
forza
brutale
,
sollevando
ribellioni
formidabili
che
per
la
prima
volta
non
si
innestano
su
una
guerra
perduta
,
dimostra
che
come
classe
dirigente
è
finita
.
Siamo
allora
un
movimento
proletario
?
Se
«
movimento
proletario
»
significa
movimento
che
identifica
la
sua
causa
con
quella
della
emancipazione
umana
,
con
la
causa
degli
operai
,
dei
contadini
,
dei
lavoratori
di
ogni
razza
e
paese
materialmente
sfruttati
e
moralmente
umiliati
,
la
risposta
è
categorica
:
sì
,
G.L.
è
un
movimento
proletario
.
G.L.
non
sarà
mai
dall
'
altra
parte
della
barricata
qualunque
possano
essere
gli
errori
e
le
debolezze
che
si
commetteranno
da
questa
parte
delle
barricate
.
La
questione
,
prima
ancora
che
di
principio
,
è
di
destino
,
di
elezione
.
Siamo
con
la
classe
lavoratrice
;
i
nemici
della
classe
lavoratrice
sono
i
nostri
nemici
;
le
vittorie
della
classe
lavoratrice
sono
le
nostre
vittorie
.
Se
fossimo
demagoghi
o
dittatori
scriveremmo
addirittura
che
siamo
la
classe
lavoratrice
.
Ma
noi
sappiamo
che
classe
lavoratrice
vuol
dire
milioni
e
milioni
di
uomini
che
se
oggi
sono
ridotti
a
servitù
domani
si
libereranno
,
cioè
svilupperanno
innumeri
energie
libere
.
Nessuna
ipoteca
,
quindi
,
e
nessuna
esclusiva
rappresentanza
.
Se
invece
«
movimento
proletario
»
dovesse
significare
,
come
spesso
oggi
significa
,
movimento
di
classe
degli
operai
industriali
,
degli
operai
manuali
delle
città
e
delle
grandi
fabbriche
,
con
le
appendici
secondarie
e
disprezzate
dei
contadini
,
piccoli
borghesi
e
intellettuali
,
rispondiamo
:
no
.
In
questo
senso
G.L.
non
è
,
né
tiene
ad
essere
un
movimento
proletario
.
Non
già
perché
disconosca
che
i
lavoratori
delle
fabbriche
costituiscono
la
frazione
più
forte
,
più
preparata
del
proletariato
,
la
più
aperta
agli
ideali
socialisti
.
Ma
perché
i
lavoratori
delle
fabbriche
costituiscono
in
ogni
paese
,
e
in
Italia
particolarmente
,
una
minoranza
,
e
neppure
la
più
oppressa
;
una
minoranza
il
cui
peso
relativo
tende
a
diminuire
anziché
ad
aumentare
per
il
crescere
dei
ceti
medi
e
piccolo
borghesi
;
una
minoranza
assolutamente
incapace
da
sola
di
rovesciare
l
'
ordine
borghese
o
anche
solo
di
fare
fronte
vittoriosamente
alla
reazione
fascista
.
La
storia
del
dopo
guerra
,
la
crisi
,
i
fascismi
offrono
in
materia
testimonianze
decisive
.
Un
movimento
proletario
moderno
deve
,
pena
l
'
impotenza
,
mettere
accanto
agli
operai
,
sullo
stesso
piano
degli
operai
,
senza
gerarchie
assurde
e
intollerabili
,
tutte
le
altre
categorie
di
lavoratori
.
Il
socialismo
,
sino
ad
ora
concepito
come
il
patrimonio
ideale
di
una
classe
eletta
,
la
classe
degli
operai
dell
'
industria
,
a
cui
spetterebbe
il
vanto
di
realizzarlo
,
si
deve
concepire
come
il
patrimonio
ideale
di
tutti
gli
uomini
.
Ogni
uomo
,
operaio
,
contadino
,
artigiano
,
impiegato
,
professionista
che
sia
deve
essere
messo
in
grado
di
partecipare
alla
lotta
su
piede
di
perfetta
eguaglianza
;
deve
sentire
che
il
socialismo
non
significa
per
lui
in
nessun
caso
una
decadenza
,
una
diminuzione
(
la
famosa
proletarizzazione
preventiva
!
)
,
ma
la
estrinsecazione
di
tutto
il
suo
potenziale
umano
.
Nella
fase
storica
che
attraversiamo
,
la
fase
del
fascismo
,
delle
guerre
imperialistiche
e
della
decadenza
capitalistica
,
le
analisi
spettrali
del
marxismo
non
servono
gran
che
.
La
storia
ha
sconvolto
le
sapienti
catalogazioni
e
procede
a
sbalzi
,
con
tagli
netti
e
frane
gigantesche
.
In
quanti
paesi
non
si
è
visto
il
movimento
operaio
funzionare
da
forza
conservatrice
,
mentre
i
movimenti
piccolo
borghesi
ricorrevano
alla
violenza
e
coi
disoccupati
,
nuovo
proletariato
squalificato
,
passavano
alla
reazione
?
Bando
perciò
alla
scolastica
per
attenersi
all
'
essenziale
.
Quando
un
mondo
decade
e
la
materia
sociale
diventa
incandescente
,
le
valvole
sociologiche
saltano
.
Da
una
parte
i
rivoluzionari
,
i
sovvertitori
,
quelli
che
l
'
Ufficio
stampa
chiama
i
«
sobillatori
»
,
riuniti
secondo
affinità
semplici
ma
fondamentali
;
dall
'
altra
i
conservatori
,
i
profittatori
dell
'
ordine
attuale
.
La
rivoluzione
non
deve
più
reclutare
chiedendo
:
sei
tu
proletario
?
