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Il 7 novembre 1917 il piccolo nucleo dei rivoluzionari bolscevichi 2.000 in tutta la Russia riusciva con audacissima azione a impadronirsi del potere nel più grande Stato unitario della terra . Gli spalancò la via non tanto la forza delle armi , quanto il crollo del vecchio apparato statale zarista avvenuto nel marzo e l ' ansia di pace e di terra dei contadini soldati . È probabile che i bolscevichi fossero all ' epoca più gli interpreti che i creatori di una situazione . Ma essi seppero antivedere la direzione dell ' onda sociale formidabile che tutti poteva travolgere sul suo cammino , loro eccettuati ; loro che appunto in ragione di quella audacia riuscirono a riordinare le acque sconvolte , anzi a così solidamente arginarle da impedire anche le più lievi increspature . Sotto la dittatura grandi cose furono compiute in questi diciassette anni . Spezzata la controrivoluzione , spodestato il profitto e vinta la fame terribile degli inizi si costruì una grande industria di stato , si collettivizzarono le campagne , si educarono diecine di milioni di giovani . La stabilità insolente del regime sovietico , comunque si voglia giudicarlo , umilia il mondo borghese . Esso fornisce l ' alternativa , costituisce una sfida . E l ' alternativa , la sfida , la dialettica , dei principi e delle esperienze , furono e saranno sempre sorgenti di liberazione e di perfezionamento . Ma si attuò il socialismo ? Neppure i bolscevichi osano sostenerlo . La loro pretesa è che la via sulla quale si sono messi è la via buona , anzi l ' unica via che porti al socialismo . Si può discutere : non già perché la via sia durissima , ma perché troppo spesso costringe a marciare in una direzione contraria alle méta . Il socialismo non è dittatura , non è iper - Stato , non ammette il freddo sacrificio di più generazioni d ' uomini a piani imposti dall ' alto ; soprattutto non si concilia con l ' obbedienza passiva dei più . Nel migliore dei casi bisogna ammettere che si è ancora lontani , molto lontani dal socialismo in Russia . Il socialismo fu sempre concepito come l ' attuazione integrale del principio di libertà , come umanesimo totale . La violenza , le terribili discipline , le socializzazioni , i piani , si presentano , nei confronti del socialismo , come dei mezzi , alcuni indispensabili , altri discutibili , ma pur sempre dei mezzi da porsi al servizio dell ' uomo . Che cosa è allora un socialismo senza libertà , uno Stato socialista che non può vivere se non eternando la dittatura ? È un socialismo che dalle cose non è ancora passato nelle coscienze , che anzi per rivoluzionare le cose è costretto ad opprimere le coscienze : è uno Stato che , pur proponendosi di liberarla , schiaccia la società . Ecco perché noi , pur riconoscendo che la rivoluzione di ottobre di cui la Russia celebra in questi giorni l ' anniversario , è un evento che apre una epoca nuova nella storia dell ' umanità , pur affermando che la caduta del regime sovietico costituirebbe una tremenda jattura che dobbiamo concorrere ad evitare , e che la sua esperienza è decisiva per tutti i movimenti rivoluzionari , noi non riusciamo ad esaltarci nel ricordo esclusivo di Ottobre . Ciò che ci esalta , ciò che profondamente sentiamo , è invece la grande epopea della Rivoluzione Russa . Chi abbatté lo zarismo ? Chi ne minò le fondamenta morali e politiche ? Chi fece del proletariato di Mosca e di Pietroburgo l ' avanguardia della classe operaia mondiale ? Chi portò tra i contadini la speranza in un Millennio che dai cieli dei Popi si trasferiva sulle terre di questa terra ? Chi ? Il partito bolscevico ? È troppo poco . I bolscevichi raccolsero per tutti : forse era fatale che fosse così . Ma quanti prima di loro , con loro e anche dopo di loro , oggi dimenticati e magari diffamati , lavorarono e morirono per la Rivoluzione Russa ? Decembristi che col loro martirio provarono l ' utopia di una trasformazione liberale dell ' impero ; santi maledetti che si levarono soli , tra l ' indifferenza e l ' ostilità universali , a predicare il nuovo verbo , morendo negli esilii e nelle galere ; Herzen che da Londra faceva giungere il suono della sua Campana nella patria lontana , finché anche quel suono non fu più ascoltato ; Bakunin , cavaliere errante della rivoluzione ; Netchaieff e la lunga tragica serie dei terroristi impiccati , tra cui il fratello di Lenin , o seppelliti per venti anni consecutivi in galera , come la Figner ; la stupenda fioritura di scrittori che alla rivoluzione portarono il fermento e la consacrazione dell ' arte ; le migliaia di giovani che rinunciarono alla loro classe per « andare al popolo » ; gli operai , affratellati con gli intellettuali nei circoli segreti , che dopo il 1900 trascineranno la massa in epici scioperi , che nel 1905 si drizzeranno in piedi e saranno schiacciati , ma che proseguiranno la lotta e nel 1917 vivranno la breve illusione di una liberazione gioiosa e poi , a ottobre , dovranno rassegnarsi a recare un ordine duro e terribile nel caos minacciante affinché tutto non andasse perduto e tre generazioni di giovani non si fossero sacrificate invano . Tutto questo e molto più di questo è la Rivoluzione Russa . È questa Rivoluzione che noi vogliamo ricordata , che noi esaltiamo , non già in contrapposto alla rivoluzione di ottobre , ma oltre , più in alto di Ottobre , perché in essa , negli uomini e nei movimenti che la prepararono e la condussero a un primo inizio ritroviamo i nostri maestri e i motivi fondamentali che ci animano nella lotta . Siamo consapevoli della difficoltà , della complessità del nostro atteggiamento di fronte alla Russia Sovietica . Più semplice sarebbe esaltarla senza riserve , come fanno i comunisti . L ' adesione totale consente loro di appoggiarsi a uno Stato , assicura loro un grande potere di attrazione e di propaganda . Il loro programma , straordinariamente concreto , si riassume in una frase : fare altrove , fare in Italia ciò che fu fatto , ciò che si fa in Russia . Mai dei rivoluzionari furono tanto convincenti e realisti . Ma possono i rivoluzionari , nella fase di attacco , aderire senza discriminazioni , senza critiche a un ordine positivo e limitato così lontano dall ' ideale a cui si richiamano , a un ordine ancora fonte di tante ingiustizie ed errori ; a uno Stato , a una politica , a una diplomazia , a una ragion di Stato ? Porre la questione è risolverla . I rivoluzionari non possono fare della politica nel senso ordinario della parola ; non possono transigere sui principi e chiuder gli occhi sui mali esistenti . La forza di rovesciare un mondo , più che dalle esperienze positive altrui , viene dalla visione di un mondo ideale . Se quel mondo ideale lo si identifica in un mondo esistente e imperfetto , il potenziale rivoluzionario è destinato a cadere . Fare la rivoluzione russa in Italia ? Ma l 'U.R.S.S . è uno Stato che milioni di persone hanno visitato in lungo e in largo , toccando con mano pregi e difetti , grandezze e miserie . Dopo diciassette anni di esistenza , l 'U.R.S.S . non è più un ideale . Costituisce tutt ' al più un mito per le folle incolte e sofferenti , e un incoraggiamento per noi . Difatti Mussolini autorizza tranquillamente le edizioni italiane dei discorsi di Stalin , le storie del bolscevismo , la Vita di Trotzky , mentre i funzionari fascisti posano a filobolscevichi . Leviamoci dunque l ' illusione che si possa fare in Italia la copia , sia pure riveduta e corretta , della rivoluzione di ottobre . Nella storia del nostro paese , il giacobinismo fornisce già un esemplare infelice di rivoluzione ricalcata . La rivoluzione italiana provvederà per vie sue , secondo le necessità e le lotte italiane ed europee . La Russia , con la quale si stabiliranno certo rapporti fraterni , sarà per noi non un punto di arrivo ma di partenza ; sarà soprattutto un capitale di preziose esperienze . Sia ben chiaro che siamo mossi a dir questo non da una ridicola ambizione provinciale , da una assurda riedizione del mito del Primato italiano ; ma dal convincimento della originalità irriducibile di ogni rivoluzione e della necessaria autonomia della coscienza rivoluzionaria , la quale esige rottura integrale con ciò che è in nome di ciò che deve essere . Nel « deve essere » la Ceka , le masse deportate , i casi , piccoli o grandi che siano , Trotzky , Serge , Petrini , la meccanica dittatoriale , l ' oppressione burocratica , non rientrano . L ' imperativo categorico non si lascia mettere al condizionale . I comunisti , aderendo completamente alla realtà russa attuale , alienano senza avvedersene la loro spontaneità rivoluzionaria ; costretti a preoccuparsi più di riscuotere la fiducia di Mosca che la fiducia dell ' Italia , non riescono a dire una parola nuova e fresca ai giovani . Quanti tra loro sentono l ' assurdo di una lotta contro la dittatura fascista condotta in nome di un ' altra , anche se diversissima , dittatura ! Quanti vorrebbero spezzare il rigido quadro teorico e pratico per ristabilire un contatto semplice e umano coi fatti , con la realtà italiana , con la stessa realtà russa ! Ma non possono . L ' ostracismo che li minaccia , quando non ne fa dei ribelli , li piega . Tuttavia noi non sappiamo essere esclusivi ; non pretendiamo di possedere il monopolio del vero . Riconosciamo che l ' immensità della esperienza in corso nella Russia rende probabilmente inevitabile l ' esistenza di un forte partito comunista in Italia ; riconosciamo che esso si è battuto in questi anni con grande coraggio . Ma sosteniamo la necessità assoluta dell ' esistenza di un ' altra corrente rivoluzionaria , più aderente alla storia , alle esperienze , ai bisogni italiani e più libera nei suoi atteggiamenti verso la Russia . Non è detto che le due correnti debbano combattersi . Nell ' ora dell ' attacco marceranno unite .
CRISI DELL'EDUCAZIONE LIBERALE ( Abbagnano Nicola , 1964 )
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Se si domanda perché il sistema educativo vigente in Italia è comunemente giudicato insoddisfacente , la risposta è semplice : esso non risponde o risponde solo parzialmente e imperfettamente alle esigenze della società contemporanea . Le attitudini cui esso fa appello e che tende a sviluppare non sono quelle che mettono l ' individuo in grado di assolvere i suoi compiti nella vita sociale e di ottenere il successo ; l ' informazione generica e disordinata che esso fornisce , la cosiddetta « cultura generale » , non serve a dare all ' individuo il possesso di quel patrimonio limitato ma preciso di nozioni che lo rendono padrone della funzione che sarà chiamato a esercitare . Considerato nella sua impostazione generale , con l ' eccezione di alcune sue parti , il sistema educativo vigente si dimostra inadeguato rispetto allo scopo che ogni sistema educativo deve proporsi : quello di rendere gli individui adatti ad inserirsi in modo attivo ed efficace nel corpo sociale cui appartengono . La mancanza di un serio impegno di lavoro in tutti i partecipanti del sistema , siano essi docenti o discenti mancanza che viene spesso ascritta a cattiva volontà o a disprezzo per i valori culturali è probabilmente dovuta al senso di inutilità che accompagna un lavoro che non risponde al suo scopo , cioè che non apre agli individui la possibilità di una riuscita felice nella vita che li attende . Eppure il nostro sistema educativo ( come quello di altri popoli occidentali ) è l ' erede ultimo , per quanto degenere , di una tradizione nobilissima . L l ' erede della tradizione liberale dell ' educazione , della paideia greca , dell ' ideale educativo che gli antichi ritennero proprio degli uomini liberi e che il Cristianesimo medievale , il Rinascimento , l ' Illuminismo e il mondo moderno hanno esaltato e fatto proprio . Secondo questo ideale ( la cui presenza nel mondo greco è stata illustrata da Werner Jaeger nella sua monumentale Paideia ) , esiste una forma o natura perfetta dell ' uomo e l ' educazione deve realizzarla in tutti gli individui che ne sono capaci . L ' educazione è la formazione del singolo , la maturazione dell ' individuo , il raggiungimento di una forma compiuta ; ' è simile allo sviluppo di una pianta e di un organismo , è una « georgica dell ' anima » , secondo l ' efficace espressione di Francesco Bacone . Fa parte integrante di questo concetto la credenza nella fondamentale uniformità delle attitudini o delle disposizioni umane ; la credenza in un unico tipo di intelligenza , ritenuto adatto , una volta formato , ad affrontare tutti i problemi e le situazioni e a dirigere qualsiasi specie di lavoro o di attività umana . L ' educazione liberale tende perciò a formare l ' uomo come tale , l ' uomo nella totalità e maturità dei suoi poteri , nella sua essenza indipendente da ogni situazione specifica e da ogni compito particolare . Una formazione professionale o specifica , l ' addestramento a compiti particolari , la scoperta e lo sviluppo di attitudini specializzate , cadono fuori di questa educazione o sono ritenuti aspetti subordinati o accidentali di essa . Ciò che è importante è formare l ' uomo : una volta formatolo , ogni capacità particolare si sviluppa da sé . Un ' intelligenza diventata matura è pronta a qualsiasi funzione : questa maturità può dunque raggiungersi indipendentemente dalla diversità delle funzioni e anteriormente ad ogni applicazione a qualcuna di esse . Questo ideale educativo , che è forse la maggiore eredità del mondo classico , ha dominato il pensiero filosofico e pedagogico del secolo scorso ed è stato condiviso ugualmente da positivisti e idealisti , empiristi e razionalisti . Esso ha inoltre permeato di sé le istituzioni educative del mondo occidentale , dominando incontrastato fino ad alcuni decenni fa . Ma se si confronta questo ideale con le richieste che la società contemporanea pone all ' educazione , il contrasto appare lampante . Ad una fase sufficientemente avanzata dello sviluppo tecnico - industriale , la società esige che ogni individuo sia rapidamente addestrato al compito specifico che lo attende . Questa società non ha bisogno di « uomini » senz ' altra qualifica , ma di operai specializzati , di tecnici , di ingegneri , di ragionieri , di dirigenti d ' azienda ; nonché di avvocati , di giudici , di amministratori , di medici , di insegnanti e di innumerevoli altre categorie di persone , ognuna a sua volta divisa in numerose specificazioni . Essa non sa che farsene di un ' intelligenza buona a tutto , ma che in realtà è disarmata nei confronti di situazioni specifiche per le quali non abbia apposito addestramento , non sa che farsene di una « cultura generale » , lunga e difficile ad acquistarsi , ma difficilmente spendibile negli spiccioli delle informazioni occorrenti ai lavori specifici . Esige invece che i talenti o le disposizioni individuali siano messi in luce e sviluppati rapidamente con tecniche adatte di addestramento ; che ogni individuo sia istradato , appena possibile , verso quella specie di addestramento cui il suo talento l ' indirizza e che il suo bagaglio di informazioni sia rigorosamente limitato a questo scopo . Pertanto solo l ' individuo unilateralmente orientato , cioè attrezzato in un campo ristretto e specifico e tetragono ad ogni distrazione da questo campo , ha probabilità di successo nella società contemporanea . Questa certo non ignora che un certo quantum di umanità o di qualità umane è indissolubilmente connesso con le abilità che essa richiede ; ma non fa calcolo su questa umanità o la considera solo allo scopo di ottenere il rendimento massimo delle abilità di cui ha bisogno . Il rendimento nel lavoro è difatti l ' unica cosa cui una società tecnicamente organizzata ( qualunque sia il suo assetto politico - sociale ) è intrinsecamente o costituzionalmente interessata , perché è la condizione prima del suo funzionamento . In