Credi
al
materialismo
storico
?
Riconosci
in
Marx
il
tuo
Dio
e
in
Lenin
(
o
in
Jaurès
)
il
tuo
profeta
?
Vuoi
la
tessera
A
.
,
B
.
,
C
.
?
Deve
chiedere
:
credi
che
il
mondo
possa
continuare
a
marciare
sulla
testa
anziché
sulle
gambe
?
Non
ti
pare
che
all
'
uomo
potrebbe
assegnarsi
un
compito
più
interessante
di
quello
di
servire
il
profittatore
,
lo
Stato
e
i
generali
?
Una
civiltà
che
ti
dà
l
'
ordine
fascista
e
un
nuovo
macello
in
vista
non
equivale
a
una
nuova
barbarie
che
bisogna
combattere
su
tutti
i
fronti
e
con
tutte
le
armi
?
StampaQuotidiana ,
Due
sono
le
ragioni
che
hanno
convinto
i
filosofi
moderni
a
schierarsi
contro
la
felicità
e
a
negare
che
essa
sia
la
base
della
vita
morale
.
La
prima
è
che
la
felicità
è
uno
stato
praticamente
irraggiungibile
della
condizione
umana
:
è
lo
stato
di
un
uomo
al
quale
tutte
le
cose
vanno
bene
,
nel
senso
che
le
circostanze
gli
consentono
l
'
appagamento
di
tutti
i
bisogni
e
le
aspirazioni
.
Ora
all
'
uomo
manca
il
controllo
di
tutte
le
circostanze
in
cui
viene
a
trovarsi
:
niente
perciò
gli
garantisce
o
gli
può
garantire
che
i
suoi
bisogni
e
le
sue
aspirazioni
siano
tutte
completamente
appagate
.
La
felicità
è
dunque
un
ideale
chimerico
.
La
seconda
è
che
la
felicità
non
può
essere
considerata
come
il
fine
della
vita
morale
dell
'
uomo
:
perché
la
moralità
consiste
nel
compimento
del
dovere
e
il
dovere
non
può
essere
subordinato
ad
alcun
fine
ulteriore
ma
è
fine
a
se
stesso
.
Un
'
azione
può
dirsi
morale
unicamente
se
non
solo
è
conforme
al
dovere
,
ma
è
fatta
soltanto
per
rispetto
al
dovere
:
sicché
,
come
non
può
dirsi
morale
chi
agisce
bene
per
il
timore
di
una
pena
e
per
la
speranza
di
un
vantaggio
,
così
non
può
dirsi
morale
chi
agisce
in
vista
della
felicità
.
Il
compimento
del
dovere
viene
a
porsi
,
da
questo
punto
di
vista
,
su
un
piano
totalmente
diverso
da
quello
della
felicità
:
sul
piano
di
una
virtù
austera
,
che
non
concede
nulla
all
'
inclinazione
naturale
ed
è
in
lotta
contro
tutte
le
inclinazioni
,
compresa
quella
che
le
riassume
e
comprende
tutte
,
l
'
inclinazione
alla
felicità
.
Queste
ragioni
,
che
furono
presentate
in
tutta
la
loro
forza
da
Kant
alla
fine
del
secolo
XVIII
,
sono
state
e
sono
generalmente
accettate
dai
filosofi
,
salvo
poche
eccezioni
.
Le
eccezioni
sono
rappresentate
da
alcune
sopravvivenze
dell
'
etica
utilitaristica
inglese
,
che
riconosce
il
fondamento
della
morale
nella
ricerca
della
felicità
del
massimo
numero
possibile
di
persone
(
secondo
la
formula
del
nostro
Beccaria
)
,
e
dagli
scritti
morali
di
Russell
che
si
ispirano
sostanzialmente
allo
stesso
indirizzo
e
che
sono
riusciti
(
come
Russell
stesso
dice
)
fortemente
«
impopolari
»
ma
più
tra
i
filosofi
che
tra
il
pubblico
.
In
realtà
i
filosofi
si
vergognano
oggi
di
parlare
della
felicità
e
ne
ignorano
perfino
il
concetto
.
La
rigettano
,
forse
,
nel
limbo
dei
sogni
di
ogni
Giulietta
che
cerca
il
suo
Romeo
o
di
ogni
Romeo
che
cerca
la
sua
Giulietta
;
e
preferiscono
parlare
di
«
valori
»
o
di
«
beni
»
come
cose
indipendenti
dal
desiderio
umano
(
troppo
umano
)
della
felicità
.
Eppure
proprio
su
questo
desiderio
gli
antichi
impiantavano
l
'
intera
morale
e
solo
discutevano
se
la
felicità
consistesse
nel
piacere
o
nella
virtù
.
Né
assumevano
altra
base
dell
'
etica
i
filosofi
medievali
,
quelli
del
Rinascimento
e
gli
Illuministi
.
E
sembra
difficile
contestare
ciò
che
tutti
questi
filosofi
ritenevano
ovvio
;
cioè
che
la
felicità
è
la
molla
abituale
e
costante
del
comportamento
dell
'
uomo
.
Un
vasto
materiale
di
prova
in
appoggio
di
questa
tesi
ci
è
offerto
dall
'
antropologia
,
dalla
psicologia
e
dalla
psichiatria
contemporanee
:
un
materiale
di
prova
che
getta
una
luce
vivissima
sugli
stati
opposti
o
negativi
della
felicità
cioè
sugli
stati
di
insoddisfazione
,
di
frustrazione
,
di
inibizione
,
di
repressione
,
che
minano
la
personalità
umana
e
la
portano
a
crisi
,
a
squilibri
o
alla
totale
catastrofe
.
La
presenza
o
l
'
insorgenza
di
questi
stati
nelle
varie
forme
della
follia
,
della
nevrosi
,
e
in
qualsiasi
tara
,
squilibrio
,
o
imperfezione
della
personalità
umana
,
con
la
paralisi
totale
o
parziale
,
che
essi
implicano
,
delle
attività
produttive
dell
'
uomo
e
della
sua
capacità
d
'
inserirsi
nel
complesso
della
vita
sociale
,
è
un
fatto
che
prova
negativamente
l
'
importanza
che
un
certo
grado
di
«
felicità
»
,
cioè
di
soddisfazione
o
di
appagamento
consapevole
,
ha
per
il
singolo
uomo
e
per
la
vita
associata
.
Un
appagamento
totale
,
una
soddisfazione
stabile
,
completa
e
garantita
di
tutti
i
bisogni
e
le
esigenze
dell
'
uomo
,
è
certamente
fuori
questione
:
la
felicità
«
perfetta
»
o
1'«
ideale
»
della
felicità
è
un
'
aspirazione
chimerica
,
e
porla
a
fondamento
della
condotta
dell
'
uomo
significa
votare
quest
'
ultima
al
sicuro
insuccesso
.
Ma
tra
questo
ideale
e
lo
stato
di
insoddisfazione
radicale
e
inevitabile
che
provoca
le
malattie
o
le
crisi
della
personalità
umana
ci
sono
infiniti
gradi
intermedi
;
e
sono
proprio
questi
gradi
che
condizionano
la
vita
,
l
'
equilibrio
e
la
capacità
creativa
dell
'
uomo
nel
suo
mondo
.
Come
già
diceva
Aristotele
,
è
felice
il
musico
che
riesce
a
suonar
bene
o
l
'
architetto
che
riesce
a
costruire
un
bell
'
edificio
e
in
generale
è
felice
(
almeno
in
un
certo
grado
o
in
un
certo
rispetto
)
chi
riesce
a
realizzare
,
in
qualche
misura
,
le
possibilità
che
ritiene
proprie
e
che
costituiscono
il
centro
di
gravità
dei
suoi
interessi
personali
.
Gli
spiriti
creativi
nell
'
arte
e
nella
scienza
,
come
nella
politica
e
negli
affari
,
traggono
dall
'
esercizio
della
loro
attività
una
soddisfazione
che
li
rende
in
qualche
modo
tetragoni
ai
colpi
della
fortuna
.
Più
esposti
a
questi
colpi
sono
gli
spiriti
disorientati
,
che
non
sanno
che
fare
della
propria
vita
,
che
non
hanno
un
interesse
dominante
o
non
sanno
accentrare
intorno
ad
esso
il
resto
della
loro
vita
.
Un
lavoro
,
anche
modesto
,
cui
l
'
individuo
si
senta
tagliato
,
una
possibilità
effettiva
di
successo
nell
'
attività
che
si
è
scelta
,
la
prospettiva
di
un
nuovo
benessere
,
una
vita
affettiva
senza
seri
conflitti
,
un
amore
riuscito
,
un
sistema
di
abitudini
regolari
che
assicuri
un
minimo
di
soddisfazioni
,
sono
elementi
o
condizioni
di
una
felicità
che
non
è
gioia
né
estasi
,
ma
equilibrio
della
personalità
umana
e
fecondità
delle
sue
manifestazioni
.
Al
contrario
,
l
'
incapacità
di
riconoscere
o
realizzare
le
proprie
aspirazioni
autentiche
,
di
materializzare
in
opere
le
possibilità
proprie
o
il
sentirsi
privo
di
possibilità
siffatte
,
sono
le
condizioni
di
una
personalità
immatura
,
malata
o
destinata
al
fallimento
.
La
felicità
in
questo
senso
non
è
certo
l
'
impassibilità
del
«
saggio
»
antico
che
si
estrania
dalle
vicende
umane
e
si
chiude
nella
sua
torre
d
'
avorio
.
Non
è
neppure
il
sogno
delizioso
dell
'
adolescente
che
si
affaccia
alla
vita
.
È
un
concetto
-
guida
per
uomini
e
donne
che
abbiano
raggiunto
la
maturità
del
loro
spirito
e
che
non
si
lascino
sconfiggere
dal
primo
urto
delle
avversità
.
t
,
anche
,
un
efficace
strumento
per
affrontare
queste
avversità
.
Non
consiste
nella
somma
di
piaceri
che
si
possono
ricavare
dalla
vita
e
neppure
prescinde
dai
piaceri
che
sono
connessi
all
'
appagamento
dei
bisogni
e
all
'
esercizio
delle
attività
umane
.
È
inoltre
un
concetto
che
non
ha
lo
stesso
contenuto
per
tutti
gli
individui
e
per
tutti
i
tempi
.
La
misura
della
felicità
è
l
'
individuo
,
e
ciò
che
rende
felice
un
individuo
può
rendere
infelice
un
altro
.
Thomas
Jefferson
ebbe
un
'
idea
geniale
quando
nella
Dichiarazione
dei
diritti
(
1776
)
con
cui
si
apre
la
storia
della
rivoluzione
americana
,
fece
includere
tra
i
diritti
inalienabili
dell
'
individuo
,
accanto
alla
vita
e
alla
libertà
,
la
«
ricerca
della
felicità
»
.
Ciò
che
l
'
organizzazione
politico
-
sociale
può
garantire
all
'
individuo
è
la
possibilità
di
questa
ricerca
,
non
la
felicità
.
Nessun
uomo
e
nessun
potere
può
imporre
un
modello
di
felicità
a
tutti
gli
uomini
.