queste condizioni , la credenza nell ' unità dell ' intelligenza in tutti gli uomini tende a sparire o a divenire inoperante . Le parole famose che si trovano all ' inizio del Discorso del metodo di Cartesio , « Il buon senso o la ragione è naturalmente uguale in tutti gli uomini » , che già nel campo della filosofia avevano suscitato dubbi e contrasti , non trovano risonanza in un mondo tecnicamente organizzato . Certamente , nessuno dubita che l ' intelligenza sia la natura propria dell ' uomo e tutti rendono omaggio all ' antica e venerabile definizione dell ' uomo come animal rationale . Ma da un pezzo molti filosofi sanno che la cosiddetta intelligenza non è che la capacità di prevedere e progettare e che questa capacità assume , nei diversi individui , forme diverse , talora eterogenee , talora addirittura incompatibili l ' una con l ' altra . Ora proprio su questa diversità fa leva la struttura tecnologica della società contemporanea . Nello stesso dominio della scienza , la figura dello « scienziato » che con le sue « intuizioni » avvia la ricerca a nuovi indirizzi o scoperte non è sparita dalla realtà ma non rientra nel calcolo del progresso scientifico . Tale progresso fa calcolo oggi soltanto su una massa anonima e composita di « ricercatori » che spingono le loro indagini nel maggior numero di direzioni possibili in ogni campo specifico : sicché la scoperta o l ' innovazione insorga come un risultato statistico dal grande numero delle ricerche , più che dall ' intuizione geniale di un solo scienziato . Ed è chiaro che quando una tale situazione si realizzasse di fatto completamente , un premio , come il Nobel , che ora viene assegnato al merito della scoperta , assumerebbe lo stesso significato di quello offerto al biglietto vincente di una lotteria . L prevedibile che la crisi dell ' educazione liberale si concluderà con la fine dell ' educazione liberale . Se una società tecnicamente organizzata deve sopravvivere - e deve sopravvivere se deve sopravvivere la parte maggiore dell ' umanità - le esigenze che essa pone all ' educazione dovranno essere accolte e i sistemi educativi dovranno incardinarsi su di esse , abbandonando l ' antico ideale liberale . f prevedibile che , più o meno rapidamente , i sistemi educativi del nostro paese e dei paesi occidentali , e via via quelli degli altri paesi del inondo , si evolveranno nel senso di tali esigenze . Ma con quest ' evoluzione rischieranno di andare perduti i valori fondamentali cui mirava l ' ideale liberale dell ' educazione : l ' armonia o l ' equilibrio della personalità , lo spirito di critica e di libertà , la ricerca disinteressata , l ' agonismo sportivo , la comunicazione e la comprensione tra gli uomini . Un ragioniere o un tecnico che non abbia altri interessi fuori del suo lavoro e che per tutto il resto segua la routine offertagli dall ' ambiente che lo circonda , è , dal punto di vista umano , una specie di mostruosità : perché è incapace di entrare in colloquio con se stesso e con gli altri . Ci saranno sempre , certo , la letteratura e l ' arte , la religione o la filosofia come correttivi possibili di questo isolamento . Ma chi può garantire che queste cose non si riducano a riti formalistici , a suppellettili di lusso o a sterili passatempi , quando non facciano appello a interessi debitamente coltivati ? Il rimpianto del passato , l ' ignoranza e il misconoscimento del presente e dei suoi bisogni , le lamentele inconcludenti sono povere scappatoie di fronte a questo problema . Né fa avanzare di un passo verso la soluzione di esso l ' esaltazione dei valori che si presumono in pericolo . Forse l ' avviamento ad una soluzione si può ottenere soltanto , dopo una franca e serena accettazione della situazione contemporanea , proponendosi le seguenti domande : Possono i valori umani rientrare nelle condizioni di sopravvivenza della stessa struttura tecnologica della società moderna ? E se è così , in quali aspetti di questa struttura debbono inserirsi o conservarsi e quali forme devono assumere a questo scopo ? Una risposta spregiudicata a tali domande può essere solo frutto di indagini lunghe e difficili ; ma , se una risposta c ' è , forse ( si tratta però di una speranza più che di una previsione ) l ' educazione liberale potrà risorgere dalle sue ceneri .
Caro Scansini ( Montanelli Indro , 1980 )
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Caro Scansini , non credo che la Rai l ' abbia con noi . Credo soltanto che i suoi dirigenti e operatori siano paralizzati dalla paura di dimostrare che non l ' hanno con noi . I partiti ai quali devono i loro posti e carriere li obbligano a darci l ' ostracismo , e loro ce lo danno nell ' unico modo in cui possono darcelo : ignorandoci . Le nostre notizie non sono considerate notizie , anche se poi si rivelano le più fondate di tutte . E le nostre opinioni vengono sottaciute sebbene noi siamo , per unanime riconoscimento , uno dei due unici giornali ( l ' altro è Repubblica ) che in Italia « fanno opinione » . Purtroppo , è un ' opinione che non coincide con quella dei partiti che si lottizzano la Rai trattandola come la nostra classe politica usa trattare tutte le cose e i servizi di Stato , e cioè come loro patrimonio privato , da spartire secondo i rapporti di forza , cioè come i predoni si spartiscono il bottino della diligenza assaltata . Naturalmente noi che li additiamo alla pubblica opinione come autentiche truffe e la causa di tutte le malversazioni , siamo esclusi da questi giuochi , e non soltanto da quelli della Rai - Tv . Ci sono giornali che , con centinaia di miliardi di debito , continuano a trovar credito presso le banche . Perché ? Perché sono nel giuoco . Noi che ne siamo fuori , se abbiamo bisogno di dieci milioni , dobbiamo chiederli ai lettori ( che ce li danno subito ) ; dalle banche , nemmeno una lira , perché nel giuoco non ci siamo . E ' la nostra debolezza materiale , caro Scansini , ma è anche la nostra forza morale . Ma non cerchi di persuaderne sua figlia : è inutile .