La
pretesa
del
Grande
Inquisitore
nei
Fratelli
Karamazov
di
Dostojewski
,
di
rendere
gli
uomini
schiavi
e
felici
,
è
contraddittoria
in
se
stessa
,
perché
la
felicità
imposta
è
una
delle
forme
dell
'
infelicità
.
Ciò
che
l
'
organizzazione
politico
-
sociale
del
genere
umano
può
fare
è
soltanto
l
'
eliminazione
di
condizioni
che
rendono
impossibile
ai
singoli
uomini
di
cercare
la
felicità
:
la
miseria
,
l
'
ignoranza
,
l
'
ingiustizia
.
Ma
dopo
di
questo
,
che
è
già
un
compito
immenso
e
praticamente
infinito
,
la
parola
spetta
ancora
agli
individui
;
il
cui
equilibrio
vitale
dev
'
essere
affidato
soltanto
alla
scelta
,
lasciata
in
loro
potere
,
del
modo
d
'
essere
felici
.
Certo
nessuno
dei
modi
che
possono
essere
scelti
esclude
la
possibilità
dell
'
errore
o
include
la
garanzia
del
possesso
incontrastato
e
perenne
della
felicità
.
Ma
chi
oserebbe
pretendere
che
all
'
uomo
competa
,
almeno
su
questa
terra
,
quella
beatitudine
imperturbabile
che
è
propria
della
vita
divina
?
StampaQuotidiana ,
Caro
presidente
Forlani
,
non
sapendo
quale
sia
il
ministro
competente
in
materia
,
inoltro
a
lei
questa
lettera
,
che
mi
sembra
giusta
,
sensata
e
da
prendere
in
immediata
considerazione
.
A
dire
il
vero
,
io
credevo
che
la
misura
sollecitata
dal
nostro
anonimo
lettore
fosse
in
atto
da
sempre
,
sembrandomi
sottinteso
che
quanto
si
offre
,
in
caso
di
calamità
nazionali
,
ai
fratelli
sinistrati
,
sia
almeno
esentato
da
tasse
.
Invece
sembra
che
in
Italia
non
sia
così
.
E
allora
la
prego
di
provvedere
.
Anzi
,
contando
sulla
sua
intelligenza
,
mi
permetto
di
dirle
che
,
a
nome
della
pubblica
opinione
-
del
cui
totalitario
consenso
sono
arcisicuro
-
,
lo
esigo
.
Questa
misura
va
adottata
,
e
va
adottata
subito
.
Perché
colpire
,
e
quindi
scoraggiare
,
anche
i
gesti
di
altruismo
e
di
solidarietà
è
non
soltanto
iniquo
,
ma
immorale
e
indecente
.
La
prego
,
signor
Presidente
,
di
dare
o
di
far
dare
dal
ministro
competente
,
non
a
me
,
ma
alla
pubblica
opinione
,
una
risposta
in
proposito
.
StampaQuotidiana ,
Gli
operai
della
Fonderia
Oretea
e
dello
Scalo
di
Alaggio
,
come
di
consueto
,
stamane
si
erano
recati
al
lavoro
,
quando
tra
di
loro
si
sparse
la
notizia
,
ieri
pubblicatasi
da
qualche
giornale
,
che
,
nella
nuova
ripartizione
dei
fondi
del
ministero
della
marina
e
dell
'
industria
navale
statale
e
privata
,
sarebbe
stata
trascurata
la
Sicilia
.
Tale
notizia
circolando
e
ingrandendosi
di
bocca
in
bocca
,
provocò
una
giusta
esasperazione
nell
'
animo
degli
operai
,
i
quali
,
smessa
la
giubba
di
lavoro
che
avevano
allora
indossato
,
si
vestirono
e
lasciarono
le
officine
e
,
col
proposito
di
scioperare
e
di
dimostrare
,
si
diedero
appuntamento
per
le
ore
9
al
Foro
Italico
,
presso
Porta
Felice
.
Ivi
furono
raggiunti
dal
direttore
della
Fonderia
cav
.
ing
.
Torrente
il
quale
lesse
loro
dei
telegrammi
del
presidente
dei
ministri
on
.
Zanardelli
,
del
ministro
dell
'
interno
on
.
Giolitti
,
e
di
quello
della
marina
on
.
Morin
,
in
cui
si
diceva
che
poiché
i
lavori
che
la
marina
ha
in
corso
di
fornitura
presso
l
'
industria
privata
consistono
principalmente
in
corazze
,
cannoni
e
macchine
motrici
per
navi
,
tali
lavori
non
potevano
commettersi
in
Sicilia
perché
non
vi
esistevano
stabilimenti
per
l
'
esecuzione
di
essi
.
Gli
operai
,
non
ascoltando
agli
incitamenti
alla
calma
loro
fatti
dal
cav
.
Torrente
e
dall
'
ispettore
Marzullo
,
in
preda
a
viva
agitazione
,
finirono
per
irrompere
clamorosamente
in
massa
nel
corso
Vittorio
Emanuele
.
Accorsa
la
pubblica
sicurezza
furono
suonati
gli
squilli
di
tromba
e
caricati
i
dimostranti
,
ma
inutilmente
,
giacché
gli
operai
,
essendo
in
numero
di
molto
maggiore
,
sopraffecero
la
forza
e
proseguirono
la
loro
marcia
dirigendosi
verso
la
Piazza
Pretoria
.