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Fino dalle 7,30 il recinto riservato al pubblico nelle Assise va popolandosi discretamente . Giù nel cortile del palazzo di giustizia passeggiano molte guardie e carabinieri . Altri molti agenti sono sparsi nell ' aula e nell ' antisala , agli ordini diretti del commissario Rossi . Si notano molti questurini in borghese . L ' accesso ai giornalisti nei posti riservati viene regolato rigorosamente . Gl ' imputati vengono introdotti nel gabbione alle 8,15 . Essi serbano un contegno apparentemente tranquillo ; Palizzolo è pallidissimo e sorride al fratello Eugenio che corre a stringergli la mano , quindi scambia poche parole con Maggio , unico dei difensori suoi presenti . Degli avvocati soltanto la parte civile è al completo . Stante l ' ora mattutina non sono presenti che Melloni e Becchini . Più tardi sopraggiungono Salerno e Venturini . Quando si apre l ' udienza alle 8,30 , circa 200 persone sono nel recinto del pubblico . Fatto l ' appello dei giurati e degli imputati , il Presidente passa subito a svolgere il riassunto . Egli che appare assai sofferente , comincia dal fare l ' elogio dei giurati che con spirito di abnegazione hanno seguito diligentemente lo svolgersi di questo immenso processo . Dice che il loro esempio è degno di essere tramandato alla storia . Il comm . Frigotto con rapidissima sintesi ricostruisce la narrazione dell ' assassinio di Notarbartolo al Ponte Curreri , cominciando dal rinvenimento del cadavere di Notarbartolo e passando subito a ricordare tutte le indagini compiute dalla polizia e dai carabinieri per raggiungere i colpevoli . Delinea efficacemente la nobilissima figura della povera vittima , di cui fa un vivissimo elogio e ricorda le varie istruttorie seguitesi dall ' autorità giudiziaria per accertare la responsabilità dei maggiormente indiziati , Carollo , Garufi e Fontana . Ricorda il loro primo proscioglimento , il nuovo arresto dei due primi e il loro rinvio alle Assise di Milano . Accenna alle varie causali , alle quali il delitto è stato attribuito , fra cui , la più insistente , quella relativa agli astii incontrati da Notarbartolo al Banco di Sicilia con Palizzolo ed altri consiglieri . Rileva che il nome di Palizzolo corse per le bocche di tutti poco tempo dopo il delitto come quello del mandante , e gradatamente , dopo aver descritto le fasi delle varie istruttorie seguitesi , viene a parlare del processo di Milano ; ove fu lanciata dal figliuolo della vittima l ' accusa contro Palizzolo il cui nome fu ripetuto poi da un ' infinità di testimoni come colui che fosse accusato dalla voce pubblica come mandante , fino dai primi momenti che si ebbe notizia dell ' assassinio . Il Presidente conclude rapidamente questa parte fino al rinvio di Palizzolo , Fontana e Garufi alle Assise di Bologna . Quindi comincia a spiegare i quesiti ... I giurati finalmente entrano nella loro camera di deliberazione : sono le 21,50 . Nell ' aula il pubblico si abbandona ad un cicaleccio vivacissimo facendo le più disparate previsioni sull ' esito del verdetto . Molta folla rumoreggia fuori , trattenuta da guardie e carabinieri regolanti l ' accesso . Oltre quelle poche centinaia di fortunati che sono riusciti a penetrare nel recinto riservato al pubblico , ove si notano , nonostante l ' ora tarda parecchie signore ed alcuni preti , il vestibolo . Lo scalone , gli ambulatori del Palazzo di giustizia spesseggiano di folla . Una grande , morbosa curiosità ha invaso tutti . L ' attesa del verdetto è divenuta febbrile , intensa . I giurati escono dalla sala delle deliberazioni alle ore 23,25 . L ' attesa è intensissima . Si cerca di leggere nei loro visi la sentenza di condanna o l ' assoluzione ; ma nulla essi fanno trapelare . Tutti sono imperscrutabili , ora come durante l ' intero lunghissimo dibattimento . Il Presidente , per precauzione , ha fatto venire un medico . Fra un silenzio di tomba , il capo dei giurati Gualtiero Guaiani , posta la mano sul cuore , pronunzia la formula sacramentale : « Sul mio onore e sulla mia coscienza il verdetto dei giurati è il seguente : Questione l ª principale - L ' accusato Fontana Giuseppe è colpevole di avere la sera del 1° febbraio 1893 , lungo il tratto ferroviario Termini - Trabia , in uno scompartimento di prima classe , inferto da solo e con altri o immediatamente con altri cooperato ad inferire , con arma da taglio al comm . Emanuele Notarbartolo lesioni , che furono causa della di lui morte e ciò con intenzione di ucciderlo ? A maggioranza : sì . Sono accordate le attenuanti . Questione 2ª - L ' accusato Fontana Giuseppe ha commesso il fatto di cui fu ritenuto colpevole , con premeditazione ? A maggioranza : sì . Questione 3ª principale - L ' accusato Palizzolo Raffaele è colpevole di avere determinato altri a commettere l ' omicidio in danno del comm . Emanuele Notarbartolo ? A maggioranza : sì . Sono accordate le attenuanti . Questione 4ª - L ' accusato Palizzolo Raffaele ha commesso il fatto di cui fu ritenuto colpevole con premeditazione ? A maggioranza : sì . I primi sì relativi a Fontana e a Palizzolo vengono accolti da applausi , e da grida di bene e bravo . Il presidente scampanella furiosamente . Il momento è veramente solenne . I difensori appaiono commossi e commossi sono evidentemente i giurati medesimi . Il presidente ordina che vengano introdotti gli imputati . Questi entrano nella gabbia fra numerosi carabinieri che vi rimangono . Gli imputati sono pallidissimi . Palizzolo fa sforzi per imporsi la calma , ma la sua agitazione è evidente . I due Vitali e Bruno rimangono tranquilli . Palizzolo giunge le mani sorridendo tristamente , poi piega le braccia e rimane con gli occhi socchiusi , scrollando il capo nervosamente . Fontana abbassa gli occhi e congiunge le mani nervosamente ; ma il suo viso nulla lascia trasparire della sua agitazione . L ' avv . Cevidalli presenta le conclusioni della P . C . con le quali chiede siano applicate le pene di legge , condannando gli accusati ai danni da liquidarsi in separata sede . Il P . M . Bertola fra l ' attenzione generale presenta le proprie richieste : Per Palizzolo , mandante dell ' assassinio Notarbartolo , chiedo la condanna a trent ' anni . Scoppiano grida di bene e bravo . Il clamore è assordante e gli zittii non riescono a farlo cessare e occorre una energica scampanellata presidenziale per far tornare la calma . Bertola riprende : Per Fontana la posizione è identica a quella di Palizzolo ; chiedo quindi che si condanni a trenta anni . Palizzolo con voce vibrata : Domando la parola ! Presidente . Aspettate un momento . Quindi il presidente chiede ai difensori dei condannati che cosa abbiano ad aggiungere prima che la Corte emetta la sentenza . Venturini , difensore di Palazzolo , dichiara di rimettersi alla giustizia della Corte . Stoppato , difensore di Fontana , altrettanto . Il Presidente concede la parola a Palizzolo . In questo momento scocca la mezzanotte . Fra grande silenzio l ' ex deputato di Palermo con voce convulsa ma forte , dice placatamente : « Una sola parola » ! Poi prorompe : « Signori giurati , siete stati ingannati . Sono innocente , Iddio saprà vendicarmi , non su voi , signori giurati , ma su chi mi ha assassinato » . Fontana grida , stendendo la mano verso i giurati : « Anch ' io sono innocente , lo giuro sulla tomba di mia moglie » . La Corte si ritira per emettere la sentenza . Nell ' aula si animano conversazioni vivaci , discussioni svariate sull ' esito del processo . Per sentimento di delicatezza non vi riferisco qual sia il tono generale di tali discorsi . Riproduco soltanto questa frase che fiorisce sulle bocche di moltissimi : « Bologna si è fatto onore » . Il Presidente legge la sentenza colla quale Palizzolo e Fontana sono condannati a 30 anni di reclusione ciascuno , a 10 anni di sorveglianza speciale , all ' interdizione perpetua dai pubblici uffici , all ' interdizione legale durante la pena . Palizzolo e Fontana alla rivalsa dei danni alla parte lesa Notarbartolo e alle spese . Scoppia un grande clamore di applausi . Il presidente scampanella , quindi dice : Dichiaro chiusa la sessione aperta il 9 settembre ; ringrazio i giurati del servizio prestato per tanti mesi nell ' interesse della giustizia . L ' aula si sfolla rumorosamente fra gli applausi e le grida di : viva la giustizia bolognese .