Dal
municipio
viene
quindi
per
telefono
avvertita
la
questura
che
i
dimostranti
si
vanno
riunendo
sotto
il
palazzo
municipale
e
tosto
vien
mandata
colà
una
buona
parte
della
forza
con
numerosi
funzionari
,
ma
già
la
folla
ha
invaso
ed
occupato
tutta
la
piazza
del
Municipio
e
mentre
gli
agenti
e
i
carabinieri
si
dispongono
in
guisa
da
circondare
i
dimostranti
,
sopraggiunge
l
'
on
.
avv
.
Di
Stefano
con
i
presidenti
delle
otto
società
operaie
del
mandamento
Molo
,
che
viene
accolto
da
fragorosi
applausi
.
Da
una
finestra
degli
uffici
di
Stato
Civile
,
ottenuto
un
po
di
silenzio
,
fa
un
breve
discorso
,
interrotto
spesso
dalle
grida
dei
dimostranti
.
Egli
ricorda
che
se
il
precedente
ministero
non
fosse
caduto
,
si
sarebbe
ottenuta
a
quest
'
ora
,
dietro
le
pratiche
fatte
,
una
legge
per
la
quale
gli
operai
marittimi
della
nostra
città
avrebbero
avuto
pane
e
lavoro
.
Però
la
Camera
fra
qualche
giorno
si
riaprirà
,
e
il
progetto
di
legge
,
dal
quale
si
ripromettono
i
dovuti
benefizi
,
sarà
senza
fallo
presentato
e
discusso
.
L
'
oratore
finisce
raccomandando
agli
operai
di
mantenersi
calmi
,
di
attendere
ancora
un
po
,
giacché
tanta
pazienza
hanno
finora
dimostrato
,
ed
annunziando
che
lunedì
prossimo
egli
partirà
per
Roma
con
una
commissione
di
operai
,
per
ottenere
dal
ministro
dei
lavori
pubblici
e
da
quello
della
marina
,
in
via
d
'
urgenza
,
qualche
lavoro
nel
quale
possano
essere
occupati
il
maggior
numero
degli
operai
.
StampaPeriodica ,
La
critica
più
frequente
che
viene
rivolta
al
nostro
movimento
è
di
non
fare
sufficiente
assegnamento
sulle
«
masse
»
,
di
dare
nell
'
azione
antifascista
più
peso
alle
minoranze
audaci
e
combattive
che
al
popolo
lavoratore
.
Di
qui
l
'
accusa
d
'
individualismo
,
di
volontarismo
romantico
,
di
culto
dell
'
eroismo
ecc
.
Definiamo
innanzi
tutto
la
parola
«
masse
»
.
Esiste
un
primo
significato
generico
e
apolitico
per
il
quale
le
masse
sono
semplicemente
il
grosso
della
popolazione
di
un
paese
qualunque
sia
il
suo
sistema
sociale
,
il
suo
livello
di
vita
e
di
educazione
,
il
rapporto
interno
tra
le
classi
.
Masse
tedesche
,
sovietiche
,
francesi
,
americane
.
Evidentemente
non
è
questo
significato
che
c
'
interessa
.
Esiste
poi
un
secondo
significato
della
parola
masse
,
specifico
,
differenziato
,
politico
,
per
il
quale
per
masse
si
intende
la
classe
più
numerosa
e
produttiva
della
società
,
la
classe
lavoratrice
,
nelle
sue
frazioni
politicamente
più
attive
e
organizzate
.
Masse
sono
,
nei
paesi
liberi
o
relativamente
tali
,
quelle
centinaia
di
migliaia
,
quei
milioni
di
lavoratori
che
avendo
senso
di
dignità
e
di
libertà
partecipano
alla
lotta
politica
attraverso
i
partiti
,
i
sindacati
e
le
varie
organizzazioni
a
larga
base
.
Nei
momenti
più
intensi
della
vita
politica
,
a
queste
masse
di
militanti
si
aggiungono
masse
anche
più
vaste
di
simpatizzanti
che
votano
,
partecipano
alle
agitazioni
,
ai
comizi
ecc
.
Le
masse
francesi
sono
,
per
esempio
,
oggi
particolarmente
attive
e
assommano
certamente
a
qualche
milione
.
In
base
a
questa
definizione
,
è
facile
vedere
come
non
sia
possibile
parlare
di
masse
attive
,
nel
senso
politico
della
parola
,
e
di
lavoro
di
massa
nei
paesi
a
dittatura
fascista
.
La
dittatura
fascista
ha
distrutto
le
organizzazioni
politiche
ed
economiche
della
classe
operaia
togliendo
a
questa
ogni
libertà
e
diritto
e
ha
intruppato
gli
operai
nelle
sue
organizzazioni
che
hanno
lo
scopo
d
'
impedire
,
sistematicamente
,
ogni
vita
politica
delle
masse
.
I
lavoratori
,
paralizzati
dalla
miseria
,
ricattati
dalla
disoccupazione
,
oppressi
dal
terrore
legale
,
controllati
sul
lavoro
e
fuori
del
lavoro
,
messi
in
una
quasi
materiale
impossibilità
di
formarsi
politicamente
,
sono
ridotti
a
vivere
in
uno
stato
di
passività
di
cui
il
fascismo
profitta
per
le
sue
parate
militaresche
sportive
.
Nei
paesi
fascisti
la
classe
lavoratrice
non
vive
più
come
classe
,
non
ha
più
autonomia
né
coscienza
di
classe
.
È
inerte
.
Dalla
massa
,
nel
senso
politico
,
si
è
tornati
alla
massa
nel
senso
numerico
e
amorfo
.
Questa
è
la
realtà
delle
cose
in
Italia
e
in
Germania
,
la
realtà
da
cui
noi
i
romantici
prendiamo
le
mosse
;
non
già
beninteso
per
accettarla
,
ma
per
modificarla
.