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Borghese o proletario il nostro movimento ? Borghese assolutamente no . L ' antiborghesismo non è in noi una civetteria verbale non siamo di quelli che hanno paura delle parole ; è la conseguenza di una meditata e definitiva condanna dell ' ordine , dell ' economia , degli istituti , della morale borghese . Croce ed Einaudi hanno un bell ' ammonirci che la borghesia è un falso concetto e che la classe non esiste ; noi la borghesia italiana la ritroviamo con nettissima intuizione di classe attorno al fascismo . Questa borghesia , in Italia e in Europa , la sentiamo e la vogliamo condannata . I suoi diritti sono privilegi . Le sue libertà si risolvono in soprusi . Il fatto che essa non riesca ormai più a governare quasi dovunque che con la forza brutale , sollevando ribellioni formidabili che per la prima volta non si innestano su una guerra perduta , dimostra che come classe dirigente è finita . Siamo allora un movimento proletario ? Se « movimento proletario » significa movimento che identifica la sua causa con quella della emancipazione umana , con la causa degli operai , dei contadini , dei lavoratori di ogni razza e paese materialmente sfruttati e moralmente umiliati , la risposta è categorica : sì , G.L. è un movimento proletario . G.L. non sarà mai dall ' altra parte della barricata qualunque possano essere gli errori e le debolezze che si commetteranno da questa parte delle barricate . La questione , prima ancora che di principio , è di destino , di elezione . Siamo con la classe lavoratrice ; i nemici della classe lavoratrice sono i nostri nemici ; le vittorie della classe lavoratrice sono le nostre vittorie . Se fossimo demagoghi o dittatori scriveremmo addirittura che siamo la classe lavoratrice . Ma noi sappiamo che classe lavoratrice vuol dire milioni e milioni di uomini che se oggi sono ridotti a servitù domani si libereranno , cioè svilupperanno innumeri energie libere . Nessuna ipoteca , quindi , e nessuna esclusiva rappresentanza . Se invece « movimento proletario » dovesse significare , come spesso oggi significa , movimento di classe degli operai industriali , degli operai manuali delle città e delle grandi fabbriche , con le appendici secondarie e disprezzate dei contadini , piccoli borghesi e intellettuali , rispondiamo : no . In questo senso G.L. non è , né tiene ad essere un movimento proletario . Non già perché disconosca che i lavoratori delle fabbriche costituiscono la frazione più forte , più preparata del proletariato , la più aperta agli ideali socialisti . Ma perché i lavoratori delle fabbriche costituiscono in ogni paese , e in Italia particolarmente , una minoranza , e neppure la più oppressa ; una minoranza il cui peso relativo tende a diminuire anziché ad aumentare per il crescere dei ceti medi e piccolo borghesi ; una minoranza assolutamente incapace da sola di rovesciare l ' ordine borghese o anche solo di fare fronte vittoriosamente alla reazione fascista . La storia del dopo guerra , la crisi , i fascismi offrono in materia testimonianze decisive . Un movimento proletario moderno deve , pena l ' impotenza , mettere accanto agli operai , sullo stesso piano degli operai , senza gerarchie assurde e intollerabili , tutte le altre categorie di lavoratori . Il socialismo , sino ad ora concepito come il patrimonio ideale di una classe eletta , la classe degli operai dell ' industria , a cui spetterebbe il vanto di realizzarlo , si deve concepire come il patrimonio ideale di tutti gli uomini . Ogni uomo , operaio , contadino , artigiano , impiegato , professionista che sia deve essere messo in grado di partecipare alla lotta su piede di perfetta eguaglianza ; deve sentire che il socialismo non significa per lui in nessun caso una decadenza , una diminuzione ( la famosa proletarizzazione preventiva ! ) , ma la estrinsecazione di tutto il suo potenziale umano . Nella fase storica che attraversiamo , la fase del fascismo , delle guerre imperialistiche e della decadenza capitalistica , le analisi spettrali del marxismo non servono gran che . La storia ha sconvolto le sapienti catalogazioni e procede a sbalzi , con tagli netti e frane gigantesche . In quanti paesi non si è visto il movimento operaio funzionare da forza conservatrice , mentre i movimenti piccolo borghesi ricorrevano alla violenza e coi disoccupati , nuovo proletariato squalificato , passavano alla reazione ? Bando perciò alla scolastica per attenersi all ' essenziale . Quando un mondo decade e la materia sociale diventa incandescente , le valvole sociologiche saltano . Da una parte i rivoluzionari , i sovvertitori , quelli che l ' Ufficio stampa chiama i « sobillatori » , riuniti secondo affinità semplici ma fondamentali ; dall ' altra i conservatori , i profittatori dell ' ordine attuale . La rivoluzione non deve più reclutare chiedendo : sei tu proletario ? Credi al materialismo storico ? Riconosci in Marx il tuo Dio e in Lenin ( o in Jaurès ) il tuo profeta ? Vuoi la tessera A . , B . , C . ? Deve chiedere : credi che il mondo possa continuare a marciare sulla testa anziché sulle gambe ? Non ti pare che all ' uomo potrebbe assegnarsi un compito più interessante di quello di servire il profittatore , lo Stato e i generali ? Una civiltà che ti dà l ' ordine fascista e un nuovo macello in vista non equivale a una nuova barbarie che bisogna combattere su tutti i fronti e con tutte le armi ?
LA FELICITÀ ( Abbagnano Nicola , 1964 )
StampaQuotidiana ,
Due sono le ragioni che hanno convinto i filosofi moderni a schierarsi contro la felicità e a negare che essa sia la base della vita morale . La prima è che la felicità è uno stato praticamente irraggiungibile della condizione umana : è lo stato di un uomo al quale tutte le cose vanno bene , nel senso che le circostanze gli consentono l ' appagamento di tutti i bisogni e le aspirazioni . Ora all ' uomo manca il controllo di tutte le circostanze in cui viene a trovarsi : niente perciò gli garantisce o gli può garantire che i suoi bisogni e le sue aspirazioni siano tutte completamente appagate . La felicità è dunque un ideale chimerico . La seconda è che la felicità non può essere considerata come il fine della vita morale dell ' uomo : perché la moralità consiste nel compimento del dovere e il dovere non può essere subordinato ad alcun fine ulteriore ma è fine a se stesso . Un ' azione può dirsi morale unicamente se non solo è conforme al dovere , ma è fatta soltanto per rispetto al dovere : sicché , come non può dirsi morale chi agisce bene per il timore di una pena e per la speranza di un vantaggio , così non può dirsi morale chi agisce in vista della felicità . Il compimento del dovere viene a porsi , da questo punto di vista , su un piano totalmente diverso da quello della felicità : sul piano di una virtù austera , che non concede nulla all ' inclinazione naturale ed è in lotta contro tutte le inclinazioni , compresa quella che le riassume e comprende tutte , l ' inclinazione alla felicità . Queste ragioni , che furono presentate in tutta la loro forza da Kant alla fine del secolo XVIII , sono state e sono generalmente accettate dai filosofi , salvo poche eccezioni . Le eccezioni sono rappresentate da alcune sopravvivenze dell ' etica utilitaristica inglese , che riconosce il fondamento della morale nella ricerca della felicità del massimo numero possibile di persone ( secondo la formula del nostro Beccaria ) , e dagli scritti morali di Russell che si ispirano sostanzialmente allo stesso indirizzo e che sono riusciti ( come Russell stesso dice ) fortemente « impopolari » ma più tra i filosofi che tra il pubblico . In realtà i filosofi si vergognano oggi di parlare della felicità e ne ignorano perfino il concetto . La rigettano , forse , nel limbo dei sogni di ogni Giulietta che cerca il suo Romeo o di ogni Romeo che cerca la sua Giulietta ; e preferiscono parlare di « valori » o di « beni » come cose indipendenti dal desiderio umano ( troppo umano ) della felicità . Eppure proprio su questo desiderio gli antichi impiantavano l ' intera morale e solo discutevano se la felicità consistesse nel piacere o nella virtù . Né assumevano altra base dell ' etica i filosofi medievali , quelli del Rinascimento e gli Illuministi . E sembra difficile contestare ciò che tutti questi filosofi ritenevano ovvio ; cioè che la felicità è la molla abituale e costante del comportamento dell ' uomo . Un vasto materiale di prova in appoggio di questa tesi ci è offerto dall ' antropologia , dalla psicologia e dalla psichiatria contemporanee : un materiale di prova che getta una luce vivissima sugli stati opposti o negativi della felicità cioè sugli stati di insoddisfazione , di frustrazione , di inibizione , di repressione , che minano la personalità umana e la portano a crisi , a squilibri o alla totale catastrofe . La presenza o l ' insorgenza di questi stati nelle varie forme della follia , della nevrosi , e in qualsiasi tara , squilibrio , o imperfezione della personalità umana , con la paralisi totale o parziale , che essi implicano , delle attività produttive dell ' uomo e della sua capacità d ' inserirsi nel complesso della vita sociale , è un fatto che prova negativamente l ' importanza che un certo grado di « felicità » , cioè di soddisfazione o di appagamento consapevole , ha per il singolo uomo e per la vita associata . Un appagamento totale , una soddisfazione stabile , completa e garantita di tutti i bisogni e le esigenze dell ' uomo , è certamente fuori questione : la felicità « perfetta » o 1'« ideale » della felicità è un ' aspirazione chimerica , e porla a fondamento della condotta dell ' uomo significa votare quest ' ultima al sicuro insuccesso . Ma tra questo ideale e lo stato di insoddisfazione radicale e inevitabile che provoca le malattie o le crisi della personalità umana ci sono infiniti gradi intermedi ; e sono proprio questi gradi che condizionano la vita , l ' equilibrio e la capacità creativa dell ' uomo nel suo mondo . Come già diceva Aristotele , è felice il musico che riesce a suonar bene o l ' architetto che riesce a costruire un bell ' edificio e in generale è felice ( almeno in un certo grado o in un certo rispetto ) chi riesce a realizzare , in qualche misura , le possibilità che ritiene proprie e che costituiscono il centro di gravità dei suoi interessi personali . Gli spiriti creativi nell ' arte e nella scienza , come nella politica e negli affari , traggono dall ' esercizio della loro attività una soddisfazione che li rende in qualche modo tetragoni ai colpi della fortuna . Più esposti a questi colpi sono gli spiriti disorientati , che non sanno che fare della propria vita , che non hanno un interesse dominante o non sanno accentrare intorno ad esso il resto della loro vita . Un lavoro , anche modesto , cui l ' individuo si senta tagliato , una possibilità effettiva di successo nell ' attività che si è scelta , la prospettiva di un nuovo benessere , una vita affettiva senza seri conflitti , un amore riuscito , un sistema di abitudini regolari che assicuri un minimo di soddisfazioni , sono elementi o condizioni di una felicità che non è gioia né estasi , ma equilibrio della personalità umana e fecondità delle sue manifestazioni . Al contrario , l ' incapacità di riconoscere o realizzare le proprie aspirazioni autentiche , di materializzare in opere le possibilità proprie o il sentirsi privo di possibilità siffatte , sono le condizioni di una personalità immatura , malata o destinata al fallimento . La felicità in questo senso non è certo l ' impassibilità del « saggio » antico che si estrania dalle vicende umane e si chiude nella sua torre d ' avorio . Non è neppure il sogno delizioso dell ' adolescente che si affaccia alla vita . È un concetto - guida per uomini e donne che abbiano raggiunto la maturità del loro spirito e che non si lascino sconfiggere dal primo urto delle avversità . t , anche , un efficace strumento per affrontare queste avversità . Non consiste nella somma di piaceri che si possono ricavare dalla vita e neppure prescinde dai piaceri che sono connessi all ' appagamento dei bisogni e all ' esercizio delle attività umane . È inoltre un concetto che non ha lo stesso contenuto per tutti gli individui e per tutti i tempi . La misura della felicità è l ' individuo , e ciò che rende felice un individuo può rendere infelice un altro . Thomas Jefferson ebbe un ' idea geniale quando nella Dichiarazione dei diritti ( 1776 ) con cui si apre la storia della rivoluzione americana , fece includere tra i diritti inalienabili dell ' individuo , accanto alla vita e alla libertà , la « ricerca della felicità » . Ciò che l ' organizzazione politico - sociale può garantire all ' individuo è la possibilità di questa ricerca , non la felicità . Nessun uomo e nessun potere può imporre un modello di felicità a tutti gli uomini . La pretesa del Grande Inquisitore nei Fratelli Karamazov di Dostojewski , di rendere gli uomini schiavi e felici , è contraddittoria in se stessa , perché la felicità imposta è una delle forme dell ' infelicità . Ciò che l ' organizzazione politico - sociale del genere umano può fare è soltanto l ' eliminazione di condizioni che rendono impossibile ai singoli uomini di cercare la felicità : la miseria , l ' ignoranza , l ' ingiustizia . Ma dopo di questo , che è già un compito immenso e praticamente infinito , la parola spetta ancora agli individui ; il cui equilibrio vitale dev ' essere affidato soltanto alla scelta , lasciata in loro potere , del modo d ' essere felici . Certo nessuno dei modi che possono essere scelti esclude la possibilità dell ' errore o include la garanzia del possesso incontrastato e perenne della felicità . Ma chi oserebbe pretendere che all ' uomo competa , almeno su questa terra , quella beatitudine imperturbabile che è propria della vita divina ?
Caro presidente Forlani ( Montanelli Indro , 1980 )
StampaQuotidiana ,
Caro presidente Forlani , non sapendo quale sia il ministro competente in materia , inoltro a lei questa lettera , che mi sembra giusta , sensata e da prendere in immediata considerazione . A dire il vero , io credevo che la misura sollecitata dal nostro anonimo lettore fosse in atto da sempre , sembrandomi sottinteso che quanto si offre , in caso di calamità nazionali , ai fratelli sinistrati , sia almeno esentato da tasse . Invece sembra che in Italia non sia così . E allora la prego di provvedere . Anzi , contando sulla sua intelligenza , mi permetto di dirle che , a nome della pubblica opinione - del cui totalitario consenso sono arcisicuro - , lo esigo . Questa misura va adottata , e va adottata subito . Perché colpire , e quindi scoraggiare , anche i gesti di altruismo e di solidarietà è non soltanto iniquo , ma immorale e indecente . La prego , signor Presidente , di dare o di far dare dal ministro competente , non a me , ma alla pubblica opinione , una risposta in proposito .
StampaQuotidiana ,
Gli operai della Fonderia Oretea e dello Scalo di Alaggio , come di consueto , stamane si erano recati al lavoro , quando tra di loro si sparse la notizia , ieri pubblicatasi da qualche giornale , che , nella nuova ripartizione dei fondi del ministero della marina e dell ' industria navale statale e privata , sarebbe stata trascurata la Sicilia . Tale notizia circolando e ingrandendosi di bocca in bocca , provocò una giusta esasperazione nell ' animo degli operai , i quali , smessa la giubba di lavoro che avevano allora indossato , si vestirono e lasciarono le officine e , col proposito di scioperare e di dimostrare , si diedero appuntamento per le ore 9 al Foro Italico , presso Porta Felice . Ivi furono raggiunti dal direttore della Fonderia cav . ing . Torrente il quale lesse loro dei telegrammi del presidente dei ministri on . Zanardelli , del ministro dell ' interno on . Giolitti , e di quello della marina on . Morin , in cui si diceva che poiché i lavori che la marina ha in corso di fornitura presso l ' industria privata consistono principalmente in corazze , cannoni e macchine motrici per navi , tali lavori non potevano commettersi in Sicilia perché non vi esistevano stabilimenti per l ' esecuzione di essi . Gli operai , non ascoltando agli incitamenti alla calma loro fatti dal cav . Torrente e dall ' ispettore Marzullo , in preda a viva agitazione , finirono per irrompere clamorosamente in massa nel corso Vittorio Emanuele . Accorsa la pubblica sicurezza furono suonati gli squilli di tromba e caricati i dimostranti , ma inutilmente , giacché gli operai , essendo in numero di molto maggiore , sopraffecero la forza e proseguirono la loro marcia dirigendosi verso la Piazza Pretoria . Dal municipio viene quindi per telefono avvertita la questura che i dimostranti si vanno riunendo sotto il palazzo municipale e tosto vien mandata colà una buona parte della forza con numerosi funzionari , ma già la folla ha invaso ed occupato tutta la piazza del Municipio e mentre gli agenti e i carabinieri si dispongono in guisa da circondare i dimostranti , sopraggiunge l ' on . avv . Di Stefano con i presidenti delle otto società operaie del mandamento Molo , che viene accolto da fragorosi applausi . Da una finestra degli uffici di Stato Civile , ottenuto un po ’ di silenzio , fa un breve discorso , interrotto spesso dalle grida dei dimostranti . Egli ricorda che se il precedente ministero non fosse caduto , si sarebbe ottenuta a quest ' ora , dietro le pratiche fatte , una legge per la quale gli operai marittimi della nostra città avrebbero avuto pane e lavoro . Però la Camera fra qualche giorno si riaprirà , e il progetto di legge , dal quale si ripromettono i dovuti benefizi , sarà senza fallo presentato e discusso . L ' oratore finisce raccomandando agli operai di mantenersi calmi , di attendere ancora un po ’ , giacché tanta pazienza hanno finora dimostrato , ed annunziando che lunedì prossimo egli partirà per Roma con una commissione di operai , per ottenere dal ministro dei lavori pubblici e da quello della marina , in via d ' urgenza , qualche lavoro nel quale possano essere occupati il maggior numero degli operai .