Perché
,
infatti
,
lottiamo
?
Appunto
perché
vogliamo
che
le
masse
si
muovano
liberamente
,
si
emancipino
dalle
tutele
e
dalle
oppressioni
capitalistiche
dittatoriali
,
possano
vivere
politicamente
,
cioè
si
compongano
di
uomini
liberi
,
autonomi
,
fieri
,
raccolti
in
libere
associazioni
.
Ma
altro
è
lottare
,
come
noi
facciamo
,
con
la
classe
lavoratrice
perché
si
emancipi
materialmente
e
moralmente
e
si
affermi
nella
vita
politica
attraverso
una
storica
lotta
rivoluzionaria
,
e
altro
è
dire
che
le
masse
sono
in
Italia
già
poste
in
movimento
.
Altro
è
dire
che
il
fine
è
di
mettere
in
movimento
le
masse
,
e
altro
è
dire
che
si
può
svolgere
oggi
una
vera
azione
di
masse
.
Allo
stato
attuale
delle
cose
in
Italia
,
noi
sosteniamo
che
la
sola
azione
fondamentale
che
si
riesca
a
condurre
è
un
'
azione
di
nuclei
ristretti
,
di
minoranze
attive
e
battagliere
che
si
dànno
come
compito
essenziale
quello
di
educare
i
quadri
per
la
lotta
rivoluzionaria
,
di
attaccare
nei
punti
più
deboli
il
nemico
,
e
soprattutto
di
tenersi
pronti
per
utilizzare
con
la
massima
rapidità
e
decisione
le
circostanze
favorevoli
che
prima
o
poi
necessariamente
si
presenteranno
.
In
sostanza
,
noi
ci
prepariamo
per
la
crisi
inevitabile
,
per
la
crisi
che
cerchiamo
di
precipitare
e
di
ingigantire
.
Le
grandi
masse
quando
è
che
si
metteranno
in
movimento
?
Quando
la
crisi
scoppierà
.
Vale
a
dire
quando
si
riuscirà
a
spezzare
o
a
disgregare
il
formidabile
meccanismo
oppressivo
che
imprigiona
le
masse
.
Il
lavoro
decisivo
di
massa
lo
potremo
fare
solo
allora
.
Non
prima
.
Il
fascismo
non
ci
darà
un
Empire
libéral
.
Qual
è
dunque
il
nostro
peccato
in
materia
di
masse
e
di
azione
di
masse
?
Quello
di
dire
brutalmente
le
cose
come
sono
,
quando
gli
altri
amano
farle
più
rosee
e
più
facili
.
Noi
per
esempio
diciamo
chiaro
e
tondo
,
in
base
a
un
'
esperienza
quinquennale
,
che
in
una
città
italiana
non
si
trovano
oggi
,
non
si
sono
mai
trovati
,
dalle
leggi
eccezionali
in
poi
,
più
di
50-100-200
cittadini
politicamente
attivi
disposti
a
partecipare
alla
lotta
rivoluzionaria
(
nei
villaggi
si
è
ridotti
alle
unità
)
.
Il
partito
comunista
,
in
mancanza
delle
masse
,
ha
preso
l
'
abitudine
di
chiamare
«
masse
»
questi
50-100-200
cittadini
politicamente
attivi
;
e
poiché
questi
cittadini
,
questi
rivoluzionari
sono
quasi
tutti
proletari
,
piccolo
borghesi
e
intellettuali
che
hanno
abbracciato
la
causa
proletaria
,
ha
preso
l
'
abitudine
anche
peggiore
di
dire
a
ogni
piè
sospinto
che
«
le
masse
»
si
battono
,
si
ribellano
contro
il
capitalismo
,
e
che
l
'
azione
di
massa
incede
,
procede
,
precipita
.
Tutta
qui
la
differenza
?
Tutta
qui
.
Forse
in
noi
,
specie
dopo
l
'
esperienza
tedesca
nel
corso
della
quale
abbiamo
visto
i
due
più
grandi
partiti
di
massa
del
mondo
moderno
il
socialdemocratico
e
il
comunista
sciogliersi
come
neve
al
sole
,
si
è
accentuata
la
convinzione
che
era
anche
di
Lenin
che
nel
periodo
rivoluzionario
essenziale
è
il
compito
della
minoranza
rivoluzionaria
forgiatasi
nel
periodo
della
lotta
illegale
;
ma
,
a
prescindere
da
questo
convincimento
che
più
che
un
convincimento
è
un
'
esperienza
,
è
fuor
di
dubbio
che
anche
noi
diamo
alle
masse
e
all
'
attività
delle
masse
tutto
il
peso
che
loro
spettano
.
Le
masse
sono
il
popolo
,
e
noi
siamo
col
popolo
.
Le
masse
sono
la
classe
lavoratrice
,
e
noi
ci
confondiamo
con
essa
.
Le
masse
aspirano
a
una
democrazia
integrale
,
e
noi
lottiamo
per
conseguirla
.
Ma
senza
demagogia
,
senza
grottesche
adorazioni
.
Specie
agli
inizi
delle
crisi
rivoluzionarie
,
quando
le
masse
mancano
di
tradizione
politica
,
esse
possono
commettere
degli
errori
,
cedere
,
deviare
,
aderire
a
compromessi
.
La
funzione
dei
movimenti
rivoluzionari
è
allora
di
resistere
.
StampaQuotidiana ,
Comprendere
e
perdonare
sono
termini
diventati
,
in
certi
campi
della
cultura
contemporanea
,
quasi
sinonimi
.
Non
sembra
possibile
che
si
riesca
a
comprendere
un
essere
umano
senza
perdonare
i
suoi
errori
e
le
sue
colpe
;
e
che
la
condanna
degli
aspetti
nocivi
e
ripugnanti
della
sua
condotta
mantenga
la
sua
severità
quando
si
sia
scavato
abbastanza
a
fondo
negli
aspetti
più
intimi
della
sua
vita
.
Tutte
le
discipline
antropologiche
hanno
oggi
portato
contributi
importanti
al
chiarimento
delle
motivazioni
che
spiegano
la
condotta
dell
'
uomo
cioè
delle
condizioni
o
delle
forze
che
la
provocano
:
l
'
ambiente
,
l
'
eredità
,
le
circostanze
,
il
carattere
ecc.
Ma
al
di
là
di
queste
motivazioni
,
la
comprensione
si
presenta
come
un
'
esigenza
ancora
più
intima
e
radicale
.
Non
si
tratta
soltanto
di
spiegare
tale
condotta
come
un
qualsiasi
fatto
oggettivo
o
naturale
:
si
tratta
di
avvicinarsi
all
'
uomo
stesso
,
a
qualsiasi
uomo
,
quale
che
sia
la
natura
morale
del
suo
comportamento
,
con
simpatia
se
non
con
amore
;
di
vivere
in
qualche
modo
con
lui
la
sua
vita
o
almeno
di
parteciparne
il
dinamismo
;
di
cogliere
questa
vita
al
modo
in
cui
egli
stesso
la
coglie
nell
'
intimità
del
suo
essere
e
riuscire
a
vederla
come
egli
stesso
la
vede
.
Ma
se
questo
tentativo
riesce
anche
parzialmente
,
non
è
possibile
o
almeno
è
difficile
conservare
nei
confronti
della
persona
così
intimamente
penetrata
un
atteggiamento
di
riprovazione
e
di
condanna
.
L
'
unico
atteggiamento
possibile
per
le
manifestazioni
di
essa
che
appaiono
ostili
o
maligne
nei
confronti
degli
altri
esseri
umani
,
è
quello
del
perdono
.
Queste
idee
o
idee
simili
a
queste
circolano
in
molti
campi
della
cultura
contemporanea
;
ed
anche
nel
campo
dei
giuristi
i
quali
spesso
parlano
della
necessità
di
comprendere
la
personalità
del
delinquente
,
di
adeguare
a
questa
comprensione
le
pene
che
la
legge
deve
stabilire
:
e
di
trasformare
tali
pene
da
elementi
di
punizione
o
di
mortificazione
in
elementi
di
recupero
o
,
come
si
dice
con
parola
solenne
,
di
redenzione
del
delinquente
stesso
.
Se
si
spingono
al
limite
queste
considerazioni
il
delinquente
può
essere
considerato
come
un
malato
da
curare
,
non
come
un
essere
ostile
contro
il
quale
la
società
ha
il
diritto
di
erigere
la
sua
barriera
.
Tutto
ciò
ha
spesso
il
felice
risultato
di
fondare
e
promuovere
la
convinzione
che
le
pene
comminate
a
qualsiasi
titolo
a
coloro
che
hanno
infranto
la
legge
non
devono
distruggere
la
loro
dignità
di
esseri
umani
né
rendere
impossibile
il
recupero
del
loro
rispetto
verso
se
stessi
e
del
rispetto
degli
altri
verso
di
loro
.
Non
devono
,
in
altri
termini
,
ridurli
a
bestie
o
a
cose
di
cui
si
può
fare
ciò
che
si
vuole
.
Le
considerazioni
che
seguono
non
intendono
indebolire
questa
convinzione
o
limitarne
la
validità
,
ma
soltanto
discutere
la
connessione
di
cui
si
è
parlato
tra
comprendere
e
perdonare
.
Alla
base
di
questa
connessione
c
'
è
una
precisa
filosofia
del
comprendere
.
Comprendere
una
persona
significa
,
secondo
questa
filosofia
,
non
solo
mettersi
al
posto
di
tale
persona
ma
coincidere
con
essa
,
partecipare
alla
sua
vita
e
soprattutto
alle
sue
emozioni
come
se
fossero
la
nostra
vita
e
le
nostre
emozioni
.
Identificarsi
con
l
'
altra
persona
è
allora
il
compito
del
comprendere
.
Ma
per
l
'
appunto
questa
identità
rende
impossibile
il
giudizio
e
la
condanna
.
Non
posso
condannare
e
neppur
giudicare
una
vita
o
un
comportamento
di
cui
io
riesca
a
partecipare
intimamente
,
con
cui
io
riesco
a
identificarmi
.
I
fatti
ci
dicono
,
certo
,
che
un
uomo
riesce
a
giudicare
e
condannare
anche
se
stesso
o
almeno
certe
manifestazioni
della
sua
vita
.
Ma
non
è
questo
possibile
proprio
perché
egli
non
riesce
a
identificarsi
(
a
vedere
il
vero
«
se
stesso
»
)
nelle
manifestazioni
che
giudica
e
condanna
?
Quando
l
'
uomo
comprende
veramente
se
stesso
o
l
'
altro
,
non
può
giudicare
o
condannare
se
stesso
o
l
'
altro
perché
manca
la
distanza
o
l
'
estraneità
che
rende
possibile
il
giudizio
o
la
condanna
.
Sicché
il
problema
si
riduce
a
questo
:
comprendere
qualcosa
significa
identificarsi
con
essa
?
Ora
,
posto
in
questi
termini
,
il
problema
esige
risposta
negativa
.
Le
ricerche
di
Max
Scheler
sulla
natura
della
simpatia
,
che
è
comprensione
emotiva
,
hanno
mostrato
come
tale
comprensione
non
esige
identità
,
ma
diversità
.