POPOLO NON MASSE ( ROSSELLI CARLO , 1934 )
StampaPeriodica ,
La critica più frequente che viene rivolta al nostro movimento è di non fare sufficiente assegnamento sulle « masse » , di dare nell ' azione antifascista più peso alle minoranze audaci e combattive che al popolo lavoratore . Di qui l ' accusa d ' individualismo , di volontarismo romantico , di culto dell ' eroismo ecc . Definiamo innanzi tutto la parola « masse » . Esiste un primo significato generico e apolitico per il quale le masse sono semplicemente il grosso della popolazione di un paese qualunque sia il suo sistema sociale , il suo livello di vita e di educazione , il rapporto interno tra le classi . Masse tedesche , sovietiche , francesi , americane . Evidentemente non è questo significato che c ' interessa . Esiste poi un secondo significato della parola masse , specifico , differenziato , politico , per il quale per masse si intende la classe più numerosa e produttiva della società , la classe lavoratrice , nelle sue frazioni politicamente più attive e organizzate . Masse sono , nei paesi liberi o relativamente tali , quelle centinaia di migliaia , quei milioni di lavoratori che avendo senso di dignità e di libertà partecipano alla lotta politica attraverso i partiti , i sindacati e le varie organizzazioni a larga base . Nei momenti più intensi della vita politica , a queste masse di militanti si aggiungono masse anche più vaste di simpatizzanti che votano , partecipano alle agitazioni , ai comizi ecc . Le masse francesi sono , per esempio , oggi particolarmente attive e assommano certamente a qualche milione . In base a questa definizione , è facile vedere come non sia possibile parlare di masse attive , nel senso politico della parola , e di lavoro di massa nei paesi a dittatura fascista . La dittatura fascista ha distrutto le organizzazioni politiche ed economiche della classe operaia togliendo a questa ogni libertà e diritto e ha intruppato gli operai nelle sue organizzazioni che hanno lo scopo d ' impedire , sistematicamente , ogni vita politica delle masse . I lavoratori , paralizzati dalla miseria , ricattati dalla disoccupazione , oppressi dal terrore legale , controllati sul lavoro e fuori del lavoro , messi in una quasi materiale impossibilità di formarsi politicamente , sono ridotti a vivere in uno stato di passività di cui il fascismo profitta per le sue parate militaresche sportive . Nei paesi fascisti la classe lavoratrice non vive più come classe , non ha più autonomia né coscienza di classe . È inerte . Dalla massa , nel senso politico , si è tornati alla massa nel senso numerico e amorfo . Questa è la realtà delle cose in Italia e in Germania , la realtà da cui noi i romantici prendiamo le mosse ; non già beninteso per accettarla , ma per modificarla . Perché , infatti , lottiamo ? Appunto perché vogliamo che le masse si muovano liberamente , si emancipino dalle tutele e dalle oppressioni capitalistiche dittatoriali , possano vivere politicamente , cioè si compongano di uomini liberi , autonomi , fieri , raccolti in libere associazioni . Ma altro è lottare , come noi facciamo , con la classe lavoratrice perché si emancipi materialmente e moralmente e si affermi nella vita politica attraverso una storica lotta rivoluzionaria , e altro è dire che le masse sono in Italia già poste in movimento . Altro è dire che il fine è di mettere in movimento le masse , e altro è dire che si può svolgere oggi una vera azione di masse . Allo stato attuale delle cose in Italia , noi sosteniamo che la sola azione fondamentale che si riesca a condurre è un ' azione di nuclei ristretti , di minoranze attive e battagliere che si dànno come compito essenziale quello di educare i quadri per la lotta rivoluzionaria , di attaccare nei punti più deboli il nemico , e soprattutto di tenersi pronti per utilizzare con la massima rapidità e decisione le circostanze favorevoli che prima o poi necessariamente si presenteranno . In sostanza , noi ci prepariamo per la crisi inevitabile , per la crisi che cerchiamo di precipitare e di ingigantire . Le grandi masse quando è che si metteranno in movimento ? Quando la crisi scoppierà . Vale a dire quando si riuscirà a spezzare o a disgregare il formidabile meccanismo oppressivo che imprigiona le masse . Il lavoro decisivo di massa lo potremo fare solo allora . Non prima . Il fascismo non ci darà un Empire libéral . Qual è dunque il nostro peccato in materia di masse e di azione di masse ? Quello di dire brutalmente le cose come sono , quando gli altri amano farle più rosee e più facili . Noi per esempio diciamo chiaro e tondo , in base a un ' esperienza quinquennale , che in una città italiana non si trovano oggi , non si sono mai trovati , dalle leggi eccezionali in poi , più di 50-100-200 cittadini politicamente attivi disposti a partecipare alla lotta rivoluzionaria ( nei villaggi si è ridotti alle unità ) . Il partito comunista , in mancanza delle masse , ha preso l ' abitudine di chiamare « masse » questi 50-100-200 cittadini politicamente attivi ; e poiché questi cittadini , questi rivoluzionari sono quasi tutti proletari , piccolo borghesi e intellettuali che hanno abbracciato la causa proletaria , ha preso l ' abitudine anche peggiore di dire a ogni piè sospinto che « le masse » si battono , si ribellano contro il capitalismo , e che l ' azione di massa incede , procede , precipita . Tutta qui la differenza ? Tutta qui . Forse in noi , specie dopo l ' esperienza tedesca nel corso della quale abbiamo visto i due più grandi partiti di massa del mondo moderno il socialdemocratico e il comunista sciogliersi come neve al sole , si è accentuata la convinzione che era anche di Lenin che nel periodo rivoluzionario essenziale è il compito della minoranza rivoluzionaria forgiatasi nel periodo della lotta illegale ; ma , a prescindere da questo convincimento che più che un convincimento è un ' esperienza , è fuor di dubbio che anche noi diamo alle masse e all ' attività delle masse tutto il peso che loro spettano . Le masse sono il popolo , e noi siamo col popolo . Le masse sono la classe lavoratrice , e noi ci confondiamo con essa . Le masse aspirano a una democrazia integrale , e noi lottiamo per conseguirla . Ma senza demagogia , senza grottesche adorazioni . Specie agli inizi delle crisi rivoluzionarie , quando le masse mancano di tradizione politica , esse possono commettere degli errori , cedere , deviare , aderire a compromessi . La funzione dei movimenti rivoluzionari è allora di resistere .