Due
persone
che
hanno
lo
stesso
mal
di
denti
o
partecipano
ad
un
eguale
dolore
non
perciò
si
comprendono
,
per
quanto
i
loro
stati
siano
identici
:
come
non
si
comprendono
quelle
trasportate
da
un
contagio
emotivo
,
per
esempio
da
un
sentimento
di
panico
o
da
uno
scoppio
di
risa
.
Invece
la
pietà
,
che
è
autentica
comprensione
emotiva
,
non
consiste
nel
provare
lo
stesso
dolore
dell
'
altro
o
vivere
nella
sua
stessa
situazione
ma
assumere
un
atteggiamento
emotivo
cui
quel
dolore
o
quella
situazione
è
presente
pur
nella
sua
diversità
.
Giustamente
Scheler
osservava
che
la
condanna
che
alcuni
filosofi
(
come
Spinoza
e
Nietzsche
)
hanno
pronunciato
sulla
pietà
,
che
moltiplicherebbe
senza
scopo
il
dolore
,
deriva
dal
falso
concetto
della
pietà
come
identità
nel
dolore
mentre
essa
è
un
'
emozione
a
parte
,
che
è
stimolata
dall
'
altrui
dolore
ma
non
si
identifica
con
esso
.
Ma
la
comprensione
non
è
soltanto
un
fatto
emotivo
.
In
generale
,
comprendere
una
persona
è
cosa
che
permette
di
rispondere
a
domande
come
questa
:
«
Come
ha
potuto
quella
persona
compiere
quell
'
azione
?
»
.
Ora
la
risposta
a
questa
domanda
consiste
nel
determinare
le
condizioni
che
hanno
resa
possibile
l
'
azione
in
esame
:
nel
determinare
cioè
le
forme
concrete
,
particolari
della
possibilità
dell
'
azione
.
La
persona
ha
potuto
compiere
quell
'
azione
perché
nella
situazione
in
cui
si
è
trovata
le
sue
scelte
si
sono
orientate
in
un
modo
anziché
in
un
altro
;
e
si
sono
orientate
così
per
altre
circostanze
o
condizioni
di
cui
si
possono
chiarire
i
caratteri
.
Ma
a
questo
livello
di
generalità
il
comprendere
non
è
neppure
un
'
operazione
che
concerne
soltanto
gli
uomini
come
tali
.
Si
comprende
un
teorema
di
matematica
,
una
teoria
fisica
,
un
concetto
qualsiasi
quando
si
afferra
la
possibilità
dì
queste
cose
;
la
connessione
del
teorema
con
gli
altri
teoremi
,
il
problema
cui
la
teoria
fisica
risponde
,
la
funzione
di
descrizione
o
di
previsione
cui
un
concetto
è
chiamato
in
un
certo
campo
del
sapere
.
E
in
tutti
questi
casi
comprendere
non
significa
affatto
identificarsi
con
ciò
che
si
comprende
o
coincidere
con
esso
.
È
un
'
operazione
o
una
serie
di
operazioni
che
lasciano
integra
la
diversità
tra
chi
comprende
e
l
'
oggetto
del
comprendere
e
consistono
nel
chiarire
le
condizioni
che
rendono
possibile
quest
'
oggetto
.
Ora
se
è
così
,
comprendere
non
significa
,
per
ciò
che
riguarda
gli
uomini
,
necessariamente
perdonare
.
Può
anzi
condurre
a
una
condanna
più
grave
o
più
radicale
:
come
accade
quando
la
messa
in
luce
dei
modi
in
cui
un
'
azione
è
stata
effettuata
e
dei
moventi
che
l
'
hanno
suggerita
suscita
ripugnanza
,
orrore
o
raccapriccio
,
e
rafforza
la
convinzione
che
contro
quelle
forme
d
'
azione
la
società
deve
essere
energicamente
difesa
.
È
ben
certo
che
non
si
può
giudicare
un
uomo
senza
comprenderlo
,
perché
la
comprensione
è
la
condizione
indispensabile
affinché
quel
giudizio
non
decada
da
un
misurato
atto
di
ragione
a
una
reazione
incontrollata
e
brutale
.
La
comprensione
è
la
base
,
l
'
unica
base
possibile
,
di
ogni
equo
giudizio
che
l
'
uomo
può
dare
di
se
stesso
e
degli
altri
.
Ma
con
ciò
ancora
nulla
è
detto
circa
la
natura
di
questo
giudizio
,
che
può
essere
di
condanna
o
di
assoluzione
,
di
simpatia
o
di
ripugnanza
,
a
seconda
dei
casi
:
ma
non
può
essere
eliminato
o
reso
nullo
da
un
abbraccio
universale
che
includa
indiscriminatamente
il
tiranno
ed
il
martire
,
l
'
assassino
e
la
vittima
.
L
'
uguaglianza
degli
uomini
,
che
è
il
postulato
fondamentale
della
nostra
morale
e
dei
nostri
ordinamenti
giuridici
,
esige
che
ogni
uomo
sia
compreso
prima
di
venire
giudicato
.
Ma
gli
uomini
sono
diversi
perché
effettuano
scelte
diverse
,
talora
anche
nelle
identiche
circostanze
,
nel
corso
della
loro
vita
.
È
questa
diversità
che
,
per
comprenderli
,
bisogna
afferrare
e
mettere
in
luce
.
Si
può
certo
assumere
come
ideale
la
volontà
di
perdonare
a
tutti
e
a
ogni
costo
;
ma
si
può
far
questo
non
in
base
al
comprendere
,
che
diversifica
e
discrimina
,
ma
perché
si
prescinde
completamente
da
esso
.