COMPRENDERE È PERDONARE? ( Abbagnano Nicola , 1964 )
StampaQuotidiana ,
Comprendere e perdonare sono termini diventati , in certi campi della cultura contemporanea , quasi sinonimi . Non sembra possibile che si riesca a comprendere un essere umano senza perdonare i suoi errori e le sue colpe ; e che la condanna degli aspetti nocivi e ripugnanti della sua condotta mantenga la sua severità quando si sia scavato abbastanza a fondo negli aspetti più intimi della sua vita . Tutte le discipline antropologiche hanno oggi portato contributi importanti al chiarimento delle motivazioni che spiegano la condotta dell ' uomo cioè delle condizioni o delle forze che la provocano : l ' ambiente , l ' eredità , le circostanze , il carattere ecc. Ma al di là di queste motivazioni , la comprensione si presenta come un ' esigenza ancora più intima e radicale . Non si tratta soltanto di spiegare tale condotta come un qualsiasi fatto oggettivo o naturale : si tratta di avvicinarsi all ' uomo stesso , a qualsiasi uomo , quale che sia la natura morale del suo comportamento , con simpatia se non con amore ; di vivere in qualche modo con lui la sua vita o almeno di parteciparne il dinamismo ; di cogliere questa vita al modo in cui egli stesso la coglie nell ' intimità del suo essere e riuscire a vederla come egli stesso la vede . Ma se questo tentativo riesce anche parzialmente , non è possibile o almeno è difficile conservare nei confronti della persona così intimamente penetrata un atteggiamento di riprovazione e di condanna . L ' unico atteggiamento possibile per le manifestazioni di essa che appaiono ostili o maligne nei confronti degli altri esseri umani , è quello del perdono . Queste idee o idee simili a queste circolano in molti campi della cultura contemporanea ; ed anche nel campo dei giuristi i quali spesso parlano della necessità di comprendere la personalità del delinquente , di adeguare a questa comprensione le pene che la legge deve stabilire : e di trasformare tali pene da elementi di punizione o di mortificazione in elementi di recupero o , come si dice con parola solenne , di redenzione del delinquente stesso . Se si spingono al limite queste considerazioni il delinquente può essere considerato come un malato da curare , non come un essere ostile contro il quale la società ha il diritto di erigere la sua barriera . Tutto ciò ha spesso il felice risultato di fondare e promuovere la convinzione che le pene comminate a qualsiasi titolo a coloro che hanno infranto la legge non devono distruggere la loro dignità di esseri umani né rendere impossibile il recupero del loro rispetto verso se stessi e del rispetto degli altri verso di loro . Non devono , in altri termini , ridurli a bestie o a cose di cui si può fare ciò che si vuole . Le considerazioni che seguono non intendono indebolire questa convinzione o limitarne la validità , ma soltanto discutere la connessione di cui si è parlato tra comprendere e perdonare . Alla base di questa connessione c ' è una precisa filosofia del comprendere . Comprendere una persona significa , secondo questa filosofia , non solo mettersi al posto di tale persona ma coincidere con essa , partecipare alla sua vita e soprattutto alle sue emozioni come se fossero la nostra vita e le nostre emozioni . Identificarsi con l ' altra persona è allora il compito del comprendere . Ma per l ' appunto questa identità rende impossibile il giudizio e la condanna . Non posso condannare e neppur giudicare una vita o un comportamento di cui io riesca a partecipare intimamente , con cui io riesco a identificarmi . I fatti ci dicono , certo , che un uomo riesce a giudicare e condannare anche se stesso o almeno certe manifestazioni della sua vita . Ma non è questo possibile proprio perché egli non riesce a identificarsi ( a vedere il vero « se stesso » ) nelle manifestazioni che giudica e condanna ? Quando l ' uomo comprende veramente se stesso o l ' altro , non può giudicare o condannare se stesso o l ' altro perché manca la distanza o l ' estraneità che rende possibile il giudizio o la condanna . Sicché il problema si riduce a questo : comprendere qualcosa significa identificarsi con essa ? Ora , posto in questi termini , il problema esige risposta negativa . Le ricerche di Max Scheler sulla natura della simpatia , che è comprensione emotiva , hanno mostrato come tale comprensione non esige identità , ma diversità . Due persone che hanno lo stesso mal di denti o partecipano ad un eguale dolore non perciò si comprendono , per quanto i loro stati siano identici : come non si comprendono quelle trasportate da un contagio emotivo , per esempio da un sentimento di panico o da uno scoppio di risa . Invece la pietà , che è autentica comprensione emotiva , non consiste nel provare lo stesso dolore dell ' altro o vivere nella sua stessa situazione ma assumere un atteggiamento emotivo cui quel dolore o quella situazione è presente pur nella sua diversità . Giustamente Scheler osservava che la condanna che alcuni filosofi ( come Spinoza e Nietzsche ) hanno pronunciato sulla pietà , che moltiplicherebbe senza scopo il dolore , deriva dal falso concetto della pietà come identità nel dolore mentre essa è un ' emozione a parte , che è stimolata dall ' altrui dolore ma non si identifica con esso . Ma la comprensione non è soltanto un fatto emotivo . In generale , comprendere una persona è cosa che permette di rispondere a domande come questa : « Come ha potuto quella persona compiere quell ' azione ? » . Ora la risposta a questa domanda consiste nel determinare le condizioni che hanno resa possibile l ' azione in esame : nel determinare cioè le forme concrete , particolari della possibilità dell ' azione . La persona ha potuto compiere quell ' azione perché nella situazione in cui si è trovata le sue scelte si sono orientate in un modo anziché in un altro ; e si sono orientate così per altre circostanze o condizioni di cui si possono chiarire i caratteri . Ma a questo livello di generalità il comprendere non è neppure un ' operazione che concerne soltanto gli uomini come tali . Si comprende un teorema di matematica , una teoria fisica , un concetto qualsiasi quando si afferra la possibilità dì queste cose ; la connessione del teorema con gli altri teoremi , il problema cui la teoria fisica risponde , la funzione di descrizione o di previsione cui un concetto è chiamato in un certo campo del sapere . E in tutti questi casi comprendere non significa affatto identificarsi con ciò che si comprende o coincidere con esso . È un ' operazione o una serie di operazioni che lasciano integra la diversità tra chi comprende e l ' oggetto del comprendere e consistono nel chiarire le condizioni che rendono possibile quest ' oggetto . Ora se è così , comprendere non significa , per ciò che riguarda gli uomini , necessariamente perdonare . Può anzi condurre a una condanna più grave o più radicale : come accade quando la messa in luce dei modi in cui un ' azione è stata effettuata e dei moventi che l ' hanno suggerita suscita ripugnanza , orrore o raccapriccio , e rafforza la convinzione che contro quelle forme d ' azione la società deve essere energicamente difesa . È ben certo che non si può giudicare un uomo senza comprenderlo , perché la comprensione è la condizione indispensabile affinché quel giudizio non decada da un misurato atto di ragione a una reazione incontrollata e brutale . La comprensione è la base , l ' unica base possibile , di ogni equo giudizio che l ' uomo può dare di se stesso e degli altri . Ma con ciò ancora nulla è detto circa la natura di questo giudizio , che può essere di condanna o di assoluzione , di simpatia o di ripugnanza , a seconda dei casi : ma non può essere eliminato o reso nullo da un abbraccio universale che includa indiscriminatamente il tiranno ed il martire , l ' assassino e la vittima . L ' uguaglianza degli uomini , che è il postulato fondamentale della nostra morale e dei nostri ordinamenti giuridici , esige che ogni uomo sia compreso prima di venire giudicato . Ma gli uomini sono diversi perché effettuano scelte diverse , talora anche nelle identiche circostanze , nel corso della loro vita . È questa diversità che , per comprenderli , bisogna afferrare e mettere in luce . Si può certo assumere come ideale la volontà di perdonare a tutti e a ogni costo ; ma si può far questo non in base al comprendere , che diversifica e discrimina , ma perché si prescinde completamente da esso .